99.033 Messaggio concernente la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio e la relativa revisione del diritto penale del 31 marzo 1999

Onorevoli presidenti e consiglieri, Con il presente messaggio vi sottoponiamo, per approvazione, un disegno di decreto federale concernente l'approvazione della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio e un disegno di legge federale concernente la modifica del Codice penale, del Codice penale militare e della procedura penale federale.

Gradite, onorevoli presidenti e consiglieri, l'espressione della nostra alta considerazione.

31 marzo 1999

In nome del Consiglio federale svizzero: La presidente della Confederazione, Ruth Dreifuss Il cancelliere della Confederazione, François Couchepin

1999-4546

4611

Compendio Con il presente messaggio, il Consiglio federale sottopone alle Camere federali, per approvazione, la Convenzione internazionale del 9 dicembre 1948 per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio. La Convenzione contro il genocidio, a cui aderiscono 127 Stati, è uno dei trattati internazionali più accettati. Essa vieta il genocidio e obbliga gli Stati a prevenirlo e a reprimerlo. La Corte internazionale di giustizia e la comunità internazionale riconoscono al divieto di genocidio un valore consuetudinario di diritto internazionale. I recenti avvenimenti che hanno avuto luogo nella ex Jugoslavia e in Ruanda hanno conferito alla Convenzione una nuova attualità. Non vi sono più giustificazioni al fatto che la Svizzera non sia parte nella Convenzione, tenuto conto, in particolare, della sua politica attiva in materia di diritti dell'uomo. Inoltre, considerata la natura consuetudinaria delle norme in essa contenute, la Svizzera è già obbligata a reprimere il genocidio così come è definito dalla Convenzione.

Per adempiere tale obbligo, il Consiglio federale propone di completare il Codice penale con una disposizione che vieti il genocidio e lo reprima in maniera adeguata e di modificare il Codice penale e il Codice penale militare mediante disposizioni che conferiscano alla giurisdizione federale civile la competenza di perseguire e punire il genocidio.

Il 17 luglio 1998 è stato adottato a Roma lo Statuto della Corte penale internazionale e quindi, prossimamente, il Consiglio federale e l'Assemblea federale saranno nuovamente chiamati a trattare un accordo internazionale che esigerà adeguamenti dell'ordinamento giuridico svizzero in ambito penale. Conformemente alla stragrande maggioranza delle opinioni espresse durante la consultazione, il Consiglio federale ritiene tuttavia che l'adesione alla Convenzione contro il genocidio e i relativi adeguamenti del Codice penale non possano più essere rimandati. Per questo motivo, sottopone il presente messaggio alle Camere federali.

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Messaggio 1

Parte generale

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La Convenzione del 9 dicembre 1948 per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio

La Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (di seguito «Convenzione contro il genocidio»)1 è stata approvata il 9 dicembre 1948 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite ed è entrata in vigore il 12 gennaio 1951. Essa definisce l'atto di genocidio, fonda la responsabilità penale di chi lo commette e obbliga gli Stati contraenti a prevenirlo e a reprimerne la perpetrazione.

Finora2, 127 Stati hanno ratificato la Convenzione o vi hanno aderito.

12

Diritto penale internazionale

Il diritto pubblico internazionale classico si limita a disciplinare i rapporti fra Stati.

In seguito alle esperienze fatte con i regimi totalitari, a partire dalla Seconda Guerra Mondiale si riconosce che l'individuo è titolare diretto di diritti che trovano il loro fondamento nel diritto pubblico internazionale; al tempo stesso, quest'ultimo può però fondare direttamente la responsabilità penale dell'individuo. Spetta al diritto penale internazionale rendere effettivi i doveri imposti all'individuo dal diritto pubblico internazionale. La repressione delle violazioni dei diritti fondamentali protetti dal diritto internazionale commesse da un individuo compete al diritto penale internazionale, che è vincolato ai principi del diritto pubblico internazionale e a quelli del diritto penale. Le fonti del diritto internazionale generale3 sono identiche a quelle del diritto penale internazionale4.

Il diritto penale internazionale affonda le sue radici storiche nel diritto bellico, che disciplinava già nel Medioevo il comportamento delle forze armate nei confronti dei soldati e della popolazione nemici. Queste ordinanze di guerra prevedevano, per esempio, di risparmiare i conventi e le chiese nonché le donne e i bambini e disponevano che chi vi contravveniva doveva essere punito dalle corti marziali. La Convenzione di Ginevra del 1864 relativa alla protezione dei feriti e dei malati degli eserciti in campagna fu il primo esempio di codificazione di tali regole. Seguì un continuo sviluppo in questo settore giuridico, che dalla Seconda Guerra Mondiale si definisce diritto internazionale umanitario.

1

2 3

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Il termine «genocidio» è stato coniato da Raphael Lemkin nel 1944 in risposta a Winston Churchill, che descriveva i crimini di guerra commessi in Polonia come «crimes without a name». Cfr. Raphael LEMKIN, Axis Rule in Occupied Europe, Washington, 1944.

Stato: 4 febbraio 1999.

Articolo 38 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia (CIG), cfr. decreto federale del 12 marzo 1948 concernente l'adesione della Svizzera allo Statuto della Corte internazionale di Giustizia e il riconoscimento della giurisdizione obbligatoria di questa Corte conformemente all'articolo 36 dello Statuto (RS 193.5).

Questo principio è interamente valido solo per il diritto internazionale pattizio quale fonte giuridica. Per i rapporti fra le altre fonti di diritto internazionale e il principio nullum crimen, nulla poena sine lege, cfr. Otto TRIFFTERER, «Österreichs Verpflichtungen zur Durchsetzung des Völkerstrafsrechts», Österreichische Juristenzeitung (ÖJZ), 51. Jahrgang, 1996, Heft 9, p. 328 con numerosi riferimenti.

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Sin dall'inizio è prevalsa l'idea di punire le violazioni del diritto bellico. In seguito, verso la fine del XIX secolo, si è imposta la concezione secondo la quale gli Stati avrebbero potuto punire tali violazioni anche se commesse all'estero da cittadini di altri Stati oppure nei confronti di cittadini di altri Stati.

Verso la fine della Seconda Guerra Mondiale furono istituiti per la prima volta tribunali militari internazionali per giudicare i principali criminali di guerra delle potenze dell'Asse. L'istituzione dei Tribunali militari internazionali di Norimberga5 e di Tokio6 ha costituito una tappa importante nella storia del diritto penale internazionale. Essi dovevano infatti giudicare, oltre ai crimini di guerra conosciuti fino ad allora, altri due tipi di atti contrari al diritto internazionale: il «crimine contro la pace» (preparazione e conduzione di una guerra di aggressione) e il «crimine contro l'umanità» (atti disumani gravi e sistematici contro la popolazione civile, inclusa la propria)7. Questa seconda categoria presenta un interesse particolare, poiché tali crimini erano stati perseguiti solo in relazione ad attività belliche, criterio che fino ad allora consentiva di delimitare il diritto penale internazionale dal diritto bellico. Il genocidio, dal canto suo, non era ancora considerato dagli statuti dei Tribunali militari internazionali di Norimberga e di Tokio un crimine a sè stante. Dunque, la persecuzione per motivi politici, razziali o religiosi costituiva un crimine solo se era commessa durante l'esecuzione di un altro crimine o se era legata a un altro crimine per il quale i tribunali erano competenti.

Nel 1947, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite affidò alla Commissione del diritto internazionale il duplice mandato di formulare i principi di diritto internazionale riconosciuti dallo Statuto e dalle sentenze del tribunale militare di Norimberga nonché di allestire un catalogo dei crimini contro la pace e la sicurezza dell'umanità8. Il 9 dicembre 1948, l'Assemblea generale approvò la Convenzione contro il genocidio. Con questo trattato si sperava di poter prevenire e reprimere definitivamente il crimine più efferato commesso durante la Seconda Guerra Mondiale, vale a dire l'annientamento di gruppi nazionali, etnici, razziali e religiosi.

La tappa successiva dello
sviluppo del diritto penale internazionale fu contrassegnata dalle Convenzioni di Ginevra del 1949 (completate nel 1977 da due protocolli aggiuntivi) relative alla protezioni dei feriti, dei malati, dei prigionieri di guerra e dei civili in caso di conflitti armati. Tali Convenzioni impongono a tutti gli Stati contraenti di emanare disposizioni penali volte a reprimere le violazioni gravi della Convenzione e a perseguirne gli autori, indipendentemente dalla loro nazionalità e dal luogo in cui i crimini sono stati perpetrati.

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8

Basi legali per il Tribunale militare internazionale di Norimberga: Statuto nel dispositivo dell'Accordo di Londra dell'8 agosto 1945 (82 U.N.T.S. 279, 59 Stat. 1544. E.A.S. n.

472), pubblicato fra l'altro in: Charles I. BEVANS (Ed.), Treaties and other International Agreements of the United States of America, vol. 3, 1970, p. 1238.

Lo Statuto del Tribunale militare internazionale di Norimberga è stato ripreso per Tokio mediante decisione del Comandante in capo degli Alleati a Tokio, 19 gennaio 1946 (T.I.A.S. 1589), pubblicato in BEVANS, op. cit., vol. 4, 1970, p. 20.

L'articolo 6 lettera c dello Statuto del Tribunale militare internazionale di Norimberga annovera tra i crimini contro l'umanità in particolare: l'assassinio, lo sterminio, la schiavitù, la deportazione o altri trattamenti disumani inflitti alla popolazione civile di qualsiasi origine.

Risoluzione 177 (II) del 21 novembre 1947.

4614

Con l'istituzione dei tribunali internazionali per la ex Jugoslavia9 e il Ruanda10 si è presentata per la prima volta la possibilità, dopo i Tribunali militari internazionali di Norimberga e di Tokio, di trascinare davanti a una corte internazionale gli autori di violazioni gravi del diritto internazionale umanitario11. Gli Statuti di entrambi i Tribunali penali riflettono in tal modo la situazione del diritto penale internazionale: lo Statuto del tribunale internazionale per la ex Jugoslavia sancisce il diritto consuetudinario attuale, che punisce i seguenti crimini: violazioni delle Convenzioni di Ginevra del 1949 (art. 2), violazioni delle leggi e consuetudini della guerra (art. 3); genocidio (art. 4); crimini contro l'umanità (art. 5). Lo Statuto del Tribunale penale internazionale per il Ruanda è leggermente diverso, poiché il conflitto armato ruandese non aveva un carattere internazionale e quindi l'obbligo di infliggere una sanzione agli Stati contenuto nelle quattro Convenzioni di Ginevra e nel Protocollo aggiuntivo I non poteva essere applicato alle violazioni gravi del diritto umanitario. Il valore consuetudinario dei seguenti atti è alla base dello Statuto del Tribunale penale per il Ruanda: genocidio (art. 2); crimini contro l'umanità (art. 3); violazioni dell'articolo 3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra applicabile ai conflitti armati interni e violazioni del Protocollo aggiuntivo II, anch'esso applicabile solo ai conflitti interni (art. 4).

Lo Statuto della Corte penale internazionale, adottato il 17 luglio 1998 a Roma dalla Conferenza dei plenipotenziari delle Nazioni Unite sull'istituzione di una Corte penale internazionale, definisce il crimine di genocidio, i crimini contro l'umanità e i crimini di guerra.

Dalla fine della Guerra fredda, che ostacolava la cooperazione internazionale in molti settori, e in seguito agli avvenimenti verificatisi negli ultimi conflitti armati regionali e nazionali, il diritto penale internazionale è ritornato d'attualità. Come nel 1946, esso è tuttavia considerato ancora in fase di sviluppo.

13

Genesi della Convenzione

Memore degli avvenimenti della Seconda Guerra Mondiale e delle sentenze del Tribunale di Norimberga, nel 1946 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite incaricò il Consiglio economico e sociale di elaborare una convenzione contro il genocidio12.

I lavori cominciarono subito e il 9 dicembre 1948 l'Assemblea generale poté approvare la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio13, che entrò in vigore il 12 gennaio 1951, dopo che fu depositato il ventesimo strumento di ratifica. Sinora, 127 Stati hanno ratificato la Convenzione o vi hanno aderito.

Al divieto di perpetrare il crimine di genocidio è stato subito riconosciuto il carattere di norma imperativa di diritto consuetudinario e una portata erga omnes14. Per valo9 10 11

12 13 14

Risoluzione 827 del Consiglio di sicurezza dell'ONU del 25 maggio 1993.

Risoluzione 955 del Consiglio di sicurezza dell'ONU dell'8 novembre 1994.

Cfr. messaggio del 18 ottobre 1995 a sostegno di un decreto federale concernente la cooperazione con i tribunali internazionali incaricati del perseguimento penale delle violazioni gravi del diritto internazionale umanitario (FF 1995 IV 1001).

Risoluzione 96(I) dell'11 dicembre 1946.

Risoluzione 260A(III) del 9 dicembre 1948.

Antonio CASSESE, «La communeauté internationale et le génocide», in: Le droit international au service de la paix, de la justice et du développement, Miscellanea Michel Virally, Parigi, 1991, p. 186.

4615

re consuetudinario si intende il riconoscimento e l'applicazione da parte della comunità internazionale delle disposizioni materiali della Convenzione contro il genocidio in quanto norme vincolanti. Esse valgono indipendentemente dal loro vincolo convenzionale, ossia anche nei confronti degli Stati che non hanno aderito alla Convenzione. Riconoscere il divieto di genocidio quale norma imperativa del diritto internazionale (ius cogens) significa, per gli Stati, non poter convenire disposizioni che derogano dalla Convenzione15. Sarebbe per esempio nulla un'amnistia per atti di genocidio concessa in un trattato di pace. Inoltre, dal profilo del diritto internazionale, nessun autore o partecipante a un tale crimine potrebbe avvalersi della legislazione di uno Stato che tolleri oppure ordini un genocidio nei confronti di un determinato gruppo al fine di legittimare il suo operato16. Poiché le disposizioni materiali della Convenzione hanno una portata erga omnes, la loro violazione è considerata un atto lesivo degli interessi di tutta la comunità internazionale. Ne consegue che ogni Stato ha il diritto di adottare sanzioni contro l'autore di un genocidio, qualunque sia il luogo in cui è stato commesso17.

Come il genocidio, i crimini di guerra fanno parte degli atti di diritto penale internazionale riconosciuti come norme consuetudinarie. Le Convenzioni di Ginevra del 1949 per la protezione delle vittime di guerra18 e il Protocollo aggiuntivo del 1977 relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali19 stabiliscono che alcune violazioni particolarmente gravi del diritto internazionale umanitario devono essere represse penalmente. Contrariamente alla Convenzione contro il genocidio, le alte Parti contraenti delle Convenzioni di Ginevra hanno non solo il diritto ma anche l'obbligo di perseguire penalmente gli autori di tali violazioni o di consegnarli a un altro Stato contraente interessato affinché siano giudicati, indipendentemente dal luogo in cui tali violazioni sono state commesse (principio dell'universalità). Se un genocidio, così come è definito nella Convenzione contro il genocidio, è perpetrato contro un gruppo di persone protette dalle Convenzioni di Ginevra, esso costituirà anche un crimine di guerra ai sensi di queste ultime. La Convenzione contro il genocidio è tuttavia
più estesa delle Convenzioni di Ginevra, che si applicano essenzialmente in caso di conflitto armato. Il genocidio è punibile anche in tempo di pace. Tuttavia, solo lo Stato sul territorio del quale è stato commesso il crimine è obbligato a perseguire penalmente il genocidio così come è definito dalla Convenzione (principio della territorialità).

Gli Statuti dei Tribunali penali internazionali per la ex Jugoslavia e il Ruanda riprendono la definizione di genocidio dell'articolo 2 della Convenzione. Lo stesso vale per lo Statuto della Corte penale internazionale approvato a Roma il 17 luglio 15 16

17

18 19

Cfr. anche il messaggio del 20 novembre 1996 concernente la revisione della Costituzione federale (FF 1997 I 1).

Parere consultivo della CIJ del 28 maggio 1951. Cfr. anche il rapporto del Segretario generale delle Nazioni Unite del 3 maggio 1993 sull'istituzione di un Tribunale penale internazionale per l'ex-Jugoslavia (Documento ONU S/25704, n. 45) come pure il parere consultivo della CIJ dell'8 luglio 1996 sulla liceità della minaccia o dell'impiego di armi nucleari (n. 81, cfr. anche n. 79 e 82).

Jordan PAUST, Remarks on «Genocide: The Convention, Domestic Laws, and State Responsability», in: American Society of internationale law, Proceedings of the 83rd annual meeting (Chicago, 1989), p. 316; John WEBB, «Genocide Treaty - Ethnic Cleansing - Substantive and procedural hurdles in the application of the genocide Convention to alleged crimes in the former Yugoslavia», in: GA.J Int'L & Comp, vol. 23:377, 1993, p. 395.

RS 0.518.12, 0.518.23, 0.518.42, 0.518.51 RS 0.518.521

4616

1998, che ha ripreso i termini della Convenzione per definire il genocidio (art. 6 dello Statuto).

Nonostante la rapida entrata in vigore e il numero elevato di adesioni, l'effetto della Convenzione contro il genocidio è rimasto a lungo più simbolico che reale. Nei cinque anni che hanno seguito la sua entrata in vigore, la Convenzione non è riuscita a impedire la perpetrazione di ulteriori genocidi20. Per questo motivo, nel passato sono stati intrapresi ripetuti sforzi al fine di migliorare l'efficacia della Convenzione.

Essi non hanno dato risultati immediati, tuttavia si sono rivelati utili poiché hanno contribuito indirettamente all'istituzione, da parte delle Nazioni Unite, di nuovi strumenti relativi ai diritti dell'uomo21.

I recenti avvenimenti dimostrano che l'effetto immediato limitato della Convenzione contro il genocidio deve essere imputato in gran parte alle condizioni politiche del dopoguerra. Con i conflitti armati nella ex Jugoslavia e in Ruanda, la Convenzione è tornata repentinamente di attualità, soprattutto grazie al fatto che la comunità internazionale si è finalmente decisa a istituire la possibilità, grazie ai tribunali internazionali, di perseguire penalmente gli individui che violano il divieto di genocidio22.

2

La posizione della Svizzera riguardo alla Convenzione

21

La posizione delle autorità federali riguardo alla Convenzione

Negli ultimi anni, abbiamo dato la precedenza alla ratifica o all'adesione a diverse convenzioni, alle quali abbiamo accordato un'importanza fondamentale poiché li ritenevamo strumenti universali delle Nazioni Unite di protezione e di promozione dei diritti dell'uomo23. Nel nostro rapporto del 2 giugno 1982 sulla politica svizzera dei diritti dell'uomo24, abbiamo ritenuto che l'adesione della Svizzera alla Convenzione contro il genocidio non fosse essenziale poiché la nostra legislazione tiene già conto a sufficienza di tale Convenzione e un'eventuale adesione avrebbe comportato notevoli modifiche del nostro diritto. Nel 1988, il capo del Dipartimento federale degli affari esteri, nella sua risposta all'interrogazione ordinaria del consigliere nazionale Braunschweig relativa alla situazione dei Curdi in Iraq, dichiarò tuttavia che la nostra posizione sull'eventuale adesione della Svizzera alla Convenzione, esposta nel messaggio summenzionato del 1982, doveva essere riesaminata. Il 14 novembre 1988, abbiamo accolto il successivo postulato del consigliere nazionale Braunschweig intitolato «Rapporto e ricerche sul genocidio».

20 21

22

23 24

Per un'enumerazione dettagliata dei casi pratici, cfr. CASSESE, op. cit., p. 187 e segg.

P. es.: Convenzione del 30 novembre 1973 relativa alla lotta e alla repressione del crimine di apartheid; Convenzione del 10 dicembre 1984 contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (RS 0.105).

Cfr. anche «Application of the Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide (Bosnia and Herzegovina v. Yugoslavia (Serbia and Montenegro))», Request for the Indication of Provisional Measures, Order of 8 Apr. 1993, ICJ Reports 1993, 3, 325 e il Rapporto finale della Commissione di esperti dell'ONU per il Ruanda, secondo il quale gli eventi verificatisi in Ruanda sono considerati genocidio ai sensi dell'articolo II della Convenzione contro il genocidio (documento ONU s/1994/1405, p.36 e segg.).

Cfr. a tale proposito il nostro rapporto sulla politica estera della Svizzera negli anni Novanta del 29 novembre 1993, FF 1994 I 130 p. 159.

FF 1982 II 713, n. 231.2.

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Nella nostra risposta all'interpellanza Fankhauser del 24 marzo 1995 relativa al riconoscimento del genocidio degli Armeni nella Prima Guerra Mondiale, abbiamo precisato che, considerati gli sviluppi recenti nell'ambito del diritto penale internazionale e i tragici avvenimenti verificatisi ultimamente in diversi luoghi del mondo, bisognerebbe esaminare la possibilità di aderire alla Convenzione. La Commissione della politica estera e infine il Consiglio nazionale si sono spinti ancora più lontano all'inizio del 1996 chiedendoci di proporre al Parlamento di aderire alla Convenzione.

Tenendo conto di tali interventi parlamentari e in seguito al riesame della situazione, siamo giunti alla conclusione che la Svizzera deve aderire alla Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio. A nostro parere, le ragioni in favore dell'adesione sono da ricercare nel diritto internazionale, nella politica generale e nella politica dei diritti dell'uomo.

Come menzionato in precedenza (cfr. n. 13), si riconosce che il contenuto materiale della Convenzione contro il genocidio è di natura consuetudinaria e di conseguenza si applica anche agli Stati che non sono Parte nella Convenzione. In altri termini, la Svizzera deve adempiere sin d'ora gli obblighi giuridici internazionali contenuti nella Convenzione contro il genocidio. Ha dunque il dovere, in particolare, di estradare gli autori di un genocidio o di istituire le basi per reprimerlo, anche se non è sempre possibile secondo il Codice penale svizzero in vigore.

In seguito ai fatti di recente attualità e alla conseguente istituzione dei Tribunali internazionali per la ex Jugoslavia e il Ruanda, questa situazione sarà presto sentita come una grave lacuna nella nostra legislazione, che occorrerà colmare al più presto.

Adempiere tale obbligo internazionale è impellente per la Svizzera, tanto più che il genocidio costituisce inconfutabilmente uno dei crimini più gravi e quindi sarebbe umiliante per il nostro Paese non poterlo perseguire e reprimere.

Come già menzionato (cfr. n. 13), la definizione del crimine di genocidio, come è contenuta nella Convenzione contro il genocidio, figura anche negli Statuti dei Tribunali penali internazionali per la ex Jugoslavia e per il Ruanda e nello Statuto della nuova Corte penale internazionale. A tale
proposito, la Convenzione contro il genocidio costituisce uno degli elementi del diritto penale internazionale in fase di sviluppo, al quale la Svizzera è tenuta a partecipare.

Nel nostro Rapporto del 29 novembre 1993 sulla politica estera della Svizzera negli anni Novanta, abbiamo definito l'impegno a favore dei diritti dell'uomo, della democrazia e dei principi dello Stato di diritto come uno dei principali obiettivi della nostra politica estera. Riconosciamo espressamente il ruolo significativo del diritto internazionale quale condizione per il riavvicinamento fra gli Stati e le società e quale contributo essenziale alla sicurezza. Constatiamo altresì che in Svizzera sussistono determinate lacune riguardo agli strumenti utili all'attuazione dei diritti dell'uomo e che queste devono essere colmate negli anni Novanta. Aderendo alla Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, la Svizzera farebbe un passo in questa direzione.

La Convenzione è applicabile in tempo di guerra e in tempo di pace, ai vincitori e ai vinti, ai cittadini nazionali e a quelli stranieri. Esso perora la causa della giustizia e della solidarietà internazionali e garantisce il diritto fondamentale alla vita. Si iscrive nello stesso spirito della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite del 1948, del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici ­ entrambi del 4618

196625 ­ e della Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 195026. Aderendo alla Convenzione contro il genocidio, la Svizzera manifesterebbe dunque anche la propria solidarietà e il proprio impegno a favore dei diritti dell'uomo. Tanto più che i tragici avvenimenti recenti hanno ridato attualità alla Convenzione.

Come già indicato in precedenza (cfr. n. 12), lo Statuto della Corte penale internazionale è stato adottato dalla Conferenza dei plenipotenziari delle Nazioni Unite relativa all'istituzione di una Corte penale internazionale, alla quale la Svizzera ha partecipato attivamente. Il nostro Paese ha firmato lo Statuto il 18 luglio 1998. Esso fonda la competenza della Corte per tutta una serie di crimini: genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra. La nozione di «crimine contro l'umanità» risale agli Statuti dei Tribunali militari internazionali di Norimberga e di Tokio. Nel frattempo, il divieto del crimine contro l'umanità è diventato diritto consuetudinario e, pertanto, è più esteso del crimine di guerra poiché, come il genocidio, può essere commesso anche in tempo di pace.

Abbiamo intenzione di proporre al Parlamento, al momento opportuno, la ratifica dello Statuto della nuova Corte penale internazionale, sebbene esso implichi notevoli adeguamenti della legislazione penale svizzera. Tali adeguamenti dovrebbero avvenire in due tappe. L'adesione alla Convenzione contro il genocidio, oggetto del presente messaggio, dovrebbe introdurre innanzitutto la nozione di crimine di genocidio ­ e la relativa repressione ­ nella nostra legislazione nazionale. I crimini contro l'umanità e un'eventuale revisione delle disposizioni già esistenti sui crimini di guerra saranno trattati nel messaggio che intendiamo presentare sullo Statuto della Corte penale internazionale. Abbiamo optato per questa procedura per avere a disposizione il tempo necessario alla trasposizione dello statuto. Infatti, considerata l'importanza che il Parlamento e le cerchie consultate attribuiscono a una rapida adesione della Svizzera alla Convenzione contro il genocidio, non sarebbe stato opportuno attendere la conclusione dei numerosi lavori necessari all'introduzione nel diritto svizzero della nozione di crimine contro l'umanità e l'adeguamento legislativo della nozione di crimine di guerra nell'ambito della
presentazione del messaggio concernente lo Statuto della nuova Corte penale internazionale. Vista l'attualità del dibattito e le aspettative politiche a livello nazionale e internazionale, nonostante la portata del compito, abbiamo intenzione di presentare il più presto possibile il relativo messaggio al Parlamento.

22

I rapporti degli esperti

Nell'ambito dell'elaborazione del presente messaggio, abbiamo consultato anche esperti di diritto penale e di diritto internazionale, i quali hanno risposto in modo unanime alle domande che sono state poste loro27. Tutti si sono dimostrati convinti del fatto che il diritto penale svizzero in vigore non tiene conto a sufficienza del divieto di genocidio nel senso della Convenzione e che, di conseguenza, dovrebbe essere introdotta una nuova norma penale. Tuttavia, mentre un esperto in materia ha proposto numerose modifiche del tenore della norma derivata dalla Convenzione, gli 25 26 27

RS 0.103.1 e RS 0.103.2 RS 0.101 Prof. Lucius Caflisch (Institut des Hautes Etudes Internationales, Ginevra, giureconsulto del DFAE), Prof. Ursula Cassani (Università di Ginevra), Prof. Karl-Ludwig Kunz (Università di Berna) e Prof. Dietrich Schindler (emerito, Università di Zurigo).

4619

esperti di diritto internazionale hanno suggerito di riprenderne esattamente il testo (cfr. n. 52). Tutti gli esperti hanno proposto di introdurre la nuova disposizione nel Codice penale svizzero e hanno suggerito di affidare alle autorità giudiziarie civili il compito di perseguire e reprimere il crimine di genocidio. Tutti erano pure concordi nell'affermare che la competenza di perseguire tali crimini non va affidata alle autorità politiche. Un esperto ha propugnato inoltre la necessità di togliere l'immunità parlamentare in caso di genocidio (cfr. n. 34). Secondo tutti gli esperti consultati, la Svizzera deve perseguire penalmente il genocidio applicando il principio dell'universalità. Se gli esperti di diritto internazionale erano concordi nell'affermare che per il crimine di genocidio deve essere comminata la reclusione perpetua, ovvero la pena massima del Codice penale svizzero o, in alternativa, la reclusione da dieci a vent'anni, i penalisti hanno optato per pene differenziate a seconda della fattispecie (cfr. n. 52). Nessun esperto ha ritenuto necessario che la Svizzera formuli una riserva o proceda a una dichiarazione interpretativa. Gli esperti di diritto internazionale hanno infine ricordato che anche la nozione di «crimine contro l'umanità» non è prevista dal diritto svizzero e hanno suggerito di completare il messaggio in questo senso (cfr. n. 21).

23

Procedura di consultazione

Ad eccezione di due partecipanti alla consultazione che hanno respinto l'adesione della Svizzera alla Convenzione, tutti gli altri si sono pronunciati a suo favore. Tuttavia, numerosi di essi si sono limitati ad accettare il principio dell'adesione senza commentare più dettagliatamente i completamenti e gli adeguamenti proposti della legislazione penale svizzera.

In numerosi interventi la Svizzera è stata criticata per aver atteso troppo a lungo prima di aderire alla Convenzione contro il genocidio e ora si sottolinea che è indispensabile recuperare questo ritardo.

La regolamentazione che si propone di introdurre nel Codice penale svizzero per vietare il crimine di genocidio e l'attribuzione di una competenza esclusiva alla giurisdizione federale civile in materia di perseguimento e di repressione del genocidio hanno suscitato, in generale, reazioni positive. Tuttavia, proprio il Tribunale federale, facendo valere tra l'altro il suo sovraccarico di lavoro, si è pronunciato contro quest'eventuale competenza esclusiva.

La maggioranza dei commenti in merito al contenuto delle proposte di completamento e di adeguamento del diritto penale è stata positiva, sebbene alcuni punti abbiano sollevato critiche. Parecchi partecipanti alla procedura di consultazione ci hanno chiesto di tutelare anche i gruppi sociali e politici nell'ambito del divieto di genocidio. La proposta di rinunciare alla sospensione dell'immunità parlamentare per i casi legati a tale crimine ha riscontrato pochi consensi.

L'applicazione del principio dell'universalità ha provocato reazioni più sfumate.

Infatti, mentre alcuni hanno auspicato che il diritto penale svizzero subordini il crimine di genocidio al principio della territorialità previsto dalla Convenzione, altri hanno caldeggiato un'applicazione coerente del principio dell'universalità, ossia, in particolare, anche per gli atti preparatori commessi all'estero e privi di legami diretti con la Svizzera.

4620

Alcune cerchie consultate hanno lasciato trasparire il proprio disappunto per il fatto che la comminatoria sia la stessa per tutte le varianti di fattispecie di genocidio.

Da ultimo, numerosi partecipanti ci hanno proposto di cogliere l'occasione per includere nel diritto penale svizzero, oltre al crimine di genocidio, anche la fattispecie del «crimine contro l'umanità».

3

Analisi della Convenzione

31

Obbligo di prevenzione e di repressione (art. I)

Nell'articolo I della Convenzione, gli Stati parte confermano che il genocidio è un crimine di diritto internazionale. Parallelamente, essi si impegnano a prevenirlo e reprimerlo, sia in tempo di pace che in tempo di guerra, vale a dire nel corso di un conflitto armato o all'infuori di esso.

Tuttavia, per quanto riguarda l'integrazione nell'ordinamento giuridico dei singoli Stati dell'obbligo di diritto internazionale di reprimere il crimine di genocidio, non è determinante l'articolo I della Convenzione bensì l'articolo V. Dal punto di vista penale, l'articolo I, che conferma che il genocidio è un crimine di natura internazionale, ha un carattere essenzialmente programmatico. Nel 1948, all'epoca dell'elaborazione della Convenzione contro il genocidio, si prevedeva infatti che sarebbe stata complementare alla Convenzione di Londra dell'8 agosto 1945 (cfr. n. 12), che istituì il Tribunale militare internazionale di Norimberga. Nell'articolo 6 lettera c, quest'ultima definiva il genocidio un crimine contro l'umanità.

32

Definizione di genocidio (art. II)

In virtù dell'articolo II della Convenzione, gli Stati sono obbligati a reprimere il genocidio così come è definito nella stessa. Si fa riferimento esclusivamente all'atto commesso intenzionalmente. Una pura negligenza non è dunque punibile. Proprio perché per il crimine di genocidio l'intenzione dell'autore ha un'importanza determinante, esso può essere commesso solo intenzionalmente.

Il bene giuridicamente protetto dal crimine di genocidio è l'esistenza di un gruppo caratterizzato dall'appartenenza dei suoi membri alla stessa cittadinanza, alla stessa etnia, alla stessa razza o alla stessa religione. Occorre tuttavia notare che alla Svizzera incombe già l'obbligo, in virtù del diritto internazionale, di tutelare determinati gruppi, per esempio ai sensi dell'articolo 27 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici28 o dell'articolo 1 paragrafo 4 e dell'articolo 4 della Convenzione contro il razzismo29. L'articolo 261bis del Codice penale svizzero30 (CP) deve essere interpretato nel senso che si estende non solo alla discriminazione di un gruppo, ma anche alla discriminazione di un individuo, se l'autore discrimina l'individuo a causa della sua appartenenza al gruppo. Il divieto di genocidio può concernere anche lesioni concrete commesse illegalmente contro individui o gruppi. Contrariamente a quanto potrebbe far credere l'accezione ordinaria della nozione di «geno28 29 30

RS 0.103.2 Convenzione internazionale sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (RS 0.104).

Codice penale svizzero del 21 dicembre 1937 (RS 311.0).

4621

cidio», il numero di vittime non è determinante per qualificare tale crimine.

L'elemento decisivo è piuttosto l'intenzione dell'autore di distruggere un gruppo in ragione della sua appartenenza nazionale, razziale, religiosa o etnica. Occorre dunque intendere la nozione di «gruppo» in senso lato; essa include infatti un insieme di persone che presentano particolari qualità che le distinguono collettivamente da un altro gruppo31.

Per rispondere quanto ampiamente possibile alle esigenze del principio di legalità, rigorosamente sancito nel CP, questo deve essere interpretato come un diritto penale espressamente legato a un reato (cfr. art. 1 CP). In base a questa concezione del diritto penale, è indispensabile che vi sia un comportamento obiettivo e percettibile dall'esterno affinché siano adempite le condizioni della punibilità. Nell'articolo II della Convenzione contro il genocidio si nota che, eccettuata l'uccisione di cui alla lettera (a), gli atti delle lettere b­e sono più estesi e definiti in maniera più generale.

È dunque certo che l'elemento costitutivo soggettivo dell'«intenzione di distruggere un gruppo» è l'elemento fondamentale che gli Stati devono prendere in considerazione quando introducono il divieto di genocidio nella propria legislazione nazionale. Infatti, il risultato a cui mira l'elemento soggettivo ­ in questo caso la distruzione di un gruppo ­ non è una condizione per la consumazione del reato. Tali elementi soggettivi, se sussistono, contribuiscono a definire le condizioni di punibilità di un atto determinato, come l'omicidio. È il caso, per esempio, dell'assassinio, che l'articolo 112 CP caratterizza come un omicidio commesso con «particolare mancanza di scrupoli». Con una simile descrizione degli elementi soggettivi della fattispecie penale è possibile dedurre, sulla base dell'esperienza, che di regola a un certo comportamento esteriore corrisponde un determinato atteggiamento interno.

Inversamente, gli atti obiettivi enumerati nell'articolo II, dalla lettera c alla lettera e, sono incerti nell'interpretazione e nell'applicazione e rendono dunque più difficile la determinazione dell'elemento soggettivo dell'intenzione di «distruggere un gruppo». Gli atti descritti nell'articolo II, dalla lettera c alla lettera e, sono dunque in conflitto con il principio della legalità.

33

Gli atti punibili (articolo III)

È chiaro, innanzitutto, che bisogna determinare la punibilità delle diverse forme di partecipazione al crimine di genocidio definite nell'articolo III lettere a-e della Convenzione contro il genocidio, ossia come autore, compartecipe al reato, coautore o complice, conformemente alle norme della parte generale del CP. Lo stesso vale per la determinazione della punibilità in funzione del grado di realizzazione del crimine (crimine, tentativo).

È opportuno rendere punibile l'intesa mirante a commettere genocidio, menzionata nella lettera b dell'articolo III, prima che abbia raggiunto lo stadio di tentativo. Secondo la giurisprudenza del Tribunale federale32, il tentativo comincia con l'ultimo e decisivo passo verso l'esecuzione dell'atto quando, in generale, non vi è più possibilità di ritorno.

31 32

Antonio PLANZER, Le crime de génocide, Tesi, Friburgo, 1956, p. 96.

DTF 119 IV 227

4622

Nel diritto svizzero, gli atti preparatori sono puniti se sono legati all'esecuzione di reati gravi enumerati in maniera esaustiva nell'articolo 260bis CP33. Completando questo elenco con il crimine di genocidio, si garantirebbe la repressione dell'atto che consiste nel pianificare e nel prendere «conformemente a un piano, concrete disposizioni tecniche o organizzative». Gli atti preparatori ai sensi dell'articolo III lettera b della Convenzione contro il genocidio sarebbero dunque contemplati. È opportuno indicare anche la fattispecie dell'organizzazione criminale34. Questa disposizione considera infatti anche la nozione di intesa, ossia la partecipazione o il sostegno a un'organizzazione criminale. Secondo la prassi legata alla Convenzione contro il genocidio e tenuto conto del margine d'azione lasciato ai legislatori delle Parti contraenti, non vi è dubbio che combinando l'articolo 260bis (atti preparatori punibili), completato nel senso summenzionato, e l'articolo 260ter (organizzazione criminale) CP si conseguirebbe lo scopo che si prefigge l'articolo III lettera b della Convenzione contro il genocidio.

Il fatto che gli articoli 260bis capoverso 2 e 260ter capoverso 2 CP prevedono rispettivamente un'esenzione della pena e la possibilità per il giudice di attenuare la pena, non è in contrasto con la Convenzione. L'estensione territoriale prevista dal capoverso 3 di entrambi gli articoli, invece, deve essere interpretata in combinazione con l'articolo VI della Convenzione (cfr. n. 36).

L'obbligo di reprimere «l'incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio» ai sensi dell'articolo III lettera c della Convenzione è contemplato nell'articolo 24 CP, che punisce l'istigazione pubblica, ammesso che questa sia di intensità tale da bastare da sola a «determinare» (ossia a far prendere la decisione di agire) uno o più autori a commettere un crimine di genocidio. Se non sfocia nella suddetta decisione ma rimane tuttavia abbastanza efficace, nella forma e nel contenuto, da influenzare la volontà della o delle persone alle quali si rivolge35, tale istigazione potrà essere repressa quale provocazione pubblica al crimine o alla violenza in virtù dell'articolo 259 CP.

Indubbiamente, il contenuto dell'articolo III lettera c della Convenzione è contemplato nella nozione di «istigazione» dell'articolo
24 CP e di «pubblica istigazione a un crimine o alla violenza» dell'articolo 259 CP. L'articolo 24 prevede la stessa pena per chi istiga e chi agisce. L'articolo 259 capoverso 1 CP prevede invece la reclusione sino a tre anni poiché, se paragonata con l'istigazione, l'istigazione pubblica al crimine o alla violenza costituisce solo una forma più attenuata del crimine.

34

Campo di applicazione personale (art. IV)

Uno degli obiettivi della Convenzione contro il genocidio è di punirne tutti gli autori. Le limitazioni dei singoli Stati a tale principio dovrebbero dunque essere considerate invalide, poiché sarebbero manifestamente incompatibili con lo scopo della Convenzione. Né gli altri Stati Parte né i tribunali internazionali sono vincolati dalle limitazioni che uno Stato accorda a una persona sospettata di genocidio e possono di conseguenza intraprendere le procedure giudiziarie necessarie.

33 34 35

RS 311.0 Art. 260ter CP.

DTF 111 IV 154

4623

L'articolo IV della Convenzione parte dal principio che il crimine di genocidio è commesso innanzitutto da persone che esercitano funzioni pubbliche o che assumono, addirittura, funzioni esecutive nel proprio Stato. Dal punto di vista penale, le Parti contraenti si impegnano in questa disposizione a non avvalersi della «teoria dell'atto di sovranità» per gli atti commessi dai membri del loro governo o dai funzionari delle loro amministrazioni e a farli entrare nel campo di applicazione personale della Convenzione. Tradizionalmente, secondo questa teoria, gli atti sovrani commessi dai membri del governo e dai funzionari sono attribuiti ai rispettivi Stati.

Tuttavia, poiché in generale gli atti di sovranità di uno Stato sono esclusi dalla giurisdizione di altri Stati o di altre organizzazioni internazionali, le persone che agiscono indirettamente non possono essere ritenute responsabili dal punto di vista penale, se agiscono in conformità alla legislazione dei rispettivi Stati. Per «i governanti e i funzionari pubblici», l'articolo IV intende evitare tale esclusione della responsabilità penale.

35

Legislazione interna (art. V)

L'articolo V della Convenzione contro il genocidio prevede espressamente che l'obbligo di repressione che ne risulta debba essere applicato dalle Parti contraenti conformemente alle rispettive costituzioni. La portata di questa riserva costituzionale non va tuttavia sopravvalutata. In particolare, essa deve essere interpretata alla luce della norma diventata ormai consuetudinaria dell'articolo 27 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati36, che subordina il contenuto del diritto interno di uno Stato alle disposizioni dei trattati internazionali37. In tal modo, uno Stato non rispetterebbe i propri obblighi se il suo diritto interno volesse legittimare un'infrazione al diritto internazionale imperativo o ad altri diritti dell'uomo tutelati nella maniera più assoluta. Per la Svizzera, questa riserva costituzionale ha due conseguenze pratiche. Applicando la concezione monista del rapporto fra diritto internazionale e diritto nazionale dominante nel nostro ordinamento giuridico, la Svizzera riprende disposizioni repressive che derivano dal diritto internazionale pattizio in base alla teoria dell'esecuzione. Ciò presuppone che, a causa della necessità di legittimazione democratica delle norme penali ma anche a causa del principio della legalità che deriva dall'articolo 4 della Costituzione federale38, queste disposizioni debbano essere innanzitutto trasposte in un atto normativo interno anche se quest'ultimo non istituisce affatto nulla di nuovo rispetto alla norma di diritto internazionale. Dunque, un atto considerato punibile nel diritto internazionale (consuetudinario o convenzionale) può continuare a essere considerato di diritto internazionale secondo l'ordinamento svizzero. In caso di difficoltà di interpretazione, l'autorità incaricata di applicare il diritto deve interpretare la disposizione penale pertinente conformemente al diritto internazionale, rispettando il valore autonomo del testo convenzionale.

D'altro canto, nel diritto svizzero, in virtù del principio della legalità, un cittadino, quale destinatario delle norme, deve poter avere un'idea, anche approssimativa, del rischio di repressione nel quale incorre se commette un reato.

36 37 38

Convenzione di Vienna del 23 maggio 1969 sul diritto dei trattati (RS 0.111).

Cfr. messaggio del 20 novembre 1996 concernente la revisione della Costituzione federale (FF 1997 I 1).

RS 101

4624

Come già menzionato in precedenza (cfr. n. 32), affinché un atto possa essere definito genocidio, è determinante l'intenzione di distruggere, completamente o parzialmente, un determinato gruppo di persone. Quest'intenzione qualifica il genocidio come uno dei crimini più gravi. Se è dunque stato commesso un genocidio ai sensi dell'articolo II della Convenzione, le pene della reclusione sino a dieci anni o della reclusione perpetua, ossia le sanzioni più severe previste dal diritto penale svizzero, sono giustificate, analogamente alle pene comminate per il reato di assassinio39 (cfr. n. 52).

36

Campo di applicazione territoriale (art. VI)

L'articolo VI della Convenzione si fonda sul principio della territorialità per definire il campo di applicazione territoriale della disposizione penale sul crimine di genocidio. Gli Stati parte hanno la possibilità di riconoscere, a titolo alternativo, la competenza di una Corte penale internazionale. Per quanto riguarda l'obbligo di repressione del crimine di genocidio, che gli Stati devono assumere aderendo alla Convenzione, una regolamentazione limitata al principio della territorialità è giustificata solo se la competenza che ne deriva ai singoli Stati parte è completata dalla giurisdizione di una Corte penale internazionale. Altrimenti, non sarebbe possibile punire un genocidio perpetrato sul territorio di uno Stato che non ha aderito alla Convenzione contro il genocidio o che ha denunciato la sua appartenenza alla Convenzione.

Se un genocidio fosse commesso dai membri o dai seguaci di un determinato regime, gli autori e i complici non sarebbero in alcun caso perseguibili penalmente prima di un cambiamento di tale regime. Lo Statuto accettato a Roma il 17 luglio 1998 dalla Conferenza dei plenipotenziari delle Nazioni Unite sull'istituzione di una Corte penale internazionale (cfr. n. 12) prevede l'istituzione di tale Corte penale internazionale permanente40.

Attualmente, questa disposizione sembra troppo restrittiva. Può essere compresa solo se si tiene presente che al momento della sua elaborazione, nel 1948, il principio di non ingerenza era per così dire una conditio sine qua non per l'adozione della Convenzione. Anche l'ottimismo riferito all'istituzione di una giurisdizione penale internazionale era tuttavia esagerato, poiché è occorso mezzo secolo prima che ne fosse adottato lo Statuto. Oggi, in virtù della qualità imperativa (ius cogens) del divieto di genocidio e del suo effetto erga omnes (cfr. n. 13), appare chiaro che la repressione del genocidio debba fondarsi, nel diritto internazionale, sul principio dell'universalità, in virtù del quale gli Stati possono ­ e persino devono ­ perseguire e punire i cittadini stranieri o i propri cittadini per qualsiasi atto di genocidio commesso sul proprio territorio o all'estero, senza che ciò costituisca un'ingerenza contraria al diritto internazionale negli affari interni di un altro Stato.

37

Estradizione (art. VII)

Il genocidio non può essere considerato un crimine politico e dunque nulla si oppone all'estradizione dei presunti autori. Nel diritto svizzero, questo principio è fissato

39 40

Art. 112 CP.

Art. 114 dello Statuto.

4625

chiaramente nell'articolo 3 capoverso 2 lettera a della legge federale sull'assistenza internazionale in materia penale41.

38

Composizione delle controversie (art. VIII e IX)

L'articolo VIII della Convenzione prevede che gli organi competenti delle Nazioni Unite possano, su domanda di una delle Parti contraenti e conformemente allo Statuto delle Nazioni Unite, adottare le misure che ritengono appropriate per prevenire e reprimere il crimine di genocidio. Con tale disposizione si voleva dare peso all'attuazione della Convenzione, che i lavori preparatori avevano in una certa misura trascurato. Tuttavia, a un esame più approfondito, si constata che questo articolo non introduce nuove competenze né nuovi meccanismi, poiché prevede solo misure già esistenti nel quadro dello Statuto delle Nazioni Unite, e dunque ha solo una portata essenzialmente declaratoria. Bisogna tuttavia riconoscergli un certo significato psicologico e politico, sentito al momento dell'adozione della Convenzione.

Per la prima volta, infatti, era previsto l'intervento dell'organizzazione mondiale che rappresenta la comunità internazionale a favore dei diritti dell'uomo42.

L'articolo IX sembra affidare una competenza obbligatoria ed esclusiva alla Corte internazionale di Giustizia per le controversie tra Stati contraenti relative all'interpretazione, all'applicazione o all'esecuzione della Convenzione contro il genocidio.

Tuttavia, diversi Stati hanno depositato riserve in merito a tale articolo, la cui legalità è in effetti controversa, senza tuttavia mettere in dubbio il valore della disposizione.

Dato che la Svizzera ha già riconosciuto l'obbligatorietà della giurisdizione della Corte ai sensi dell'articolo 36 capoverso 2 del suo Statuto43, l'articolo IX della Convenzione contro il genocidio non comporta nessun nuovo obbligo nei suoi confronti.

39

Disposizioni finali (art. X-XIX)

Le disposizioni finali della Convenzione disciplinano i testi facenti fede (art. X), la ratifica e l'adesione (art. XI), l'estensione del campo di applicazione ai territori dei quali le Parti contraenti dirigano i rapporti con l'estero (art. XII), l'entrata in vigore, la validità e la denuncia (articoli XIII - XV), la revisione (art. XVI) e le funzioni che incombono al Segretario generale delle Nazioni Unite quale depositario della Convenzione (art. XVII-XIX).

41 42 43

Legge federale del 20 marzo 1981 sull'assistenza internazionale in materia penale (RS 351.1).

Antonio PLANZER, op. cit., p. 152 e segg.

Cfr. Decreto federale del 12 marzo 1948 concernente l'adesione della Svizzera allo Statuto della Corte internazionale di Giustizia e il riconoscimento della giurisdizione obbligatoria di questa Corte conformemente all'articolo 36 dello Statuto (RS 193.5).

4626

4

Natura e portata dei nuovi obblighi per la Svizzera

41

Natura degli obblighi di diritto internazionale

Il contenuto degli obblighi di diritto intenzionale che derivano per la Svizzera dalla Convenzione contro il genocidio è già stato esposto (cfr. n. 3). Si tratta ora di esaminare se le disposizioni sono direttamente applicabili nel diritto svizzero (selfexecuting) o se devono essere concretate dal legislatore.

In Svizzera, si segue tradizionalmente la teoria monista per determinare i rapporti tra il diritto internazionale e il diritto nazionale: i trattati internazionali diventano dunque parte integrante dell'ordinamento giuridico svizzero a partire dal momento in cui entrano in vigore per il nostro Paese. È quindi possibile far valere disposizioni internazionali dinanzi alle istanze svizzere a partire da questo momento, purché siano direttamente applicabili. Sono considerate direttamente applicabili le disposizioni che, in generale e considerato l'oggetto e lo scopo del trattato, sono sufficientemente precise per poter essere applicate a una fattispecie concreta e servire da base a una decisione44.

La Convenzione contro il genocidio presenta due particolarità. Innanzitutto, in ragione del suo valore consuetudinario (cfr. n. 13), essa impone alla Svizzera obblighi di diritto internazionale ancor prima di entrare in vigore nel nostro Paese. In secondo luogo, si tratta di una Convenzione di diritto penale internazionale e bisogna attribuire particolare importanza alla determinatezza delle sue disposizioni (cfr. n. 35).

Gli articoli II e III della Convenzione sono diretti in primo luogo al legislatore. Il loro tenore è sufficientemente preciso per poter determinare in un caso concreto se il reato corrisponde al crimine di genocidio ai sensi della Convenzione, tuttavia essi non comminano una pena concreta (l'art. V prescrive unicamente una sanzione efficace). Per tale motivo, il diritto svizzero ne esclude l'applicazione diretta in un procedimento penale. Gli articoli IV, VI e VII, invece, contengono obblighi direttamente applicabili. L'articolo IV subordina anche i governanti e i funzionari pubblici al divieto di genocidio, l'articolo VI prevede la traduzione dinanzi a un tribunale penale internazionale e l'articolo VII contiene disposizioni relative all'assistenza giudiziaria internazionale.

42

Il trattamento del genocidio nel diritto svizzero in vigore

La legislazione svizzera tiene già conto in diversi modi degli obblighi previsti dalla Convenzione contro il genocidio. Infatti, gli articoli 75bis CP e 56bis del Codice penale militare45 (CPM) determinano entrambi il principio dell'imprescrittibilità del crimine di genocidio. Inoltre, l'articolo 3 della legge sull'assistenza giudiziaria esclude l'eccezione del carattere politico per il crimine di genocidio. Si osserverà dunque che tali disposizioni vanno oltre la definizione del crimine di genocidio espressa nell'articolo II della Convenzione, in quanto esse comprendono anche lo sterminio fondato sull'appartenenza sociale o politica degli individui (cfr. n. 52).

D'altronde, da quando nel 1993 la Svizzera ha aderito alla Convenzione contro il

44 45

DTF 112 Ib 184 Codice penale militare del 13 giugno 1927 (RS 321.0).

4627

razzismo46, la negazione del genocidio è, anch'essa, punibile47. Inoltre, gli atti oggettivi di un genocidio, descritti singolarmente nella Convenzione, come l'omicidio, le lesioni personali, il sequestro di persona, sono almeno parzialmente coperti da fattispecie penali del diritto penale in vigore. Manca però l'elemento intenzionale, ovvero il disegno di distruggere, del tutto o in parte, un gruppo determinato in ragione della sua appartenenza nazionale, etnica, razziale o religiosa. Ad eccezione dell'assassinio, queste disposizioni penali non prevedono la pena della reclusione perpetua quale sanzione massima. Questa è la grave lacuna del diritto svizzero in vigore, che non consente di punire nella maniera appropriata uno dei crimini più efferati.

43

Prevenzione e repressione del crimine di genocidio nel diritto svizzero

Come menzionato in precedenza (cfr. n. 3), l'adesione della Svizzera alla Convenzione contro il genocidio impone innanzitutto al nostro Paese l'obbligo di includere nel nostro diritto penale una disposizione che reprima il crimine di genocidio e che gli dia una definizione corrispondente almeno a quella dell'articolo II della Convenzione. Essa richiede inoltre l'adozione di disposizioni che puniscano la complicità e gli atti preparatori, conformemente all'articolo III della Convenzione.

5

La revisione del diritto penale

51

Diritto penale civile o militare

Il legislatore svizzero ha incaricato la giustizia militare di perseguire i crimini di guerra sanciti dalla Convenzione dell'Aia del 190748, dalle Convenzioni di Ginevra del 194949 e dai loro Protocolli aggiuntivi del 197750 e le infrazioni alla Convenzione sulla protezione dei beni culturali51 (art. 2 n. 9 CPM). Questo trasferimento era necessario poiché il Codice penale militare conteneva già disposizioni relative alla violazione del diritto internazionale in caso di guerra. La revisione del CPM, entrata in vigore il 1° marzo 1968, si basava sul contenuto delle Convenzioni di Ginevra e della Convenzione sulla protezione dei beni culturali. I Protocolli aggiuntivi del 1977 sono entrati in vigore per la Svizzera nel 1982. Poiché essi costituiscono parte integrante delle Convenzioni di Ginevra, sono contemplati dall'articolo 108 CPM, che attribuisce ai tribunali militari la competenza di reprimere le violazioni del diritto internazionale umanitario. Il capoverso 1 di questo articolo, e il titolo del suo sesto capitolo, mostrano inoltre chiaramente che l'articolo 108 si riferisce esclusivamente ai trattati di diritto internazionale umanitario e non ai trattati di diritto internazionale generale. La Convenzione contro il genocidio differisce tuttavia dalle Convenzioni di Ginevra poiché è applicabile anche in assenza di conflitto armato 46 47 48 49 50 51

Convenzione internazionale sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (RS 0.104).

Art. 261bis CP e art. 171c CPM nella versione del 18 giugno 1993.

RS 0.515.10 RS 0.518.12, 0.518.23, 0.518.42, 0.518.51 RS 0.518.521, 0.518.522 Convenzione dell'Aia del 14 maggio 1954 per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato (RS 0.520.3).

4628

(cfr. n. 13). Essa non rientra dunque nel campo di applicazione dell'articolo 108 capoverso 2 del CPM né nella competenza delle autorità incaricate di perseguire i reati penali militari.

In realtà, un crimine di genocidio è generalmente commesso nel corso di un conflitto armato e, spesso, lo stesso atto costituisce nel contempo una violazione grave della Convenzione contro il genocidio e delle Convezioni di Ginevra e dei loro Protocolli aggiuntivi nonché della Convenzione sulla protezione dei beni culturali. Ai fini della chiarezza e data l'importanza della materia, è imperativo evitare qualsiasi dubbio in merito alla competenza di perseguire e reprimere il crimine di genocidio, fissandola chiaramente sin dall'inizio.

Poiché la Convenzione contro il genocidio è applicabile indipendentemente da qualsiasi conflitto armato, sembrerebbe piuttosto illogico voler iscrivere nel CPM le disposizioni relative alla sua violazione e affidare alla giustizia militare il perseguimento dell'autore di un tale atto. Abbiamo dunque proposto di far figurare le pertinenti disposizioni nel Codice penale civile e di incaricare la giustizia civile del perseguimento e della repressione delle infrazioni. La giustizia militare manterrà comunque le competenze attuali.

52

Inclusione del crimine di genocidio nel Codice penale

521

Sistematica

Il CP deve essere completato con un nuovo titolo «Crimini contro gli interessi della comunità internazionale». Esso sarà inserito tra i titoli dodicesimo e tredicesimo delle Disposizioni speciali come «titolo 12bis» e accoglierà un nuovo articolo 264 dedicato al genocidio. Tale sistematica è giustificata dal fatto che la punibilità del genocidio ha essenzialmente lo scopo di preservare l'esistenza di un gruppo, dunque di un bene giuridico che va oltre l'individuo o lo Stato e concerne gli interessi collettivi della comunità degli Stati. Questo nuovo titolo 12bis potrà essere ulteriormente completato con una disposizione «Crimini contro l'umanità», se la ratifica dello Statuto della Corte penale internazionale lo renderà necessario (cfr. n. 21).

Il significato dell'elemento soggettivo del crimine di genocidio e il suo rapporto con il principio di legalità è già stato trattato (cfr. n. 32). Spesso è difficile nella pratica provare l'intenzione di distruggere un determinato gruppo in quanto tale, nel suo insieme o in parte. Ciò ridurrà52 i casi di applicazione della nuova norma penale.

Tuttavia, sebbene sia difficile stabilire questa intenzione, dovrebbe essere generalmente possibile pronunciare una condanna, in via sussidiaria, per i reati (p. es. per «omicidio» o per «lesioni corporali»).

522

Definizione del gruppo

Come già esposto in precedenza (cfr. n. 42), le disposizioni del diritto svizzero sull'imprescrittibilità del crimine di genocidio (art. 75bis CP e art. 56bis CPM) e sull'assistenza penale internazionale in caso di genocidio (art. 3 AIMP) includono nella definizione di genocidio i gruppi sociali e i gruppi politici. Hanno dunque una 52

Antonio CASSESE, op. cit. p. 184.

4629

portata più ampia rispetto all'articolo II della Convenzione contro il genocidio. Del resto, quest'ultima presenta una lacuna a tale proposito, poiché non annovera tra i gruppi protetti anche quelli politici e sociali53. Abbiamo tuttavia deciso di rinunciare a estendere, nel nuovo articolo 264 del Codice penale, la definizione di gruppo protetto sancita dalla Convenzione. Il messaggio concernente lo Statuto della Corte penale internazionale, che è in fase di elaborazione (cfr. n. 21), tratterà questo aspetto più dettagliatamente, poiché questi gruppi meritano particolare protezione proprio in caso di crimini contro l'umanità.

In caso contrario, le autorità incaricate del procedimento penale e i tribunali sarebbero confrontati con molteplici incertezze, vista la difficoltà pratica di definire in maniera generale un gruppo sociale o politico. Esiste inoltre una differenza qualitativa fra i due gruppi succitati e i gruppi di cui tratta la Convenzione, poiché l'appartenenza a questi ultimi dipende dalla nascita e non da una scelta autonoma operata dalla persona. Avevamo già seguito lo stesso ragionamento al momento dell'adesione della Svizzera alla Convenzione contro il razzismo, poiché anche in questo caso avevamo rinunciato a estendere la definizione dell'articolo 261bis del Codice penale (discriminazione razziale) ai gruppi politici o sociali54.

Proponiamo di non seguire l'approccio adottato per la Convenzione contro il razzismo e di non rinunciare al criterio di nazionalità nella definizione del gruppo protetto. Da un lato, le difficoltà addotte all'epoca in merito alle disposizioni sull'acquisizione della nazionalità svizzera55 sono irrilevanti ai fini della Convenzione contro il genocidio, dall'altro, ci domandiamo se sia abbastanza chiaro che la nozione di «etnia» includa anche l'elemento della nazionalità56. Il testo francese, che è una delle versioni della Convenzione che fanno fede, utilizza la nozione di «nationalité», mentre il testo tedesco impiega quella di «Staatsangehörigkeit». A tale proposito, ci si chiede se nella versione tedesca non sia opportuno ricorrere alla nozione di «Nationalität» nell'enumerazione delle caratteristiche illecite di discriminazione.

Nella versione tedesca del messaggio e del disegno rinunciamo ad adeguare il testo tedesco al francese per i seguenti motivi:
se si rinuncia a utilizzare il concetto di «Staatsangehörigkeit», risulta difficile delimitare l'uno dall'altro in maniera sensata i concetti di «Ethnie» e di «Nationalität». Nelle legislazioni penali attualmente in vigore, per esempio nell'articolo 75bis capoverso 1 numero 1 CP e nell'articolo 3 capoverso 2 lettera a AIMP, il testo francese impiega sempre «nationalité» e quello tedesco «Staatsangehörigkeit», riferendosi in entrambi i casi al concetto di «etnia».

Siamo consci di dar prova di una certa incoerenza proponendo di includere nell'articolo 264 CP anche l'elemento della nazionalità nella definizione del gruppo protetto. Lo facciamo per una maggiore chiarezza ed è inequivocabile che l'introduzione di tale elemento nel nuovo articolo 264 CP non deve essere intesa come un

53

54

55 56

Hans-Heinrich JESCHECK, «Genocide», in: R. Bernhardt (ed.), Encyclopedia of Public International Law, vol. II (1995), p. 543; Cherif Bassiouni, «Remarks on Genocide: The Convention, Domestic Laws, and State Responsibility», in: American Society of International Law, Proceedings of the 83rd Annual Meeting (Chicago, 1989), p. 314 segg.

Cfr. il messaggio del 2 marzo 1992 concernente l'adesione della Svizzera alla Convenzione internazionale del 1965 sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale e la conseguente revisione del Codice penale (FF 1992 III 217).

Cfr. il messaggio succitato (FF 1992 III 217).

Opinioni divergenti si trovano, per esempio, in Karl-Ludwig KUNZ, «Neuer Straftatbestand gegen Rassendiskriminierung - Bemerkungen zur bundesrätlichen Botschaft», RPS 1992, p. 154, 160 e in Marcel A. NIGGLI, Rassendiskriminierung, Ein Kommentar zu Art. 261bis StGB und Art. 171c MStG, Zurigo, 1996, N 342.

4630

silenzio qualificato nell'articolo 261bis CP. Adottando l'articolo 261bis, il legislatore ha ritenuto che la nozione di «etnia» includesse anche l'elemento della nazionalità.

Tra i diversi atti elencati nelle lettere a-e dell'articolo II della Convenzione contro il genocidio, quelli enunciati nelle lettere a-c implicano necessariamente una lesione dell'integrità fisica o psichica dei singoli membri di un gruppo. Ciò non è sempre vero per gli atti menzionati nelle lettere d ed e (p. es., le misure volte a impedire le nascite all'interno di un gruppo e il trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo all'altro). Si pone l'accento sulla soppressione delle basi indispensabili al proseguimento della vita del gruppo, senza tuttavia minacciare necessariamente l'integrità fisica, la vita o la salute dei suoi singoli membri. Può dunque apparire eccessivo comminare la pena massima per tali atti. Consideriamo comunque che quest'ultima si giustifichi in considerazione dell'intenzione particolarmente riprovevole che sta alla base di detti atti. D'altronde, la pena in cui incorre l'autore può essere meno severa se questi è condannato per aver commesso reati sussidiari (p. es. «lesioni corporali»), nel caso in cui non possa essere provata l'intenzione qualificata necessaria che qualifica il crimine di genocidio. Infine, le diverse forme di partecipazione e gli atti preparatori sono puniti con pene generalmente meno severe, conformemente alle disposizioni generali del CP.

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Pene applicabili

Ci siamo domandati se non fosse opportuno prevedere obbligatoriamente una pena di reclusione perpetua solo per il crimine di genocidio commesso in caso di omicidio o di lesioni ai membri di un gruppo. Questa proposta si è tuttavia rivelata insoddisfacente per i motivi che esporremo qui di seguito. L'elemento colposo specifico dell'atto di genocidio risiede infatti nella concezione dell'autore, secondo la quale un gruppo determinato non ha diritto di esistere e deve, di conseguenza, essere distrutto. Anche per l'assassinio, diversamente dall'omicidio intenzionale, è determinante l'intenzione, il motivo, per cui per tale reato è prevista la pena della reclusione perpetua. Dal profilo del diritto internazionale, il proposito di distruggere un gruppo nazionale, razziale, religioso o etnico costituisce l'elemento colposo specifico del crimine di genocidio e giustifica la pena massima della reclusione perpetua. Del resto, non viene comminata una pena rigida e assoluta, dato che il nuovo articolo 264 CP prevede una pena detentiva non inferiore a dieci anni. Il giudice potrà dunque optare tra una pena che comporta la reclusione da dieci a vent'anni e la reclusione perpetua. Se non si può provare l'intenzione di distruggere un intero gruppo, l'autore deve essere giudicato per aver commesso un reato già conosciuto dal diritto in vigore (p. es. «omicidio» o «lesioni corporali»).

Inoltre, il disegno di revisione del Codice penale va nella stessa direzione dell'articolo 77 dello Statuto della Corte penale internazionale, che prevede una pena ordinaria di trent'anni di reclusione ma anche la reclusione perpetua, se la gravità estrema del reato e la colpa del condannato lo esigono.

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Campo di applicazione territoriale

La Convenzione contro il genocidio non impone agli Stati parte di applicare il principio dell'universalità nella repressione del crimine di genocidio. Due motivi spin4631

gono tuttavia il diritto penale svizzero a farlo. La dottrina dominante attuale57 nel diritto internazionale stabilisce che non si può rimproverare a uno Stato, che prevede di applicare il principio dell'universalità per un crimine di genocidio vietato dalla sua legislazione interna, di condurre un'azione penale autonoma e contraria alle norme di diritto internazionale. In altre parole, gli Stati non sono obbligati, ma hanno sicuramente il diritto di perseguire e reprimere il crimine di genocidio in virtù del principio dell'universalità.

È tuttavia più importante rilevare che, se si dovesse rinunciare ad applicare il principio dell'universalità per la repressione del crimine di genocidio, ossia nel caso di un'applicazione invariata delle norme attualmente in vigore sul campo di applicazione territoriale del diritto penale svizzero, potrebbero verificarsi lacune nel perseguimento penale. Dal profilo giuridico-politico, tuttavia, non sarebbe più assicurata l'auspicata repressione generalizzata del crimine di genocidio. Una tale lacuna risulterebbe segnatamente se, in caso di genocidio perpetrato all'estero, il principio della personalità (attivo o passivo) non potesse essere applicato ai sensi degli articoli 5 e 6 e se, al tempo stesso, lo Stato in cui il genocidio è stato commesso rinunciasse consapevolmente a intraprendere procedure penali e non fosse di conseguenza data la competenza in via sostitutiva giusta l'articolo 85 della legge federale sull'assistenza internazionale in materia penale58.

Secondo il capoverso 2 del nuovo articolo 264 CP, il campo di applicazione territoriale è dunque determinato dal principio dell'universalità (cfr. n. 13), con due riserve: che l'accusato si trovi in Svizzera e che non possa essere estradato per motivi giuridici o di fatto. La Svizzera esclude dunque di dover aprire o condurre una procedura in assenza dell'autore. Nel caso in cui non si tratti di un cittadino svizzero, sarà data priorità all'estradizione dell'accusato, e quindi alla condanna di quest'ultimo, nel Paese in cui ha commesso l'atto (secondo il principio della territorialità) o nel Paese d'origine (secondo il principio della personalità).

L'applicabilità del principio dell'universalità va inoltre estesa alla «pubblica istigazione a un crimine o alla violenza» giusta l'articolo 259 CP, agli «atti preparatori punibili» giusta l'articolo 260bis e all'«organizzazione criminale» giusta l'articolo 260ter.

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Campo di applicazione personale

Secondo la disposizione dell'articolo 264 capoverso 3, previste nel disegno, le norme sull'immunità relativa concernenti il reato di genocidio non sono applicabili. Per quanto riguarda l'immunità relativa, gli articoli 14 e 15 della legge sulla responsabilità (LResp) e gli articoli 1 e 4 della legge sulle garanzie (LGar) prevedono che può essere promosso un procedimento penale contro parlamentari, magistrati e funzionari federali solo con un permesso o un'autorizzazione. D'altra parte, per il crimine di genocidio l'immunità assoluta è illimitata in virtù dell'articolo 2 capoverso 2 LResp.

In base all'immunità assoluta, i membri dell'Assemblea federale e del Consiglio federale non possono essere chiamati a rispondere penalmente dei pareri da loro espressi nell'Assemblea federale e nelle commissioni. Questo tipo di immunità è 57 58

Kai AMBOS, in Straflosigkeit von Menschenrechtsverletznugen, Freiburg i.B. 1997, p.

194 e segg. e 203.

RS 351.1

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incontestabilmente un presupposto di natura politico-istituzionale volto a garantire la funzionalità del Parlamento ed è stata perciò sancita anche nel decreto federale del 18 dicembre 1998 concernente una nuova Costituzione federale.

Materialmente, la punibilità del crimine di genocidio è illimitata. Siamo consapevoli che in una società democratica come la nostra non sarebbe un problema ottenere il permesso di perseguire penalmente un membro delle autorità se, fatto del tutto eccezionale, fosse colpevole di tale reato. Tuttavia, considerata la chiara esigenza di repressione espressa dalla Convenzione contro il genocidio perpetrato da governanti e funzionari pubblici, riteniamo che non sia giustificato far dipendere un procedimento penale da un permesso che, non essendo emanato da un'autorità giudiziaria, potrebbe essere influenzato da considerazioni politiche. Per tale motivo, proponiamo di abbandonare le disposizioni legali relative all'autorizzazione a procedere per il crimine di genocidio.

L'articolo IV della Convenzione mostra chiaramente che lo statuto particolare della persona in questione secondo il diritto interno non deve ostacolarne la punizione in caso di violazioni delle norme convenzionali. Dunque, l'immunità parlamentare prevista dal diritto svizzero dovrebbe essere revocata se dovesse causare difficoltà nel perseguimento penale dei responsabili (cfr. a tale proposito l'art. 366 CP in relazione con l'art. 2 cpv. 2 PA). Lo stesso vale per l'incitamento diretto e pubblico a commettere un crimine di genocidio.

Del resto, l'ordinamento giuridico svizzero non prevede norme esimenti per i membri del Governo o le autorità che hanno agito rispettando le loro funzioni ufficiali effettive o supposte. Lo stesso vale per «l'ordine di agire», che non costituisce una circostanza attenuante nel diritto penale civile. D'altronde, neppure l'articolo 27 dello Statuto della Corte penale internazionale considera le immunità e le indennità un motivo atto a impedire una condanna.

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Atti preparatori, complotto e rinuncia

Secondo l'articolo III lettera b della Convenzione, gli Stati sono obbligati a punire anche «il complotto in vista di commettere genocidio». Per soddisfare questa esigenza, il diritto penale svizzero non può semplicemente far riferimento alle forme di partecipazione previste negli articoli 24 e 25 (istigazione e complicità) o 260ter CP (organizzazione criminale). In particolare, gli atti di organizzazione pianificata possono essere presi in considerazione in maniera soddisfacente solo grazie all'articolo 260bis CP (atti preparatori punibili). Proponiamo dunque di completare l'elenco degli atti punibili dell'articolo 260bis capoverso 1 CP con la nuova disposizione penale dell'articolo 264 (genocidio), applicando il principio relativo all'obbligo fondamentale degli Stati non solo di reprimere ma anche di prevenire il genocidio (art. I della Convenzione). A tale proposito, devono essere punibili anche gli atti preparatori commessi all'estero, indipendentemente dal fatto che l'esecuzione dei reati sia stata pianificata in Svizzera o all'estero (art. 260bis cpv. 3).

Il disegno di revisione del CP non punisce espressamente il complotto in vista di commettere genocidio quale reato indipendente. Nel nuovo articolo 264 del Codice penale si è partiti a ragione dal presupposto che il perseguimento e la repressione del complotto in vista di commettere genocidio sulla base delle disposizioni relative agli «atti preparatori punibili» e all'«organizzazione criminale» giungano allo stesso risultato che se si trattasse di un reato indipendente.

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L'esenzione dalla pena, in virtù dell'articolo 260bis capoverso 2, per l'autore che desiste dal consumare un atto preparatorio si spiega, dal profilo della politica criminale, per il fatto che il legislatore intende dare un'ultima possibilità all'autore che, rinunciando al suo progetto, desiste dal mettere in atto il crimine pianificato. Questo approccio è compatibile con il diritto internazionale, come risulta dall'articolo 25 capoverso 3 lettera f dello Statuto della Corte penale internazionale, secondo il quale anche chi rinuncia a un tentativo è esente da pena, soluzione che va oltre il riconoscimento della rinuncia a commettere un atto preparatorio.

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Regolamentazione della competenza materiale di istruire e reprimere il crimine di genocidio

Nell'avamprogetto posto in consultazione era ancora prevista la competenza esclusiva delle autorità federali di istruire e reprimere il crimine di genocidio. Nell'ottica di allora, per il genocidio si era partiti dal presupposto che si trattava, in generale, di un reato commesso all'estero e, per questo motivo, l'istruzione e la repressione in Svizzera esigevano l'applicazione di un diritto procedurale uniforme. Nella procedura di consultazione, il Tribunale federale ha tuttavia rifiutato la sua competenza esclusiva in materia di repressione del genocidio, adducendo come motivo principale il suo sovraccarico di lavoro. Secondo il Tribunale federale, vi sono tipi di genocidio per la cui istruzione e repressione si può senz'altro prevedere la competenza della giurisdizione cantonale.

Fondamentalmente, il crimine di genocidio deve soggiacere alla giurisdizione federale, tuttavia bisogna escludere la competenza esclusiva del Tribunale federale. Poiché un genocidio implica quasi sempre connessioni politiche e assunzioni complicate di prove, l'istruzione preparatoria deve essere svolta in ogni caso dalle autorità federali, modificando le norme che disciplinano la delega delle cause penali. Dopo la conclusione dell'istruzione preparatoria, il Consiglio federale ha tuttavia la possibilità di trasmettere la causa penale alla giurisdizione di un Cantone affinché sia giudicata. In tal caso, l'accusa sarà sostenuta dal Procuratore generale della Confederazione dinanzi al tribunale cantonale.

Proponiamo peraltro di modificare gli articoli 344 CP e 221 CPM in modo da precisare che solo la giurisdizione civile federale è competente anche nel caso in cui una persona sia accusata di genocidio e di reati che rientrano nel settore di competenza delle autorità militari o civili cantonali preposte al perseguimento penale. È dunque nell'interesse dell'unità della procedura poter deferire al Tribunale federale anche i reati penali per i quali, in linea di massima, non è competente.

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Conseguenze finanziarie e sull'effettivo del personale

L'adesione della Svizzera alla Convenzione contro il genocidio non avrà ripercussioni finanziarie o sull'effettivo del personale per la Confederazione o i Cantoni.

Va però detto che il perseguimento penale di un reato di genocidio comporterà di regola, data l'eccezionalità del reato e delle circostanze in cui è compiuto, indagini molto complesse, i cui costi e oneri di personale andranno a carico del Ministero pubblico della Confederazione e dell'Ufficio federale di polizia.

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Legislatura

L'adesione della Svizzera alla Convenzione contro il genocidio è prevista nel Rapporto sul programma di legislatura 1995-199959.

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Costituzionalità

Il decreto federale concernente l'adesione della Svizzera alla Convenzione contro il genocidio poggia sull'articolo 8 della Costituzione federale, che accorda alla Confederazione il diritto di stipulare trattati con Stati esteri. La competenza dell'Assemblea federale si fonda sull'articolo 85 numero 5 della Costituzione federale.

Giusta l'articolo 89 capoverso 3 della Costituzione federale, i trattati internazionali sono sottoposti al referendum facoltativo se sono conclusi per una durata indeterminata e sono indenunciabili (lett. a), se prevedono l'adesione a un'organizzazione internazionale (lett. b) o se implicano un'unificazione multilaterale del diritto (lett.

c). La Convenzione contro il genocidio è denunciabile (art. XIV) e l'adesione prevista non implica l'adesione a un'organizzazione internazionale.

Rimane unicamente da determinare se l'adesione alla Convenzione contro il genocidio comporti un'unificazione multilaterale del diritto. In base alla nostra prassi corrente, sono sottoposti al referendum facoltativo solo i trattati che contengono un diritto uniforme, che è direttamente applicabile nell'insieme e disciplina dettagliatamente un settore giuridico ben definito, ossia sufficientemente importante da giustificare l'elaborazione, sul piano nazionale, di una legge specifica (FF 1988 I 727, FF 1990 III 779, FF 1992 III 270). Il Parlamento ha precisato la nostra prassi e ha deciso che, in casi particolari ­ a causa dell'importanza o della natura delle disposizioni o perché sono stati istituiti organi internazionali di controllo ­ può esservi un'unificazione multilaterale del diritto, anche quando le relative norme internazionali sono poco numerose (FF 1990 III 779, inclusi i riferimenti).

Le principali disposizioni della Convenzione contro il genocidio non sono direttamente applicabili, ma sono dirette ai legislatori dei singoli Stati (cfr. n. 41). Alcuni articoli possono essere applicabili direttamente, tuttavia concernono solo aspetti formali e non impongono alla Svizzera alcun nuovo obbligo.

La presente Convenzione non soggiace dunque al referendum facoltativo giusta l'articolo 89 capoverso 3 della Costituzione federale.

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FF 1996 II 281

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