00.056 Messaggio concernente l'iniziativa popolare federale «per una durata ridotta del lavoro» del 28 giugno 2000

Onorevoli presidenti e consiglieri, Vi sottoponiamo il messaggio concernente l'iniziativa popolare federale «per una durata ridotta del lavoro» invitandovi a sottoporla senza controprogetto al voto di popolo e Cantoni con la raccomandazione di respingerla.

Il disegno del relativo decreto federale si trova in allegato.

Gradite, onorevoli presidenti e consiglieri, l'espressione della nostra alta considerazione.

28 giugno 2000

In nome del Consiglio federale svizzero: Il presidente della Confederazione, Adolf Ogi La cancelliera della Confederazione, Annemarie Huber-Hotz

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2000-0708

Compendio Il 5 novembre 1999 l'iniziativa popolare federale «per una durata ridotta del lavoro» è stata depositata presso la Cancelleria federale sotto forma di progetto elaborato, forte di 108 296 firme valide. L'iniziativa propone di introdurre gradualmente per tutti i lavoratori una durata massima del lavoro annuo di 1872 ore, ossia una settimana lavorativa media di 36 ore. A partire dal momento in cui l'iniziativa verrebbe accettata, il tempo di lavoro sarebbe ridotto di 52 ore ogni anno, fino a raggiungere la durata prefissata. Anche i lavoratori a tempo parziale beneficerebbero di tale riduzione che inoltre, almeno per i salari che non superano una volta e mezza il salario medio svizzero (attualmente all'incirca 7600 fr.), non dovrebbe comportare una perdita di guadagno. Parallelamente sono previste misure di accompagnamento quali una limitazione delle ore straordinarie consentite (100 ore all'anno), una durata massima assoluta della settimana lavorativa (48 ore), un divieto generale di discriminare i lavoratori a tempo parziale nonché un sostegno finanziario della Confederazione alle aziende che ridurranno rapidamente la durata del lavoro .

Il disciplinamento in vigore come pure gli attuali tempi di lavoro effettivi sono considerevolmente superiori alla settimana lavorativa media di 36 ore preconizzata dall'iniziativa. La legge sul lavoro, infatti, che si applica alla grande maggioranza dei lavoratori, prevede una settimana lavorativa massima rispettivamente di 45 o 50 ore. Oggi in Svizzera si lavora in media circa 42 ore a settimana.

Ricalcando la posizione assunta in merito a precedenti iniziative popolari in tal senso (tutte respinte dal popolo), il Consiglio federale ritiene che la riduzione del tempo di lavoro sia essenzialmente una questione da risolversi tra le parti sociali.

Una riduzione della durata del lavoro sancita costituzionalmente comporterebbe un rigido disciplinamento del tempo di lavoro per tutti e non sarebbe in grado di tener conto delle diverse esigenze dei vari settori e delle varie aziende. La massiccia riduzione del tempo di lavoro sommata alla garanzia per i salari medio-bassi, così come rivendicate dall'iniziativa, avrebbero ripercussioni negative sull'economia svizzera: in particolare aumenterebbero i costi salariali e il livello dei prezzi; i problemi più
grandi sorgerebbero soprattutto nell'ambito di piccole aziende e di settori con tempi di lavoro elevati, come l'agricoltura. L'iniziativa è stata lanciata nella primavera del 1998; da allora il numero dei disoccupati e dei postulanti è significativamente diminuito e l'obiettivo principale dei promotori ­ combattere la disoccupazione ­ ha perso significato. È del resto fortemente improbabile che l'iniziativa possa ridurre in modo essenziale la disoccupazione o addirittura eliminarla. Una riduzione generale della durata del lavoro potrebbe certo portare in alcuni settori ad una diminuzione dei disoccupati; in altri settori, tuttavia, creerebbe posti vacanti difficili da occupare, così che la mancanza di personale altamente qualificato si acuirebbe. D'altra parte le aziende potrebbero essere indotte a compensare la riduzione della durata del lavoro con ore supplementari o razionalizza-

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zioni. È inoltre fortemente probabile che l'iniziativa avrebbe conseguenze indirette negative come l'aumento del lavoro nero. La Confederazione, i Cantoni e i Comuni, infine, dovrebbero affrontare un aumento delle spese legate al personale e finanziarie.

Per tutte queste ragioni, il Consiglio federale chiede alle Camere di proporre al popolo e ai Cantoni di respingere senza controprogetto l'iniziativa popolare federale «per una durata ridotta del tempo di lavoro».

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Messaggio 1

Forma

1.1

Testo

Il 5 novembre 1999 l'Unione Sindacale Svizzera (USS) ha depositato l'iniziativa popolare federale «per una durata ridotta del lavoro» sotto forma di progetto elaborato, dal seguente tenore: I La Costituzione federale è completata come segue: Art. 34a (nuovo) 1 La durata massima del lavoro annuo salariato è di 1872 ore; da questa durata sono dedotte le vacanze e i giorni festivi previsti dalla legge.

2 Annualmente sono ammesse al massimo 100 ore di lavoro straordinario, con obbligo di retribuzione supplementare. Il lavoro straordinario è compensato di regola mediante tempo libero. Può essere compensato anche l'anno successivo.

3 La durata massima della settimana lavorativa, lavoro straordinario incluso, è di 48 ore. Non può essere superata. In ogni rapporto di lavoro va stabilita una durata normale del lavoro.

4 Le persone che lavorano a tempo parziale non vanno discriminate. Ciò vale in particolare per la loro assunzione, l'attribuzione dei compiti, le condizioni di lavoro, la formazione e il perfezionamento, le promozioni, il licenziamento e le assicurazioni sociali, inclusa la previdenza professionale.

II Le disposizioni transitorie della Costituzione federale sono completate come segue: Art. 24 (nuovo) Nel primo anno successivo all'accettazione dell'iniziativa, la durata massima del lavoro annuo è ridotta a 2184 ore, dedotte le vacanze e i giorni festivi previsti dalla legge. In seguito, tale durata è ulteriormente ridotta di 52 ore annue, fino a raggiungere 1872 ore. La durata delle occupazioni a tempo parziale è ridotta pro rata o il salario orario aumentato proporzionalmente.

2 Le riduzioni della durata del lavoro risultanti dalle presenti disposizioni non comportano riduzioni di stipendio per i lavoratori il cui salario lordo non supera di una volta e mezzo la media dei salari versati in Svizzera.

3 La Confederazione accorda un sostegno finanziario temporaneo alle imprese che riducono del 10 per cento o più la durata annua del lavoro e si impegnano contrattualmente con la Confederazione e con le competenti organizzazioni dei lavoratori a creare nuovi posti di lavoro o a mantenere quelli esistenti.

1

1.2

Riuscita formale

Con decisione del 9 dicembre 1999 la Cancelleria federale ha sancito la riuscita formale dell'iniziativa «per una durata ridotta del lavoro». L'iniziativa è corredata da 108 296 firme valide (FF 1999 8671).

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1.3

Termine

Ai sensi dell'articolo 29 capoverso 1 della legge sui rapporti fra i Consigli (LRC; RS 171.11) il Consiglio federale deve presentare il suo messaggio e la sua proposta all'Assemblea federale al più tardi un anno dopo che l'iniziativa è stata depositata. Il termine scadrà dunque il 4 novembre 2000.

Ai sensi dell'articolo 27 capoverso 1 LRC, nel caso di iniziative che prevedono una revisione parziale della Costituzione federale (Cost.; RS 101) e che sono presentate nella forma di progetto elaborato, l'Assemblea federale deve decidere se approva o meno l'iniziativa al più tardi 30 mesi dopo il suo inoltro. L'Assemblea federale può prorogare il termine di un anno, se almeno un Consiglio ha preso una decisione su un controprogetto o su un atto legislativo strettamente connesso con l'iniziativa (art. 27 cpv. 5 bis LRC).

1.4

Conseguenze della nuova Costituzione federale del 18 aprile 1999

Dopo l'adozione della nuova Costituzione federale del 18 aprile 1999 (nuova Cost.)

l'iniziativa popolare «per una durata ridotta del lavoro» non potrà conservare la sua numerazione attuale (art. 34a), ma dovrà figurare all'articolo 110a. La disposizione transitoria che la completa porterà provvisoriamente il numero d'articolo 197 (nuovo), capoverso 1 numero 1, con il titolo «Disposizioni transitorie dell'art. 110a». Nel seguito del presente messaggio utilizzeremo la nuova numerazione. Il testo dell'iniziativa popolare non necessita peraltro di alcuna revisione linguistica (possibile, se necessario, ai sensi del capitolo III della nuova Costituzione).

1.5

Validità

1.5.1

Unità della forma

Ai sensi dell'articolo 121 capoverso 4 della Costituzione precedente (precedente Cost.; corrispondente all'art. 194 cpv. 3 nuova Cost.), un'iniziativa che mira ad una revisione parziale della Costituzione federale può avere la forma o di proposta generale o di progetto elaborato: la commistione delle due forme non è ammessa (art. 75 cpv. 3 della legge federale del 17 dicembre 1976 sui diritti politici; RS 161.1). La presente iniziativa riveste esclusivamente la forma di progetto elaborato e rispetta dunque tale principio.

1.5.2

Unità della materia

Oggetto di un'iniziativa può essere una sola materia. Il principio dell'unità della materia è rispettato quando tra le singole parti di un'iniziativa sussiste un rapporto intrinseco (art. 121 cpv. 3 precedente Cost.; art. 194 cpv. 2 nuova Cost.; art. 75 cpv. 2 della legge federale sui diritti politici).

Oltre alla riduzione progressiva della durata annuale del lavoro a 1872 ore, l'iniziativa prevede diverse misure di accompagnamento: porre un limite massimo di ore di lavoro straordinario, stabilire una durata massima della settimana lavorativa, vietare 3566

in generale la discriminazione del lavoro a tempo parziale, ridurre parallelamente la durata di lavoro delle persone impiegate a tempo parziale o adeguarne la retribuzione, mantenere i salari compresi entro una certa quota, nonché istituire un sostegno finanziario della Confederazione a determinate aziende.

Tra tutte queste misure e la riduzione della durata del lavoro propugnata dai promotori dell'iniziativa esiste un rapporto intrinseco. Tutt'al più ci si potrebbe chiedere se il previsto divieto generale della discriminazione del lavoro a tempo parziale rispetti il principio dell'unità della materia. Una diminuzione della durata del lavoro avrebbe però senza dubbio ripercussioni anche sugli impieghi a tempo parziale, visto che l'iniziativa stessa prevede che anche i lavoratori a tempo parziale beneficino della riduzione proposta. L'esigenza dell'unità della materia è pertanto soddisfatta.

1.5.3

Applicazione dell'iniziativa

La riduzione della durata del lavoro propugnata dall'iniziativa è applicabile sia giuridicamente sia praticamente.

2

Situazione iniziale

2.1

Iniziative popolari precedenti

L'iniziativa popolare «per una durata ridotta del lavoro» persegue obiettivi analoghi a quelli di altre iniziative che l'hanno preceduta e che sono tutte state respinte dal popolo.

Il 23 agosto 1984 l'Unione Sindacale Svizzera depositò l'iniziativa popolare «per la riduzione della durata del lavoro», che proponeva una diminuzione progressiva della durata massima della settimana lavorativa a 40 ore, senza riduzione di salario. Scopo dell'iniziativa era assicurare ai lavoratori una giusta partecipazione all'aumento di produttività ottenuto grazie al progresso tecnico e assicurare le premesse per una piena occupazione. Nella votazione popolare del 4 dicembre 1988 il popolo la bocciò con 1 475 536 voti contro 769 264 , mentre due soli Cantoni si pronunciarono a favore.

Il 20 novembre 1973 il POCH (Progressive Organisationen der Schweiz) depositò un'iniziativa che chiedeva una riduzione generale del tempo di lavoro a 40 ore la settimana. Il popolo e i Cantoni la respinsero il 5 dicembre 1976 con 1 315 822 voti contro 370 228; nessun Cantone si pronunciò a favore.

Un'iniziativa promossa nel 1960 dall'Unione Sindacale Svizzera e della Federazione delle società svizzere degli impiegati fu ritirata dagli stessi iniziativisti.

Nel 1958 fu respinta un'iniziativa dell'Anello degli indipendenti che mirava ad un massimo di 44 ore di lavoro settimanali.

2.2

Disciplinamento legale del tempo di lavoro

Il tempo di lavoro della maggior parte dei lavoratori sottostà a disciplinamenti ben precisi. Il più completo è rappresentato dalla legge federale del 13 marzo 1964 sul lavoro nell'industria, nell'artigianato e nel commercio (legge sul lavoro, LL, 3567

RS 822.11). Benché questa legge valga di principio per tutte le aziende pubbliche e private, il suo campo di applicazione prevede alcune eccezioni. Non tocca ad esempio le aziende che sottostanno alla legislazione federale concernente il lavoro in aziende pubbliche di trasporto o in aziende agricole, e neppure le amministrazioni della Confederazione, dei Cantoni e dei Comuni, nonché particolari categorie di lavoratori, come chi occupa posti di responsabilità, medici assistenti e chi insegna in scuole private.

La durata massima della settimana lavorativa è fissata dalla legge sul lavoro a 45 ore per i lavoratori delle aziende industriali, per il personale d'ufficio, gli impiegati tecnici e altri, come pure per il personale di vendita di grandi aziende del commercio al minuto; mentre per tutti gli altri lavoratori il massimo è fissato a 50 ore (art. 9 cpv. 1 LL). Questo limite settimanale può essere superato a titolo di eccezione e a determinate condizioni mediante il lavoro straordinario, che non può ammontare a più di 2 ore al giorno per ogni singolo lavoratore, tranne nei giorni feriali liberi o in caso di necessità. La modifica della legge sul lavoro entrata in vigore il 20 marzo 1998 ha notevolmente ridotto il massimo di ore straordinarie concesse sull'arco dell'anno civile: ora esse non possono superare 170 (nel caso dei lavoratori con un massimo settimanale di 45 ore) oppure 140 ore (massimo settimanale di 50 ore), mentre prima erano rispettivamente ammesse 260 e 220 ore. Le ore di lavoro straordinario devono di massima essere compensate con un supplemento salariale del 25 per cento almeno o, con il consenso del lavoratore, mediante la concessione, entro un periodo adeguato, di un congedo corrispondente (art. 12 e 13 LL). Bisogna distinguere tra lavoro straordinario ai sensi della legge sul lavoro e lavoro supplementare ai sensi del codice delle obbligazioni (art. 321c CO). Per «lavoro supplementare» si intende il lavoro prestato in più per necessità dell'azienda rispetto a quello solito o accordato.

Benché di massima il lavoro supplementare possa essere compensato con la concessione di un congedo corrispondente oppure con un supplemento di salario di almeno un quarto, altre soluzioni sono possibili, per accordo scritto, mediante un contratto normale di lavoro o un contratto collettivo.
Gli impiegati di aziende di trasporto sottostanno a disposizioni speciali. Al contrario della legge sul lavoro, la legge federale dell'8 ottobre 1971 sul lavoro nelle imprese di trasporti pubblici (legge sulla durata del lavoro, LDL, RS 822.21) non contempla propriamente alcun massimo settimanale. Essa prevede un tempo lavorativo quotidiano di 7 ore al massimo nella media di 28 giorni, che non superi le 9 ore nella media di 7 giorni di lavoro consecutivi (art. 4 LDL). Ciò è dovuto al fatto che la legge in questione si applica in modo specifico alla gestione ininterrotta. In base all'ordinanza del 19 giugno 1995 sul tempo del lavoro e del riposo dei conducenti professionali di veicoli a motore (ordinanza per gli autisti, OLR 1, RS 822.221), la durata massima della settimana lavorativa è fissata a 46 ore e può essere prolungata a 53 ore, nel caso in cui più persone si alternino al volante rispettivamente come conducenti e passeggeri (art. 6 OLR 1). L'ordinanza del 6 maggio 1981 sulla durata del lavoro e del riposo dei conducenti professionali di veicoli leggeri per il trasporto di persone e di automobili pesanti (OLR 2, RS 822.222) prevede un massimo settimanale di 48 ore e di 53 ore per le aziende di tassì (art. 5 OLR 2). Le legislazioni sui trasporti marittimi ed aerei contengono infine specifiche disposizioni sul tempo lavorativo.

Per funzionari ed impiegati della Confederazione la settimana lavorativa media conta 41 ore. Il tempo lavorativo settimanale ammonta di regola a 42 ore e il lavoro supplementare prestato viene compensato con 5 giorni liberi supplementari per anno 3568

civile. Il lavoro straordinario non può di massima superare le due ore giornaliere ed è di regola compensato con un congedo corrispondente (art. 8 e 8b del regolamento dei funzionari (1), RS 172.221.101; art. 12 e 12b del regolamento degli impiegati, RS 172.221.104). Il progetto per una nuova legge sul personale della Confederazione riserva il disciplinamento del tempo di lavoro alle disposizioni di applicazione. Il tempo di lavoro degli impiegati assunti da Cantoni e Comuni sulla base del diritto pubblico è disciplinato dalle corrispondenti legislazioni cantonali e comunali.

Nel caso di singoli settori e di singole categorie di lavoratori esclusi dall'ambito di applicazione della legge sul lavoro non esistono disposizioni vincolanti di diritto pubblico quanto al tempo di lavoro. Ciò vale particolarmente per l'agricoltura, per medici assistenti con un contratto di diritto privato o per lavoratori con posti di particolare responsabilità. I contratti normali di lavoro cantonali per lavoratori dell'ambito agricolo prevedono tempi di lavoro settimanali (a volte definiti massimi e a volte normali) tra le 49 e le 60 ore e/o massimi giornalieri di lavoro tra 9 e 11 ore.

Va comunque notato che è lecito derogare alle disposizioni di un contratto normale di lavoro (art. 360 CO).

2.3

Evoluzione del tempo di lavoro in Svizzera

Se si intende seguire l'evoluzione del tempo di lavoro in Svizzera su di un periodo più ampio, bisogna tener presente che i metodi di rilevamento statistico e i settori presi in esame sono mutati nel tempo.

Fino al 1973, nell'industria e nell'edilizia la durata del lavoro settimanale è stata rilevata per sondaggi: i dati raccolti sono quindi valori medi relativi al normale tempo di lavoro nelle aziende. Dal 1973 le statistiche concernenti la «durata normale del tempo di lavoro nelle aziende» si basa sulle dichiarazioni di lavoratori vittime di infortuni; con «durata normale del tempo di lavoro nelle aziende» si intende di massima il tempo di lavoro individuale di lavoratori a tempo pieno, che non prestano ore supplementari e che non si assentano temporaneamente dal loro posto di lavoro. Dal 1985 la durata normale del tempo di lavoro è stata rilevata solo nell'industria e nell'edilizia, in seguito anche nel settore dei servizi, in quello ortofrutticolo e in quello forestale; l'agricoltura invece è rimasta di nuovo esclusa dalla statistica.

Questi rilevamenti mostrano come il tempo di lavoro settimanale nei settori considerati è passato da 47,9 ore nel 1946 a 42,3 ore nel 1990, con una riduzione di 5,6 ore sull'arco di 45 anni. Dal 1991 al 1998 il tempo di lavoro è rimasto notevolmente costante e non è diminuito che di 0,2 ore la settimana. Per i dettagli rinviamo alla tabella 1, che illustra anche l'evoluzione nei singoli settori. Si noti che non si è tenuto conto delle riduzioni indirette del tempo di lavoro, come ad esempio quelle conseguenti alla modifica dei giorni di vacanza.

3569

Tabella 1 Tempo di lavoro medio (usuale nelle aziende) (ore alla settimana) Anno

Totale1

1946 1960 1970 1975 1980 1985 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998

47,9 46,0 44,7 44,3 43,8 43,4 42,2 42,1 42,0 41,9 41,9 41,9 41,9 41,9 41,9

1 2

Settore ortofrutticolo

Industria delle macchine2

Industria chimica

Edilizia

45,4 44,4 44,1 43,8 43,8 43,7 43,7 43,6 43,7 43,5

48,2 45,9 45,0 44,6 44,1 42,9 41,0 41,0 40,9 40,9 40,9 40,9 40,9 41,0 40,9

46,5 44,0 43,1 43,2 42,9 42,3 40,9 40,9 40,9 40,9 40,9 40,8 40,8 40,8 40,8

49,9 49,1 47,4 45,9 45,6 44,5 43,5 43,1 42,8 42,5 42,5 42,5 42,4 42,4 42,3

Settore alberghiero

Amm.

pubblica, difesa, assicurazioni sociali

45,0 43,4 43,1 42,7 42,3 42,3 42,3 42,4 42,8 42,9

43,3 41,8 41,8 41,7 41,7 41,7 41,7 41,7 41,7 41,7

fino al 1980: industria ed edilizia; dal 1985: industria, edilizia, servizi, settore ortofrutt icolo e selvicoltura fino al 1989: industria metallurgica e delle macchine; dal 1990: industria delle macchine

Fonti: Messaggio del 26 novembre 1975 sull'iniziativa popolare «per l'introduzione della settimana lavorativa di 40 ore», FF 1975 II 2207 (per gli anni 1946-1970; messaggio del 27 maggio 1987 concernente l'iniziativa popolare «per la riduzione della durata del lavoro», FF 1987 II 861 (per gli anni 1975 e 1980); Statistica dell'orario di lavoro usuale nelle aziende, UFS (per gli anni 1985-1998).

L'Ufficio federale di statistica (UFS), oltre alla Statistica dell'orario di lavoro usuale nelle aziende, allestisce anche una statistica sul volume di lavoro, basandosi sui dati forniti dalla Rilevazione sulle forze di lavoro in Svizzera (RIFOS). Per «volume di lavoro» si intendono le ore di lavoro di tutte le persone che hanno svolto per almeno un'ora in un anno un lavoro produttivo; il volume di lavoro risulta dal totale delle ore di lavoro prestate normalmente da tutti gli occupati nel corso di un anno civile, aggiunte le ore supplementari pagate o non pagate, e detratte le assenze.

Dalla statistica risulta che tra il 1991 e il 1998 il volume effettivo di lavoro annuale è diminuito nel complesso del 4,3 per cento (da 5573 a 5334 mio di ore). Questa diminuzione può essere spiegata da un lato con il calo del numero dei lavoratori (3,6%), e dall'altro con l'aumento, tra il 1991 e il 1998, del 4 per cento dei lavoratori a tempo parziale (in rapporto al totale degli occupati; si veda anche la tabella 3).

Il tempo di lavoro annuale effettivo dei lavoratori a tempo pieno è nel complesso cresciuto leggermente tra il 1991 e il 1998 (si veda la tabella 2). Questo aumento può essere spiegato soprattutto con la diminuzione delle ore di assenza. Si notano anche, per i lavoratori di sesso maschile, le conseguenze della riforma dell'esercito svizzero. Nel periodo osservato il numero delle ore supplementari è invece rimasto invariato.

3570

Tabella 2 Tempo di lavoro annuale effettivo in ore per lavoratore a tempo pieno (senza vacanze né giorni festivi) Anno

Totale

Agricoltura e selvicoltura

Edilizia

Settore alberghiero

Amministrazione pubblica

1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998

1888 1901 1906 1921 1896 1895 1906 1924

2408 2492 2402 2439 2269 2234 2175 2194

1898 1863 1894 1869 1874 1901 1905 1887

2023 2049 2045 2043 1964 1938 1991 2094

1896 1914 1947 1944 1893 1891 1861 1898

Fonte: Statistica sul volume del lavoro, UFS.

2.4

Diffusione del lavoro a tempo parziale

La Rilevazione sulle forze di lavoro in Svizzera (RIFOS) fornisce dal 1991 i dati necessari all'allestimento della statistica sul lavoro a tempo parziale (cfr. la tabella seguente). Si noti che questa statistica tiene conto di tutte le persone che esercitano un'attività remunerata (ossia anche dei lavoratori indipendenti e dei famigliari che collaborano ad un'attività) e non solo dei lavoratori; sono esclusi gli stagionali, i beneficiari di un permesso di breve durata, i frontalieri e i richiedenti l'asilo. Viene considerato lavoratore a tempo parziale chi ha un grado di occupazione fino all'89 per cento.

Poco meno del 30 per cento delle persone attive in Svizzera ha un impiego a tempo parziale (stato: 1999). L'occupazione a tempo parziale è molto diffusa soprattutto tra le donne, il 55 per cento delle quali ha un impiego a tempo parziale (gli uomini si fermano al 9 %); le donne rappresentano l'82 per cento di tutti i lavoratori a tempo parziale. Dalla tabella 3 si può dedurre che l'importanza del lavoro a tempo parziale è fortemente cresciuta negli anni Novanta. Mentre nel 1991 solo all'incirca un quarto dei lavoratori era impiegato a tempo parziale, nel 1999 questi raggiungevano già un terzo. L'occupazione a tempo parziale è aumentata sia tra le donne sia tra gli uomini, anche se tra quest'ultimi in maniera leggermente maggiore.

Percentuale dei lavoratori a tempo parziale

Tabella 3

Anno

Donne impiegate a tempo parziale1

Uomini impiegati a tempo parziale2

Totale (uomini e donne impiegati a tempo parziale)3

Percentuale delle donne impiegate a tempo parziale4

1991 1992 1993 1994 1995 1996

49,1 51,8 52,4 53,1 52,9 52,2

7,8 7,7 8,1 8,2 8,1 8,3

25,4 26,6 27,0 27,5 27,3 27,4

82,5 83,6 82,9 82,9 83,0 82,8

3571

Anno

Donne impiegate a tempo parziale1

Uomini impiegati a tempo parziale2

Totale (uomini e donne impiegati a tempo parziale)3

Percentuale delle donne impiegate a tempo parziale4

1997 1998 1999

53,5 53,8 54,6

8,6 8,7 9,4

28,3 28,5 29,4

83,0 82,9 82,0

1 2 3 4

Percentuale delle donne impiegate a tempo parziale sul totale delle donne attive Percentuale degli uomini impiegati a tempo parziale sul totale degli uomini attivi Percentuale degli uomini e delle donne impiegati a tempo parziale sul totale degli attivi Percentuale delle donne impiegate a tempo parziale sul totale degli attivi

Fonte/base di calcolo : RIFOS 1991 - 1999, UFS

Rispetto agli Stati membri dell'Unione Europea il lavoro a tempo parziale è molto diffuso; solo i Paesi Bassi hanno percentuali più elevate delle nostre.

2.5

Diritto internazionale e paragone con altri Paesi

2.5.1

Organizzazione internazionale del lavoro (OIL)

L'organizzazione internazionale del lavoro ha già adottato diverse convenzioni in materia di durata massima del lavoro.

Tre convenzioni prevedono una durata massima del lavoro di 48 ore per settimana e di 8 ore al giorno: convenzione (n. 1) sulla limitazione del numero delle ore di lavoro negli stabilimenti industriali ad otto ore per giorno e a quarantotto per settimana (entrata in vigore nel 1921, ratificata finora da 52 Stati); convenzione (n. 30) sulla durata del lavoro nelle imprese commerciali e negli uffici (entrata in vigore nel 1933, ratificata da 30 Stati); convenzione (n. 153) concernente la durata del lavoro e i periodi di riposo negli autotrasporti (entrata in vigore nel 1983, ratificata da 7 Stati, tra cui la Svizzera).

La convenzione (n. 47) sulla riduzione della durata del lavoro a quaranta ore settimanali (entrata in vigore nel 1957, ratificata da 14 Stati) è di natura puramente programmatica. Gli Stati che intendono ratificarla devono da un lato dichiararsi di principio favorevoli alla settimana lavorativa di 40 ore, la cui introduzione non deve comportare conseguenze negative per i lavoratori, e dall'altro impegnarsi ad assumere di propria iniziativa o a sostenere misure per la realizzazione di questo scopo. Le convenzioni n. 109 e n. 180, che disciplinano tra l'altro anche il tempo di lavoro a bordo di imbarcazioni, non sono ancora entrate in vigore, come pure la convenzione del 7 giugno 1994 (n. 175).

Tra le convenzioni menzionate, la Svizzera ha ratificato soltanto la convenzione (n. 153) concernente la durata del lavoro e i periodi di riposo negli autotrasporti (FF 1980 III 701).

2.5.2

Diritto dell'Unione Europea (UE)

La direttiva 93/104/CE del Consiglio, del 23 novembre 1993, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro (GU n. L 307 del 13.12.1993, p. 18) prevede tra le altre una disposizione concernente la settimana lavorativa, in base alla 3572

quale il tempo di lavoro medio settimanale (oppure per un arco di tempo di 7 giorni) non può superare le 48 ore, comprese le ore di lavoro supplementare. Gli Stati membri dell'UE possono prevedere a questo scopo un periodo di riferimento fino a 4 mesi. Questa direttiva, alla quale si può a certe condizioni parzialmente derogare, viene applicata attualmente a tutti i settori d'attività privati e pubblici, ad eccezione dei trasporti (stradali, aerei, navali e ferroviari) e dei medici in formazione. La direttiva sarà tuttavia estesa a settori fino ad oggi esclusi (tra l'altro ai medici in formazione, per cui è previsto un periodo di transizione di nove anni).

2.5.3

Disciplinamento della durata massima del lavoro negli Stati membri dell'UE

Nella maggior parte degli Stati membri dell'UE la durata massima del lavoro è disciplinata su base legale. In certi Paesi (Lussemburgo, Finlandia, Grecia, Paesi Bassi, Austria, Svezia, Spagna) è ammessa di principio per legge una settimana lavorativa di 40 ore (a volte come media). Altri Stati prevedono (mediamente) una durata massima della settimana lavorativa di 48 ore (Germania, Irlanda, Italia, Gran Bretagna). In Portogallo il tempo massimo di lavoro è di 44 ore, 42 per gli impiegati d'ufficio. In Belgio sono state introdotte nel 1999 le 39 ore settimanali, in precedenza 40. La Francia sta al momento riducendo la settimana lavorativa a 35 ore (dalle 39 attuali). In Danimarca la durata del tempo di lavoro non è sancita in disposizioni di legge, ma disciplinata attraverso contratti collettivi di lavoro. Cerchiamo ora di illustrare più da vicino le regolamentazioni di Francia, Germania e Austria, tenendo conto in particolare anche delle disposizioni sul lavoro supplementare.

Con la cosiddetta legge Robien dell'11 giugno 1996 sono stati introdotti in Francia incentivi economici per il mantenimento o per la creazione di posti di lavoro, tra l'altro anche mediante riduzioni volontarie del tempo di lavoro.

La prima legge sulle 35 ore settimanali (loi du 13 juin 1998 d'orientation et d'incitation relative à la réduction du temps de travail, «loi Aubry») fissa a partire dal 1° gennaio 2000 (per aziende con più di 20 impiegati) e a partire dal 1° gennaio 2002 (per le altre) il tempo di lavoro a 35 ore (in luogo di 39). Questa legge obbliga i datori di lavoro e i sindacati a negoziare le modalità della riduzione del tempo di lavoro, in modo da adattarle quanto meglio ai settori d'attività e alle aziende. Un sostegno viene concesso alle aziende che negoziano una riduzione del tempo di lavoro del 10 per cento almeno (così da raggiungere le 35 ore o quasi), purché la riduzione si ripercuota positivamente sull'occupazione con un aumento del 6 per cento degli effettivi (conservazione o creazione di posti di lavoro). Il tempo di lavoro legale di 35 ore costituisce la soglia per il calcolo delle ore straordinarie, così che il tempo di lavoro effettivo nelle aziende può essere, entro i limiti della durata massima del lavoro settimanale di 48 ore, anche superiore (senza però di regola poter superare le 130 ore
di lavoro straordinario massimo concesse sull'arco di un anno).

La seconda legge (sulla riduzione del tempo di lavoro) prevede un periodo transitorio per le ore straordinarie, fissa il nuovo quadro legale per il tempo di lavoro e determina una scala dei contributi dei datori di lavoro alle assicurazioni sociali per le aziende che hanno concluso un accordo sulle «35 ore». La legge è entrata in vigore il 1° febbraio 2000, dopo essere stata approvata dal Consiglio costituzionale, non senza l'introduzione di alcune modifiche importanti. Il Consiglio ha assicurato in particolare il mantenimento degli accordi stipulati dopo la prima legge ed ha sop3573

presso il sistema di tassazione per le ore straordinarie proposto dal Governo.

Quest'ultima misura comporterà una perdita di entrate per finanziare gli sgravi fiscali, che ora il Governo dovrà compensare attingendo alle casse dello Stato.

Le prime otto ore straordinarie danno diritto ad un bonus del 25 per cento (in forma di riposo o di supplemento salariale), le successive (oltre la 43a ora settimanale) ad un bonus del 50 per cento. Le aziende che concludono accordi sulla riduzione del tempo di lavoro beneficiano di risarcimenti dei contributi sociali a loro carico che, nel caso dei salari bassi, sono piuttosto considerevoli.

Entrambe le leggi valgono in linea di massima per tutte le aziende private e pubbliche; fanno eccezione in particolare ospedali e amministrazioni pubbliche (dove però al momento sono in corso trattative per introdurre le 35 ore settimanali), quadri in posizioni di responsabilità e determinate professioni (ad esempio personale domestico, commessi viaggiatori, maggiordomi e portinai); per il settore del trasporto su strada è previsto un disciplinamento speciale.

Dall'introduzione della prima legge Aubry si è potuto, grazie alle 35 ore settimanali, creare o mantenere 180 000 posti di lavoro1; nel marzo 2000, su 14 milioni di impiegati 3,1 erano oggetto di accordi sulla riduzione del tempo di lavoro1. La riduzione è avvenuta in diversi modi: il più frequente è stata la concessione di una giornata o di una mezza giornata di riposo alla settimana. Numerosi accordi hanno introdotto meccanismi di calcolo del tempo di lavoro su base annuale. In oltre l'80 per cento degli accordi gli impiegati hanno potuto beneficiare di una compensazione salariale integrale. La legge stessa garantisce il mantenimento del salario solo per gli stipendi più bassi (in rapporto con il salario minimo legale, SMIC).

In Germania la durata del lavoro dei dipendenti non deve superare le 8 ore per giornata lavorativa, e può essere prolungata fino a 10 ore se nell'arco di un semestre non vengono mediamente superate le 8 ore per giorno di lavoro. I contratti collettivi di lavoro possono prevedere deroghe (Arbeitsgesetz, 6 giugno 1994, §§ 3 e 7). Il disciplinamento legislativo permette ­ su una media semestrale ­ una settimana lavorativa di 48 ore al massimo.

In Austria la legge prevede come principio che la
normale durata del lavoro non superi le 8 ore al giorno e le 40 alla settimana (Arbeitsgesetz, § 3: disposizione entrata in vigore il 1° luglio 1994). Attraverso le ore straordinarie la normale durata del lavoro può essere aumentata fino a 5 ore per settimana e 60 ore per anno civile. Deroghe sono permesse per i contratti collettivi di lavoro e la legge stessa prevede delle eccezioni (quanto a durata massima del lavoro e ore straordinarie).

2.5.4

Paragone dei tempi di lavoro

La tabella 4 presenta le ore di lavoro settimanali prestate normalmente negli Stati dell'UE e in Svizzera dai lavoratori a tempo pieno. Questi valori medi tengono conto di tutti i settori e, nel caso dei Paesi dell'UE, ma non per la Svizzera, comprendono di regola anche le ore straordinarie e le assenze (escluse le vacanze e i giorni festivi). Se questi dati fossero inclusi anche nella statistica per la Svizzera, il numero di ore per il nostro Paese andrebbe probabilmente corretto leggermente ver-

1

Ministère de l'emploi, «la réduction du temps de travail», bilancio del 22 marzo 2000.

3574

so il basso. I dati possono venire confrontati tra di loro senza ulteriori restrizioni, visto che le statistiche sono per il resto ampiamente armonizzate.

La durata della settimana lavorativa negli Stati dell'UE è in media di 40,5 ore, e in tutti gli Stati, eccezion fatta per la Gran Bretagna, si situa tra le 38,5 e le 41 ore (stato: 1998). La Gran Bretagna è di lunga lo Stato con la durata del lavoro più alta (44 ore), mentre le durate più basse si riscontrano in Italia (38,5), in Belgio (38,6) e in Danimarca (38,7). Nella maggior parte (14) degli Stati dell'UE la durata della settimana lavorativa è più bassa che in Svizzera, dove con 42 ore la settimana la media europea viene superata di un'ora e mezza, anche se rispetto alla Gran Bretagna si lavora in media due ore in meno per settimana.

Ore di lavoro prestate normalmente in una settimana

Belgio Danimarca Germania Grecia Spagna Francia Irlanda Italia Lussemburgo Paesi Bassi Austria Portogallo Finlandia Svezia Gran Bretagna Unione Europea (15 Paesi) Svizzera

1997

1998

38,3 38,6 40,1 40,5 40,6 39,7 40,1 38,5 39,5 39,2 40,0 40,9 39,1 40,1 44,0 40,4 42,0

38,6 38,7 40,1 40,8 40,7 39,7 ...

38,5 39,3 39,0 40,1 41,0 39,2 40,1 44,0 40,5 42,0

Tabella 4

Fonti: Labour Force Surveys/EUROSTAT; Rilevazione sulle forze di lavoro in Svizzera (RIFOS), UFS.

Nell'autunno del 1999 l'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) ha pubblicato un ampio studio dove illustra e paragona in particolare i tempi di lavoro di numerosi Paesi ("Key Indicators of the Labour Market 1999", Geneva, International Labour Office 1999). Dallo studio risulta tra l'altro che i Paesi dell'Estremo Oriente e dell'Asia sudorientale registrano le durate annuali di lavoro più alte e che nel Nord America si lavora di più rispetto all'Europa. Negli Stati Uniti lo scorso anno il tempo di lavoro medio ­ in particolare nel settore dei servizi ­ è addirittura aumentato.

Le cifre presentate dallo studio sono del resto confrontabili solo con grossa cautela, visto che il rilevamento dei dati è diverso da Paese a Paese .

3575

3

Scopi dei promotori dell'iniziativa

L'iniziativa dell'Unione sindacale svizzera persegue tre obiettivi (SGB-Dokumentation Nr. 62, Arbeitszeit umverteilen, febbraio 1999).

Il primo obiettivo è combattere la disoccupazione. Secondo i promotori dell'iniziativa la riduzione della durata del lavoro è una delle soluzioni più efficaci per combattere la disoccupazione, visto che comporterebbe una ridistribuzione del lavoro.

Ogni forma di riduzione del tempo di lavoro dovrebbe in principio ripercuotersi nella misura del 50 per cento circa sull'occupazione. L'impatto dell'iniziativa in termini d'impiego si situerebbe dunque attorno ai 250 000 posti di lavoro, creati oppure salvaguardati.

Il secondo obiettivo è una ridistribuzione più equa tra uomini e donne delle attività remunerate e di quelle non remunerate. La riduzione del tempo di lavoro darebbe ad entrambi maggiore spazio, accanto all'attività remunerativa, per occuparsi della famiglia o di altre attività necessarie ma non retribuite. Le opportunità offerte a donne e uomini per impegnarsi nella vita professionale e in quella familiare dovrebbero essere uguali. Da questo punto di vista, l'iniziativa sarebbe un significativo passo in avanti per il raggiungimento della parità tra i sessi.

Terzo ed ultimo obiettivo sarebbe l'innalzamento della qualità di vita grazie al maggiore tempo libero ottenuto con la riduzione del tempo di lavoro.

I promotori dell'iniziativa credono che gli effetti della riduzione del tempo di lavoro proposta sarebbero assorbiti senza problemi dall'aumento della produttività, così che non solo la prevista garanzia per i salari medio-bassi sarebbe realista, ma anche i salari più elevati non sarebbero erosi.

4

Contenuto e valutazione di fondo dell'iniziativa

Chiariremo ora più da vicino alcuni aspetti dell'iniziativa e, in particolare, la giudicheremo da un punto di vista pratico e giuridico. Nei capitoli 5 e 6 affronteremo le ripercussioni dell'iniziativa sull'economia svizzera, sulla Confederazione, sui Cantoni e sui Comuni.

4.1

Campo di applicazione

La riduzione del tempo di lavoro proposta dall'iniziativa e le relative misure d'accompagnamento si applicano ai lavoratori2. Il testo dell'iniziativa non definisce la nozione di «lavoratore». Essa va tuttavia intesa in senso lato e non va ristretta ai rapporti di lavoro disciplinati dal diritto privato. Niente lascia credere che i promotori abbiano formulato il testo dell'iniziativa in senso ristretto.

2

A differenza del testo tedesco, la versione francese e quella italiana dell'articolo 110a capoversi 1 e 4 Cost. non contengono alcun riferimento esplicito alla nozione di «lavoratore». Malgrado questa formulazione differente, il significato del testo dell'iniziativa nelle tre lingue può essere ritenuto identico, visto che nella disposizioni transitoria (cpv. 2), che si riferisce all'articolo 110a, si parla espressamente in tutte tre le lingue di «lavoratori».

3576

Dato che il testo dell'iniziativa non prevede alcuna eccezione, né autorizza a farne in ambito legislativo, si può dedurre che essa sia applicabile a tutti i rapporti di lavoro (incluso l'insegnamento) in tutti i settori, come pure a tutti i rapporti d'impiego e di servizio disciplinati dal diritto pubblico con la Confederazione, i Cantoni e i Comuni. La riduzione del tempo di lavoro proposta dall'iniziativa si applicherebbe dunque anche a chi attualmente, rispetto alla media, presta un numero di ore lavorative molto elevato, come ad esempio le persone attive nel settore agricolo, i medici assistenti, i quadri che ricoprono cariche di particolare responsabilità. Il campo d'applicazione dell'iniziativa sarebbe così più esteso di quello delle convenzioni dell'Organizzazione internazionale del lavoro (escluso il trattato n. 47, che però ha una natura puramente programmatica) e di quello del disciplinamento europeo e delle legislazioni nazionali di Paesi come la Francia, la Germania o l'Austria (cfr. capitoli 2.5.1, 2.5.2 e 2.5.3).

4.2

Diminuzione graduale della durata del lavoro

In base all'articolo 110a capoverso 1 Cost. la durata massima del lavoro annuo dovrebbe ammontare a 1872 ore, ciò che corrisponderebbe ad una settimana lavorativa di mediamente 36 ore (1872 : 52 = 36). Le vacanze legali e i giorni festivi sono dedotti dalla cifra globale (secondo periodo della disposizione in questione): in altre parole essi sono compresi nella durata del lavoro annuo di 1872 ore. In base al codice delle obbligazioni, le ferie annuali ammontano ad almeno 5 settimane, per i lavoratori fino a vent'anni compiuti, e almeno a 4 settimane per tutti gli altri (art. 329a cpv. 1 CO). Le ferie supplementari eventualmente concordate non devono essere dedotte dalla durata obbligatoria annuale del lavoro, ma al contrario aggiunte, con il risultato di aumentare di conseguenza la durata della settimana lavorativa media.

Il primo capoverso della disposizione transitoria prevede una riduzione graduale del tempo di lavoro annuo: nel primo anno successivo all'accettazione dell'iniziativa, la sua durata massima, inclusi le vacanze e i giorni festivi previsti dalla legge, sarebbe ridotta a 2184 ore, ossia in media a 42 ore la settimana; in seguito si dedurrebbero ancora 52 ore all'anno, ossia in media un'ora alla settimana, fino a raggiungere, sette anni dopo l'eventuale accettazione dell'iniziativa, le 1872 ore prefisse.

L'introduzione di una settimana lavorativa di mediamente 42 ore nel primo anno dopo la votazione popolare non dovrebbe porre particolari problemi ai vari settori dell'economia e ai lavoratori, visto che la durata media del lavoro settimanale ammonta già oggi a 42 ore (cfr. tabella 1). A grossi problemi pratici sarebbero invece confrontati le aziende agricole o quei datori di lavoro che impiegano persone con tempi di lavoro tradizionalmente alti, come ad esempio quadri superiori o medici assistenti.

In seguito, la riduzione graduale della durata del tempo di lavoro accorcerebbe la settimana lavorativa media di 6 ore in 6 anni. Il tempo di lavoro sarebbe così ridotto in sei anni quasi nella stessa misura in cui lo è stato negli ultimi 45 anni (cfr. tabella 1). È palese che una simile evoluzione avrebbe ripercussioni notevoli in tutti i settori.

La riduzione del tempo di lavoro avrebbe conseguenze da non sottovalutare anche nei rapporti tra le parti sociali. Si può infatti prevedere
un restringimento dei margini di manovra nelle trattative sulla conclusione o la modifica di contratti collettivi di lavoro, visto che i datori di lavoro non sarebbero praticamente più disposti a trattare 3577

sulla durata del tempo di lavoro; lo strumento dei contratti collettivi non sarebbe più in grado di ottenere riduzioni in tal senso. Noi riteniamo che un'eventuale riduzione del tempo di lavoro sia essenzialmente compito delle parti sociali. I singoli datori di lavoro e le singole associazioni di lavoratori possono infatti valutare meglio se e in che misura una riduzione del tempo di lavoro sia possibile e realizzabile nel loro settore.

4.3

Ripercussioni sui salari della riduzione della durata del lavoro

L'iniziativa prevede una garanzia per i salari medio-bassi. In base al capoverso 2 della disposizione transitoria le riduzioni del tempo di lavoro non devono portare ad alcuna riduzione di salario per i lavoratori il cui salario lordo non supera una volta e mezza la media dei salari versati in Svizzera.

L'iniziativa non precisa però a quale base o a quale media ci si debba riferire. Il rilevamento sulla struttura dei salari pubblicato dall'Ufficio federale di statistica distingue infatti tra un cosiddetto valore centrale (medio) e la media vera e propria (media aritmetica). Il valore centrale costituisce il discrimine che permette di dividere tra una metà di salari lordi inferiori a questo stesso valore, calcolati in base ad una settimana standard di 40 ore3, e una metà superiore. Il salario medio vero e proprio, invece, si calcola dividendo la somma di tutti i salari per il numero dei lavoratori.

Entrambi i valori differiscono in maniera considerevole: nel 1994 il valore centrale ammontava a 4841 franchi, mentre la media matematica era notevolmente superiore, e raggiungeva 5418 franchi4. Da allora nel rilevamento della struttura dei salari viene pubblicato soltanto il valore medio, che nel 1998 raggiungeva 5096 franchi4. Si può ipotizzare che la media aritmetica sia sempre notevolmente superiore a questo valore. Se si prende l'iniziativa alla lettera («la media dei salari versati in Svizzera»), bisognerebbe fare riferimento alla media matematica. In realtà è chiaro che i promotori intendono tuttavia sempre il valore medio. Nella sua pubblicazione numero 62 (Arbeitszeit umverteilen, febbraio 1999), ad esempio, l'Unione sindacale svizzera afferma che l'iniziativa vieta riduzioni per tutti i salari che non superano i 7200 franchi mensili: ciò corrisponderebbe ad un salario medio di 4800 franchi e dunque all'incirca al valore centrale del 1994. L'Ufficio federale di statistica ritiene che il valore centrale sia il migliore criterio per determinare il livello dei salari: per rapporto alla media aritmetica, infatti, esso è meno influenzato dall'inclusione dei valori estremi (salari molto bassi o molto alti). Per di più, visto che la stampa confonde spesso il valore centrale con il salario medio (cfr. ad esempio il comunicato dell'ATS del 21 dicembre 1999, in cui si afferma che il salario medio in
Svizzera ammonta a 5096 franchi), e visto che il valore del vero e proprio salario medio da alcuni anni non viene più pubblicato, ci sembra giustificato assimilare al valore cen3

4

Nel rilevamento della struttura dei salari i valori raccolti vengono convertiti in salari mensili standard, ossia calcolati in base ad una durata del tempo di lavoro unitaria di 4 1/3 settimane di 40 ore. Come componenti del salario sono ritenuti: il salario lordo mensile (inclusi i contributi del datore di lavoro per le assicurazioni sociali, le prestazioni in natura, i premi, le provvigioni e le partecipazioni alla cifra d'affari regolarmente versate), le indennità per il lavoro a turni, notturno e domenicale, un dodicesimo della tredicesima e dei versamenti annuali straordinari.

Questi dati concernono il totale dei lavoratori dell'economia privata e della Confederazione; la statistica non tiene conto (per ora) dei Cantoni.

3578

trale la «media dei salari versati in Svizzera» di cui parla l'iniziativa. In base al valore centrale attuale, sarebbero garantiti i salari lordi mensili fino a 7644 franchi5. Siccome il valore centrale è riportato su di una settimana standard di 40 ore, anche il salario massimo garantito andrebbe calcolato su questa base. Nel caso di una durata del lavoro più alta o più bassa il limite si alzerebbe e si abbasserebbe conseguentemente. Esso andrebbe inoltre adattato di volta in volta alla statistica più recente.

I lavoratori con un salario superiore dovrebbero con ogni probabilità subire diminuzioni salariali. La riduzione della durata del lavoro si ripercuoterebbe tuttavia anche sui salari garantiti. È infatti dubbio che i datori di lavoro saranno pronti ad accordare aumenti annuali di salario durante il periodo transitorio.

4.4

Lavoro straordinario, durata massima della settimana lavorativa e durata del lavoro normale

L'iniziativa stabilisce che la durata massima del lavoro annuo possa essere superata solo di 100 ore di lavoro straordinario con obbligo di retribuzione supplementare; il lavoro straordinario deve essere compensato di regola mediante tempo libero, che può essere accordato anche l'anno successivo (art. 110a cpv. 2 Cost.). La durata massima della settimana lavorativa, lavoro straordinario incluso, è fissata a 48 ore e non può essere superata (art. 110a cpv. 3 Cost.).

Il supplemento previsto si potrebbe garantire sia mediante un congedo (congedo supplementare), sia mediante il pagamento delle ore straordinarie (supplemento di salario). Il disciplinamento del lavoro straordinario solleva però alcune domande.

L'ammontare del supplemento, ad esempio, e l'arco di tempo determinante per la compensazione in tempo libero non sono determinati. Dato che il calcolo del lavoro straordinario avverrebbe su base annuale, si potrebbe inoltre stabilire solo a posteriori, una volta trascorso l'anno, se e quanto lavoro straordinario è stato prestato. Da questo punto di vista la disposizione secondo cui le ore straordinarie andrebbero incluse nella durata massima della settimana lavorativa di 48 ore non ha senso. Non si potrebbe infatti determinare se e quanto lavoro straordinario viene prestato durante una settimana. Gli iniziativisti pensano probabilmente che le 48 ore rappresentino un limite assoluto, che non può essere in alcun caso superato. Per niente chiaro è inoltre che ne sarà delle 100 ore massime di straordinario concesse nell'anno successivo: il riporto annuale dovrà essere compreso nel contingente di 100 ore del nuovo anno o potrà essergli sommato? Nel secondo caso ci sarebbe la possibilità di accumulare in un paio d'anni una riserva considerevole di ore straordinarie.

I promotori dell'iniziativa motivano la durata massima della settimana lavorativa di 48 ore in particolare con la necessità di adeguarsi al diritto dell'UE. L'iniziativa è però più restrittiva rispetto al corrispondente disciplinamento europeo: questo, infatti, prevede che il tempo di lavoro medio per settimana non superi le 48 ore (cfr.

capitolo 2.5.2), mentre l'iniziativa vuole limitare la durata massima del lavoro a 48 ore per ogni singola settimana. Bisogna comunque tener presente che l'UE prescrive unicamente la norma minima vincolante
e sottolineare che l'iniziativa e il diritto europeo sono compatibili.

Se da un lato i disciplinamenti concernenti il lavoro straordinario e la durata massima della settimana lavorativa concedono un relativo margine alle singole aziende, 5

Questo salario lordo comprende le stesse componenti che sono menzionate alla nota 3.

3579

dall'altro occorre dire che sarebbero nel loro insieme molto meno flessibili delle disposizioni vigenti (cfr. capitolo 2.2), per cui non si potrebbe in pratica tener conto delle esigenze specifiche dei diversi settori.

L'iniziativa pretende inoltre che in ogni rapporto di lavoro sia stabilita una durata normale del lavoro (art. 110a cpv. 3 Cost.). L'Unione sindacale svizzera vuole così escludere quei rapporti di lavoro nei quali non viene detto niente o troppo poco sulla normale durata del lavoro, come è il caso soprattutto dei «lavori su chiamata» (SGBDokumentation Nr. 62, Arbeitszeit umverteilen, febbraio 1999).

4.5

Lavoro a tempo parziale

4.5.1

Come tener conto della riduzione del tempo di lavoro

La riduzione graduale del tempo di lavoro deve ripercuotersi anche sui contratti di lavoro a tempo parziale, dove è possibile scegliere tra una riduzione pro rata del tempo di lavoro e un aumento proporzionato del salario orario (cpv. 1 ultimo periodo della disp. trans.). L'applicazione pratica di questa disposizione ­ senza contare i costi amministrativi ­ comporterebbe alcuni problemi, in particolare nel caso dei rapporti lavorativi a tempo parziale che non sono definiti in base ad un rapporto percentuale con il lavoro a tempo pieno. In questi casi non sarebbe infatti chiaro a partire da quale tempo pieno bisognerebbe calcolare la riduzione per il lavoro a tempo parziale.

4.5.2

Divieto della discriminazione

L'iniziativa vuole inoltre che i lavoratori a tempo parziale non siano discriminati rispetto ai lavoratori a tempo pieno, in particolare per quanto concerne assunzione, attribuzione dei compiti, condizioni di lavoro, formazione e perfezionamento, promozioni, licenziamento e assicurazioni sociali (art. 110a cpv. 4 Cost.).

Riteniamo che il diritto privato attualmente in vigore tuteli sufficientemente i lavoratori a tempo parziale da discriminazioni a favore di lavoratori a tempo pieno. Pur non vietando esplicitamente tali discriminazioni, il codice delle obbligazioni pone il lavoro a tempo parziale sullo stesso piano di quello a tempo pieno (art. 319 cpv. 2 CO). Da questo obbligo di parità di trattamento nei rapporti lavorativi, dedotto dalla tutela della personalità prevista dalla legislazione sul lavoro, risulta inoltre che singoli lavoratori della stessa azienda non possono venire arbitrariamente svantaggiati.

La libertà contrattuale consente tuttavia di concordare, nei limiti di legge (prestazioni minime previste dalla legge o dal contratto collettivo di lavoro, rispetto dei buoni costumi), condizioni di lavoro peggiori, che potrebbero anche riguardare i lavoratori a tempo parziale. La legge federale del 24 marzo 1995 sulla parità dei sessi (RS 151) garantisce una protezione supplementare alle donne occupate a tempo parziale, che costituiscono del resto in Svizzera la maggior parte dei lavoratori di questo tipo (cfr. tabella 3).

Il principio della parità di trattamento tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno solleverebbe problemi a livello di formazione professionale di base: un'occupazione parziale durante l'apprendistato sarebbe difficilmente coordinabile

3580

con l'insegnamento professionale, poiché esso è pensato per apprendisti occupati a tempo pieno.

Per quanto riguarda le assicurazioni sociali, i lavoratori a tempo parziale sono oggi in parte svantaggiati rispetto a quelli a tempo pieno. I lavoratori, infatti, sono soggetti alla legge federale del 25 giugno 1982 sulla previdenza professionale per la vecchiaia, i superstiti e l'invalidità (LPP, RS 831.40) solo se percepiscono un salario annuo superiore ai 24 120 franchi (stato: 1.1.2000), limite non raggiunto da quasi la metà degli occupati a tempo parziale. Questo problema è stato oggetto di diversi interventi parlamentari e politici. Nell'ambito della procedura di consultazione per la prima revisione della LPP abbiamo illustrato diverse possibilità per migliorare la situazione dei lavoratori a tempo parziale. Tenuto conto dei costi legati a queste possibilità e dei risultati della procedura di consultazione, abbiamo tuttavia deciso di non proporre nessun disciplinamento particolare in tal senso. Nel caso dell'assicurazione contro gli infortuni, invece, la situazione dei lavoratori a tempo parziale è migliorata: dal 1° gennaio 2000, infatti, grazie alla revisione dell'ordinanza del 20 dicembre 1982 sull'assicurazione contro gli infortuni (OAINF, RS 832.202), essi sono assicurati anche contro infortuni non professionali se la loro settimana lavorativa presso un singolo datore di lavoro raggiunge almeno le 8 ore (in precedenza 12). I lavoratori a tempo parziale sono ancora leggermente svantaggiati nel caso dell'assicurazione disoccupazione. Infatti chi guadagna meno di 500 franchi al mese deve contribuire all'assicurazione disoccupazione senza poter pretendere, se non ha raggiunto il periodo di contribuzione minimo, alcuna indennità in caso di perdita del posto di lavoro (art. 40 dell'ordinanza sull'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione e l'indennità per insolvenza, OADI, RS 837.02).

La possibilità di migliorare la posizione dei lavoratori a tempo parziale nell'ambito delle assicurazioni sociali va esaminata, a nostro avviso, considerando singolarmente il caso specifico di ogni assicurazione sociale, e tenendo particolarmente conto delle ripercussioni sulle prestazioni e il finanziamento di ciascuna di esse.

4.6

Sostegno finanziario di aziende da parte della Confederazione

L'iniziativa prevede infine un sostegno finanziario limitato nel tempo da parte della Confederazione per le aziende che riducono in meno di un anno il tempo di lavoro di almeno il 10 per cento e che si impegnano contrattualmente con la Confederazione a creare o salvaguardare posti di lavoro (cpv. 3 disp. trans.). La durata e l'ammontare del sostegno finanziario non sono disciplinati. Questa disposizione deve essere inoltre giudicata tenendo conto del progetto pilota della legge sull'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione, che persegue obiettivi analoghi, e considerando le ripercussioni dell'iniziativa sulla Confederazione (cfr. anche i capitoli 5.3.3.1 e 6.1).

4.7

Applicazione ed esecuzione

Benché rappresenti di per sé una regola di condotta direttamente applicabile, l'iniziativa lascia aperte diverse questioni che, nel caso venisse accettata, andrebbero ancora disciplinate presumibilmente a livello di legge (cfr. ad es. il capitolo 4.4 sul lavoro straordinario o il capitolo 4.6 sul sostegno finanziario). Numerose leggi e or3581

dinanze necessiterebbero inoltre di adattamenti materiali. Non da ultimo andrebbe disciplinata anche l'esecuzione. Affinché la massiccia riduzione del tempo di lavoro prevista dall'iniziativa possa venire tradotta in pratica, bisognerebbe con ogni probabilità potenziare gli attuali organi d'esecuzione (soprattutto gli ispettorati cantonali del lavoro) o istituirne di nuovi.

5

Ripercussioni dell'iniziativa sull'economia svizzera

5.1

Valutazione generale delle ripercussioni dell'iniziativa

L'iniziativa intende ridurre l'orario lavorativo settimanale a 36 ore. Secondo i suoi promotori ciò permetterebbe di creare 250 000 posti di lavoro e contribuirebbe a lungo termine a combattere la disoccupazione. Le loro argomentazioni si fondano sull'idea che il lavoro sia un valore fisso, che con il passare del tempo tende a diminuire indipendentemente dai guadagni di produttività e dai suoi stessi costi. Essi osservano che durante i recenti periodi di recessione le aziende hanno smantellato posti di lavoro anche nei casi in cui hanno realizzato guadagni di produttività. Sulla base di queste constatazioni suggeriscono di ripartire meglio il lavoro esistente su un maggior numero di persone, ovvero di ridurre il tempo di lavoro di chi ha un impiego ed assegnare le ore così liberate a chi si trova in disoccupazione. Questo approccio non considera in alcun modo la dinamica dell'economia. Ogni anno le imprese smantellano e nel contempo creano decine di migliaia di posti di lavoro. Tra il quarto trimestre del 1997 e il 1999 il saldo netto tra i posti creati e quelli smantellati è di +73 000 (secondo STATIMP, UFS). È inoltre noto che tra il 1996 e il 1997, in piena recessione, sono state fondate più di 7200 nuove aziende, che occupano circa 15 000 persone. Queste cifre dimostrano in modo chiaro che l'occupazione non è un valore fisso, che diminuisce regolarmente. Dall'inizio del secolo essa è invece costantemente aumentata, malgrado i grandi progressi della produttività. Tale fenomeno può essere spiegato tenendo conto della seguente dinamica: il miglioramento della produttività comporta una diminuzione dei prezzi dei beni e dei servizi; nel contempo i guadagni registrati permettono di aumentare gli stipendi. Queste due componenti stimolano la domanda globale e provocano una crescita dell'occupazione. A medio termine un miglioramento della produttività influisce dunque in modo positivo sull'occupazione. Come ricordato sopra, si constata una tendenza alla crescita del tasso d'attività sull'arco del secolo, parallelamente ad un aumento massiccio della produttività. Per risolvere il problema della disoccupazione, l'iniziativa propone pertanto uno strumento inadeguato. Smantellare la disoccupazione è possibile solo prendendo misure adatte alle persone a rischio, come ad esempio corsi di riqualificazione e
di reinserimento. Inoltre l'economia avrà migliori possibilità di creare nuovi posti di lavoro se sarà possibile mantenere l'attuale flessibilità sul mercato del lavoro.

5.2

Attuale situazione dell'economia

Nel febbraio del 1997 l'economia svizzera è uscita da un lungo periodo di stagnazione, se non di vera e propria recessione. La tabella 5 mostra l'evoluzione del prodotto interno lordo e del tasso di disoccupazione sull'arco degli ultimi vent'anni.

3582

Tabella 5

IL reale

5.0 4.0 3.0 2.0

290'000 270'000 250'000

1.0 2000

1998

1996

1994

1992

1990

1988

1986

1984

1982

1980

0.0

Tasso di disoccupazione

Tasso di disoccupazione6.0

Prodotto interno lordo (ai prezzi del 1990) 390'000 370'000 350'000 330'000 310'000

Fonti: UFS; Segretariato di Stato dell'economia (seco)

Dal 1980 la Svizzera ha traversato due fasi di recessione: la prima tra il 1982 e il 1983 e la seconda tra il 1991 e il 1996. Il periodo 1984-1990 è stato caratterizzato da una fase di crescita, che ha segnato una forte accelerazione tra il 1988 e il 1990.

La fase attuale è caratterizzata da una moderata ripresa delle attività, che potrebbe riaccentuarsi a partire dal 2000.

Tabella 6 Disoccupati 280'000

3.0

240'000

2.0

200'000

1.0

160'000

0.0

120'000

-1.0

80'000

4Q 1999

3Q 1999

2Q 1999

1Q 1999

4Q 1998

3Q 1998

2Q 1998

1Q 1998

4Q 1997

3Q 1997

2Q 1997

1Q 1997

4Q 1996

3Q 1996

2Q 1996

40'000 1Q 1996

-3.0

4Q 1995

-2.0

Disoccupati

Prodotto interno lordo

4.0

3Q 1995

Variazione in %

Indice del tasso di impiego

0

Fonti: Indice del tasso di impiego, modifiche rispetto al trimestre dell'anno precedente: UFS.

Prodotto interno lordo, variazioni rispetto al trimestre dell'anno precedente: seco, UFS. Numero di disoccupati registrati: seco.

Questo sviluppo della congiuntura può essere messo in relazione con lo sviluppo dell'occupazione e della disoccupazione (cfr. tabella 6). Per prima cosa è possibile constatare che, contrariamente ai timori espressi durante il precedente periodo di recessione, l'attuale fase di crescita è caratterizzata da un'evoluzione positiva del tasso di occupazione. Con un ritardo di tre trimestri sulla congiuntura, a partire dal terzo trimestre del 1998 l'occupazione ha iniziato a registrare una crescita. Durante il primo trimestre del 1999 il tasso di occupazione è persino aumentato più veloce-

3583

mente del PIL. Si constata inoltre che dopo la ripresa il tasso di disoccupazione è diminuito nettamente. Nella fase di crescita che l'economia svizzera sta attualmente vivendo emerge pertanto una chiara relazione tra sviluppo economico, aumento dell'occupazione e diminuzione della disoccupazione. Constatiamo infine che il tasso di disoccupazione del nostro Paese è nuovamente tra i più bassi registrati all'interno dell'OCSE (2,7% nel 1999).

Questa tendenza è incoraggiante e mostra che il mercato del lavoro svizzero reagisce alle evoluzioni della congiuntura. Va anche osservato che, in funzione del ciclo congiunturale, la disoccupazione non solo aumenta fortemente, ma cala anche con altrettanta velocità. Per l'economia svizzera è questo un fenomeno nuovo.

Nel corso degli ultimi vent'anni lo sviluppo degli stipendi reali e della media delle ore di lavoro hanno registrato uno sviluppo contrastato (cfr. tabella 7).

Tabella 7

Durata normaleArbeitszeit del lavoro Betriebsübliche

44,0

Indice dei salari reali Reallohnindex 280

41,5

230

Ore di lavoro

Ar 43,5 be its 43,0 st un de 42,5 n 42,0

270 260 250

Re all oh ni nd ex

1998

1996

1994

1992

1990

1988

1986

1984

1982

1980

240

Indice dei salari reali

290

Fonti: Indice dei salari per lavoratore (1939=100): UFS. Ore di lavoro normali: cfr. tabella 1 (osservazione: il «crollo» prima del 1984 è dovuto ad una modifica del rilevamento statistico)

Innanzitutto si constata una tendenza alla diminuzione della durata normale del lavoro (ovvero della durata stabilita dal contratto di lavoro) durante il periodo compreso tra il 1975 e il 1992. Questa tendenza si è interrotta dopo il 1993. I salari reali sono aumentati dopo l'inizio degli anni Ottanta e in seguito, tra il 1992 e il 1998, sono entrati in un periodo di stagnazione. Questo sviluppo del tempo di lavoro e dei salari reali è direttamente legato alle evoluzioni della congiuntura. In base alle preferenze dei datori di lavoro e dei lavoratori, e in base ai rapporti di forza e ai settori, i guadagni dovuti alla crescita sono stati trasformati in aumenti di salario o in riduzione delle ore di lavoro. Dopo la fase di crescita in corso da due anni a questa parte, con ogni probabilità le ore normali di lavoro diminuiranno e i salari reali aumenteranno.

3584

5.3

Ripercussioni sul mercato del lavoro

L'iniziativa avrebbe ripercussioni su entrambi gli attori principali del mercato del lavoro: i lavoratori da un lato, le imprese oppure i datori di lavoro dall'altro. Se l'iniziativa dovesse essere accettata, questi attori adatterebbero il loro comportamento alla nuova situazione. Per valutare con esattezza la modifica costituzionale proposta vanno pertanto considerate tutte le possibili reazioni individuali.

5.3.1

Ripercussioni sui lavoratori

Per i lavoratori che guadagnano meno di una volta e mezzo la media dei salari versati in Svizzera, il salario mensile deve restare immutato (in base al rilevamento sulla struttura dei salari, più dell'80% dei lavoratori percepisce un salario inferiore ad una volta e mezzo il salario medio). Ciò significa che guadagnerebbero di più per ogni ora di lavoro prestata. Affinché l'impresa possa farvi fronte, questo aumento di salario deve corrispondere ad un aumento della produttività. In alcuni casi una riduzione del tempo di lavoro può condurre ad un aumento della produttività oraria. Ci sono tuttavia ragioni per temere che una larga parte dei lavoratori non riuscirebbe ad aumentare la propria produttività entro i termini richiesti da un salario orario maggiore. Ciò comporterebbe una stagnazione dei salari sull'arco di più anni, oppure uno smantellamento di posti di lavoro.

Per tutti i lavoratori che percepiscono un salario superiore a una volta e mezzo il salario medio, è prevedibile che la riduzione dell'orario di lavoro comporterebbe una perdita di salario. I dirigenti delle imprese potrebbero introdurre questo provvedimento allo scopo di compensare le ore di lavoro perse nel processo di produzione.

Uno studio recente mostra che in Svizzera i lavoratori preferiscono un posto di lavoro sicuro e un salario adeguato, ossia un buon salario, piuttosto che una riduzione delle ore di lavoro. La riduzione del tempo di lavoro figura infatti al settimo posto tra le venti possibilità proposte per un miglioramento delle condizioni di lavoro (Univox, Teil III, B, Wirtschaft 1999, Gfs-Forschungsinstitut, 2000).

L'iniziativa potrebbe pertanto interferire nella libertà di scelta individuale, e andare contro le aspettative degli stessi diretti interessati. È probabile che un certo numero di lavoratori continuerebbe illegalmente ad avere gli stessi tempi di lavoro. I datori di lavoro, dal canto loro, sarebbero tentati di proporre ai loro dipendenti di prestare delle ore di lavoro non dichiarate. Vi è dunque il pericolo che l'iniziativa favorisca lo sviluppo del lavoro nero.

5.3.2

Ripercussioni sulle imprese

Il numero di posti in un'impresa non è un valore fisso. Le imprese assumono nuove persone quando hanno prospettive di crescita e ricorrono a licenziamenti quando le vendite diminuiscono. Le loro politiche di assunzione e di licenziamento non sono unitarie, dipendono al contrario dalle decisioni della direzione. Anche le opportunità di adeguamento alla congiuntura sono differenti da settore a settore: in alcuni la diminuzione della domanda si ripercuote in modo immediato sull'attività, e le imprese sono costrette a rapidi licenziamenti (ad es. nell'edilizia).

3585

In altri è possibile talvolta far fronte temporaneamente ad una diminuzione della domanda vivendo sulle riserve accumulate durante i periodi di crescita.

Una limitazione legale e generale per ogni settore del numero delle ore di lavoro prestate cela il pericolo di un'ingerenza nella politica di assunzione e licenziamento delle imprese. Alcune di esse potrebbero decidere di esercitare una maggiore pressione sui lavoratori impiegati in quel momento, così da farli lavorare più duramente, o persino pretendere dai loro impiegati la prestazione «volontaria» di un certo numero di ore di lavoro supplementari non dichiarate. Questo processo aumenterebbe la produttività dei lavoratori, ma non condurrebbe a nuove assunzioni.

Inoltre nelle piccole imprese il lavoro è distribuito tra un numero limitato di persone. Anche se tutti diminuissero il loro tempo di lavoro, la totalità delle ore liberate non permetterebbe probabilmente nuove assunzioni. Ad esempio: se tutti i dipendenti di un garage riducessero il loro orario a 36 ore la settimana, le ore liberate dal posto di contabile e dal posto di meccanico non basterebbero per creare un nuovo impiego. Per l'azienda risulterebbe molto costoso (in termini di formazione interna) assumere un nuovo contabile e un nuovo meccanico solo per qualche ora la settimana. In alcuni settori potrebbe inoltre diventare difficile trovare persone intenzionate a lavorare così poche ore la settimana. Non va dimenticato che l'economia svizzera è costituita in larga parte da piccole imprese (secondo l'apposito censimento federale del 1998, le imprese con meno di 10 impiegati costituiscono l'88% del totale e rappresentano il 27% di tutti i posti di lavoro).

Oltretutto, nel caso in cui un'impresa non può ridurre gli orari di lavoro dei suoi impiegati, sarebbe costretta a ricorrere ad ore straordinarie. Poiché il salario previsto in tal caso è maggiore di quello corrente, i costi del lavoro per le imprese aumenterebbero. Ciò potrebbe invogliarle a sostituire i lavoratori con delle macchine, soprattutto nel caso di attività con una bassa produttività e con salari conseguentemente bassi. Maggiori costi del lavoro per questo tipo di posti sarebbero accettabili solo per imprese che registrerebbero parallelamente un aumento della loro produttività.

Una riduzione del tempo di lavoro senza
riduzione del salario (per tutti i lavoratori che guadagnano meno di una volta e mezzo del salario medio) porta ad un aumento dei costi del lavoro. Le imprese possono tuttavia offrire aumenti salariali solo in una misura corrispondente all'aumento della produttività. Gli iniziativisti partono dal presupposto che le imprese registreranno un aumento della produttività, senza peraltro poterne essere sicuri. In tal modo il libero processo di formazione dei salari viene intralciato, malgrado questi rimangano propriamente flessibili e malgrado si pretenda che seguano lo sviluppo della situazione economica.

5.3.3

Ripercussioni sull'impiego e sulla disoccupazione

5.3.3.1

Ripercussioni sull'impiego

In diversi Paesi europei (in particolare in Francia e in Belgio) gli economisti hanno cercato di valutare in che modo una generale riduzione del tempo di lavoro si ripercuoterebbe sull'impiego (nessuno studio è stato effettuato in Svizzera). Questi studi raggiungono conclusioni contraddittorie, che in larga parte dipendono dalle diverse ipotesi di partenza. In realtà è estremamente difficile considerare globalmente le reazioni delle imprese e dei lavoratori. In generale, tutti i modelli sviluppati portano alla conclusione che il numero di nuovi posti di lavoro creati sarebbe di regola infe3586

riore alle aspettative. Tali risultati possono essere spiegati tenendo conto dei motivi di cui sopra. Va inoltre osservato che determinati lavori sono più facilmente divisibili rispetto ad altri. Solo le attività semplici e ripetitive possono essere divise con facilità. Per fare in modo che una generale riduzione del tempo di lavoro possa condurre ad un consistente aumento di posti, le imprese interessate dovrebbero essere sufficientemente grandi. La riduzione del tempo di lavoro di più impiegati dovrebbe inoltre consentire di creare un nuovo posto di lavoro. Tuttavia, nell'economia svizzera queste due condizioni non sono sovente realizzate. La graduale riduzione del tempo di lavoro così come prevista dall'iniziativa, inoltre, è solo limitatamente efficace, poiché può essere facilmente compensata aumentando la produttività oppure ottimizzando l'organizzazione interna. Solo per i posti che richiedono un determinato tempo di presenza, la riduzione del tempo di lavoro individuale può avere un effetto immediato sull'impiego. Tuttavia questo tipo di posti rappresenta un'eccezione.

Considerata la difficile situazione finanziaria delle amministrazioni pubbliche, è facile prevedere che gli effetti della riduzione del tempo di lavoro al loro interno non sarebbero diversi da quelli prodotti nell'economia privata. Non ci si può aspettare dalle amministrazioni pubbliche un ruolo di precursore nel tradurre la riduzione della durata del lavoro in creazione di nuovi posti.

Attualmente non esiste alcun metodo affidabile che permetta di calcolare in che modo una riduzione del tempo di lavoro si ripercuoterebbe sull'impiego; rinunciamo perciò qui ad avanzare delle cifre. Tenuto conto delle considerazioni appena formulate, si può tuttavia dubitare che una riduzione a 36 ore la settimana comporterebbe la creazione di 250 000 posti di lavoro come affermato dall'USS.

L'iniziativa chiede alla Confederazione un sostegno finanziario temporaneo per aiutare le imprese che non riducono il tempo di lavoro gradualmente, ma in una sola volta (riduzione di almeno 10% in un anno) e nel contempo creano o mantengono posti di lavoro. Obiettivi simili sono perseguiti dall'articolo che la legge sull'assicurazione contro la disoccupazione riserva ai progetti pilota (art. 110a LADI). Questa disposizione permette di mettere alla prova
nuovi strumenti in grado di mantenere o creare nuovi posti mediante una flessibilizzazione del tempo di lavoro. Per ottenere i finanziamenti vanno tuttavia rispettate alcune condizioni. Da un lato non vanno impedite le ristrutturazioni, il cui impatto può essere agevolmente assorbito. Dall'altro i posti in questione devono avere un rapporto diretto con la disoccupazione, ovvero prevenire licenziamenti o essere assunti da disoccupati.

5.3.3.2

Ripercussioni sulla disoccupazione

L'iniziativa dell'Unione sindacale va in primo luogo intesa come una risposta all'alto tasso di disoccupazione. La riduzione del tempo di lavoro è vista come la soluzione in grado di creare nuovi posti o perlomeno di mantenere quelli esistenti. Dal momento in cui è stata formulata l'iniziativa la situazione sul mercato del lavoro è tuttavia fortemente cambiata. Il numero di postulanti e di disoccupati è consistentemente diminuito. Nel contempo per il 2000 è attesa una crescita economica che si ripercuoterà positivamente anche sul mercato del lavoro: la disoccupazione nel nostro Paese si contrarrà ulteriormente. Pur considerate queste premesse, occorre qui stabilire se una riduzione del tempo di lavoro sia in grado di risolvere il problema della disoccupazione.

3587

La statistica ufficiale distingue tra disoccupati registrati e postulanti registrati. I disoccupati registrati sono persone annunciate presso un ufficio regionale di collocamento, che non hanno un posto e che sono disponibili immediatamente. I postulanti registrati sono tutte le persone, disoccupate e non, registrate presso un ufficio di collocamento e che cercano un posto di lavoro. Al contrario del gruppo precedente, questo comprende anche persone che non sono disponibili immediatamente. Concretamente vi sono elencati soprattutto quei postulanti che sono impegnati in programmi occupazionali, in corsi di reinserimento o formazione, oppure che beneficiano di un salario intermedio. Sebbene la maggior parte di queste persone, indipendentemente dal loro impiego temporaneo, sia anche alla ricerca di un posto di lavoro, nelle considerazioni che seguiranno utilizzeremo, per ottenere risultati statistici più esatti, solo il numero di disoccupati registrati. Le statistiche concernenti i postulanti registrati evolvono parallelamente a quelle concernenti i disoccupati registrati, ma ad un livello più alto.

Tabella 8 300

(in 1000)

250 200 150

In cerca di lavoro

100

Disoccupati

50 0 Gen 96

Gen 97

Gen 98

Gen 99

Gen 00

Fonte: «Die Lage auf dem Arbeitsmarkt»; seco.

Nell'aprile del 2000 il numero di disoccupati registrati ammontava a 75 642 (postulanti 132 761), su 98 602 (postulanti 170 921) in media nel 1999, 139 660 (postulanti 217 518) in media nel 1998 e 188'304 (postulanti 244 695) in media nel 1997 (tassi di disoccupazione: 1997: 5,2%; 1998: 3,9%; 1999: 2,7% e aprile 2000: 2,1%). Le proiezioni concernenti il numero di disoccupati per i prossimi anni segnalano un'ulteriore riduzione, ovvero 72 000 per il 2000 (tasso di disoccupazione del 2,0%) e 65 000 per gli anni 2001 e 2002 (tasso di disoccupazione dell'1,8%).

In generale va osservato che con la riduzione della disoccupazione in Svizzera la quota di postulanti poco qualificati è fortemente aumentata (il 38% circa dei disoccupati registrati nell'aprile del 2000 ha esercitato una funzione ausiliaria prima di perdere l'impiego). Nel frattempo non sono tanto i posti a mancare in generale, quanto piuttosto i posti che corrispondano alle qualifiche dei postulanti.

Sulla base del numero di disoccupati registrati nell'aprile del 2000, possiamo affermare che

3588

-

una riduzione generale del tempo di lavoro potrebbe certo portare in alcuni settori economici, nell'ambito di un limitato effetto sull'impiego, ad una riduzione dei postulanti; in altri settori tuttavia creerebbe nuovi posti difficilmente assegnabili;

-

essa aggraverebbe la penuria di lavoratori altamente qualificati: si può infatti dubitare che creerebbe molti posti adatti a postulanti male qualificati, visto che proprio questo tipo di posti è facilmente oggetto di razionalizzazioni.

La maggior parte degli studi empirici svolti in questo settore non constata alcuna ripercussione positiva sull'impiego, e concorda dunque con queste considerazioni.

Essi dimostrano che la riduzione del tempo di lavoro non è lo strumento adatto per combattere la disoccupazione strutturale, visto che non può sopperire alle lacune di qualificazione nei lavoratori.

Anche la Commissione per la congiuntura ha preso posizione in tal senso. In un comunicato stampa del 14 maggio 1998 essa ricorda infatti che per combattere la disoccupazione strutturale e di lunga durata una riduzione per vie legali del tempo di lavoro non è lo strumento adatto. La Commissione sottolinea piuttosto il pericolo che essa possa frenare l'impiego durante i periodi di recessione e diminuire le possibilità di crescita durante i periodi di rilancio. Inoltre tutto ciò non toccherebbe minimamente le vere cause del fenomeno, ovvero le debolezze strutturali del mercato del lavoro e dell'economia in generale.

Anche l'OCSE, in una delle sue periodiche analisi del mercato del lavoro e in una delle raccomandazioni che ha emanato in materia, ha sconsigliato di ricorrere allo strumento della riduzione del tempo di lavoro per lottare contro il fenomeno della disoccupazione. Fanno eccezione misure prese all'interno di singole imprese, nei casi in cui il tempo di lavoro sia flessibilizzato e i lavoratori si dichiarino disposti, se del caso, a sacrificare una parte del loro salario. Giunge a queste conclusioni anche uno studio commissionato dalla Commissione di sorveglianza per il fondo di compensazione dell'assicurazione contro la disoccupazione (Blum/Zaugg, «Praxishandbuch Arbeitszeitmanagement ­ Beschäftigung durch innovative Arbeitszeitmodelle», Coira/Zurigo 1999).

5.4

Altre ripercussioni sull'economia

5.4.1

Ripercussioni sui prezzi al consumo e sul commercio con l'estero

Le imprese che ricorrono prevalentemente a lavoratori che guadagnano meno di una volta e mezzo il salario medio sarebbero costrette a far fronte ad un aumento importante dei costi salariali. Sarebbe il caso soprattutto di imprese attive in settori con un limitato valore aggiunto, quali il settore alberghiero, l'agricoltura, il commercio al dettaglio, il settore tessile e i servizi personali. A causa del limitato margine di guadagno, questi settori sarebbero costretti ad aumentare i loro prezzi di vendita. Tali aumenti andrebbero contro gli interessi dei consumatori, i quali potrebbero inoltre essere indotti ad evitare questi beni e servizi, creando così ulteriori difficoltà a questi settori.

Un aumento dei prezzi indebolirebbe inoltre la concorrenzialità delle imprese svizzere sui mercati esteri. È noto che la domanda estera per determinati beni e servizi reagisce in modo particolarmente sensibile alle oscillazioni dei prezzi. Nel settore 3589

turistico, ad esempio, la domanda dipende in larga parte dal paragone tra i prezzi dei diversi Paesi. L'approvazione dell'iniziativa farebbe con ogni probabilità aumentare i prezzi dei pernottamenti e dei pasti nei ristoranti. Questi aumenti si ripercuoterebbero direttamente sulla domanda estera per offerte turistiche svizzere. Un simile sviluppo sarebbe molto nocivo per un settore che già trova difficoltà a restare concorrenziale a livello internazionale. Anche altri settori potrebbero incontrare problemi di questo genere. Infine, l'aumento dei costi salariali potrebbe incitare le imprese a trasferire i loro reparti di produzione all'estero, in Paesi con costi salariali minori.

5.4.2

Ripercussioni sulle assicurazioni sociali

Il finanziamento delle assicurazioni sociali poggia in larga parte su deduzioni salariali (eccezion fatta per l'assicurazione malattie e le prestazioni complementari). A causa delle sue ripercussioni sulla situazione occupazionale e sui salari, l'iniziativa influirebbe anche sulla massa salariale sottoposta a deduzioni sociali e di conseguenza anche sul finanziamento delle relative assicurazioni. A lungo termine l'iniziativa toccherebbe anche le spese delle assicurazioni sociali, le cui prestazioni dipendono almeno in parte dai contributi versati e dall'evoluzione di prezzi e salari.

La previdenza professionale obbligatoria non dovrebbe risentire delle modifiche nella massa salariale, poiché il suo sistema di finanziamento mediante capitalizzazione garantisce in principio un equilibrio tra contributi e prestazioni. Per contro, la situazione finanziaria dell'assicurazione contro la disoccupazione potrebbe dipendere in misura maggiore dalle ripercussioni che l'iniziativa avrebbe sulla disoccupazione (influendo sulle uscite di tale assicurazione), piuttosto che da quelle che essa avrebbe sulla situazione occupazionale e sui salari (influendo sulle entrate). A breve termine, i più sensibili alle variazioni a livello occupazionale e salariale indotte dall'iniziativa sarebbero i finanziamenti dell'AI e soprattutto dell'AVS (le spese coperte mediante prelievi salariali sono nettamente maggiori per l'AVS che per l'AI).

Le ipotesi avanzate dagli iniziativisti (forte aumento dei posti di lavoro, elevata garanzia dei salari) non sembrano sufficientemente plausibili (cfr. capitolo 5.1) per fornire una base di calcolo, che permetta di determinare le ripercussioni finanziarie che l'iniziativa avrebbe sulle assicurazioni sociali. L'insicurezza sugli effetti dell'iniziativa a livello di occupazione, disoccupazione, salari e prezzi rende difficile valutare le ripercussioni a lungo termine che essa potrebbe avere sulle assicurazioni sociali. Sulla base dell'analisi delle ripercussioni che l'iniziativa avrebbe sul mercato del lavoro (cfr. capitolo 5.3) e delle considerazioni fatte in precedenza, riteniamo che le proposte degli iniziativisti non contribuirebbero a migliorare la situazione finanziaria delle assicurazioni sociali. Al contrario, nei prossimi anni le misure proposte potrebbero frenare l'auspicato aumento
della massa salariale, provocando così delle lacune nel finanziamento di alcune assicurazioni sociali, che aggraverebbero le difficili prospettive finanziarie in cui quest'ultime già versano.

3590

6

Ripercussioni per Confederazione, Cantoni e Comuni

6.1

Confederazione

Non è possibile stabilire in che misura il meccanismo di sovvenzione previsto dal capoverso 3 della disposizione transitoria si ripercuoterebbe sulle finanze federali, poiché non è possibile valutare quante imprese, e a quali condizioni, beneficerebbero di indennità versate dalla Confederazione. Bisogna tuttavia aver presente che le sovvenzioni previste non solo cercano di creare posti di lavoro in maniera indifferenziata, ma costituirebbero degli incentivi dagli effetti dubbi. Se la Confederazione, conformemente al capoverso 3 della disposizione transitoria, versasse un sostegno finanziario alle imprese che mantengono o creano posti di lavoro, è infatti probabile che gli strascichi negativi sarebbero piuttosto importanti. In singoli casi sarebbe molto difficile stabilire se i posti di lavoro in questione avrebbero potuto essere creati anche senza un sostegno finanziario della Confederazione. Sovvenzionare posti di lavoro comporta inoltre il rischio di mantenere strutture che a lungo termine non avrebbero più ragion d'essere. Impedire in tal modo un cambiamento strutturale potrebbe costringere, più tardi, ad adeguamenti dolorosi. È inoltre poco chiaro in che misura sovvenzioni limitate nel tempo possano assicurare posti di lavoro durevoli. Allo scadere del termine di sovvenzionamento la Confederazione potrebbe subire pressioni perché garantisca con altri mezzi il mantenimento dei posti di lavoro.

Si correrebbe il grosso rischio di dover adottare ulteriori misure dirigistiche, con notevoli costi per la Confederazione. Infine non va dimenticato che, per evitare qualsiasi abuso, il meccanismo di sovvenzionamento proposto comporterebbe un notevole lavoro di controllo da parte degli organismi amministrativi incaricati dell'esecuzione.

Oltre alle sovvenzioni da assicurare, l'iniziativa avrebbe ripercussioni dirette anche sulle spese legate al personale dell'Amministrazione generale della Confederazione, della Posta e delle Ferrovie federali svizzere (FSS), poiché anche il settore pubblico sarebbe tenuto a rispettare l'obbligo di diminuire l'orario di lavoro, con le previste garanzie salariali per redditi bassi e medio-bassi. Va tuttavia tenuto conto del fatto che soprattutto nell'Amministrazione generale della Confederazione, una volta realizzate le misure di risparmio previste, i limiti per l'ottimizzazione
dell'efficienza sarebbero largamente raggiunti. Se l'iniziativa fosse accettata, con ogni probabilità le spese legate al personale aumenterebbero, salvo che la Confederazione eviti di creare nuovi posti e smantelli le sue prestazioni. Va infine ricordato che l'applicazione del meccanismo di sovvenzione comporterebbe una notevole mole di lavoro amministrativo in più, che richiederebbe un aumento del personale in seno agli uffici federali coinvolti. Quale datore di lavoro e proprietario delle imprese Posta e FFS, il nostro Consiglio considera certo la riduzione del tempo di lavoro come uno strumento in alcuni casi appropriato della sua politica del personale. Ci riserviamo la possibilità di prendere misure riguardanti la durata del tempo di lavoro allo scopo di controbilanciare un'eccedenza di personale in alcuni settori dell'amministrazione federale. Per questo motivo sosteniamo l'introduzione a partire dal 1° giugno 2000 della settimana di 39 ore negoziata dalle FFS e dai suoi partner sociali.

Oltre a quelle dirette, l'iniziativa potrebbe avere anche ripercussioni indirette sulle casse pubbliche. Poiché fino ad un determinato livello di retribuzione la riduzione dell'orario di lavoro non potrebbe essere compensata con riduzioni del salario, le imprese sarebbero confrontate con un aumento del costo del lavoro. In tal modo la loro concorrenzialità diminuirebbe, comportando una perdita di guadagni. Non si 3591

può escludere che, a lungo termine, diminuirebbero anche il grado di occupazione e, in alcuni casi, anche i salari. In tal modo le ripercussioni sul sostrato fiscale potrebbero tendenzialmente essere negative. Poiché inoltre i salari situati in alto della scala salariale potrebbero venir diminuiti con la riduzione dell'orario di lavoro, i beneficiari di tali salari scivolerebbero ad un livello di progressione più basso, provocando una diminuzione delle entrate raccolte con l'imposta federale diretta. L'iniziativa potrebbe infine causare un aumento delle spese dell'assicurazione contro la disoccupazione, poiché il rincaro del fattore lavoro nella parte inferiore della scala salariale comporta tendenzialmente un aumento del numero dei disoccupati.

6.2

Cantoni e Comuni

Poiché la diminuzione dell'orario di lavoro verrebbe applicata anche ai rapporti di lavoro regolati dal diritto pubblico, l'iniziativa potrebbe comportare anche a livello cantonale e comunale un aumento delle spese per il personale oppure uno smantellamento delle prestazioni. I più toccati sarebbero ospedali, foyer, imprese di trasporto, imprese di eliminazione dei rifiuti, polizie o penitenziari, dove si lavora per équipe. A ciò si aggiunga che gli ispettorati cantonali del lavoro avrebbero con ogni probabilità bisogno di un maggior numero di collaboratori per la realizzazione (applicazione e controllo) della riduzione della durata del lavoro.

Così come la Confederazione, anche i Cantoni e i Comuni dovrebbero pertanto mettere in conto una diminuzione delle entrate dovute all'imposta diretta.

Anche Cantoni e Comuni di regola non sono contrari per principio ad una riduzione dell'orario di lavoro. Ogni singolo Cantone ed ogni singolo Comune dovrebbero tuttavia avere la possibilità di scegliere liberamente se e come ricorrere a questo tipo di strumento.

7

Valutazione dell'iniziativa in relazione agli obiettivi espressi dai promotori

L'obiettivo che i promotori si ponevano al momento del lancio dell'iniziativa (primavera 1998) ­ combattere la disoccupazione ­ ha attualmente perso una parte della sua importanza, visto che il numero di postulanti e disoccupati è nel frattempo fortemente diminuito. Come mostrato nelle pagine precedenti, è improbabile che la disoccupazione possa essere sostanzialmente ridotta o eliminata grazie alla riduzione generale dell'orario di lavoro così come proposta.

Dubitiamo inoltre che l'iniziativa sia in grado di realizzare una ridistribuzione equa delle attività remunerate e non remunerate tra uomini e donne, così come si augurano i suoi promotori. Ciò dipende più largamente da fenomeni di ordine sociale. Il fatto che un'iniziativa popolare federale in tal senso non sia riuscita formalmente (iniziativa «Ripartizione del lavoro», FF 1999 2269), sembra indicare che tra la popolazione l'esigenza di ridurre la durata del lavoro non sia particolarmente sentita. È vero che la generale riduzione di sei ore di lavoro settimanali richiesta dalla presente iniziativa permetterebbe di dedicare maggior tempo ad attività accessorie, alla cura dei bambini o di familiari anziani, alla collaborazione con i vicini e ad altri lavori non remunerati. In tal senso una riduzione generale dell'orario di lavoro potrebbe certo in parte contribuire a conciliare lavoro e famiglia. Non è tuttavia detto che i 3592

lavoratori impieghino poi il tempo guadagnato proprio nella cura della famiglia o in altri lavori non remunerati. Affinché i genitori possano combinare lavori domestici e lavoro remunerato, sarebbero necessarie altre misure, come ad esempio una migliore offerta di assistenza all'esterno della famiglia (asili nido, doposcuola). Questo obiettivo non può tuttavia essere raggiunto mediante la presente iniziativa e non può nemmeno venir prescritto dalla Confederazione alle comunità competenti.

Il terzo obiettivo ­ miglioramento della qualità di vita grazie ad un maggiore tempo libero ­ sarebbe invece largamente raggiunto. È tuttavia legittimo chiedersi se anche una vita professionale completa e soddisfacente non possa essere qualitativamente significativa e se una riduzione del tempo di lavoro debba per forza essere positiva per tutti i lavoratori. Va infine osservato che la riduzione generale dell'orario di lavoro perseguita dall'iniziativa comporta anche notevoli rischi che potrebbero turbare il tempo libero guadagnato (come diminuzioni di salario per redditi più elevati o possibili perdite di posti di lavoro).

8

Conclusione

Per i motivi di ordine economico, giuridico, pratico e relativi al mercato del lavoro menzionati, respingiamo l'iniziativa popolare federale «per una durata ridotta del lavoro». La diminuzione progressiva del tempo di lavoro e la relativa garanzia di salario per redditi medi e bassi avrebbero notevoli e in parte imprevedibili conseguenze sulla nostra economia. Un disciplinamento rigido dell'orario di lavoro per tutti i lavoratori a livello costituzionale non sarebbe in grado di rispondere alle esigenze dei diversi settori e delle diverse imprese. Siamo di principio favorevoli ad una riduzione del tempo di lavoro, ma pensiamo che sia compito delle parti sociali valutare in che misura una riduzione dell'orario di lavoro sia possibile per un determinato settore. Questa soluzione garantirebbe inoltre all'economia svizzera la necessaria flessibilità in vista di fluttuazioni congiunturali. Per il futuro non vanno certo escluse possibili modifiche a livello legislativo. Tuttavia le vostre Camere, in occasione della recente revisione della relativa legge, hanno chiaramente respinto le disposizioni concernenti la durata massima di lavoro.

Per tali motivi vi invitiamo a raccomandare a Popolo e Cantoni di respingere senza controprogetto l'iniziativa popolare federale «per una durata ridotta del lavoro».

2174

3593