05.022 Messaggio relativo al Protocollo d'emendamento alla Convenzione europea per la repressione del terrorismo del 2 febbraio 2005

Onorevoli presidenti e consiglieri, Con il presente messaggio vi sottoponiamo, per approvazione, il disegno di decreto federale concernente il Protocollo di emendamento alla Convenzione europea per la repressione del terrorismo.

Gradite, onorevoli presidenti e consiglieri, l'espressione della nostra alta considerazione.

2 febbraio 2005

In nome del Consiglio federale svizzero: Il presidente della Confederazione, Samuel Schmid La cancelliera della Confederazione, Annemarie Huber-Hotz

2004-1954

1395

Compendio La Svizzera si è sempre adoperata con fermezza per prevenire e lottare contro il terrorismo. Di conseguenza, ha ratificato, nell'ambito del Consiglio d'Europa, la Convenzione europea del 27 gennaio 1977 per la repressione del terrorismo (STE n. 090; RS 0.353.3 ed ha adottato tutti i trattati contro il terrorismo vigenti in seno all'ONU, i quali consentono una fattiva cooperazione internazionale in questo ambito.

Dopo l'ondata di violenti attentati terroristici perpetrati negli ultimi anni, segnatamente quello del 2001 a New York, occorre rafforzare la cooperazione giudiziaria internazionale in materia penale. A tal fine, è necessario aderire al Protocollo del 15 maggio 2003 di emendamento alla Convenzione europea per la repressione del terrorismo (STE n. 190) che la Svizzera ha firmato alla medesima data. Il nuovo strumento si fonda, in particolare, sulle risoluzioni del Consiglio d'Europa e sulle pertinenti norme relative allo Stato di diritto come anche ai diritti dell'uomo. Il Protocollo rende più attuale la Convenzione del 1977, non più interamente rispondente alle esigenze della lotta contro la criminalità terrorista.

L'apporto del Protocollo può essere così riassunto: ­

estensione del campo d'applicazione dei reati in materia di lotta contro il terrorismo;

­

considerazione dei diritti dell'uomo (nessun obbligo di estradizione segnatamente in caso di rischio di tortura o di pena di morte);

­

instaurazione di un nuovo regime delle riserve secondo cui la riserva è abolita se non è stata espressamente rinnovata;

­

attribuzione della competenza generale di monitoraggio dell'applicazione del nuovo strumento a un organismo mantello del Consiglio d'Europa e a una Conferenza degli Stati contraenti;

­

apertura del nuovo strumento a Stati non membri del Consiglio d'Europa.

Nel 1983, all'atto della ratifica della Convenzione, la Svizzera si era riservata il diritto di rifiutare l'estradizione riguardo a qualsiasi reato considerato reato politico. In pratica questa riserva non ha dovuto mai essere applicata. Nella misura in cui gli atti terroristici costituiscono i reati più gravi, segnatamente per il fatto che molto spesso colpiscono persone estranee alle ragioni che li hanno ispirati, occorre ritirare la riserva formulata a quell'epoca. Non è nuovo per la Svizzera il fatto di «spoliticizzare» taluni atti terrorisitci. Ratificando le Convenzioni dell'ONU per la repressione del finanziamento del terrorismo e degli attentati terroristici con esplosivo, la Svizzera ha, infatti, già instaurato tale «spoliticizzazione» dei reati terroristici. Del resto, il diritto interno svizzero prevede parimenti l'irricevibilità del carattere politico del reato per un atto che sembri particolarmente reprensibile, poiché il suo autore, per scopi d'estorsione o di ricatto, ha messo in pericolo la libertà, la vita o l'integrità fisica di individui. Il Protocollo non implica modifiche del diritto interno svizzero.

1396

Indice Compendio

1396

1 Situazione iniziale 1.1 Convenzione europea per la repressione del terrorismo 1.2 Protocollo di emendamento alla Convenzione europea per la repressione del terrorismo 1.3 La Svizzera e la lotta contro il terrorismo internazionale

1398 1398 1398 1400

2 Parte speciale: le principali disposizioni del Protocollo

1401

3 Riserva 3.1 Rinuncia da parte della Svizzera di formulare una riserva all'atto della ratifica del Protocollo 3.2 Ritiro della riserva formulata dalla Svizzera all'atto della ratifica della Convenzione

1410 1410

4 Conseguenze 4.1 Conseguenze finanziarie e sull'effettivo del personale 4.1.1 Per la Confederazione 4.1.2 Per i Cantoni e i Comuni 4.2 Ripercussioni sul piano informatico 4.3 Ripercussioni economiche

1413 1413 1413 1413 1413 1413

5 Programma di legislatura

1413

6 Rapporto con il diritto europeo

1413

7 Costituzionalità

1414

Decreto federale sul Protocollo di emendamento alla Convenzione per la repressione del terrorismo (Disegno)

1415

Protocollo di emendamento alla Convenzione europea per la repressione del terrorismo

1417

1412

1397

Messaggio 1

Situazione iniziale

1.1

Convenzione europea per la repressione del terrorismo

Da molto tempo la comunità internazionale è cosciente della necessità di lottare contro il terrorismo. Il Consiglio d'Europa è stato il primo organismo internazionale del nostro continente ad adottare uno strumento in materia, vale a dire la Convenzione europea del 27 gennaio 1977 per la repressione del terrorismo1 (qui di seguito la Convenzione). Questo strumento mira ad agevolare in particolare l'estradizione degli autori di atti terroristici. A questo scopo, la Convenzione elenca i reati che gli Stati contraenti s'impegnano a non considerare come reato «politico» («spoliticizzazione») nell'ambito della cooperazione giudiziaria in materia penale. La Convenzione si prefigge dunque di facilitare la repressione del terrorismo completando e, all'occorrenza, modificando gli accordi di estradizione e di assistenza giudiziaria vigenti tra gli Stati membri del Consiglio d'Europa. Secondo un principio generale sancito segnatamente dalla Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 19572, l'estradizione non è concessa se il reato per il quale essa è domandata è considerato dalla Parte richiesta come un reato politico o come un fatto connesso a un siffatto reato (art. 3 della Convenzione europea di estradizione). La Convenzione per la repressione del terrorismo, nel caso in cui fossero perpetrati gli aberranti reati terroristici da essa menzionati, ha lo scopo di concedere l'estradizione e l'assistenza in materia di terrorismo. In questo senso relativizza il principio del possibile rifiuto dell'estradizione in caso di reato «politico» di cui nella CEEstr.

I reati menzionati nella Convenzione sono, infatti, particolarmente gravi: si tratta ad esempio di dirottamento di aeroplani, rapimento, presa d'ostaggi o uso di bombe, granate, missili che costituiscono un pericolo per le persone. Inoltre, la Convenzione consente agli Stati contraenti di non considerare reato politico qualsiasi atto grave di violenza contro la vita, l'integrità fisica o la libertà di una persona.

La Convenzione contiene anche una clausola di non discriminazione secondo cui nessuna delle sue disposizioni deve essere interpretata come obbligo imposto a uno Stato contraente di estradare una persona che rischierebbe di essere perseguita o punita per ragioni inerenti alla sua razza, religione, nazionalità o credo politico (art. 5 della Convenzione).

1.2

Protocollo di emendamento alla Convenzione europea per la repressione del terrorismo

La lotta contro il terrorismo ha assunto nuove dimensioni, in particolare dopo l'attentato perpetrato l'11 settembre 2001 a New York. Di conseguenza, il Consiglio d'Europa ha elaborato il Protocollo del 15 maggio 2003 di emendamento alla Con-

1 2

RS 0.353.3; serie di trattati europei (STE) 090.

CEEstr; RS 0.353.1

1398

venzione europea per la repressione del terrorimo3 (qui di seguito: il Protocollo) che tiene conto dei più recenti sviluppi in materia di lotta contro il terrorismo. Esso completa la Convenzione rendendola più attuale e rappresenta uno strumento di lotta contro il terrorismo moderno ed efficace.

Lo scopo del Protocollo è conforme agli interessi del nostro Paese. Una delegazione svizzera ha partecipato all'elaborazione di questo strumento. Essa era rappresentata in seno al comitato peritale governativo4 che ha approntato il Protocollo fondandosi sulle misure di lotta contro il terrorismo esistenti o in corso di elaborazione a livello nazionale e internazionale.

Il Protocollo è stato aperto alla firma il 15 maggio 2003. In quella data, la Svizzera faceva parte dei primi Stati firmatari. Fino a oggi è stato firmato da 42 Stati5 e 10 Stati6 contraenti alla Convenzione vi hanno aderito o l'hanno ratificato. Il Protocollo non è ancora in vigore, poiché non tutti gli Stati contraenti alla Convenzione lo hanno ratificato. Quando entrerà in vigore, il Protocollo modificherà la Convenzione europea per la repressione del terrorismo (qui di seguito: Convenzione emendata) e la sostituerà.

L'apporto del nuovo strumento può essere così riassunto nei suoi principali elementi:

3 4 5

6 7 8

­

estensione del campo d'applicazione della Convenzione. Il Protocollo allunga notevolmente l'elenco dei reati terroristici che esso «spoliticizza»: i reati citati, provenienti da nuove convenzioni concernenti la lotta contro il terrorismo, non sono considerati reati «politici» nonostante il loro contenuto o la loro motivazione politica così da consentire l'estradizione, e perfino l'assistenza giudiziaria derogando quindi alle disposizioni degli accordi e dei trattati di estradizione e di assistenza giudiziaria che permettono di rifiutare la cooperazione per un siffatto motivo (art. 1 par. 1 e 2 del Protocollo);

­

inclusione dei reati connessi ai reati principali, vale a dire il tentativo, la complicità, l'organizzazione o l'ordine a terzi di commmettere o tentare di commettere uno dei reati principali (art. 1 par. 3 del Protocollo che istituisce l'art. 1 par. 2 della Convenzione emendata); disposizioni analoghe si trovano nella Convenzione internazionale per la repressione degli attentati terroristici con esplosivo7 e nella Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo8;

STE 190 Il Gruppo Multidisciplinare per la lotta contro il terrorismo (GMT) che agisce sotto l'autorità del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa.

Albania, Andorra, Armenia, Austria, Azerbaigian, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Georgia, Germania, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Lettonia, Ex-Repubblica jugoslava di Macedonia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Malta, Moldova, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, Regno Unito, Russia, San Marino, Serbia e Montenegro, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Ucraina, Ungheria.

Albania, Armenia, Bulgaria, Cipro, Danimarca, Georgia, Norvegia, Polonia, Romania, Slovenia.

Art. 2 par. 3; RS 0.353.21 Art. 2 par. 5; RS 0.353.22

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­

per quanto concerne la clausola di non discriminazione9: nessun obbligo di estradare in caso di rischio di tortura, di pena di morte come anche di reclusione perpetua senza possibilità di liberazione condizionale, salvo assicurazioni contrarie dello Stato richiedente. Questa clausola è stata aggiunta in seguito all'apertura del nuovo strumento a Stati non membri del Consiglio d'Europa (art. 4 par. 2 del Protocollo relativo all'art. 5 della Convenzione emendata);

­

instaurazione di un nuovo regime delle riserve secondo cui la riserva vale soltanto tre anni a meno che non sia espressamente rinnovata (art. 12 del Protocollo relativo all'art. 16 della Convenzione emendata);

­

apertura della Convenzione a Stati non membri del Consiglio d'Europa (art. 10 del Protocollo relativo all'art. 14 della Convenzione emendata);

­

procedura d'emendamento semplificata concernente l'aggiunta di nuovi reati terroristici (contenuti nelle pertinenti convenzioni) all'elenco dell'articolo 1 (art. 9 del Protocollo relativo all'art. 13 della Convenzione emendata); riguarda esclusivamente Convenzioni vigenti contro il terrorismo concluse dall'ONU;

­

attribuzione della competenza generale di monitoraggio dell'applicazione del nuovo strumento a un organismo mantello del Consiglio d'Europa, il Comitato europeo sui problemi relativi alla criminalità (CDPC; art. 6 del Protocollo relativo all'art. 10 della Convenzione emendata) e a una Conferenza degli Stati contraenti contro il terrorismo (COSTER; art. 13 del Protocollo relativo all'art. 17 della Convenzione emendata).

1.3

La Svizzera e la lotta contro il terrorismo internazionale

Da molti anni la Svizzera ritiene che la lotta contro il terrorismo rivesta un'importanza cruciale. Finora il nostro Paese è stato risparmiato dagli attentati terroristici. Tuttavia, proprio per la sua peculiarità di Stato ubicato geograficamente al centro dell'Europa e per la sua piazza finanziaria riconosciuta a livello internazionale, non può essere escluso che la Svizzera possa essere sfruttata a fini terroristici.

La Svizzera si adopera comunque con tutte le sue forze per lottare contro il terrorismo, così come contro la criminalità in generale. Il nostro Paese dispone segnatamente di una legislazione moderna che disciplina la cooperazione giudiziaria internazionale in materia penale. In particolare, in questo ambito ha agito e continua ad agire cooperando strettamente con gli altri Stati, indipendentemente dal fatto che si tratti di assistenza giudiziaria internazionale, di estradizione o di trasferimento dei condannati. Gli strumenti internazionali multilaterali o bilaterali di cui la Svizzera è Stato contraente e la sua legge sull'assistenza internazionale in materia penale10 le consentono di essere citata ad esempio.

9

10

Nessun obbligo d'estradizione in caso di fondati motivi per ritenere che la domanda d'estradizione sia stata fatta allo scopo di perseguire o punire un individuo per ragioni inerenti alla sua razza, religione, ecc.

Legge federale del 20 marzo 1981 sull'assistenza internazionale in materia penale, AIMP RS 351.1

1400

2

Parte speciale: le principali disposizioni del Protocollo

Art. 1 Lo scopo principale del Protocollo è di attualizzare la Convenzione. In tal senso, l'articolo 1 del Protocollo completa l'elenco dei reati menzionati nella Convenzione, i quali, ai fini dell'estradizione, non sono considerati reati politici o reati connessi a un reato politico oppure reati ispirati da ragioni politiche. Si tratta di una clausola di «spoliticizzazione». Sono pertanto elencati otto strumenti di lotta contro il terrorismo emanati dall'ONU alcuni dei quali sono entrati in vigore dopo l'allestimento della Convenzione. Questi strumenti di fondamentale importanza menzionati nella Convenzione e nel Protocollo sono i seguenti: la Convenzione del 16 dicembre 197011 per la repressione dell'illecita cattura di un aeromobile, la Convenzione del 23 settembre 197112 per la repressione di atti illeciti compiuti contro la sicurezza dell'aviazione civile, la Convenzione del 14 dicembre 197313 sulla prevenzione e la repressione dei reati contro le persone che godono di una protezione internazionale, ivi compresi gli agenti diplomatici, la Convenzione del 17 dicembre 197914 contro la presa d'ostaggi, la Convenzione del 3 marzo 198015 sulla protezione fisica delle materie nucleari, il Protocollo del 24 febbraio 198816 per la repressione degli atti di violenza negli aeroporti adibiti all'aviazione civile internazionale, la Convenzione del 10 marzo 198817 per la repressione di atti illeciti contro la sicurezza della navigazione marittima, il Protocollo del 10 marzo 198818 per la repressione di atti illeciti contro la sicurezza delle piattaforme fisse situate sulla piattaforma continentale, la Convenzione del 15 dicembre 199719 per la repressione degli attentati terroristici con esplosivo, la Convenzione del 9 dicembre 199920 per la repressione del finanziamento del terrorismo.

La «spoliticizzazione» dei reati menzionati in detti strumenti impone un'applicazione più ampia dei trattati e degli accordi di estradizione e perfino di quelli di assistenza giudiziaria in vigore tra gli Stati interessati. Si tratta segnatamente della Convenzione europea di estradizione, dei suoi Protocolli addizionali del 15 ottobre 197521 e del 17 marzo 197822, della Convenzione europea del 20 aprile 195923 di assistenza giudiziaria in materia penale, e dei suoi Protocolli addizionali del 17 marzo 1978 e dell'8 novembre
200124.

L'articolo 1 del Protocollo e della Convenzione riflette una tendenza a non consentire allo Stato richiesto di opporre il carattere politico del reato alle domande di estra11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24

RS 0.748.710.2 RS 0.748.710.3 RS 0.351.5 RS 0.351.4 RS 0.732.031 RS 0.748.710.31 RS 0.747.71 RS 0.747.711 RS 0.353.21; entrata in vigore in Svizzera il 23 ottobre 2003.

RS 0.353.22; entrata in vigore in Svizzera il 23 ottobre 2003.

RS 0.353.11 RS 0.353.12 CEAG; RS 0. 351.1 STCE n. 182; RS 0.351.12

1401

dizione riguardanti i crimini particolarmente aberranti menzionati negli strumenti contro il terrorismo di cui sopra.

Questo metodo è già stato applicato segnatamente nella Convenzione europea di estradizione riguardo agli attentati alla vita di un Capo di Stato o di un membro della sua famiglia25, e nel Protocollo addizionale alla Convenzione europea di estradizione riguardo al crimine del genocidio, ai crimini di guerra e a ogni altra simile violazione delle leggi belliche26. In questo modo è quindi possibile superare, nel caso di un atto terroristico, sia gli ostacoli all'estradizione costituiti dall'allegazione del carattere politico del reato, sia le difficoltà inerenti alla mancanza di un'interpretazione uniforme dell'espressione «reato politico». Dato che non esiste alcuna definizione generalmente accettata di questa espressione, la sua interpretazione spetta allo Stato richiesto27. La «spoliticizzazione» dei reati menzionati nell'articolo 1 si applica soltanto agli atti menzionati particolarmente aberranti e gravi che spesso colpiscono persone estranee alle ragioni che li hanno ispirati. La loro gravità e le loro conseguenze sono tali che l'elemento penale prevale su qualsiasi eventuale aspetto politico. Una «spoliticizzazione» di questo tipo è sancita anche dagli strumenti dell'ONU recentemente entrati in vigore in Svizzera quali la Convenzione internazionale per la repressione degli attentati terroristici con esplosivo28 e la Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo29. La ratifica di questi ultimi strumenti dell'ONU non ha imposto modifiche dell'AIMP. Lo stesso vale per la ratifica senza riserve del Protocollo. I reati menzionati permettono la cooperazione nell'ambito del diritto penale materiale in vigore.

I reati menzionati negli strumenti di cui all'articolo 1 non sono mai considerati «politici» nonostante il loro contenuto o la loro motivazione politica. Questa disposizione modifica pertanto le conseguenze dei trattati e degli accordi di estradizione vigenti per quanto concerne la valutazione della natura del reato. Elimina la possibilità che lo Stato richiesto opponga il carattere politico del reato alle domande di estradizione. Tuttavia non crea di per sé l'obbligo di estradare, in quanto la Convenzione e il rispettivo Protocollo d'emendamento
non sono un trattato di estradizione in quanto tale. Il pertinente trattato di estradizione resta il fondamento giuridico dell'estradizione.

L'articolo 1 del Protocollo elenca le seguenti due categorie di reati:

25 26 27

28 29 30

­

paragrafi 1 e 2: reati già inclusi nei trattati internazionali; vi sono espressamente menzionati gli otto ultimi strumenti fondamentali dell'ONU relativi alla lotta contro il terrorismo;

­

paragrafo 3: reati connessi30 ai reati principali, vale a dire: ­ tentativo di commettere uno dei reati principali;

Art. 3 par. 3 della Convenzione europea di estradizione.

Art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea di estradizione.

È ben vero che i più recenti strumenti approntati dall'ONU in materia di lotta contro il terrorismo, vale a dire la Convenzione del 1997 per la repressione degli attentati terroristici con esplosivo come anche la Convenzione del 1999 per la repressione del finanziamento del terrorismo forniscono elementi di definizione del terrorismo.

Art. 11 di detto strumento.

Art. 14 di questa Convenzione.

Disposizioni simili si trovano anche nelle Convenzioni dell'ONU per la repressione degli attentati terroristici con esplosivo e per la repressione del finanziamento del terrorismo.

1402

­ ­

complicità in uno dei reati reati principali o nel tentativo di commetterne uno; l'organizzazione o l'ordine a terzi di commettere o tentare di commettere uno dei reati principali.

Art. 2 L'articolo 2 del Protocollo, di carattere potestativo, ha lo scopo di estendere al tentativo, alla complicità, all'organizzazione o all'ordine a terzi la possibilità di non considerare reato politico qualsiasi grave atto di violenza, non menzionato nell'articolo 1 della Convenzione, contro la vita, l'integrità fisica o la libertà di una persona. Ad esempio può essere ritenuto un grave atto di violenza quello che crea un pericolo collettivo per le persone come l'esplosione di un impianto nucleare o di una diga.

Art. 3 Questa disposizione non ha importanza per la Svizzera, poiché il suo diritto interno le consente di cooperare senza trattato sulla base dell'AIMP. L'articolo 3 del Protocollo interessa però gli Stati che necessitano di un trattato per cooperare e che limitano la propria cooperazione ai reati elencati nel pertinente trattato.

Art. 4 L'obiettivo della Convenzione è quello di contribuire alla repressione degli atti terroristici allorquando costituiscono un attacco contro i diritti fondamentali alla vita e alla libertà delle persone. La Convenzione deve essere interpretata come un mezzo per rafforzare la protezione dei diritti dell'uomo. In base a questo principio, la presente disposizione vigila affinché la Convenzione sia conforme alle esigenze della protezione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali come sanciti nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali31.

L'articolo 4 paragrafo 1 del Protocollo riprende il tenore dell'articolo 5 della Convenzione. Sono stati aggiunti due nuovi paragrafi. L'articolo 4 paragrafo 2 del Protocollo sancisce che da questo strumento non scaturisce nessun obbligo di estradizione se la persona oggetto della domanda di estradizione rischia di essere sottoposta a tortura.

L'articolo 4 paragrafo 3 del Protocollo prevede la possibilità di rifiutare l'estradizione se la persona oggetto della domanda di estradizione rischia la pena di morte o la reclusione perpetua senza possibilità di liberazione condizionale (braccio della morte), a meno che lo Stato richiedente fornisca assicurazioni ritenute sufficienti dallo Stato richiesto che la pena di morte non verrà pronunciata o, nel caso in cui fosse pronunciata, non sarà eseguita, o che la persona interessata non sarà condannata alla reclusione perpetua
senza possibilità di liberazione condizionale.

Ambedue le clausole sono enunciate esplicitamente per sottolineare la necessità di conciliare una lotta efficace contro il terrorismo con il rispetto dei diritti fondamentali e si giustificano soprattutto in vista dell'apertura dello strumento a Stati non membri del Consiglio d'Europa.

31

CEDU; RS 0.101

1403

Lo Stato che applica questa disposizione e pertanto rifiuta l'estradizione richiesta, dovrà motivare allo Stato richiedente il suo rifiuto di dar seguito alla domanda di estradizione. In applicazione del medesimo principio, le Convenzioni europee di estradizione32 e di assistenza giudiziaria in materia penale33 prevedono l'obbligo di motivare qualsiasi rifiuto di estradizione o di assistenza giudiziaria.

Se l'estradizione è rifiutata per ragioni riguardanti i diritti dell'uomo, si applica l'articolo 7 della Convenzione per la repressione del terrorismo che istituisce la massima «aut dedere aut judicare» e lo Stato richiesto deve sottoporre la questione alle proprie autorità competenti per il perseguimento penale.

Art. 5 L'articolo 5 del Protocollo, di carattere potestativo, prevede che gli Stati contraenti possano concludere accordi per completare le disposizioni della Convenzione o per agevolare l'applicazione dei principi contenuti nella medesima. Ciò favorisce la realizzazione degli obiettivi della Convenzione. Una disposizione analoga si trova già segnatamente nella Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale34 come anche nella Convenzione europea di estradizione35.

Art. 6 L'articolo 6 paragrafo 2 del Protocollo conferisce al Comitato europeo sui problemi relativi alla criminalità (CDPC) la competenza generale di monitorare l'applicazione della Convenzione emendata ispirandosi ad altre Convenzioni europee in materia penale, ad esempio, al Protocollo addizionale alla Convenzione europea di estradizione36.

L'obbligo di tenere al corrente di cui nell'articolo 6 paragrafo 2 lettera a del Protocollo mira a tener informato il CDPC riguardo ad eventuali difficoltà d'interpretazione e applicazione della Convenzione emendata, in modo tale che il Comitato possa facilitare le composizioni amichevoli e proporre gli eventuali emendamenti necessari. I due compiti che la Convenzione attribuiva inizialmente al CDPC (essere informato circa l'applicazione della Convenzione e fare quanto necessario per facilitare una composizione amichevole delle difficoltà che potrebbero insorgere nel corso dell'esecuzione della Convenzione) sono stati ampliati37.

Il CDPC continua a esercitare una funzione generale di monitoraggio dell'applicazione della Convenzione emendata, senza comunque pregiudicare
la competenza di monitoraggio più specifica attribuita alla Conferenza degli Stati contraenti contro il terrorismo (COSTER) riguardo a talune disposizioni della Convenzione emendata.

Tale Conferenza è stata recentemente istituita dall'articolo 13 del Protocollo (risp.

dall'art. 17 della Convenzione emendata). Il CDPC e la COSTER hanno entrambi il compito di contribuire all'efficacia della Convenzione emendata. Il CDPC è un comitato governativo incaricato, in particolare, di attuare e monitorare la coopera32 33 34 35 36 37

Art. 18 par. 2 CEEstr.

Art. 19 CEAG.

Art. 26 par. 3 CEAG.

Art. 28 par. 2 CEEstr.

Art. 7 del Protocollo addizionale alla CEEstr.

I compiti addizionali sono elencati nelle lettere a­g dell'articolo 6 paragrafo 2 del Protocollo.

1404

zione internazionale in materia penale sotto l'autorità del Comitato dei Ministri. La COSTER, invece, è un comitato convenzionale istituito specificatamente ai fini della Convenzione emendata. Se necessario, i due comitati cooperano strettamente fra di loro.

Art. 7 In vista dell'apertura dello strumento a Stati non membri del Consiglio d'Europa, l'articolo 7 del Protocollo adegua l'arbitrato previsto dalla Convenzione.

La disposizione disciplina, per via d'arbitrato, il regolamento delle controversie riguardanti l'interpretazione o l'applicazione della Convenzione emendata che non sono state risolte grazie all'intervento del CDPC o al negoziato.

Tradizionalmente, le Convenzioni del Consiglio d'Europa ­ come la presente Convenzione ­ sono aperte esclusivamente agli Stati membri del medesimo Consiglio.

Grazie a tali strumenti la funzione del Presidente della Corte europea dei diritti dell'uomo assume un'importanza rilevante nell'ambito dell'arbitrato se si considera che tutti gli Stati membri del Consiglio d'Europa sono Stati contraenti della CEDU e che, quindi, sottostanno alla competenza della Corte europea dei diritti dell'uomo.

Tuttavia, l'apertura della Convenzione emendata agli Stati non membri conformemente all'articolo 10 del Protocollo deve tradursi in una procedura d'arbitrato idonea: se uno Stato non membro è coinvolto in una controversia, è necessario che possa intervenire una corte internazionale esterna alla struttura del Consiglio d'Europa. È il caso della presente disposizione che prevede sia un intervento del presidente della Corte europea dei diritti dell'uomo in caso di controversie tra Stati membri del Consiglio d'Europa sia un intervento del Presidente della Corte internazionale di giustizia, vale a dire di una corte internazionale esterna alla struttura del Consiglio d'Europa. In altri termini, ogni Stato nomina un arbitro e questi due arbitri ne nominano un terzo in qualità di presidente. Se uno Stato non ha nominato un arbitro o se gli arbitri non hanno nominato un presidente, l'arbitro o il Presidente mancante è nominato, su richiesta, dal Presidente della Corte internazionale di giustizia o dal Presidente della Corte europea dei diritti dell'uomo, a seconda che la controversia comprenda o no uno Stato non membro del Consiglio d'Europa.

Il tribunale stabilisce la propria
procedura riguardo a talune regole da rispettare, vale a dire che le sue decisioni sono adottate a maggioranza e che al presidente spetterà il voto decisivo qualora non sia raggiunta la maggioranza, il che vale in particolare quando una controversia coinvolge più di due Stati.

Art. 8 Questa disposizione tratta la procedura generale d'emendamento. Possono essere proposti emendamenti da ogni Stato contraente o dal Comitato dei Ministri conformemente alle procedure ordinarie di conclusione dei trattati del Consiglio d'Europa.

Il Comitato dei Ministri può così adottare gli emendamenti proposti alla maggioranza di cui all'articolo 20 lettera d dello Statuto del Consiglio d'Europa del 5 maggio 194938 pari ai due terzi dei voti espressi e a maggioranza dei rappresentanti aventi diritto di partecipare alle sedute del Comitato dei Ministri. Giusta l'articolo 12 paragrafo 2 della Convenzione emendata, gli emendamenti sono poi sottoposti agli 38

RS 0.192.030

1405

Stati contraenti e, se necessario, al CDPC. Se tutti gli Stati contraenti (membri e non membri del Consiglio d'Europa) notificano al Segretario Generale di averli accettati, l'articolo 12 paragrafo 3 della Convenzione emendata prevede che gli emendamenti così adottati entrino in vigore il trentesimo giorno successivo alla notifica dell'accettazione dell'ultimo Stato contraente.

In applicazione della procedura di conclusione dei trattati del Consiglio d'Europa e conformemente al ruolo attribuito al Segretario Generale del Consiglio d'Europa in qualità di depositario delle convenzioni europee, il Segretario Generale riceve gli emendamenti proposti (art. 12 par. 1 della Convenzione emendata), li trasmette agli Stati contraenti per accettazione (art. 12 par. 2 della Convenzione emendata), riceve la notifica d'accettazione da questi Stati e notifica loro l'entrata in vigore degli emendamenti (art. 12 par. 3 della Convenzione emendata).

Art. 9 La presente disposizione introduce una nuova procedura di emendamento semplificata, al fine di aggiornare l'elenco dei trattati di cui all'articolo 1 del Protocollo e della Convenzione. La semplificazione introdotta da questo nuovo articolo 13 paragrafo 1 della Convenzione emendata sostituisce il negoziato di un Protocollo addizionale con una procedura accelerata quando si tratta di aggiungere strumenti adatti dell'ONU all'elenco di cui all'articolo 1. Detta procedura accelerata d'emendamento rappresenta una novità concernente le convenzioni del Consiglio d'Europa. Essa s'ispira alle convenzioni vigenti dell'ONU in materia di lotta contro il terrorismo, quale la Convenzione per la repressione del finanziamento del terrorismo39.

Giusta l'articolo 13 paragrafo 1 della Convenzione emendata, la procedura accelerata sottostà a quattro condizioni di fondo: ­

l'emendamento riguarda l'elenco dei trattati dell'articolo 1 paragrafo 1 della Convenzione emendata;

­

l'emendamento concerne unicamente trattati conclusi in seno all'ONU, riguardanti specificamente il terrorismo internazionale, e già entrati in vigore.

Secondo l'articolo 13 paragrafo 1 della Convenzione emendata, questi emendamenti possono essere proposti da ciascuno Stato contraente o dal Comitato dei Ministri e sono comunicati agli Stati contraenti dal Segretario Generale del Consiglio d'Europa.

L'articolo 13 paragrafo 2 della Convenzione emendata prevede che le forme di consultazione e di adozione dell'emendamento proposto da parte del Comitato dei Ministri seguano la medesima procedura di cui all'articolo 12 paragrafo 2 della Convenzione emendata.

Le differenze procedurali tra l'articolo 12 della Convenzione emendata, il quale si riferisce alla procedura generale d'emendamento, e l'articolo 13 della medesima Convenzione, vertente sulla procedura d'emendamento semplificata, risiedono nella durata del periodo che precede l'entrata in vigore dell'emendamento, così come negli effetti dell'obiezione. Giusta l'articolo 12 paragrafo 3 della Convenzione emendata, tutti gli emendamenti effettuati secondo la procedura generale d'emen39

Art. 23 di detta Convenzione.

1406

damento entrano in vigore il trentesimo giorno successivo alla data in cui tutte le Parti hanno notificato la loro accettazione al Segretario Generale del Consiglio d'Europa. Giusta l'articolo 13 paragrafi 2­5 della Convenzione emendata, invece, un emendamento effettuato secondo la procedura semplificata entra in vigore un anno successivo alla data in cui viene trasmesso agli Stati contraenti, se meno di un terzo degli Stati contraenti notifica al Segretario Generale del Consiglio d'Europa un'obiezione all'entrata in vigore dell'emendamento (art. 13 par. 4 della Convenzione emendata). Se, giusta l'articolo 13 paragrafo 3 della Convenzione emendata, un terzo o più Stati contraenti notificano un'obiezione, l'emendamento non entrerà in vigore.

Di conseguenza, giusta l'articolo 13 della Convenzione emendata, affinché l'emendamento entri in vigore, non è necessario che tutti gli Stati contraenti comunichino la loro accettazione. Giusta l'articolo 13 paragrafo 4 della Convenzione emendata, l'emendamento entrerà in vigore per gli Stati che non hanno comunicato un'obiezione. Secondo l'articolo 13 paragrafo 5 della Convenzione emendata, l'emendamento entrerà in vigore per gli Stati che hanno notificato un'obiezione il primo giorno del mese successivo alla data in cui hanno comunicato la loro accettazione ulteriore al Segretario Generale del Consiglio d'Europa.

Art. 10 L'articolo 10 del Protocollo prevede l'apertura della Convenzione non soltanto agli Stati membri del Consiglio d'Europa, ma anche agli Stati che godono dello statuto di osservatori presso il Consiglio d'Europa e ad altri Stati.

Giusta il nuovo articolo 14 paragrafo 1 della Convenzione emendata, gli Stati osservatori presso il Consiglio d'Europa dispongono automaticamente della possibilità di aderire alla Convenzione come gli Stati membri.

Giusta l'articolo 14 paragrafo 3 della Convenzione emendata, il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, sentito il CDCP, può invitare gli altri Stati non membri ad aderire alla Convenzione. Questa differenza di trattamento tra Stati non membri con lo statuto di osservatori e quelli senza deriva dallo statuto speciale degli Stati osservatori presso il Consiglio d'Europa, il quale presuppone una decisione del Comitato dei Ministri.

Gli Stati osservatori potranno aderire alla Convenzione a partire
dall'entrata in vigore del Protocollo40.

Giusta l'articolo 14 paragrafo 4 della Convenzione emendata (vecchio art. 11 par. 3 della Convenzione, adattato per motivi formali), la Convenzione emendata entrerà in vigore negli Stati che non erano aderenti alla Convenzione tre mesi dopo la data del deposito dello strumento di ratifica, accettazione, approvazione o adesione.

Art. 12 L'articolo 12 del Protocollo definisce il regime delle riserve alla Convenzione emendata. Rappresenta il risultato di lunghi negoziati. Contrariamente al regime sancito dalla Convenzione, quello previsto è stato rivisto e sottoposto a un determinato numero di condizioni, così come a una procedura di monitoraggio.

40

Cfr. art. 18 del Protocollo.

1407

Giusta l'articolo 12 paragrafo 1 del Protocollo, le riserve formulate alla Convenzione prima dell'apertura alla firma del Protocollo non si applicano alla Convenzione emendata.

Il nuovo regime delle riserve è, tuttavia, subordinato alle seguenti condizioni: ­

giusta gli articoli 12 paragrafo 3 del Protocollo e 16 paragrafo 1 della Convenzione emendata, soltanto gli Stati che hanno aderito alla Convenzione in data 15 maggio 2003 possono formulare una riserva;

­

giusta l'articolo 12 paragrafi 1 e 7 del Protocollo, le riserve che questi Stati hanno potuto formulare giusta l'articolo 13 della Convenzione decadono alla data dell'entrata in vigore della Convenzione emendata e tali Stati hanno la possibilità di formulare una riserva all'atto della firma o del deposito del loro strumento di ratifica, accettazione o approvazione della Convenzione emendata;

­

uno Stato che formula una simile riserva può rifiutare l'estradizione relativa ai reati citati all'articolo 1. Tuttavia, giusta gli articoli 12 paragrafo 3 del Protocollo e 16 paragrafo 1 della Convenzione emendata, questo Stato deve applicare la riserva caso per caso, con «decisione debitamente motivata», vale a dire una dichiarazione scritta adeguata che spieghi in modo chiaro e dettagliato i motivi di fatto e di diritto che hanno portato alla decisione di rifiutare la domanda di estradizione. Infine deve tenere conto, nel valutare la natura del reato, gli aspetti particolarmente gravi del reato come descritti a titolo di esempio nell'articolo 16 paragrafo 1 lettere a­c della Convenzione emendata che riprende il contenuto dei sottoparagrafi a­c dell'articolo 13 paragrafo 1 della Convenzione.

Considerati questi elementi, lo Stato richiesto è libero di accordare o rifiutare l'estradizione, fatta riserva delle altre condizioni di cui all'articolo 12 del Protocollo (risp. dell'articolo 16 della Convenzione emendata).

Contrariamente all'articolo 13 della Convenzione secondo cui le riserve hanno validità illimitata, l'articolo 12 paragrafo 7 del Protocollo prevede i seguenti complementi: ­

giusta l'articolo 16 paragrafo 5 della Convenzione emendata, le riserve sono valide per un periodo di tre anni dalla data di entrata in vigore della Convenzione emendata. Allo scadere di tale periodo la riserva decade, a meno che non venga espressamente rinnovata;

­

l'articolo 16 paragrafo 6 della Convenzione emendata prevede una procedura di scadenza automatica delle riserve non rinnovate. Giusta l'articolo 16 paragrafo 6 della Convenzione emendata, uno Stato contraente che mantiene la sua riserva deve inoltre fornire una spiegazione sui motivi che ne giustificano il mantenimento. L'articolo 16 paragrafi 5 e 6 della Convenzione emendata s'ispira all'articolo 38 paragrafi 1 e 2 della Convenzione penale del 27 gennaio 1999 sulla corruzione («Validità ed esame di dichiarazioni e riserve»), firmata dalla Svizzera. Con tali disposizioni s'intende garantire l'esame periodico delle riserve formulate da parte degli Stati contraenti;

­

uno Stato che, in applicazione dell'articolo 16 della Convenzione emendata, rifiuti di estradare una persona deve applicare gli articoli 6 e 7 della Convenzione. Giusta l'articolo 16 paragrafo 7 della Convenzione emendata, nel caso in cui rifiutasse una domanda d'estradizione di uno Stato richiedente, lo Sta-

1408

to richiesto sottoporrà il caso alle autorità competenti perché avviino il procedimento penale. Tuttavia, lo Stato richiesto e quello richiedente possono convenire di non sottoporre il caso alle autorità preposte al perseguimento penale dello Stato richiesto. In questo modo se lo Stato richiedente o quello richiesto ritiene di non aver riunito elementi a sufficienza per portare il caso dinanzi al giudice dello Stato richiesto, può rivelarsi più opportuno proseguire l'indagine fino a quando il caso è considerato suscettibile di essere giudicato. Giusta l'articolo 16 paragrafo 7 della Convenzione emendata, quando lo Stato richiesto sottopone il caso alle sue autorità preposte al perseguimento penale, queste ultime devono esaminare il caso e adottare le proprie decisioni allo stesso modo che si trattasse di un qualsiasi reato di natura grave previsto dalla legislazione di tale Stato; lo Stato richiesto deve comunicare l'esito finale del procedimento allo Stato richiedente e al Segretario Generale del Consiglio d'Europa che lo inoltrerà alla COSTER; ­

l'articolo 16 paragrafo 8 della Convenzione emendata rafforza la massima «aut dedere aut judicare», poiché prevede l'obbligo di comunicare, il più presto possibile, la decisione di rifiuto allo Stato richiedente.

Le espressioni «senza indebito ritardo » nell'articolo 16 paragrafo 7 e «entro un lasso di tempo ragionevole » nell'articolo 16 paragrafo 8 della Convenzione emendata sono sinonimi e lasciano un certo margine d'interpretazione che varia a seconda delle circostanze e della complessità del caso, nonché della persona all'origine della domanda d'estradizione.

Se lo Stato richiedente ritenesse che lo Stato richiesto che ha formulato una riserva non soddisfi le condizioni di cui all'articolo 16 paragrafo 1 (decisione debitamente motivata, ecc.), all'articolo 16 paragrafo 2 (reati cui si applica la riserva e che non sono citati nella dichiarazione emessa dallo Stato richiesto) e/o all'articolo 16 paragrafo 7 della Convenzione emendata (massima «aut dedere aut judicare» come stabilita e non rispettata), ad esempio perché, giusta l'articolo 16 paragrafo 7 della Convenzione emendata non ha pronunciato alcuna decisione giudiziaria entro un lasso di tempo ragionevole, allora lo Stato richiedente può adire la COSTER.

Art. 13 Questa disposizione introduce l'articolo 17 della Convenzione emendata relativa all'istituzione della Conferenza degli Stati contraenti, la cosiddetta «COSTER» («Contracting States against Terrorism», in italiano: Stati contraenti contro il terrorismo) incaricata di diversi compiti legati al monitoraggio dell'applicazione della Convenzione.

Tutti gli Stati contraenti possono partecipare alla Conferenza, concepita sulla base del modello della Convenzione del 23 novembre 2001 sulla cibercriminalità che è stata firmata dalla Svizzera.

L'istituzione di tale comitato speciale di monitoraggio non pregiudica le competenze attribuite al CDPC con il quale la COSTER è invitata a cooperare strettamente nell'esercizio delle sue funzioni. La COSTER svolge attività importanti nell'ambito delle riserve formulate. Più precisamente, è incaricata di garantire la procedura d'esame tesa a valutare se un rifiuto di estradizione è conforme alle disposizioni della Convenzione.

1409

L'articolo 17 della Convenzione emendata incarica inoltre la COSTER di esercitare un compito più ampio nel quadro delle attività giuridiche svolte dal Consiglio d'Europa in vista della lotta contro il terrorismo: ­

giusta l'articolo 17 paragrafo 1 lettera c della Convenzione emendata, funge da piattaforma di scambio d'informazioni sugli sviluppi giuridici e politici;

­

giusta l'articolo 17 paragrafo 1 lettera d della Convenzione emendata, esamina, su richiesta del Comitato dei Ministri, i nuovi provvedimenti giuridici in materia di lotta al terrorismo adottati in seno al Consiglio d'Europa e formula proposte di provvedimenti addizionali necessari, segnatamente per rafforzare la cooperazione internazionale in questo settore;

­

infine, in applicazione dell'articolo 17 paragrafo 1 lettera e prepara pareri nell'ambito della lotta al terrorismo ed esegue mandati conferiti al Comitato dei Ministri.

3

Riserva

3.1

Rinuncia da parte della Svizzera di formulare una riserva all'atto della ratifica del Protocollo

Gli atti di violenza particolarmente aberranti che rientrano nel campo d'applicazione del Protocollo sono talmente gravi, considerati i mezzi cui si è ricorsi, o le conseguenze sono così sproporzionate rispetto ai moventi dei loro autori, da non poter essere considerati reati politici. L'elemento penale di tali atti prevale sui loro eventuali aspetti politici.

La Svizzera, d'altronde, è Stato contraente di due strumenti dell'ONU che instaurano la «spoliticizzazione » di atti terroristici. In effetti, sia l'articolo 11 della Convenzione per la repressione degli attentati terroristici con esplosivo sia l'articolo 14 della Convenzione per la repressione del finanziamento del terrorismo contengono una clausola che prevede la «spoliticizzazione » dei reati cui si applicano a riguardo della necessità dell'assistenza giudiziaria e dell'estradizione tra Stati contraenti. Il 23 otttobre 2003 questi strumenti sono entrati in vigore per la Svizzera. Nessuno Stato che abbia ratificato tali strumenti può depositare una riserva in materia. Di conseguenza, la Svizzera è Stato contraente di due strumenti che mirano espressamente a una «spoliticizzazione » senza riserve nel settore della cooperazione giudiziaria internazionale penale in materia di lotta contro il terrorismo. La «ratio legis» di tali clausole è legata alla gravità dei reati in questione che non possono più essere considerati politici. Il fatto che la Svizzera ratifichi il Protocollo senza formulare una riserva rappresenta una logica conseguenza della politica svizzera in materia di «spoliticizzazione» dei reati terroristici.

Anche il diritto interno svizzero prevede la «spoliticizzazione» di alcuni atti gravi.

Giusta l'articolo 3 capoverso 2 AIMP, ad esempio, l'irricevibilità del carattere politico del reato non si limita soltanto ai reati terroristici. Tale diposizione si applica in particolare qualora l'atto sembri particolarmente reprensibile poiché l'autore, a scopo di estorsione o coazione, ha messo (o ha minacciato di mettere) in pericolo la libertà, la vita o l'integrità fisica di persone. Il reato politico non è definito e ciò lascia un margine d'apprezzamento allo Stato interessato. La giurisprudenza del Tribunale federale sul riconoscimento del carattere politico preponderante di un 1410

reato politico relativo o di un reato connesso a un reato politico relativo ­ fatto valere dalla persona perseguita nello Stato richiedente in virtù dell'articolo 3 AIMP summenzionato ­ è restrittiva. Lo stesso vale per la giurisprudenza sui reati politici assoluti41.

È ben vero che la portata della «spoliticizzazione» istituita dagli strumenti dell'ONU di cui sopra e dal Protocollo esula dal quadro stabilito all'articolo 3 capoverso 2 AIMP. Tuttavia, visto che secondo l'attuale articolo 1 AIMP prevalgono gli accordi internazionali, sia le clausole delle due Convenzioni dell'ONU sia quella del presente Protocollo, il quale prevede la «spoliticizzazione » dei reati terroristi contenuti in questi strumenti, sono conformi al diritto interno svizzero.

Tuttavia, anche se la Svizzera dispone della possibilità, in quanto Stato aderente alla Convenzione che ha già formulato un riserva alla Convenzione, di fare una riserva all'atto della ratifica del Protocollo, le conviene rinunciarvi. Ciò consentirà, da un lato, di armonizzare la politica svizzera in materia di «spoliticizzazione » in considerazione degli strumenti dell'ONU già in vigore nel nostro Paese, dall'altro, di condannare fermamente tali atti gravi e aberranti, che costituiscono i reati di cui nel Protocollo e che spesso colpiscono persone estranee a tali reati, ratificando senza riserva il Protocollo.

Occorre ancora precisare che il contesto in cui s'iscrive il reato politico ha subito dei cambiamenti nel corso del tempo. I più recenti strumenti adottati a livello mondiale per lottare contro il terrorismo non permettono che con l'allegazione del carattere politico del reato si possa ostacolare la cooperazione. Le clausole di non discriminazione previste negli strumenti già in vigore in Svizzera assicurano segnatamente un processo e un trattamento equi nei confronti della persona perseguita.

Il Consiglio d'Europa garantisce il rispetto dei diritti dell'uomo. In questo contesto non è pensabile che il Protocollo sia aperto a uno Stato totalitario in cui vige l'arbitrio. Inoltre le clausole di non discriminazione permettono di premunirsi contro eventuali domande abusive. In effetti il Protocollo istituisce un regime di salvaguardia dei valori fondamentali in relazione con i diritti dell'uomo. La persona interessata dispone di un diritto che può
far valere nei confronti dello Stato richiesto di non cooperare nel caso in cui lo Stato richiedente celasse l'effettiva natura della sua domanda. In conclusione, la persona perseguita nel procedimento straniero può invocare in ogni caso le norme cogenti e obbligatorie del diritto internazionale pubblico alle quali soggiace anche la Svizzera, indipendentemente dall'esistenza di accordi bilaterali o multilaterali stipulati con lo Stato richiedente, i quali possono giustificare un rifiuto della Svizzera di cooperare. Di conseguenza, il diritto internazionale pubblico cogente e il Protocollo offrono garanzie sufficienti.

41

L'Alta Corte ha, in effetti, negato il carattere politico dell'assassinio di un senatore della Repubblica italiana rivendicato come tale: DTF D, del 15 febbraio 1990, consid. 6 citato da Robert Zimmermann, La coopération judiciaire internationale en matière pénale, 2a ed., n. 382, pag. 428 nota 424. A riguardo delle nozioni di reato politico relativo e assoluto, cfr.n. 384s., pagg. 429­431.

1411

3.2

Ritiro della riserva formulata dalla Svizzera all'atto della ratifica della Convenzione

La Convenzione è aperta esclusivamente agli Stati membri del Consiglio d'Europa.

Essa contiene una clausola che permette di formulare una riserva secondo cui lo Stato richiesto è autorizzato a rifiutare l'estradizione a riguardo di ogni reato cui si applica la Convenzione che considera essere reato politico.

Il 19 maggio 1983, quando ha depositato il suo strumento di ratifica della Convenzione, la Svizzera ha formulato la seguente riserva all'articolo 1: ­

«La Svizzera si riserva il diritto di rifiutare l'estradizione riguardo a qualsiasi reato citato all'articolo 1 che essa consideri un reato politico, un reato connesso a un reato politico o un reato ispirato da ragioni politiche; in questo caso, la Svizzera si impegna di tener debito conto, nel valutare la natura del reato, di ogni aspetto particolarmente grave, ivi incluso: a. il fatto che esso ha costituito un pericolo collettivo per la vita, integrità fisica o libertà delle persone; o b. il fatto che abbia colpito persone estranee alle ragioni che l'hanno ispirato; o c. il fatto che si è ricorso a mezzi crudeli o malvagi nel perpetrare il reato.»

Nel nostro Paese la Convenzione è entrata in vigore il 20 agosto 1983. Nel corso degli anni la Svizzera non ha dovuto applicare questa riserva.

In virtù delle ragioni presentate a sostegno della proposta secondo cui la Svizzera rinuncerebbe a formulare una riserva al Protocollo, sarebbe opportuno che il nostro Paese, all'atto della ratifica del Protocollo, rinunciasse anche alla riserva formulata in occasione della ratifica della Convenzione.

Giusta l'articolo 12 del Protocollo, le riserve che gli Stati hanno potuto formulare in virtù della Convenzione decadono all'entrata in vigore del Protocollo. Tali Stati hanno inoltre la possibilità di formulare riserve al momento della firma o del deposito dello strumento di ratifica, accettazione o approvazione. Di conseguenza, affinché la riserva fatta in occasione della ratifica della Convenzione decada, la Svizzera deve semplicemente rinunciare a formulare una riseva all'atto della ratifica del Protocollo.

In occasione della ratifica del Protocollo sarebbe opportuno autorizzarci a rinunciare alla riserva formulata dalla Svizzera alla Convenzione. Come menzionato prima, questa rinuncia rappresenta la conseguenza logica della politica svizzera di «spoliticizzazione» a riguardo dei reati terroristici, nel rispetto delle convenzioni dell'ONU già in vigore nel nostro Paese. Tale rinuncia tiene anche in conto l'evoluzione del contesto del reato politico, il quale ha subito dei cambiamenti nel corso del tempo, ed equivale a una ferma condanna degli atti gravi e aberranti che costituiscono i reati terroristici le cui vittime sono spesso civili innocenti estranei a detti reati.

1412

4

Conseguenze

4.1

Conseguenze finanziarie e sull'effettivo del personale

4.1.1

Per la Confederazione

Il Protocollo non avrà alcuna conseguenza finanziaria sul piano federale e non implica l'impiego di personale supplementare. Per la Svizzera il Protocollo non comporta obblighi diversi da quelli che soddisfa già in applicazione dei due strumenti dell'ONU, ovvero la Convenzione per la repressione di attentati terroristici con esplosivo e la Convenzione per la repressione del finanziamento del terrorismo.

4.1.2

Per i Cantoni e i Comuni

Sul piano cantonale il Protocollo non comporta né spese supplementari né un aumento del personale.

4.2

Ripercussioni sul piano informatico

Presumibilmente il Protocollo non avrà alcuna ripercussione sul piano informatico.

4.3

Ripercussioni economiche

Il Protocollo non dovrebbe avere alcuna ripercussione economica se non quella di migliorare le condizioni di sicurezza interna per il nostro Paese. In questo senso è uno strumento che promuove l'economia e la piazza finanziaria svizzere.

5

Programma di legislatura

Il messaggio è previsto dal rapporto sul programma di legislatura 2003­200742. Per realizzare l'obiettivo di garantire la sicurezza, occorre rafforzare la cooperazione internazionale in materia di giustizia e polizia43. In particolare, la ratifica del Protocollo intensifica la cooperazione giudiziaria in materia penale al fine di lottare efficacemente contro la criminalità internazionale.

6

Rapporto con il diritto europeo

Il Protocollo, emanato dal Consiglio d'Europa ed elaborato di concerto con gli Stati membri dell'Unione europea che hanno partecipato attivamente ai negoziati concernenti questo strumento, è compatibile con il diritto europeo. In occasione dei nego-

42 43

FF 2004 1022 Cfr. FF 2004 1077: disegno di decreto federale sugli obiettivi del programma di legislatura 2003­2007, art. 10 lett. b.

1413

ziati del Protocollo, infatti, sono stati profusi sforzi tesi a evitare la presenza di clausole che potrebbero rivelarsi incompatibili con il diritto europeo.

In questo senso il Protocollo promuove la cooperazione giudiziaria in materia penale a livello europeo ed extra europeo, in particolare perché è stato aperto alla firma degli Stati osservatori, nonché degli Stati che il Comitato dei Ministri deciderà di invitare. Rappresenta una base giuridica moderna ed efficace per lottare contro il terrorismo che s'ispira , in particolare, agli strumenti dell'ONU.

7

Costituzionalità

Giusta l'articolo 54 capoverso 1 della Costituzione federale, gli affari esteri competono alla Confederazione. Di conseguenza, il nostro Collegio firma i trattati internazionali con gli Stati esteri e li sottopone per approvazione all'Assemblea federale in applicazione dell'articolo 184 capoverso 2 della Costituzione. La competenza dell'Assemblea federale di approvare i trattati internazionali è contemplata all'articolo 166 capoverso 2 della Costituzione federale.

Giusta l'articolo 141 capoverso 1 lettera d della Costituzione, i trattati internazionali sottostanno al referendum facoltativo se sono di durata indeterminata e indenunciabili, se prevedono l'adesione a un'organizzazione internazionale o se comprendono disposizioni importanti che contengono norme di diritto o per l'attuazione dei quali è necessaria l'emanazione di leggi federali.

Occorre valutare se questo strumento comprende disposizioni importanti che contengono norme di diritto o se, per attuarlo, è necessaria l'emanazione di leggi federali. Per disposizioni che contengono norme di diritto secondo l'articolo 22 capoverso 4 della legge sul Parlamento44, s'intendono disposizioni che, in forma direttamente vincolante e in termini generali ed astratti, impongono obblighi, conferiscono diritti o determinano competenze. Giusta l'articolo 164 capoverso 1 della Costituzione, sono considerate importanti le disposizioni che, in termini di diritto interno, devono essere emanate sotto forma di legge nel senso formale. Per gli Stati membri il nuovo strumento istituito dal Protocollo comporta obblighi segnatamente in materia di estradizione; il Protocollo impone quindi obblighi nei confronti dei cittadini e determina competenze per le autorità incaricate della sua applicazione. Detto strumento comprende dunque disposizioni che contengono norme di diritto e tali disposizioni vanno considerate importanti nella misura in cui, dovendo essere emanate a livello nazionale, potrebbero esserlo soltanto sotto forma di legge nel senso formale, conformemente all'articolo 164 capoverso 1 lettere b e c della Costituzione. Da quanto detto risulta che il decreto d'approvazione del Protocollo sottostà al referendum facoltativo in materia di trattati internazionali in virtù dell'articolo 141 capoverso 1 lettera d numero 3 della Costituzione.

44

Legge federale del 13 dicembre 2002 sull'Assemblea federale; LParl; RS 171.10.

1414