09.052 Rapporto sulla politica estera 2009 del 2 settembre 2009

Onorevoli presidenti e consiglieri, vi sottoponiamo, per conoscenza, il rapporto sulla politica estera 2009.

Gradite, onorevoli presidenti e consiglieri, l'espressione della nostra alta considerazione.

2 settembre 2009

In nome del Consiglio federale svizzero: Il presidente della Confederazione, Hans-Rudolf Merz La cancelliera della Confederazione, Corina Casanova

2008-3098

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Compendio Con la sua politica estera la Svizzera difende i propri interessi nei confronti degli altri Paesi ed elabora proposte per risolvere problemi regionali e globali di attualità.

Il presente rapporto offre una visione d'insieme dello stato attuale della politica estera svizzera. Oltre a illustrare le più importanti sfide presenti e future, fa un resoconto delle principali attività dalla pubblicazione del Rapporto sulla politica estera del giugno 2007.

Conferendo una nuova veste al rapporto sulla politica estera, il Consiglio federale accoglie la richiesta espressa nel postulato della Commissione della politica estera del Consiglio degli Stati (06.3417) di rimpiazzare i diversi rapporti presentati periodicamente con un solo e unico rapporto annuale che copra l'insieme delle attività di politica estera della Svizzera. Il presente rapporto include quindi anche il rapporto annuale sulle misure di promozione civile della pace e di rafforzamento dei diritti dell'uomo, il rapporto sulla Svizzera e l'ONU e il rapporto annuale sulle attività della Svizzera nel Consiglio d'Europa.

Nuove sfide (n. 2) In questi ultimi decenni la globalizzazione ha subito un'accelerazione tale da provocare tutta una serie di rivolgimenti nel panorama politico internazionale.

Il presente rapporto evidenzia tre sfide fondamentali, che quasi sicuramente saranno determinanti non soltanto per la nostra politica estera, ma anche per le relazioni internazionali, ossia: ­

il mutamento degli equilibri di potere in ambito economico e politico a livello mondiale (n. 2.2);

­

l'aumento delle crisi e dei rischi sistemici di portata globale illustrato sull'esempio della crisi finanziaria ed economica, della problematica energetica e dei cambiamenti climatici (n. 2.3), e

­

la necessità di riformare le istituzioni internazionali esistenti adeguandole alla nuova situazione geopolitica (n. 2.4).

Una politica estera del dialogo Nella sua politica estera il Consiglio federale vorrebbe valorizzare maggiormente uno strumento che si è rivelato molto valido in politica interna, ma che spesso non è impiegato in misura sufficiente nell'attuale politica internazionale: il dialogo (n. 2.5). Questo strumento presuppone la volontà di cercare lo scambio al di là degli abituali confini geografici, tematici e istituzionali e l'apertura verso approcci e partenariati innovativi sia in seno alle organizzazioni internazionali sia nei confronti dei nuovi attori del settore privato. Il dialogo non pretende di essere una panacea per tutti i mali e non sarà sufficiente per risolvere tutti i problemi. Va piuttosto inteso come condizione minima per trovare una soluzione vera e propria:

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in un'atmosfera di rispetto reciproco risulta infatti più semplice individuare interessi comuni ed elaborare soluzioni accettabili.

La sfida delle operazioni militari nella politica della pace e della sicurezza La politica internazionale nel suo insieme non può limitarsi unicamente al dialogo e alla diplomazia. È chiamata anche a intervenire a favore della pace e della sicurezza internazionali con misure coercitive e disciplinari militari e di polizia. Le problematiche in questo settore sono oggi notevoli, tanto più che in diverse zone di conflitto non esiste più alcun ordine statale in grado di funzionare. Come dimostra la discussione sulla pirateria nel Golfo di Aden, anche la Svizzera deve far fronte a questa specifica sfida (n. 2.6).

Tre assi principali della politica estera svizzera (n. 3.1) La politica estera non concerne soltanto le relazioni con gli Stati e le regioni, ma praticamente tutti i settori politici ed è caratterizzata da una molteplicità di attori.

Per dare un orientamento almeno a grandi linee, il presente rapporto articola tutta la politica estera lungo tre assi principali.

Asse geografico Il primo asse principale riguarda le relazioni che la Svizzera intrattiene con tutti gli altri Stati e le regioni del mondo. Oltre alle priorità all'interno dello spazio europeo, si tratta soprattutto di tener conto dei nuovi equilibri di potere al momento di configurare le nostre relazioni bilaterali.

Asse tematico Il secondo asse principale concerne i singoli argomenti o le politiche settoriali, in quanto parti integranti della politica estera. Per la Svizzera si tratta soprattutto di trovare risposta alle numerose crisi e ai rischi sistemici di portata globale, di adeguarsi al mutato contesto internazionale e di fornire un contributo alla soluzione dei problemi sia con iniziative proprie sia partecipando attivamente a meccanismi e programmi internazionali.

Asse istituzionale Oggetto del terzo asse è l'esame delle possibilità con cui rafforzare la cooperazione internazionale e riformare le istituzioni e i meccanismi multilaterali affinché siano in grado di affrontare gli attuali problemi globali.

Primo asse principale: buone relazioni con Stati e regioni (n. 3.2) Nei rapporti bilaterali con l'insieme della comunità internazionale la Svizzera segue il principio, rivelatosi valido,
dell'universalità e si adopera per avere le migliori relazioni possibili con tutti gli Stati e le regioni (n. 3.2.1).

Europa Quale Paese europeo per eccellenza, la Svizzera rimane strettamente legata al destino dell'Europa (n. 3.2.2).

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L'UE, nel suo complesso, è il partner più importante della Svizzera (n. 3.2.2.1). La via bilaterale, percorsa assieme dall'UE e dalla Svizzera, si è rivelata valida e ha prodotto una fitta rete di accordi internazionali conclusi nell'interesse reciproco. Il Consiglio federale rimane fedele agli obiettivi definiti nei confronti dell'UE che riguardano l'attuazione degli accordi esistenti e lo sviluppo e il consolidamento delle relazioni. Non essendo possibile continuare incondizionatamente sulla via bilaterale, occorre riesaminare periodicamente la politica nei confronti dell'UE.

Oltre al quadro contrattuale concordato con l'UE, per tutelare i nostri interessi risultano particolarmente importanti i rapporti bilaterali con i singoli Stati europei.

La Svizzera si considera un partner solidale dell'Europa che si preoccupa per lo sviluppo del continente e delle regioni confinanti (n. 3.2.2.2).

Il nostro Paese è membro di numerosi programmi e organizzazioni regionali, tra cui l'Associazione europea di libero scambio (AELS), il Consiglio d'Europa, l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), il Partenariato per la pace (PfP), l'Organizzazione europea per la ricerca nucleare (CERN) e l'Agenzia spaziale europea (ESA). L'appartenenza a simili organizzazioni consente alla Svizzera di partecipare attivamente in molti settori specifici alla configurazione della politica europea (n. 3.2.2.3).

Le altre regioni del mondo In considerazione dei nuovi equilibri di potere che si stanno affermando a livello mondiale, la Svizzera farà bene a dotarsi di nuovi e saldi punti d'appoggio al di fuori del continente e a consolidarli, oltre che a mantenere le priorità in Europa.

Nel 2005 il Consiglio federale ha formulato le direttive corrispondenti e la diplomazia svizzera è ora impegnata a costruire e ad approfondire, oltre alle relazioni con l'Europa, la Russia e la Turchia, quelle con gli Stati Uniti (n. 3.2.3), con le tre grandi potenze asiatiche Cina, India e Giappone (n. 3.2.4), con il Sudafrica (n. 3.2.6) e il Brasile (n. 3.2.3). Il presente rapporto contiene un bilancio intermedio positivo di questa politica: infatti, è già stato possibile registrare una notevole intensificazione degli scambi e miglioramenti concreti della cooperazione.

La politica dell'universalità rimane il punto fermo
dei rapporti bilaterali.

Un'importanza particolare, soprattutto nel contesto multilaterale, la assumono anche i piccoli Stati (n. 3.2.7).

Secondo asse principale: risposte alle sfide globali (n. 3.3) La maggior parte degli attuali problemi di politica estera supera le possibilità di un singolo Stato e non può essere risolta nell'ambito della cooperazione puramente bilaterale o regionale: si tratta infatti di sfide globali che richiedono soluzioni globali.

Crisi finanziaria ed economica, cambiamenti climatici, energia e salute Il presente rapporto tratta innanzitutto le tre grandi problematiche legate alla crisi finanziaria ed economica (n. 3.3.1), ai cambiamenti climatici (n. 3.3.2) e alla politica energetica (n. 3.3.3). Questi tre settori ­ come anche le questioni inerenti alla

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politica estera in materia sanitaria (n. 3.3.4) ­ dimostrano chiaramente che le attuali crisi e i rischi sistemici non si fermano ai confini nazionali, ma si ripercuotono direttamente sulle nostre condizioni di vita e possono essere risolti soltanto mediante una cooperazione internazionale più forte.

Disarmo e non proliferazione Il mondo continua a essere caratterizzato da ingenti arsenali e dal pericolo della proliferazione di armi di distruzione di massa. In considerazione dei nuovi equilibri di potere che si stanno affermando nel mondo, gli sforzi compiuti nel settore del disarmo e della non proliferazione assumono un'importanza particolare. In questo settore la Svizzera è tradizionalmente molto impegnata e continuerà a intensificare il proprio impegno soprattutto in merito alla questione della non proliferazione nucleare (n. 3.3.5).

Promozione della pace Con la promozione della pace (n. 3.3.6) la Svizzera intende contribuire a una migliore comprensione e a una risoluzione pacifica delle controversie tra parti in conflitto o belligeranti. Grazie alla sua storia, alla sua neutralità riconosciuta e alla rinuncia consapevole a mezzi coercitivi (a meno che il loro impiego non sia legittimato dall'ONU), il nostro Paese gode di grande credibilità e di una posizione privilegiata nell'ambito della promozione della pace. Aree prioritarie del suo impegno sono, tra le altre, l'Europa sudorientale, l'Africa occidentale e centrale e il Nepal.

Sicurezza umana e diritto internazionale umanitario In politica estera la Svizzera s'impegna particolarmente sul fronte della sicurezza umana e del diritto internazionale umanitario (n. 3.3.7). L'obiettivo principale consiste nel tutelare i diritti dei singoli sia in tempo di pace che di guerra, nel proteggere gli esseri umani dall'arbitrio e da trattamenti crudeli e nel negoziare e mantenere, assieme ad altri Stati e ad attori privati, regole vincolanti atte a garantire un comportamento rispettoso della dignità umana in tutte le situazioni. Le sfide in questi settori sono considerevoli; di fronte a svariate polarizzazioni di natura politica il consenso minaccia infatti spesso di venir meno e anche il confine tra attori statali e non statali risulta oggi estremamente labile. La Svizzera cerca di contrastare questa situazione con tutta una serie di iniziative impegnandosi,
tra l'altro, per rafforzare l'esame periodico, in seno al Consiglio dei diritti dell'uomo dell'ONU, della situazione dei diritti umani nei singoli Stati, per fissare una nuova Agenda dei diritti umani, per migliorare l'accesso umanitario nelle zone di conflitto, per disciplinare le attività di aziende militari e della sicurezza private e per rafforzare la Corte penale internazionale.

Cooperazione allo sviluppo L'obiettivo della cooperazione allo sviluppo (n. 3.3.8) ­ sostenere i Paesi in sviluppo nel loro impegno volto a ridurre la povertà ­ rimane invariato. È cambiato invece il contesto relativo alle attività concrete, caratterizzato da numerose crisi (p. es. finanziarie, climatiche e alimentari) e da nuovi sforzi intesi a riconfigurare

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tutta la concezione della cooperazione allo sviluppo per darle un'impronta maggiormente incentrata sugli obiettivi e sull'efficacia degli interventi. Nel 2008 il Consiglio federale e il Parlamento hanno adottato una nuova strategia in materia di politica di sviluppo. La Svizzera aumenta i propri sforzi per migliorare le condizioni quadro globali favorevoli a uno sviluppo equo e sostenibile e riorienta i programmi nazionali, regionali e le priorità tematiche. Il presente rapporto fornisce un bilancio intermedio dei lavori in corso, accompagnati anche da una riorganizzazione completa della Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) in seno al DFAE.

Terzo asse principale: consolidamento del sistema multilaterale (n. 3.4) In quanto attore relativamente piccolo e isolato, alla Svizzera preme particolarmente che nelle relazioni internazionali il diritto prevalga sulla forza e che, mediante regolamentazioni globali, siano presi in dovuta considerazione anche gli interessi degli Stati meno potenti. Occorre riformare gli attuali meccanismi e le organizzazioni internazionali per tenere conto dei nuovi equilibri di potere sulla scena politica mondiale e contribuire efficacemente a migliorare il coordinamento internazionale e a risolvere le problematiche in tutti i settori politici.

ONU L'ONU è l'organizzazione internazionale più rappresentativa e meglio legittimata.

Riveste quindi la massima importanza sul piano della politica estera multilaterale della Svizzera (n. 3.4.1). Per questa ragione il nostro Paese s'impegna attivamente a favore delle riforme in corso (relative al Consiglio di sicurezza, al Consiglio dei diritti dell'uomo e ad altri settori e attività dell'organizzazione) e del potenziamento del sistema dell'ONU nel suo complesso.

Importante è anche l'impegno finanziario e personale di cui il nostro Paese deve dare prova in seno all'ONU se vuole continuare a mantenere e a consolidare la propria presenza nell'organizzazione internazionale e il suo ruolo tradizionale di Stato ospite (la Ginevra internazionale).

FMI, Banca mondiale, OMC e OCSE Così come l'ONU, numerosi altri meccanismi e organizzazioni internazionali si trovano a dover prendere decisioni difficili considerato il momentaneo pericolo di crisi a livello mondiale. Nel presente rapporto sono trattati il Fondo monetario
internazionale (n. 3.4.2), la Banca mondiale (n. 3.4.3), l'Organizzazione mondiale del commercio (n. 3.4.4) e l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (n. 3.4.5).

Affari consolari (n. 4) Negli ultimi anni le prestazioni consolari della Svizzera destinate a privati, ditte e organizzazioni all'estero sono notevolmente aumentate (n. 4.1). L'adesione agli Accordi di Schengen e Dublino ha introdotto nuovi strumenti nel settore dei visti e dell'asilo. La protezione consolare, ossia l'aiuto a privati che si trovano in situazioni d'emergenza, solleva alcune domande sul ruolo del sostegno statale e sulle possibilità, da parte delle rappresentanze svizzere in loco, di prestare aiuto (n. 4.2).

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Negli ultimi anni il DFAE è riuscito a rendere professionale la gestione e la prevenzione delle crisi anche se, come avviene nel settore della protezione consolare, risulta difficile soddisfare le aspettative dei cittadini viste le attuali basi legali e finanziarie (n. 4.3). Il numero degli Svizzeri all'estero immatricolati continua ad aumentare (n. 4.4). Sono stati lanciati alcuni progetti intesi a migliorare i servizi in questo specifico settore.

Riorganizzazione del DFAE (n. 5) La politica estera che il DFAE attua in collaborazione con gli altri dipartimenti necessita di risorse adeguate. In considerazione del limitato budget della Confederazione, il DFAE intraprende un'ampia riorganizzazione del Dipartimento che condurrà a un ulteriore aumento dell'efficacia e dell'efficienza delle sue attività (n. 5.1). Attualmente la riorganizzazione concerne, nella centrale (n. 5.2), la Direzione dello sviluppo e della cooperazione, la Direzione delle risorse e della rete esterna (trasformazione in fornitore di prestazioni alle altre unità organizzative) e la Segreteria generale (raggruppamento e rafforzamento dell'Ispettorato, dei servizi d'informazione e della comunicazione dell'immagine nazionale/Presenza Svizzera).

Le riforme riguardano anche il riorientamento e la configurazione della rete esterna (n. 5.3) che viene costantemente adeguata ai bisogni politici, economici e consolari concreti.

Conclusioni (n. 6) La crescente interdipendenza globale sia tra Paesi sia tra singoli ambiti politici pone la Svizzera, sul piano della politica estera, di fronte a una serie di sfide che riguardano, per esempio, il suo posizionamento e la sua collocazione istituzionale in Europa e, in generale, nel mondo. Per affrontarle, alla Svizzera occorre una politica estera forte che tuteli gli interessi del Paese e contribuisca validamente a risolvere i problemi regionali e globali del nostro tempo. Non facendo parte di alleanze permanenti, ha bisogno di una buona rete di relazioni in Europa e nel resto del mondo per poter stringere, a seconda del settore specifico, alleanze flessibili. Il nostro Paese è obbligato a compensare con altri mezzi la sua importanza piuttosto marginale in politica estera; ci vogliono dunque elevate capacità innovative, pragmatismo, competenza in materia di diritto internazionale e capacità di
dialogare unite all'abilità, in ambito internazionale, di gettare ponti che facilitino la comprensione e l'accordo al di là degli interessi divergenti o della costituzione di blocchi e polarizzazioni. Una politica estera forte ha perciò bisogno di una diplomazia forte che tuteli nel modo più efficace ed efficiente possibile gli interessi definiti del Paese.

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Indice Compendio

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Elenco delle abbreviazioni

5473

1 Introduzione

5476

2 Nuove sfide 2.1 Osservazioni introduttive 2.2 Mutamento dei rapporti di forza nel mondo 2.3 Crisi globali e rischi sistemici 2.4 Intensificazione della cooperazione internazionale e riforma delle istituzioni universali 2.5 L'importanza del dialogo in politica estera 2.6 Ruolo delle operazioni militari nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionale

5476 5476 5477 5479

3 Le priorità della politica estera svizzera 3.1 Gli assi principali della politica estera svizzera 3.2 Buone relazioni con Stati e regioni 3.2.1 Premessa 3.2.2 Politica europea 3.2.2.1 Unione europea 3.2.2.1.1 L'importanza dell'UE nel mondo e per la Svizzera 3.2.2.1.2 Obiettivi delle relazioni svizzere con l'UE 3.2.2.1.3 Attuazione degli accordi conclusi (obiettivo 1) 3.2.2.1.4 Ampliamento delle relazioni con l'UE (obiettivo 2) 3.2.2.1.5 Consolidamento delle relazioni con l'UE (obiettivo 3) 3.2.2.1.6 Recepimento dell'acquis comunitario e dei suoi sviluppi 3.2.2.1.7 Prospettive 3.2.2.2 Relazioni con gli Stati europei 3.2.2.2.1 Paesi confinanti e Stati membri dell'UE 3.2.2.2.2 Turchia 3.2.2.2.3 Balcani occidentali 3.2.2.2.4 Russia 3.2.2.2.5 Caucaso del Sud 3.2.2.2.6 Asia centrale 3.2.2.3 Organizzazioni multilaterali regionali 3.2.2.3.1 AELS 3.2.2.3.2 Consiglio d'Europa 3.2.2.3.3 OSCE 3.2.2.3.4 Partenariato euroatlantico e partenariato per la pace

5488 5488 5489 5489 5490 5490

5470

5482 5484 5485

5490 5491 5492 5497 5502 5503 5504 5506 5506 5514 5515 5518 5519 5520 5521 5521 5522 5525 5528

3.2.2.3.5 CERN 3.2.2.3.6 ESA 3.2.3 Politica nei confronti del continente americano 3.2.3.1 America del Nord 3.2.3.2 America latina e Caraibi 3.2.4 La politica nei confronti dell'Asia e dell'Oceania 3.2.4.1 Cina 3.2.4.2 India 3.2.4.3 Giappone 3.2.4.4 Altre relazioni bilaterali con partner regionali 3.2.4.5 Relazioni con organismi sottoregionali 3.2.5 Politica nei confronti del Vicino e Medio Oriente e del Nord Africa 3.2.5.1 Interessi svizzeri nella regione 3.2.5.2 Vicino e Medio Oriente 3.2.5.3 Nord Africa 3.2.5.4 Problematiche e prospettive 3.2.6 Politica nei confronti dell'Africa subsahariana 3.2.6.1 Interessi svizzeri nella regione 3.2.6.2 Sudafrica 3.2.6.3 Regione dei Grandi Laghi 3.2.6.4 Africa orientale e Corno d'Africa 3.2.6.5 Africa occidentale e centrale 3.2.6.6 Problematiche e prospettive 3.2.7 Politica nei confronti dei piccoli Stati 3.3 Sfide globali 3.3.1 Politica finanziaria ed economica internazionale 3.3.2 Politica estera in materia di clima 3.3.3 Politica estera in materia energetica 3.3.4 Politica estera in materia sanitaria 3.3.5 Politica del disarmo e di non proliferazione 3.3.5.1 Contesto 3.3.5.2 Priorità della Svizzera 3.3.6 Promozione della pace 3.3.6.1 Linee direttrici 3.3.6.2 Attività della Svizzera 3.3.7 Sicurezza umana e consolidamento del diritto internazionale 3.3.7.1 Politica dei diritti dell'uomo 3.3.7.2 Politica umanitaria e migrazione 3.3.7.3 Consolidamento del diritto internazionale umanitario 3.3.7.4 La Corte penale internazionale 3.3.7.5 La questione dei fondi illeciti di capi di Stato e di alti funzionari 3.3.8 Sviluppo equo e sostenibile 3.3.8.1 Situazione di partenza: la Dichiarazione del Millennio e gli OSM 3.3.8.2 Ripercussioni delle crisi globali sui Paesi in sviluppo

5529 5530 5531 5531 5535 5538 5539 5541 5542 5543 5544 5545 5545 5545 5547 5548 5548 5549 5549 5550 5551 5552 5552 5553 5553 5553 5561 5567 5571 5574 5574 5575 5581 5581 5584 5592 5592 5595 5599 5601 5602 5604 5604 5605

5471

3.3.8.3 Modifiche nella divisione dei compiti e nel coordinamento degli aiuti allo sviluppo: potenziale per la Svizzera 3.3.8.4 Le strategie della Confederazione nel settore dello sviluppo 3.3.8.5 Obiettivi del Consiglio federale per il 2009 3.3.8.6 Efficacia della cooperazione allo sviluppo 3.4 Consolidamento del sistema multilaterale 3.4.1 L'ONU 3.4.1.1 Le Nazioni Unite in un contesto difficile 3.4.1.2 L'internazionalità svizzera 3.4.1.2.1 Premesse 3.4.1.2.2 L'impegno in seno ai principali organi dell'ONU 3.4.1.2.3 L'impegno nelle questioni tematiche 3.4.1.2.4 I contributi finanziari e a livello di personale della Svizzera 3.4.1.3 La Svizzera Paese ospite di organizzazioni internazionali 3.4.1.4 La presenza della Svizzera nel sistema delle Nazioni Unite 3.4.2 Le Istituzioni di Bretton-Woods 3.4.3 L'OMC 3.4.4 L'OCSE

5609 5611 5616 5617 5619 5619 5619 5622 5622 5622 5626 5632 5633 5638 5642 5646 5648

4 Affari consolari 4.1 Prestazioni consolari 4.2 Protezione consolare 4.3 Prevenzione e gestione delle crisi 4.4 Svizzeri all'estero

5650 5650 5652 5653 5655

5 Riorganizzazione del DFAE 5.1 Punti forti della riorganizzazione 5.2 Riorganizzazione della Centrale 5.3 Riorganizzazione della rete esterna

5657 5657 5658 5666

6 Conclusioni: «Coerenza e impegno: una politica estera forte in un mondo in continua evoluzione» 6.1 Un contesto internazionale mutato 6.2 Conseguenze per la politica estera svizzera

5671 5671 5675

Allegato: Informazioni supplementari concernenti il Consiglio d'Europa

5680

5472

Elenco delle abbreviazioni AELS

Associazione europea di libero scambio

AIE

Agenzia internazionale per l'energia

AIEA

Agenzia internazionale per l'energia atomica (International Atomic Energy Agency)

ASEAN

Associazione delle nazioni dell'Asia Sud-orientale

BERS

Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo

BNS

Banca nazionale svizzera

BTWC

Convenzione che vieta la messa a punto, la fabbricazione e lo stoccaggio delle armi batteriologiche (biologiche) e a tossine e che disciplina la loro distruzione (Convention on the Prohibition of the Development, Production and Stockpiling of Bacteriological (Biological) and Toxin Weapons and on Their Destruction)

CAS

Comitato per l'assistenza allo sviluppo

CCW

Convenzione sulle armi convenzionali (Convention on Prohibitions or Restrictions On The Use of Certain Conventional Weapons Which May Be Deemed To Be Excessively Injurious Or To Have Indiscriminate Effects)

CDM

Meccanismo di sviluppo pulito (Clean Development Mechanism)

CEDU

Convenzione europea dei diritti dell'uomo

CERN

Organizzazione europea per la ricerca nucleare

CFE

Trattato sulle forze armate convenzionali in Europa (Treaty on Conventional Armed Forces in Europe)

CICR

Comitato internazionale della Croce Rossa

CSI

Comunità degli Stati indipendenti

CWC

Convenzione sulla proibizione dello sviluppo, produzione, immagazzinaggio ed uso di armi chimiche e sulla loro distruzione; Convenzione sulle armi chimiche (Convention on the Prohibition of the Development, Production, Stockpiling and Use of Chemical Weapons and on Their Destruction)

DSC

Direzione dello sviluppo e della cooperazione

EAPC

Consiglio di partenariato euroatlantico

ECOSOC

Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (Economic and Social Council)

ECOWAS

Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale (Economic Community of West African States) 5473

ESA

Agenzia spaziale europea (European Space Agency)

FIPOI

Fondazione per gli immobili delle organizzazioni internazionali

FMI

Fondo monetario internazionale

G20

Gruppo dei venti Paesi industrializzati ed emergenti

G8

Gruppo degli otto (Stati Uniti, Germania, Giappone, Regno Unito, Canada, Francia e Italia [G 7] più la Russia)

ICC

Corte penale internazionale (International Criminal Court)

IHEID

Istituto di alti studi internazionali e dello sviluppo, Ginevra (Institut des Hautes Etudes Internationales et du Développement)

MTCR

Regime di controllo delle tecnologie missilistiche (Missile Technology Control Regime)

NAFTA

Accordo di libero scambio dell'America del Nord (North American Free Trade Agreement)

NATO

Organizzazione del Trattato Nord Atlantico (North Atlantic Treaty Organisation)

NSG

Gruppo dei fornitori nucleari (Nuclear Suppliers Group)

OAS

Organizzazione degli Stati americani (Organisation of American States)

OCHA

Ufficio di coordinamento degli affari umanitari (Office for the Coordination of Humanitarian Affairs)

OCI

Organizzazione della conferenza islamica

OCSE

Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico

OMC

Organizzazione mondiale del commercio

OMM

Organizzazione meteorologica mondiale

OMS

Organizzazione mondiale della sanità

ONG

Organizzazione non governativa

ONU

Organizzazione delle Nazioni Unite

OPAC

Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche

OSCE

Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa

OSM

Obiettivi di sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals)

PAM

Programma alimentare mondiale

PfP

Partenariato per la pace (Partnership for Peace)

5474

PNUA

Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente

PNUS

Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo

SCO

Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Shanghai Cooperation Organisation)

SECO

Segreteria di Stato dell'economia

TNP

Trattato di non proliferazione delle armi nucleari

UA

Unione Africana

UE

Unione europea

UNESCO

Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization)

UNFCCC

Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici

UNICEF

Fondo delle Nazioni Unite per l'Infanzia (United Nations Children's Fund)

UNRWA

Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione dei profughi palestinesi (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East)

5475

Rapporto 1

Introduzione

La sicurezza e il benessere della Svizzera dipendono in misura sempre crescente da quanto accade all'estero. Di qui la necessità di coordinare politica interna ed estera e d'influire nel contesto regionale e internazionale. Il presente rapporto offre una panoramica generale delle attuali priorità della politica estera elvetica. Oltre a rendere conto delle attività svolte dall'ultimo rapporto sulla politica estera (2007-fine giugno 20091), esso si concentra soprattutto sulle sfide attuali e su quelle future che la Svizzera dovrà affrontare in politica estera.

Con il presente rapporto il Consiglio federale accoglie anche la richiesta espressa nel postulato della Commissione della politica estera del Consiglio degli Stati del 1° settembre 2006 (06.3417) di rimpiazzare i diversi rapporti presentati periodicamente con un solo ed unico rapporto annuale che copra l'insieme delle attività di politica estera della Svizzera. Il presente rapporto include quindi anche il rapporto annuale sulle misure di promozione civile della pace e di rafforzamento dei diritti dell'uomo, il rapporto sulla Svizzera e l'ONU e il rapporto annuale sulle attività della Svizzera nel Consiglio d'Europa.

In base all'analisi della situazione qui esposta, il Consiglio federale intende continuare a intensificare e approfondire la discussione con il Parlamento e l'opinione pubblica. La Svizzera ­ che non fa parte di alleanze permanenti ­ deve presentarsi unita e compatta all'esterno se vuole tutelare i propri interessi. Ciò presuppone un'ampia discussione e la ricerca di una concordanza all'interno nonché un coordinamento efficace e un'immagine il più coerente possibile all'esterno.

2

Nuove sfide

2.1

Osservazioni introduttive

Gli sviluppi in ambito politico, economico e sociale degli ultimi decenni mostrano in modo sempre più chiaro che abbiamo a che fare con un cambiamento epocale vero e proprio. Le analisi e le opinioni sul momento esatto in cui è avvenuto il cambiamento e su quali fattori siano determinanti per la nostra epoca sono discordanti; forse soltanto tra alcuni anni o persino decenni si troveranno risposte fondate dal punto di vista storico. È tuttavia indiscusso che il mondo non è più quello degli ultimi decenni del XX secolo.

Qui di seguito menzioniamo tre sfide che si distinguono per essere tra le questioni centrali del nostro tempo e che quasi sicuramente determineranno nei prossimi anni la nostra politica estera e le relazioni internazionali nel loro complesso, ossia:

1

­

il mutamento globale degli equilibri di potere in ambito economico e politico;

­

l'aumento delle crisi e dei rischi sistemici di portata globale e

FF 2007 5087

5476

­

2.2

il rafforzamento della cooperazione internazionale e la riforma delle istituzioni universali.

Mutamento dei rapporti di forza nel mondo

La fine della Guerra fredda, in particolare la fine della disputa ideologica tra economia pianificata ed economia di mercato, l'integrazione di quasi tutti gli Stati in un mondo globalizzato e il progresso tecnologico hanno causato, negli ultimi decenni, un'accelerazione della crescita economica.

Oltre all'entità di questa crescita, è importante soprattutto la sua ridistribuzione geografica. La partecipazione dei Paesi economicamente sviluppati alla crescita economica mondiale è drammaticamente scesa (dal 60 al 30 % circa nel periodo 1981­20082), mentre la quota in particolare dell'Asia si è più che triplicata nel giro di pochi decenni (nel periodo menzionato è passata dal 14 al 46 %; nel 2007 la percentuale della sola Repubblica Popolare Cinese ammontava al 33 %).

Assistiamo a una rapida ridistribuzione dell'importanza economica e quasi certamente i due giganti asiatici, la Repubblica Popolare Cinese e l'India, registreranno i progressi maggiori e acquisiranno con il tempo lo status di autentiche potenze mondiali3. Dal punto di vista storico quest'ascesa non rappresenta nulla di straordinario.

Già prima del 1800 la Cina era la maggiore economia del mondo e anche nei secoli precedenti veniva considerata uno dei centri più importanti della civiltà e della politica mondiali. Se non sopravvengono eventi imprevisti e catastrofici, la Repubblica Popolare Cinese tornerà ad essere la maggiore economia del mondo nell'arco di una generazione e anche l'India, seppur con qualche ritardo, avanzerà ai primi posti.

Mentre l'ascesa economica dell'Asia va ricondotta soprattutto allo sviluppo di moderne capacità nel settore dell'industria e dei servizi (l'Asia approfitta in particolare della moderna tecnologia dell'informazione e della comunicazione), altre regioni del mondo hanno beneficiato dell'enorme domanda di risorse (petrolio e gas naturale innanzitutto, ma anche tutti i metalli industriali importanti e derrate alimentari per una popolazione mondiale in rapida crescita).

Ciò vale in particolare per la regione del Golfo Persico, per la Russia, ma anche per singoli Stati latinoamericani e africani. Nell'America latina e in Africa si assiste in tal senso a uno sviluppo a macchia di leopardo, in quanto soltanto pochi Stati traggono vantaggio dall'enorme domanda di risorse e anche al loro interno è unicamente
un piccolo strato della popolazione a beneficiarne, mentre la maggioranza continua a vivere nella povertà e nel sottosviluppo4.

Gran parte della popolazione occidentale, segnatamente negli Stati Uniti e in Europa, continua a godere degli standard di benessere più elevati al mondo, situazione che potrà essere mantenuta ancora per qualche tempo. La quota di partecipazione delle economie occidentali al prodotto nazionale lordo mondiale tuttavia 2 3

4

Cifre secondo il Fondo monetario internazionale (FMI); www.imf.org È ancora troppo presto per poter giudicare con precisione quali conseguenze avrà su quest'evoluzione la crisi economica e finanziaria iniziata nel 2008. La maggior parte degli esperti ritiene che le tendenze qui descritte siano di natura strutturale e a lungo termine.

Il rapporto sulla politica economica esterna 2008 approfondisce alcune di queste questioni nei n. 1.2.4 e 1.2.5. Cfr. FF 2009 535.

5477

diminuisce. La tendenza è ulteriormente rafforzata dai trend demografici che interesseranno negativamente soprattutto l'Europa.

L'Asia manterrà la sua percentuale di punta sulla popolazione mondiale (in base a calcoli dell'ONU5 vi sarà solo una lieve diminuzione: dal 60,6 % nel 2000 al 58,6 % nel 2050) così come l'America del Nord (dal 5,2 % al 5,0 %), mentre l'Europa registrerà un drastico calo demografico (dal 12,0 % al 7,1 %; ancora nel 1950 l'Europa deteneva una quota del 21,7 %) e l'Africa invece un forte aumento (dal 13,1 % al 20,2 %). In base a queste stime, perciò, nel 2050 per ogni Europeo ci saranno tre Africani e otto Asiatici. Da non dimenticare poi i cambiamenti nella struttura demografica che caratterizzeranno non soltanto i Paesi occidentali, ma anche quelli asiatici (Giappone, Cina) in cui prevarrà nettamente una popolazione anziana.

Dalla fine della Guerra fredda e in particolare dall'inizio del nuovo millennio si assiste a un cambiamento a livello internazionale nella distribuzione dei poteri politici. Paesi come la Repubblica Popolare Cinese e l'India mostrano sempre più apertamente di voler essere trattati come future potenze mondiali. La Russia rispolvera il suo ruolo di potenza continentale, sebbene la sua nuova posizione di forza non si fondi più sul potere militare coniugato all'ideologia comunista, bensì soprattutto sulla ricchezza di risorse.

Tutta una serie di (grandi) potenze sta diventando sempre più influente, per esempio (e il seguente elenco non si può ritenere esaustivo) Stati come Brasile, Venezuela, Messico, Sudafrica, Nigeria, Egitto, Arabia Saudita, Iran, Turchia, Pakistan, Indonesia e Corea del Sud. Assistiamo anche a un rafforzamento di forme associative regionali a Est e a Sud del mondo come, per esempio, l'Organizzazione della conferenza islamica (OCI), l'Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO), l'Associazione delle nazioni dell'Asia Sud-orientale (ASEAN) e l'Unione Africana (UA).

L'egemonia dell'Occidente sulla scena politica ed economica mondiale, ininterrotta dal 1800 circa in forme diverse, dovrebbe concludersi nei prossimi decenni in considerazione degli sviluppi delineati. L'appello a un nuovo ordine mondiale si fa sempre più forte. Gli Stati Uniti dovranno darsi da fare per poter mantenere, oltre all'indiscussa superiorità militare,
il loro attuale peso politico. L'Europa, dal canto suo, dovrà affrontare problematiche molto serie: infatti, la sua importanza demografica ed economica diminuisce rispetto alle altre grandi regioni del mondo, mentre nello stesso tempo è sovrarappresentata in seno a molte istituzioni globali (Consiglio di sicurezza dell'ONU, Fondo monetario internazionale e Banca mondiale, G8).

L'UE dovrà impegnarsi affinché l'importanza degli Stati che rappresenta continui a essere presa adeguatamente in considerazione in ambito politico internazionale.

Quale Paese europeo per eccellenza, la Svizzera rimane strettamente legata al destino dell'Europa. Questo fatto, radicato sia nella storia che nella geografia, continuerà a essere determinante per la nostra politica estera. La Svizzera fa tuttavia bene a seguire il principio, rivelatosi valido, dell'universalità e, oltre a mantenere le chiare priorità economiche e politiche in Europa, a dotarsi di nuovi e saldi punti d'appoggio al di fuori del continente e a consolidarli. La sua politica in materia sarà al centro delle riflessioni del n. 3.2.

5

Department of Economic and Social Affairs (2004): World Population to 2300. New York: United Nations (i dati si riferiscono allo scenario medio).

5478

2.3

Crisi globali e rischi sistemici

La globalizzazione, che ha subito un'accelerazione negli ultimi decenni, ha avuto senza dubbio tutta una serie di conseguenze economiche, politiche e sociali positive.

Anche grazie al suo contributo, infatti, diverse centinaia di milioni di persone hanno potuto sottrarsi alla povertà e al sottosviluppo endemici e miliardi di esseri umani hanno visto migliorare nettamente le proprie prospettive per il futuro.

Il mondo di oggi non è tuttavia caratterizzato soltanto da un'integrazione sempre più forte. Non tutti gli Stati e non tutti i ceti sociali approfittano in uguale misura delle nuove possibilità. In singoli Paesi e sottoregioni assistiamo ­ a causa di una moltitudine di fattori che non dipendono soltanto dalla globalizzazione ­ a un marcato indebolimento dello Stato e dell'ordine interstatale (si parla del fenomeno dei «fragile states» o «failed states»). In ampie parti del mondo si diffonde un'insicurezza culturale, mentre gruppi estremisti e isolati adottano soluzioni totalmente inammissibili per proteggere la propria identità minacciata da sviluppi estranei, apparentemente non integrabili. Attualmente è possibile osservare il fenomeno soprattutto in parti del mondo islamico, anche se lo si riscontra in pratica ovunque.

L'epoca attuale è contraddistinta da un aumento di crisi e di rischi sistemici. In questa sede non è possibile approfondire tutte le crisi e i rischi globali (per un'analisi della situazione dal punto di vista della Svizzera si rimanda al rapporto «Sfide 2007­ 2011» dello Stato maggiore di prospettiva della Confederazione6). Ci si limiterà a tre tematiche che illustrano anche la nuova qualità delle crisi e dei rischi globali: la crisi finanziaria, la questione energetica e i cambiamenti climatici.

La crisi finanziaria La crisi finanziaria globale del 2008 con le sue conseguenze economiche negative ci ha mostrato in modo drastico che i sistemi finanziari ed economici sono esposti a grossi rischi sistemici, che le forze di mercato offrono in parte falsi incentivi e che occorre ripensare l'attuale regolamentazione statale e internazionale affinché il sistema finanziario possa adempiere alle sue funzioni per il bene di tutti.

In un mondo globalizzato, compartimentare gli spazi finanziari ed economici è in fin dei conti un'illusione. In pratica tutti gli Stati e tutte le società
sono colpiti dalle conseguenze del massiccio crollo dei mercati globali. Vi è da attendersi che saranno gli Stati meno avanzati o appena all'inizio del loro sviluppo economico i più colpiti dalle conseguenze della crisi come accadrà anche, all'interno degli Stati stessi, agli strati più deboli della società.

Se la crescita economica mondiale per un periodo prolungato non è più dinamica o si arresta, occorrerà fare i conti con un aumento delle tensioni sociali e dei conflitti politici. Per molti Stati e regioni ciò equivarrebbe ad avere seri problemi. Non rimane che sperare che tendenze protezionistiche, isolazionistiche e xenofobe non prevalgano o prendano persino il sopravvento com'è accaduto in altri periodi della storia. Le prime reazioni alla crisi finanziaria ed economica mettevano al primissimo posto la protezione delle proprie industrie nazionali e si è visto anche che, a livello di politica nazionale, ricomincia ad aumentare il richiamo all'isolamento contro influssi apparentemente minacciosi provenienti dall'estero. La politica è dunque sollecitata su più fronti contemporaneamente. È importante perciò dedicare la neces6

www.bk.admin.ch/dokumentation/publikationen/00290/00930/index.html?lang=it

5479

saria attenzione non solo al coordinamento internazionale, ma anche alla dimensione sociale degli effetti della crisi.

La questione energetica Produzione, distribuzione e consumo di energia si rivelano essere in misura crescente le questioni cruciali della politica mondiale in materia di sicurezza, economia, trasporti, ambiente e sviluppo, tanto per citare i settori più importanti.

A causa della crescita economica e demografica, la domanda di energia è esplosa. Il controllo della produzione e del transito di energia è diventato un fattore egemonico di primo piano. Le entrate così realizzate comportano anche ridistribuzioni finanziarie che, dal canto loro, influenzano tutto il sistema economico e finanziario, ma non generano spesso una prosperità a lungo termine nei singoli Paesi produttori.

Considerando l'esauribilità delle energie fossili e le molteplici conseguenze negative del loro sfruttamento, non potremo evitare di riorientare la politica attuale sia sul piano nazionale sia su quello internazionale. La politica in materia energetica deciderà in modo determinante dello stato dell'ambiente nei prossimi decenni.

I cambiamenti climatici Stando al parere quasi unanime degli scienziati, l'umanità influisce sull'evoluzione del clima mondiale soprattutto con i cosiddetti gas a effetto serra. La discussione sulle conseguenze per esempio del surriscaldamento della Terra non si è ancora conclusa, ma è già possibile affermare che nei decenni a venire i cambiamenti climatici avranno forti ripercussioni sulle condizioni di vita dell'umanità.

La questione ambientale si scontra sempre ­ sia in politica interna che estera ­ con difficoltà particolari: i limiti all'ingerenza nella proprietà privata, il divario spaziale e temporale tra causa ed effetto dei danni ambientali o la difficoltà di coordinare attori tanto eterogenei provenienti da politica, economia e società civile. In un certo senso questo settore è tuttavia anche un esempio emblematico delle nuove forme di cooperazione internazionale («global governance»). Nuove forme di gestione e obiettivi quantitativi per gli Stati, il coinvolgimento di attori privati e l'impiego di strumenti di mercato sono stati e sono tuttora sperimentati con esiti diversi.

In considerazione della crisi finanziaria ed economica, l'obiettivo di trasformare l'economia
rendendola ecocompatibile e ad alta efficienza energetica ­ e quindi sostenibile ­ figura in cima agli ordini del giorno nazionali e internazionali.

Caratteristiche comuni delle crisi e dei rischi Dal punto di vista geografico ci vediamo confrontati a crisi e rischi che non tengono in nessun conto i confini nazionali o di altro genere. Non si tratta più soltanto della produzione e della distribuzione di beni pubblici globali, ma anche, e in misura crescente, della produzione e della distribuzione di mali pubblici globali. Dato che questi ultimi interessano più o meno direttamente tutta l'umanità, ciò conferisce alla politica mondiale attuale una nuova qualità. Per la prima volta in assoluto così tante persone si rendono conto, alla fin fine, di essere nella stessa barca e che quanto accade a poppa avrà conseguenze anche a prua.

Dal punto di vista temporale i problemi odierni superano l'orizzonte conosciuto in politica, economia e nella società e che di norma non copre nemmeno una generazione. I tempi di preavviso delle crisi sono brevi e spesso ci troviamo di fronte a più crisi contemporaneamente. Viviamo in un'epoca d'insicurezza sempre maggiore: le 5480

ipotesi fondamentali riguardanti il funzionamento di sistemi parziali vengono infatti messe in discussione e a volte è molto difficile determinare entro quale orizzonte temporale occorre intervenire per ritrovare la stabilità e uno sviluppo sostenibile.

La complessità materiale è notevolmente aumentata nei singoli settori specifici assumendo, in considerazione delle elevate interdipendenze tra gli sviluppi nei diversi ambiti (sicurezza, finanze, economia, energia, ambiente, clima, sanità, migrazione, sviluppo, scienza e cultura), dimensioni che minacciano di far saltare le categorie finora conosciute e le misure istituzionali di prevenzione a livello nazionale e internazionale.

La Svizzera figura indiscutibilmente tra i vincitori della globalizzazione, anche se ne consegue una forte dipendenza da sviluppi a livello regionale e globale. Tuttavia, proprio grazie alla sua costituzione politica, ai successi finora registrati in campo economico e sociale e alla sua fama di attore prudente e obiettivo, la Svizzera gode complessivamente di buone condizioni di partenza per assumere un ruolo attivo in politica estera nel mondo attuale e fornire contributi preziosi allo studio e alla soluzione di determinati problemi internazionali.

Le numerose interdipendenze tematiche mettono in discussione i modi di pensare tradizionali e le specializzazioni istituzionali e richiedono approcci innovativi e globali. In ognuno dei settori tematici (sicurezza, economia, finanze, ambiente, energia, sanità, migrazione, scienza, cultura ecc.) si tratta insomma di seguire una politica che non si limiti a tener conto solamente degli interessi specifici propri di ogni singolo ambito, ma che contempli anche le interazioni tra i settori trovando, nell'interesse di tutti, nuovi approcci e soluzioni «win-win». Il dialogo tra i responsabili di settori diversi è una condizione minima per fare progressi sia all'interno sia all'esterno.

La politica estera elvetica in materia sanitaria è un esempio interessante in tal senso. In questo settore è stato concluso tra il DFAE e il DFI un cosiddetto accordo sugli obiettivi relativo alla politica estera, che comprende tutti i settori pertinenti (politica di sviluppo, commercio, protezione della proprietà intellettuale, migrazione ecc.), offre un orientamento comune per un quinquennio e,
mediante nuove misure istituzionali, provvede a garantire il coordinamento di tutti gli attori interni e vigila affinché la Svizzera si presenti all'esterno in modo unitario per quanto riguarda gli interessi definiti (cfr. n. 3.3.4). Simili soluzioni integrative di politiche estere settoriali suscitano interesse anche in ambito internazionale, dato che molti Stati devono affrontare problemi di coordinamento e di coerenza identici.

Per la Svizzera l'approccio integrato in politica estera è necessario anche per un motivo molto più pragmatico: dato che i nostri mezzi di lotta e le nostre possibilità di esercitare una qualche influenza, soprattutto nei confronti di partner maggiori, sono limitati, possiamo tutelare i nostri interessi solamente nell'ambito di relazioni globali o mediante negoziati in svariati settori specifici. Gli Accordi bilaterali I e II con l'UE sono l'esempio classico di un simile dare e ricevere reciproco. Per la Svizzera soluzioni di questo genere sono praticabili anche rispetto ad altri partner bilaterali: vale a dire che, in determinati dossier, facciamo concessioni o forniamo ulteriori prestazioni per ottenere l'accordo della controparte su altri dossier per noi cruciali. È possibile conseguire simili soluzioni globali nell'interesse del Paese soltanto dialogando continuamente con tutti gli attori importanti e mediante un coordinamento efficiente ed effettivo.

5481

2.4

Intensificazione della cooperazione internazionale e riforma delle istituzioni universali

La breve presentazione delle sfide risultanti dal mutamento geografico degli equilibri di potere e dall'evoluzione di singoli settori della politica estera evidenzia non soltanto un fatto già noto ­ ossia che oggi, per ogni singolo Stato, la politica interna ed estera sono in stretta correlazione e possono essere seguite in modo adeguato soltanto considerandole un tutt'uno ­ ma mostrano anche che la cooperazione internazionale deve far fronte a molteplici sfide complesse e che deve essere quindi ripensata sotto molti aspetti.

Un problema urgente consiste nel raggiungere una nuova intesa e una nuova regolazione dei rapporti tra le attuali grandi potenze. Si tratterà in particolare di vedere come le vecchie grandi potenze si comporteranno nei confronti delle nuove e viceversa.

Ogni polarizzazione, ogni isolamento e persino ogni relazione conflittuale metterebbe in causa la globalizzazione, pregiudicherebbe la pace nel mondo e renderebbe difficile, se non impossibile, trovare una soluzione ai pressanti problemi globali. In un mondo globalizzato un ordine multipolare non rappresenta un'opzione se lo s'intende sul modello di quello bipolare della Guerra fredda (vale a dire sistemi politici, economici e sociali totalmente distinti che si proteggono l'uno dall'altro ricorrendo ad armi nucleari e di distruzione di massa). Sarebbe meglio ­ ed è possibile farlo ­ concepire il mondo attuale come «non polare».

Intensificare la cooperazione regionale risulta essere uno strumento adatto per affrontare e risolvere molti dei problemi attuali. La Svizzera si fonda essenzialmente sul principio della sussidiarietà; ancorato nella Costituzione federale, esso distingue diversi livelli dell'azione statale (Comuni, Cantoni, Confederazione) e permette di attribuire la competenza normativa e la fornitura di prestazioni al livello più adeguato sotto il profilo materiale e politico al fine di evitare una centralizzazione o, viceversa, una decentralizzazione troppo marcata. Nella politica internazionale questo principio è spesso presente implicitamente, mentre nei costumi politici e nei disciplinamenti istituzionali e giuridici non è ancora penetrato a sufficienza.

Né la polarizzazione delle grandi potenze né l'esclusiva regionalizzazione della politica mondiale rappresenterebbe una risposta adeguata alle sfide odierne. Queste
sono infatti sempre più spesso sfide globali che ignorano tutti i confini (continentali, culturali o di altro tipo) ed esigono soluzioni globali.

Le istituzioni e i meccanismi globali attuali si rivelano sempre più inadeguati per affrontare le problematiche incombenti. La riforma di un'istituzione tanto centrale e importante per la sicurezza e la pace mondiale come il Consiglio di sicurezza dell'ONU non può più attendere. Il sistema ONU nel suo complesso deve essere riequilibrato e rafforzato se si vuole che l'organizzazione che rappresenta al meglio l'intera comunità mondiale ed è la più legittimata sia veramente in grado di espletare le funzioni assegnatele.

Oltre al Consiglio di sicurezza dell'ONU vanno riformate anche altre organizzazioni e istituzioni affinché le nuove grandi potenze e i nuovi aggruppamenti regionali dispongano dello spazio necessario, proporzionale alla loro importanza e alla loro influenza effettive, siano coinvolti nella ricerca collettiva di soluzioni. Ciò vale per esempio per le istituzioni di Bretton Woods del Fondo monetario internazionale e 5482

della Banca mondiale. L'estensione del G7, e poi del G8, fino ad arrivare al G20 potrebbe fungere in questo caso da battistrada.

I numerosi strumenti del diritto internazionale rappresentano un valido mezzo per dirimere pacificamente conflitti e, in generale, per risolvere problemi internazionali.

Per un Paese neutrale come la Svizzera, che non fa parte di nessuna alleanza militare e non dispone di un potere politico e militare di una certa entità, è fondamentale che le relazioni internazionali siano determinate dal diritto. È per questa ragione che la Svizzera ha un forte interesse a che il diritto internazionale sia rafforzato e continui a evolversi7.

Oggigiorno non sono soltanto gli Stati e i loro strumenti a essere sollecitati in ambito internazionale, ma anche ­ e prevalentemente ­ molti attori privati, segnatamente l'economia privata e le numerose organizzazioni della società civile. In seguito alla rapida globalizzazione e ai nuovi strumenti tecnologici, negli ultimi decenni essi hanno infatti acquisito sempre più potere e influenza8.

Coinvolgere la società civile mondiale nella politica internazionale rappresenta una vera sfida per le forme tradizionali di suddivisione del lavoro, ma schiude anche nuove opportunità di ancorare e correggere le decisioni politiche a tutti i livelli dell'attuale politica internazionale. Il presente rapporto tratta, in alcuni n., gli sviluppi già in corso in settori politici molto diversi tra loro in cui si introducono e sperimentano nuove forme di partenariato.

Una caratteristica essenziale del nostro Paese è e rimane la rinuncia deliberata alla politica egemonica. La Svizzera si tiene consapevolmente a distanza dalle alleanze delle grandi potenze e reputa soltanto l'ONU, e le istanze da essa delegate, legittimate ad adottare misure coercitive. Non essendo un membro dell'UE, alla Svizzera rimangono precluse le possibilità d'influire direttamente sulle decisioni delle organizzazioni regionali più importanti d'Europa, anche se sussistono e possono essere sfruttate altre opportunità indirette. Tuttavia, la Svizzera può influire direttamente su molte altre istituzioni europee, internazionali e ­ grazie alla sua appartenenza all'ONU, all'OMC e alle Istituzioni di Bretton Woods ­ globali. Nel diritto internazionale vige il principio fondamentale dell'uguaglianza
di tutti gli Stati, fattore che, a un Paese come la Svizzera, procura anche lo spazio e la possibilità di esercitare la propria influenza mediante iniziative e proposte di carattere nazionale. In singoli ambiti, come per esempio nel diritto internazionale umanitario, la Svizzera gode, a ragione, della fama di precorritrice e attrice importante, ruolo questo a cui la propria storia e una politica settoriale costante nel tempo conferiscono un'importanza notevole.

7

8

Il presente rapporto non approfondisce la relazione tra diritto internazionale e nazionale.

Cfr. in proposito un rapporto che il Consiglio federale sottoporrà al Parlamento in risposta al postulato della Commissione degli affari giuridici del Consiglio degli Stati dell'11 dicembre 2007 (07.3764).

Nella fase attuale della globalizzazione anche organizzazioni criminali, cellule e network terroristici hanno conosciuto un forte rilancio acquisendo nuove opportunità operative, circostanza che rappresenta una sfida particolare per la sicurezza sia interna sia esterna.

5483

2.5

L'importanza del dialogo in politica estera

Con il mutamento degli equilibri di potere a livello globale (n. 2.2), l'aumento della complessità tematica e dell'interdipendenza (n. 2.3), la riforma degli attori internazionali tradizionali e l'integrazione di quelli nuovi (n. 2.4) ci troviamo di fronte, in molte dimensioni della politica estera (geografiche, tematiche e istituzionali), a una moltitudine di sfide complesse.

I mutamenti epocali, come quelli che viviamo oggi, si contraddistinguono anche per il fatto che tutto sembra in movimento, che i sistemi tradizionali non paiono più essere sufficienti e che, nel complesso, vi sono più domande che risposte.

Come trovare progressivamente delle risposte? In che modo istituire un nuovo ordine comune? Come può la Svizzera affrontare queste sfide, tutelare i propri interessi e contribuire sul piano internazionale a chiarire, elaborare e risolvere i problemi?

Il Consiglio federale ritiene importante che, nella politica estera della Svizzera, si impieghi sempre più spesso uno strumento che si è rivelato valido in politica interna apportando soluzioni praticabili, ossia il dialogo.

Nella storia della Svizzera il dialogo è stato uno strumento decisivo per far avvicinare i Cantoni e le diverse regioni del Paese, per creare a poco a poco un'identità comune e per organizzarsi politicamente. Senza il dialogo e lo scambio a prescindere dalle frontiere ­ siano esse linguistiche o di altra natura ­ il nostro Paese sarebbe inconcepibile e non riuscirebbe nemmeno a funzionare.

Nel nostro Paese il dialogo è essenziale anche quando si tratta di armonizzare tra di loro le diverse politiche settoriali e di definire una linea d'azione comune. Un dialogo allargato consente di formulare una politica globale che contempli le interdipendenze tra i settori e gli interessi generali superiori.

Una democrazia diretta come quella svizzera non può funzionare senza un dialogo costante tra i responsabili politici e il sovrano. Attraverso dialoghi istituzionalizzati o informali, tutti i gruppi d'interesse e gli attori fondamentali vengono coinvolti nel processo di elaborazione e risoluzione dei problemi in modo che tutte le decisioni politiche importanti poggino su una base ampia.

Una politica estera del dialogo cerca di esportare questi fattori di successo interni per difendere gli interessi a livello sia regionale
sia globale.

Sul piano internazionale, tuttavia, il dialogo non è spesso l'opzione preferita: vengono infatti prese decisioni unilaterali, hanno luogo negoziati che escludono partner importanti e spesso non tutti gli aspetti e i punti di vista necessari sono presi in considerazione.

Se si prende in esame la dimensione geografica (mutamento globale degli equilibri di potere), una politica estera del dialogo significa che la Svizzera cerca sempre più spesso anche lo scambio con partner situati al di fuori dello stretto quadro regionale europeo e ne integra i punti di vista, soprattutto se riguardano le numerose sfide mondiali. Una politica siffatta cerca di superare i numerosi confini di natura politica, economica e sociale gettando ponti tra visioni del mondo e interessi spesso divergenti.

5484

In singole politiche settoriali, come per esempio la politica di pace, praticare il dialogo significa che la Svizzera cerca il contatto anche con attori statali e non statali considerati difficili ­ purché siano soddisfatte le condizioni minime ­ considerandoli non soltanto parte del problema, ma anche della soluzione (le linee di base della politica svizzera di pace sono illustrate nel n. 3.3.6). Ciò detto, non è possibile rispondere in termini generali alle domande «quando dialogare?» e «con chi?», poiché ogni caso va esaminato separatamente.

Il Consiglio federale è persuaso anche che il dialogo sia uno strumento molto promettente per progredire nelle discussioni sulla riforma delle istituzioni internazionali e per coinvolgere nella politica estera i numerosi nuovi attori privati.

Le alternative al dialogo sono, in fin dei conti, il rifiuto di parlare e l'esclusione di attori importanti perché influenti. Così facendo si tende a complicare, anziché facilitare, la soluzione dei problemi. Senza intese e regole comuni a tutti gli attori rilevanti, le attività di una parte rischiano di essere vanificate da quelle dell'altra parte rendendo impossibile conseguire l'auspicata efficienza ed efficacia anche a prezzo di sforzi considerevoli.

Un esempio è costituito dalla politica di sviluppo (cfr. n. 3.3.8), che non soltanto è interessata direttamente dal mutamento globale degli equilibri di potere, ma possiede anche un sistema di obiettivi molto più complesso ed è obbligata a praticare cooperazioni in diversi settori tematici. Al di là dei cambiamenti che si verificano nella comunità degli Stati, attori privati ­ ossia organizzazioni della società civile e imprese attive in tutto il mondo ­ stanno diventando sempre più influenti nel settore della politica di sviluppo. Le risorse messe a disposizione da simili attori (p. es. dalla Fondazione Bill & Melinda Gates) superano spesso gli investimenti delle agenzie statali o multilaterali. Il dialogo sembra dunque uno strumento promettente per coinvolgere questi attori e garantire il coordinamento generale.

Lo strumento del dialogo si basa sui principi del rispetto e della reciprocità, non esclude in linea di massima altre parti e punti di vista e offre l'opportunità di sviluppare una visione più completa in relazione a questioni e problemi all'ordine del
giorno. Questa visione fornisce a sua volta una certa garanzia che i problemi vengano elaborati meglio e risolti in modo più accettabile. Il dialogo non è tuttavia una garanzia di successo, ma va piuttosto inteso come una condizione minima che oggi non viene soddisfatta in tutti i casi.

La via del dialogo non è una via facile: comporta infatti requisiti elevati, necessita di molta perseveranza e conduce spesso in direzioni impossibili da prevedere. Non può nemmeno essere intrapresa sempre senza condizioni o prestazioni preliminari e richiede, come tutte le decisioni di politica estera, un'accurata e circostanziata ponderazione degli interessi in gioco.

2.6

Ruolo delle operazioni militari nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionale

Uno degli ambiti più dinamici nel settore della gestione delle crisi a livello internazionale è rappresentato dalla promozione militare della pace. Il suo dinamismo è espressione di un costante processo di apprendimento della comunità internazionale che, dalla fine della Guerra fredda, si vede confrontata con una crescente complessità del contesto internazionale dei conflitti. Il ruolo della promozione militare della 5485

pace è stato perciò adeguato agli sviluppi soprattutto nell'ambito dell'ONU: oggi non si limita infatti più a essere soltanto il classico mantenimento della pace («peacekeeping»), consistente nel sorvegliare l'applicazione degli accordi di cessate il fuoco, ma è anche parte di missioni di pace multidimensionali che comprendono un'ampia gamma di misure civili e militari.

In tal senso, alle operazioni militari classiche si sono aggiunte missioni civili di mantenimento dell'ordine quali operazioni di polizia, arresto di criminali di guerra, disarmo, smobilitazione e reinserimento di ex combattenti, rimpatrio di rifugiati, sostegno ai processi elettorali o protezione delle azioni umanitarie. In Kosovo, per esempio, le forze militari internazionali sono state incaricate anche di creare un ambiente sicuro che favorisse il ritorno di profughi e sfollati, l'aiuto umanitario e l'allestimento di un'amministrazione civile, nonché di garantire la sicurezza e l'ordine pubblici, di assumere compiti di sorveglianza delle frontiere o di sminamento (per le attività della Svizzera cfr. n. 3.2.2.3).

La promozione militare della pace oggi non si limita più al mero mantenimento della medesima, ma può coprire diverse fasi della gestione dei conflitti, dalla prevenzione degli stessi al consolidamento della pace («peacebuilding»). I confini tra le singole fasi sono in parte fluidi e talune fasi possono persino aver luogo parallelamente. Ne consegue che le missioni di pace multilaterali si sono trasformate in imprese complesse che richiedono una stretta interazione tra le componenti civili e militari.

Le missioni multidimensionali di promozione della pace sono una risposta della comunità internazionale all'attuale complessità dei conflitti armati. Una delle problematiche maggiori in tal senso è che simili conflitti non avvengono più soltanto tra parti chiaramente definite. La gestione internazionale delle crisi è oggi sollecitata soprattutto laddove le strutture statali si disgregano. Nell'ambito delle missioni multidimensionali di promozione della pace la comunità internazionale cerca di mettere a punto strumenti in grado di impedire che situazioni critiche degenerino in conflitti su larga scala con scontri armati, flussi di rifugiati, tensioni interne in Paesi terzi e squilibrio degli scambi economici9. In situazioni
destabilizzanti il principale gruppo vulnerabile è sempre la popolazione civile. La comunità internazionale nel suo insieme è infatti interessata dal fenomeno dei cosiddetti «Stati falliti» («failed states»): l'incapacità di uno Stato di assumere la sua funzione sovrana diventa terreno fertile su cui prosperano attori non statali che eludono il monopolio del potere statale. Il loro raggio d'azione può assumere dimensioni transnazionali e rappresentare una minaccia per l'ordine giuridico di altri Stati. La sicurezza internazionale può inoltre risultare compromessa se importanti vie di trasporto o condotte energetiche internazionali sono minacciate o se gravi rischi ambientali ­ come incidenti nucleari o inquinamento da idrocarburi ­ insorgono nella zona di sovranità di uno Stato fallito.

L'estensione del raggio d'azione della promozione militare della pace solleva tuttavia anche interrogativi che riguardano, da un lato, la coerenza delle attività internazionali nell'ambito multidimensionale e, dall'altro, le interfacce tra attori civili e militari. L'ONU cerca di rafforzare la coerenza raggruppando determinate risorse

9

Cfr. anche il rapporto concernente la politica di sicurezza della Svizzera 2000, FF 1999 6570

5486

civili e militari in cosiddette missioni integrate10. Quanto alle interfacce tra attori civili e militari, non sono mai chiaramente delimitate a livello internazionale e possono riguardare anche l'aiuto umanitario e la cooperazione allo sviluppo. Per gli operatori umanitari, tenuti ad attenersi ai principi della neutralità, dell'imparzialità e dell'indipendenza, è tuttavia essenziale essere percepiti come attori super partes.

L'esempio più recente degli sviluppi illustrati è rappresentato dalla crisi internazionale in Somalia. Non è stato possibile impedire, a partire dai primi anni Novanta, una destabilizzazione della struttura politica della Somalia divenuta progressivamente uno «Stato fallito». Ne conseguono, tra le altre cose, una spiccata dipendenza della popolazione civile dagli aiuti umanitari e una minaccia per la navigazione lungo la costa somala perpetrata da attori non statali (pirati), contro i quali lo Stato somalo non riesce a difendersi. I pirati minacciano da un lato l'approvvigionamento della popolazione civile con beni di soccorso del Programma alimentare mondiale e dall'altro mettono in pericolo la rotta commerciale che passa per il Canale di Suez attraverso il Golfo di Aden e lungo la costa somala.

Già da tempo una missione multidimensionale di pace in Somalia figura all'ordine del giorno dell'ONU, una risposta internazionale intesa a esaminare le cause del conflitto e a ripristinare una certa stabilità, ma la preoccupazione che misure di imposizione della pace non siano al centro di una simile missione ha ritardato finora la decisione del Consiglio di sicurezza. Dal maggio 2008 quest'ultimo si è invece occupato ripetutamente del problema della pirateria lungo le coste somale. Fondandosi sul capitolo VII dello Statuto delle Nazioni Unite, ha autorizzato Stati terzi a usare la forza in caso di attacchi armati nelle acque territoriali somale. La comunità degli Stati è stata chiamata a proteggere militarmente, davanti alle coste della Somalia, innanzitutto le imbarcazioni del Programma alimentare mondiale, poi, più in generale, navi commerciali in pericolo e infine a combattere attivamente la pirateria e a perseguirla penalmente (la risposta della Svizzera è illustrata al n. 3.4.1.2).

Le risoluzioni del Consiglio di sicurezza contro la pirateria in Somalia11 evidenziano due
sviluppi nell'ambito della gestione internazionale delle crisi: da un lato rivelano la problematica della precarietà della sicurezza per la popolazione civile, e quindi anche per l'aiuto umanitario, proprio in relazione al fenomeno degli «Stati falliti», mentre dall'altro rendono attenti alla minaccia rappresentata dagli attori non statali.

Nelle Risoluzioni 1846 e 1851 il Consiglio di sicurezza definisce espressamente la pirateria lungo le coste somale una minaccia per la pace mondiale e la sicurezza internazionale nella regione. Oggi, la gestione internazionale delle crisi non si occupa dunque più soltanto degli attori o delle vittime di conflitti armati, siano essi internazionali o no, ma si estende anche a quegli attori non statali che non sono parti in causa vere e proprie ma che, a causa del vuoto giuridico, possono mettere in pericolo la pace mondiale. Contro questi ultimi il Consiglio di sicurezza dell'ONU, conformemente all'estensione dei compiti della promozione militare della pace, ha deciso di adottare misure di polizia militare in virtù del capitolo VII. In questo contesto si ripropone anche la questione delle interfacce tra la collaborazione militare e quella civile. Nel caso della pirateria essa è disciplinata dal diritto internazio-

10

11

L'UE e la NATO, che prendono parte a operazioni di pace multidimensionali dell'ONU come attori internazionali, hanno elaborato parallelamente un «Concept of Civil-Military Coordination» e un «Comprehensive Approach».

S/RES/1814; S/RES/1816; S/RES/1838; S/RES/1846; S/RES1851

5487

nale; la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare prevede infatti l'impiego di mezzi militari per difendersi dalla pirateria e perseguirla.

L'importanza crescente della promozione militare della pace nell'ambito della gestione internazionale delle crisi pone infine la comunità internazionale di fronte alla responsabilità di legittimarla sul piano internazionale mediante chiari mandati.

Si è in presenza di chiari mandati internazionali quando il Consiglio di sicurezza decide un'operazione di pace condotta dall'ONU oppure quando autorizza espressamente Stati membri o organizzazioni regionali (p. es. l'UE) a condurre un'operazione di questo genere. Un mandato del Consiglio di sicurezza risulta indispensabile soprattutto se l'operazione di promozione della pace implica anche l'uso della forza militare.

Per la Svizzera le potenziali minacce sono le stesse che per gli altri Paesi dell'Europa centrale e occidentale. In quanto società democratica e aperta essa condivide infatti la medesima vulnerabilità di fronte a pericoli la cui origine può essere molto lontana e che, come mostra l'esempio dei pirati nel Golfo di Aden, possono comportare anche concreti svantaggi economici. Queste riflessioni hanno spinto negli ultimi anni numerosi Stati a sviluppare la protezione militare della pace e della gestione internazionale delle crisi. Anche la Svizzera deve tener conto del minaccioso scenario internazionale. Per il nostro Paese, come per la comunità internazionale, la sfida consiste nell'adeguare i propri strumenti di promozione della pace e di gestione delle crisi all'evoluzione costante dei conflitti e nel metterli al servizio della gestione internazionale delle crisi. La Svizzera può senz'altro accettare questa sfida, anche entro i limiti imposti dalla legislazione nazionale che, in materia di promozione militare della pace, esclude la partecipazione ad azioni di combattimento per l'imposizione della medesima.

3

Le priorità della politica estera svizzera

3.1

Gli assi principali della politica estera svizzera

Nell'ambito della politica estera e della tutela degli interessi nazionali, l'impegno elvetico si concentra principalmente sui dossier bilaterali, regionali e globali illustrati nel presente n.

Quest'ultimo è suddiviso in tre grossi sottonumeri, in corrispondenza dei tre assi principali della politica estera svizzera.

1. Relazioni bilaterali e regionali (n. 3.2) Oggetto di questo sottonumero sono lo stato dei nostri rapporti e l'impostazione della nostra politica nei confronti degli altri Stati e delle varie regioni del mondo (asse geografico della politica estera).

Al riguardo si pongono per la Svizzera una serie di questioni fondamentali, prime fra tutte la sua posizione in Europa (cfr. n. 3.2.2), tenendo presente che occorre distinguere tra l'UE, le altre organizzazioni regionali e i singoli Stati europei. Considerato lo stretto legame della Russia e della Turchia con la regione europea e dunque la loro importanza per il Vecchio continente, anche questi due Stati, così come il Caucaso e l'Asia centrale, sono oggetto del n. citato.

5488

Come già accennato nel n. 2, la Svizzera deve fare i conti con il mutamento degli equilibri di potere che si sta verificando sulla scena internazionale. Nel 2005 il Consiglio federale ha stilato un bilancio della propria politica estera ed ha elaborato linee guida, nelle quali sottolinea l'importanza di approfondire e sistematizzare le relazioni con l'Europa, la Russia, la Turchia, ma soprattutto con gli Stati Uniti, le tre grandi potenze asiatiche (Cina, India e Giappone), il Sudafrica e il Brasile (cfr.

n. 3.2.3­3.2.6).

2. Sfide globali (n. 3.3) In questo sottonumero si guarda sostanzialmente al modo in cui la comunità internazionale e la Svizzera, insieme agli altri attori, reagiscono a problemi che superano le capacità dei singoli Stati e richiedono soluzioni globali (asse tematico della politica estera).

Le sfide globali oggetto del presente rapporto sono i problemi economici e finanziari, i cambiamenti climatici, la politica estera in materia di energia e salute e, in seguito, i settori prioritari del DFAE, ovvero la promozione della pace e la sicurezza umana in generale, il consolidamento del diritto internazionale e lo sviluppo equo e sostenibile.

3. Consolidamento del sistema multilaterale (n. 3.4) La questione precipua analizzata in questo sottonumero è come riformare le organizzazioni internazionali più importanti affinché possano espletare meglio i compiti loro affidati (asse istituzionale della politica estera). Parallelamente si tratta di analizzare la posizione che il nostro Paese ricopre in queste organizzazioni e le attività che intraprende per tutelare gli interessi propri e quelli globali.

Oggetto del presente rapporto sono in particolare l'ONU (n. 3.4.1) e, brevemente, il Fondo monetario internazionale (n. 3.4.2), l'OMC (n. 3.4.3) e l'OCSE (n. 3.4.4).

Nei limiti del possibile, si è cercato di evitare le ripetizioni analizzando approfonditamente un dossier in un unico punto del rapporto al quale si è successivamente rinviato ogni qual volta sia stato menzionato tale dossier.

3.2

Buone relazioni con Stati e regioni

3.2.1

Premessa

Alle relazioni diplomatiche il Consiglio federale applica esplicitamente il principio dell'universalità. La Svizzera si prefigge infatti di intrattenere buone relazioni con tutti gli Stati e con tutte le organizzazioni regionali, indipendentemente dalla loro posizione e dal loro credo politico.

Nel passato questo approccio politico si è dimostrato non solo valido ma anche essenziale per un Paese come la Svizzera che, pur non essendo membro dell'UE e non aderendo ad alcuna alleanza con le grandi potenze mondiali, intende tutelare i propri interessi all'estero e contribuire alla soluzione di questioni e problemi irrisolti con proposte che ottengano riconoscimento e consenso internazionali.

Numerosi Stati non sono trattati nei n. che seguono, ma ciò non significa, ovviamente, che essi non siano importanti per il nostro Paese. Il Consiglio federale è lieto di poter affermare che con la maggior parte degli Stati la qualità delle relazioni è 5489

buona se non addirittura ottima e che negli ultimi anni la collaborazione e gli scambi reciproci hanno fatto registrare importanti progressi. Negli anni a venire la Svizzera farà il possibile per salvaguardare i risultati ottenuti e per compiere ulteriori progressi sul piano bilaterale e regionale.

3.2.2

Politica europea

3.2.2.1

Unione europea

3.2.2.1.1

L'importanza dell'UE nel mondo e per la Svizzera

L'importanza dell'UE nel mondo L'UE conta oggi 27 Stati membri e quasi 500 milioni di cittadini. Destinata ad allargarsi ancora nei prossimi anni, essa è diventata un attore importante non solo nel continente europeo, bensì a livello internazionale e manterrà anche in futuro un ruolo chiave nonostante il mutamento degli equilibri di potere che si sta delineando.

Prima potenza economica mondiale, l'UE fa la parte del leone nel settore dell'aiuto allo sviluppo, gioca un ruolo determinante nel settore ambientale ed è un importante fattore di stabilità e di pace.

Dell'UE si dice a volte che è un gigante economico, ma uno gnomo politico. Negli ultimi anni, tuttavia, essa ha sistematicamente consolidato le sue capacità nei settori della politica estera, della sicurezza e della difesa. Le pertinenti competenze non sono comunitarie, bensì spettano ai singoli Stati membri e dipendono dalla definizione di una politica comune; in alcuni casi l'Unione europea non è quindi in grado di operare con la necessaria determinazione ed efficacia. Malgrado queste difficoltà, essa ha sviluppato nel corso degli ultimi anni diversi meccanismi e istituzioni che le hanno consentito di ampliare le sue capacità (vanno ricordati, ad esempio, l'istituzione del Comitato politico e di sicurezza, del Comitato militare, dello Stato maggiore, dell'Agenzia europea per la difesa nonché di diversi gruppi tattici di battaglia). Dal 2003 ad oggi, per esempio, l'UE ha lanciato oltre venti missioni civili e militari di promozione della pace in Europa, Asia e Africa. L'entrata in vigore del Trattato di Lisbona che è stata differita dovrebbe rafforzare la posizione dell'UE in questo settore, in particolare attraverso l'istituzione della carica dell'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune. Quest'ultimo, che sarà anche vicepresidente della Commissione europea, disporrà di un servizio diplomatico proprio che renderà la politica estera dell'UE più visibile e coerente.

Fino ad oggi almeno, la forza dell'UE non è risieduta nel suo potere militare («hard power») ma nell'influenza («soft power») che esercita sul continente europeo e sugli Stati vicini. L'interesse che la prospettiva di poter aderire all'Unione ha suscitato e tutt'ora suscita in molti Stati vicini, ha modificato profondamente lo spazio europeo.

Molti sono
i Paesi che, nella speranza di poter aderire all'UE, si sono impegnati o si impegnano a fondo per adeguare l'economia, il sistema politico e la politica di sicurezza ai requisiti e alle norme comunitarie. Dal canto suo, l'UE si trova nella condizione privilegiata di poter esigere da alcuni Stati che anelano all'adesione il rispetto di determinate norme di comportamento. In qualità di istituzione consultiva e democratica fondata sui principi dello stato di diritto, essa è assurta per molti aspetti a modello per diverse regioni del mondo. L'ampliamento del raggio d'azione delle politiche comunitarie è accompagnato da una componente di politica estera sempre più rilevante, al punto che le competenze dell'UE in questo settore conti5490

nuano ad aumentare. Si assiste dunque all'aumento della forza normativa dell'UE e della sua influenza sulla definizione di regole globali come pure del suo peso in seno a organizzazioni e consessi regionali.

L'importanza dell'UE per la Svizzera In qualità di organizzazione internazionale confinante con il territorio elvetico, di principale partner economico e, in misura crescente, di istituzione che emana norme di validità internazionale, l'UE è divenuta la principale sfida nell'ambito delle relazioni elvetiche con l'estero. La sua importanza per la Svizzera cresce parallelamente alla sua estensione geografica e all'ampliamento delle sue competenze. L'UE sta infatti allargando il suo campo d'azione a settori che competevano tradizionalmente a organizzazioni di cui la Svizzera fa già parte come il Consiglio d'Europa e l'OSCE.

Alla stregua dell'UE, il nostro Paese reputa centrali valori quali la democrazia, la tutela dei diritti umani, l'economia sociale di mercato e lo sviluppo sostenibile. Il suo cammino politico tuttavia non è quello dell'UE. Pur collaborando con l'Unione europea in molti settori e recependone, di norma, il diritto emanato, la Svizzera rinuncia esplicitamente, in quanto Stato non membro, al diritto di codecisione. L'UE dal canto suo non intrattiene con nessun altro Paese relazioni paragonabili alla via bilaterale perseguita con la Svizzera.

3.2.2.1.2

Obiettivi delle relazioni svizzere con l'UE

La politica europea, che è parte integrante della politica estera, ha lo scopo di tutelare gli interessi elvetici nei confronti dell'UE. Vista l'importanza dell'Unione europea per la Svizzera, il nostro Paese si è sempre adoperato per intrattenere ottime relazioni e, allo scopo di consolidarle, ha sottoscritto nel corso degli anni una serie di accordi bilaterali, 20 dei quali di grande importanza, e oltre un centinaio di cosiddetti accordi secondari. Grazie a questi accordi la Svizzera beneficia di un accesso privilegiato al mercato comune e della possibilità di collaborare con agenzie e programmi comunitari che tornano a vantaggio anche degli interessi elvetici. Per la Svizzera è essenziale preservare i risultati fin qui ottenuti come pure continuare a sviluppare le relazioni con l'UE concludendo accordi in altri ambiti di interesse comune. Ciò non basta tuttavia per mantenere le buone relazioni bilaterali, basate sul rispetto e sulla comprensione reciproci. Occorrono colloqui a cadenze regolari ai massimi livelli. Incontri di questo tipo permettono infatti di consolidare il rapporto di fiducia fra le parti e di identificare per tempo nonché risolvere eventuali problemi. Poiché persegue gli stessi obiettivi dei suoi vicini e, grazie all'integrazione europea, partecipa alla stabilità e al benessere del continente, anche la Svizzera deve assumersi solidalmente la sua responsabilità europea. Una politica europea attiva e impegnata, inoltre, le consente di tutelare i propri interessi.

Nel Rapporto Europa12, licenziato nel giugno del 2006, il Consiglio federale fa un bilancio della politica europea elvetica e illustra le linee guida della politica futura.

In particolare, giunge alla conclusione che la cooperazione bilaterale costituisce al momento lo strumento più adatto per tutelare gli interessi svizzeri nei confronti

12

FF 2006 6223

5491

dell'UE. Affinché possa dirsi lo stesso anche in futuro, occorre, stando al rapporto, che continuino ad essere soddisfatte alcune condizioni: ­

nell'ambito degli accordi bilaterali con l'UE, la Svizzera dispone di un grado di codecisione e di uno spazio di manovra per l'attuazione delle proprie politiche giudicati entrambi sufficienti;

­

per quanto riguarda la politica applicata nei confronti dei Paesi terzi, l'UE è disposta a elaborare congiuntamente alla Svizzera soluzioni nell'ambito di accordi bilaterali settoriali;

­

le condizioni quadro economiche, in particolare anche nell'ambito monetario, non cambiano a scapito della Svizzera.

Sebbene sia consapevole della limitata influenza che può esercitare, la Svizzera continuerà ad adoperarsi affinché queste condizioni siano soddisfatte. Nel momento in cui non lo fossero più, gli strumenti della politica europea elvetica andranno adeguati. In tal senso, resta valida l'opzione dell'adesione all'Unione europea.

Nel gennaio e nel maggio del 2007 il Consiglio federale ha fissato per la propria politica europea tre obiettivi a breve e a medio termine. Ribaditi nel marzo del 2008, essi prevedono: 1.

l'attuazione rapida ed efficace di tutti gli accordi bilaterali conclusi con l'UE;

2.

l'ulteriore ampliamento delle sue relazioni con l'UE attraverso accordi aggiuntivi in nuovi settori di interesse comune;

3.

il consolidamento delle relazioni con l'UE.

A questi tre obiettivi sono dedicati i tre n. seguenti. Per ognuno di essi sono illustrati lo stato e le prospettive di sviluppo del corrispondente dossier.

3.2.2.1.3

Attuazione degli accordi conclusi (obiettivo 1)

Schengen/Dublino Il 5 giugno 2005 il Popolo elvetico ha approvato con il 54,6 per cento dei voti gli Accordi di associazione a Schengen e Dublino dando il via a una collaborazione più stretta a livello europeo in materia di sicurezza e di asilo. A seguito dell'entrata in vigore formale degli Accordi il 1° marzo 2008, l'UE ha proceduto alla valutazione dell'attuazione in Svizzera delle disposizioni Schengen. Tra marzo e l'inizio di settembre del 2008, esperti degli altri Stati Schengen, del Consiglio e della Commissione hanno esaminato i seguenti settori: protezione dei dati, cooperazione in materia di polizia e visti, aeroporti e Sistema d'informazione di Schengen (SIS). Il fatto che la valutazione si concludesse con un esito positivo era una delle condizioni per l'entrata in vigore in Svizzera degli Accordi Schengen/Dublino. Dal 12 dicembre 2008 il nostro Paese è parte del sistema Schengen poiché da tale data partecipa a titolo operativo alla cooperazione Schengen e applica la procedura di valutazione dell'attuazione delle sue disposizioni. Per l'abolizione negli aeroporti dei controlli sistematici delle persone che effettuano voli all'interno dello spazio Schengen, si è invece dovuto attendere il 29 marzo 2009, ovvero l'entrata in vigore del nuovo piano di volo.

5492

Grazie all'associazione alle normative di Schengen e Dublino la Svizzera è partner a pieno titolo dello spazio europeo di libera circolazione delle persone e dello spazio europeo di sicurezza. Ha infatti acquisito il diritto di partecipare attivamente («decision shaping») all'elaborazione di nuovi atti normativi e di misure volti ad ampliare l'acquis delle norme Schengen/Dublino. Continuerà inoltre a collaborare con i comitati e i gruppi di lavoro che si occupano di questi temi per trarre il maggior beneficio possibile dal partenariato con l'UE.

Libera circolazione delle persone Nel decreto di approvazione degli Accordi bilaterali I l'Assemblea federale ha stabilito che il rinnovo dell'Accordo sulla libera circolazione delle persone (ALCP), concluso inizialmente per un periodo di soli 7 anni, sarebbe stato deciso con un decreto federale sottoposto a referendum. Visto il quadro giuridico (validità fino al 31 maggio 2009, possibilità di un referendum), il Parlamento ha dovuto dibattere il primo progetto (rinnovo) nella prima metà del 2008. Il secondo progetto riguardava l'estensione dell'ALCP alla Romania e alla Bulgaria divenuti Stati membri dell'UE il 1° gennaio 2007. Anche in questo caso, come già per gli Stati che avevano aderito all'UE nel 2004, si rendeva necessaria la conclusione di un protocollo aggiuntivo. I negoziati, avviati il 10 luglio 2007, si sono conclusi formalmente il 29 febbraio 2008 con la parafatura del Protocollo all'ALCP relativo alla partecipazione della Bulgaria e della Romania in qualità di parti contraenti (Protocollo II). Il Protocollo è stato firmato a Bruxelles il 27 maggio 2008.

Dopo accesi dibattiti, l'Assemblea federale ha deciso nella primavera/estate del 2008 di esprimersi sul rinnovo dell'Accordo sulla libera circolazione delle persone e sulla sua estensione alla Romania e alla Bulgaria votando un unico decreto. Il 13 giugno 2008 il decreto è stato approvato a netta maggioranza, ma contro di esso è stato indetto il referendum.

La questione del rinnovo e dell'estensione dell'Accordo sulla libera circolazione delle persone era di particolare importanza in termini sia di politica interna che di politica estera visto che il destino di tale Accordo era giuridicamente vincolato a quello degli altri 6 inclusi nel pacchetto Bilaterali I. In mancanza di un rinnovo
dell'Accordo, infatti, sarebbero stati automaticamente annullati tutti gli accordi dei Bilaterali I dopo sei mesi. Era in gioco dunque il futuro della stessa via bilaterale.

L'8 febbraio 2009 il Popolo ha approvato il rinnovo dell'ALCP e la sua estensione a Romania e Bulgaria con il 59,6 per cento dei voti, confermando quindi anche tutti gli altri accordi del pacchetto Bilaterali I. Il Protocollo II è entrato in vigore il 1° giugno 2009.

Critiche alle misure d'accompagnamento (in particolare all'obbligo di notifica preliminare) Dall'inizio del 2007 la Svizzera è oggetto di critiche soprattutto da parte tedesca e austriaca a causa delle misure di accompagnamento e in particolare della loro applicazione nel settore della fornitura transfrontaliera di servizi. Le critiche ­ raccolte dalla Commissione europea ­ riguardano in particolare il computo di alcuni costi d'esecuzione e contributi, la prassi non sempre unitaria dei Cantoni in materia di esecuzione, un'offerta di informazioni considerata lacunosa e, soprattutto, l'obbligo di notifica preliminare (con otto giorni di anticipo) della fornitura transfrontaliera di servizi da parte di cittadini dello spazio UE. Mentre ad avviso della Commissione e di alcuni Stati membri questa regolamentazione contravviene all'Accordo sulla 5493

libera circolazione delle persone, la Svizzera la reputa compatibile. Le misure d'accompagnamento sono vitali per garantire che in Svizzera la libera circolazione delle persone raccolga il massimo consenso. È dunque fondamentale trovare una soluzione soddisfacente per tutte le parti coinvolte.

Nell'ambito dei numerosi e regolari contatti con gli Stati vicini menzionati e con la Commissione europea (tra l'altro con il Comitato misto istituito dall'ALC), il Consiglio federale e i rappresentanti dell'Amministrazione federale hanno discusso approfonditamente della questione.

Per arrivare più rapidamente a una soluzione, è stato anche istituto un gruppo di lavoro trinazionale nel quale siedono rappresentanti di Germania, Austria e Svizzera. Obiettivo del gruppo di lavoro è elaborare proposte di miglioramento concrete e accettabili per tutti, nel rispetto del quadro legale elvetico.

Lotta contro la frode L'Accordo del 26 ottobre 2004 di cooperazione fra la Confederazione Svizzera, da un lato, e la Comunità europea e i suoi Stati membri, dall'altro, per lottare contro la frode ed ogni altra attività illecita che leda i loro interessi finanziari (Accordo sulla lotta contro la frode) è l'unico accordo del pacchetto Bilaterali II a non essere ancora entrato in vigore.

Poiché si tratta di un accordo misto, è necessaria, da parte europea, l'approvazione e la ratifica non solo dell'UE, ma anche di tutti i suoi Stati membri, poiché tutti singolarmente sono Parti contraenti. Ad oggi, l'Accordo è stato ratificato dall'UE e da 23 dei 27 Stati membri. La Svizzera l'ha ratificato il 23 ottobre 2008.

Sebbene l'Accordo sulla lotta contro la frode entrerà in vigore solo nel momento in cui tutte le Parti contraenti lo avranno ratificato, esse possono anticiparne l'attuazione rilasciando una dichiarazione in tal senso. A fronte dell'entrata in vigore della normativa Schengen nel dicembre del 2008 e delle dichiarazioni rese dall'UE e da otto Stati membri, la Svizzera ha dichiarato l'attuazione anticipata dell'Accordo l'8 gennaio del 2009. In atto dall'8 aprile 2009, l'Accordo contribuirà a rendere più efficace la lotta contro reati attinenti alla fiscalità indiretta.

Fiscalità del risparmio L'Accordo sulla fiscalità del risparmio concluso tra l'UE e la Svizzera ed entrato in vigore nel 2005 è tuttora applicato. Il
1° luglio 2008, ovvero al termine dei primi tre anni di applicazione, il tasso della ritenuta di imposta è stato aumentato dal 15 al 20 per cento secondo quando previsto dall'Accordo. Le esperienze raccolte ne dimostrano il buon funzionamento. Nel 2008 l'importo netto della ritenuta di imposta sugli interessi pagati in Svizzera ai contribuenti dell'UE e versato agli Stati membri dell'Unione è stato di 738,4 milioni di franchi svizzeri. Nello stesso anno sono state registrate anche 43 000 notifiche volontarie di cittadini privati aventi domicilio fiscale nell'UE che hanno informato le autorità fiscali del proprio Stato in merito agli interessi percepiti in Svizzera.

Il 15 settembre 2008 la Commissione europea ha presentato un rapporto intermedio sulla tassazione del risparmio nell'UE, praticata in base a una specifica direttiva. Ne emerge un quadro complessivamente positivo poiché, entro i limiti imposti dal suo campo d'applicazione, la direttiva si è dimostrata efficace. Per quanto riguarda le possibilità di miglioramento rilevate, il 13 novembre 2008 la Commissione ha sottoposto al Consiglio dell'Unione europea proposte concrete. Le modifiche suggerite 5494

mirano a rendere più severa la tassazione degli interessi versati a persone fisiche o giuridiche interposte, utilizzate da aventi diritto assoggettati all'imposta per evadere il fisco. Inoltre, si vogliono sottoporre a tassazione strumenti finanziari innovativi i cui interessi o introiti derivano da crediti affini a titoli.

In questo contesto, il 18 giugno 2009 la Commissione europea ha richiesto l'adozione della clausola di revisione, al fine di migliorare il funzionamento tecnico dell'Accordo sulla fiscalità del risparmio e di valutare gli sviluppi a livello internazionale. La Svizzera ha preso atto di questa richiesta; un primo incontro è in programma nel corso del mese di settembre 2009.

Ricerca I programmi quadro pluriennali per la ricerca e lo sviluppo tecnologico (PQRS) sono il principale strumento con cui l'Unione europea finanzia la ricerca. La Svizzera ha ampiamente dimostrato la sua volontà di partecipare a pieno titolo a detti programmi quadro stipulando, nell'ambito degli Accordi bilaterali I, un primo accordo di associazione ­ limitato tuttavia alla durata del 5° PQRS ­ e rinnovandolo il 18 giugno 2004 per partecipare al 6° PQRS (2002­2006).

Un terzo accordo è stato negoziato e infine sottoscritto il 25 giugno 2007 per consentire alla Svizzera di partecipare al 7° Programma quadro (2007­2013). Applicato provvisoriamente e con effetto retroattivo dal 1° gennaio 2007, è entrato ufficialmente in vigore il 28 febbraio 2008.

La possibilità di partecipare a pieno titolo ai PQRS si è dimostrata utilissima. Stando a una valutazione della partecipazione svizzera al 6° Programma quadro, infatti, la resa dei fondi svizzeri investiti è stata superiore al 100 per cento.

MEDIA Nella sessione invernale 2007 le Camere federali si sono rifiutate di approvare l'Accordo sulla partecipazione della Svizzera al Programma comunitario MEDIA per gli anni 2007­2013 (MEDIA 2007) a causa dell'obbligo, previsto nell'Accordo, di recepire, a partire dal novembre 2009, il principio applicato nell'UE cosiddetto del Paese d'origine, concernente la libertà di ricezione e di ridiffusione di trasmissioni televisive.

Su richiesta del Parlamento, il Consiglio federale ha dunque elaborato una soluzione che tiene maggiormente conto delle specificità della legislazione svizzera e che consente al nostro Paese di applicare
le proprie norme ­ più restrittive ­ alle finestre pubblicitarie estere, a condizione che tali norme rispondano a un interesse pubblico, siano proporzionali all'obiettivo da raggiungere e non siano discriminatorie. Con il decreto del 26 novembre 2008 il Consiglio federale ha proposto al Parlamento l'approvazione di questa nuova regolamentazione e contemporaneamente una modifica della legge federale sulla radiotelevisione (LRTV), affinché tutte le emittenti svizzere possano trasmettere pubblicità per le bevande poco alcoliche.

Le Camere federali dibatteranno della partecipazione svizzera al Programma MEDIA e della modifica della LRTV nel corso di quest'anno.

Educazione/formazione professionale/gioventù La Svizzera e l'UE intendono formalizzare in un accordo bilaterale la propria collaborazione ai programmi europei d'istruzione, di formazione professionale e di sostegno ai giovani nonché trasformare la partecipazione indiretta della Svizzera in 5495

una partecipazione a pieno titolo. Ciò garantirebbe alle persone provenienti dalla Svizzera il diritto di accedere a tutte le attività dei programmi alle stesse condizioni degli altri partner dell'UE. Aumenterebbero così considerevolmente la partecipazione di studenti e docenti svizzeri ai programmi di scambio e le possibilità di svolgere stage professionali all'estero. La Svizzera avrebbe il diritto di partecipare ai lavori dei comitati strategici dei programmi (senza tuttavia diritto di voto), di accedere a tutte le informazioni e di collaborare all'elaborazione dei contenuti dei programmi. Ai cittadini svizzeri sarebbe altresì consentito avviare e dirigere progetti. I costi delle attività svizzere nell'ambito dei programmi dell'UE sarebbero coperti dai fondi stanziati dall'UE per tali programmi, e ai quali la Svizzera fornirebbe il suo contributo finanziario.

Attualmente la Svizzera partecipa ai programmi dell'UE unicamente in modo indiretto. Ciò significa che le istituzioni svizzere possono partecipare a singoli progetti e sulla base di un finanziamento federale solo se il coordinatore del progetto UE o l'istituzione partner è d'accordo. Nell'ambito degli Accordi bilaterali II la Svizzera e l'UE hanno ribadito, attraverso una dichiarazione politica d'intenti, la loro volontà di negoziare un accordo che sancisca la partecipazione ufficiale della Svizzera ai programmi della generazione 2007­2013.

I negoziati sono cominciati il 9 aprile 2008 e l'accordo è stato parafato nell'estate del 2009.

Regola delle 24 ore Dopo gli attentati terroristici dell'11 settembre 2001, l'Amministrazione statunitense ha introdotto nuove misure di sicurezza riguardanti il traffico merci. L'UE, dal canto suo, ha risposto a tale provvedimento decidendo l'introduzione, dal 1° luglio 2009, dell'obbligo della predichiarazione sommaria per l'importazione e l'esportazione di merci da e verso Paesi terzi (la cosiddetta «regola delle 24 ore»). L'adozione di questa misura europea si sarebbe tradotta in nuovi ostacoli tecnici al commercio con ricadute negative sugli scambi commerciali tra la Svizzera e l'UE. Considerate le strette relazioni economiche tra il nostro Paese e l'Europa era vitale trovare una soluzione che non intralciasse i trasporti di merci e garantisse procedure di sdoganamento rapide. Le misure di sicurezza
previste avrebbero altresì avuto ripercussioni negative sull'asse di transito che attraversa la Svizzera: l'allungamento delle procedure avrebbe rallentato il traffico, fatto aumentare gli ingorghi e motivato gli operatori a cercare vie di trasporto alternative con effetti negativi sotto il profilo ambientale.

I negoziati con l'UE sono stati avviati il 19 luglio 2007. La soluzione cui la Svizzera e la Commissione europea sono giunte, che dovrebbe garantire un traffico merci privo di ostacoli, prevede la partecipazione del nostro Paese al dispositivo di sicurezza europeo, così come già avviene in ambito veterinario. Sostanzialmente, la soluzione adottata prevede il riconoscimento reciproco degli standard di sicurezza, la non introduzione della predichiarazione negli scambi commerciali Svizzera-UE, la sua introduzione e un'analisi dei rischi da parte svizzera nell'ambito degli scambi di merci con Paesi terzi e, da ultimo, l'introduzione da parte elvetica dello statuto di operatore economico autorizzato («Authorized Economic Operator»).

Il risultato dei negoziati, conclusi nel febbraio del 2009, soddisfa le principali esigenze delle due parti anche per quanto riguarda la questione degli sviluppi del diritto (cfr. n. 3.2.2.1.6). L'accordo è stato firmato il 25 giugno; il 13 maggio 2009 il Con5496

siglio federale ne ha deciso l'applicazione provvisoria in attesa dei risultati della consultazione presso le Commissioni della politica estera.

Contributo all'allargamento Con il suo contributo finanziario a favore dei nuovi Stati membri dell'UE, la Svizzera riconosce l'importanza dell'allargamento dell'Unione europea per superare definitivamente la divisione dell'Europa e garantire a tutto il continente ­ e dunque indirettamente anche a se stessa ­ sicurezza, stabilità e prosperità. Il 26 novembre 2006 il Popolo svizzero ha approvato con il 53,4 per cento dei voti la legge federale sulla cooperazione con gli Stati dell'Europa dell'Est13, che costituisce la base legale dei contributi elvetici alla riduzione delle disparità economiche e sociali nell'UE allargata.

A favore dei dieci Stati che hanno aderito all'UE nel 2004 è stato stanziato un contributo di un miliardo di franchi, per un periodo d'impegno di 5 anni, finalizzato al finanziamento di programmi e progetti che la Svizzera sceglie e realizza sul posto in stretta collaborazione con i suoi partner. Per la realizzazione di tali progetti il nostro Paese ha negoziato con tutti i dieci Stati partner accordi di cooperazione bilaterale, che ha sottoscritto il 20 dicembre 2007. Nel corso del primo semestre del 2008 la Svizzera e i Paesi partner hanno chiarito le questioni procedurali ed hanno definito le modalità per la messa in atto dei progetti.

Il 1° gennaio 2007 hanno aderito all'UE anche la Bulgaria e la Romania che, da tale data, non hanno più beneficiato dell'aiuto svizzero alla transizione. Il 20 febbraio 2008 il Consiglio federale ha adottato la decisione di principio di aumentare il contributo svizzero all'UE allargata di 257 milioni di franchi e il 5 giugno 2009 ha chiesto alle Camere federali di approvare un credito quadro per finanziare il contributo a Bulgaria e Romania. Non appena il Parlamento avrà dato il proprio assenso, verranno negoziati accordi bilaterali quadro anche con questi due Paesi in modo da regolamentare l'impiego del contributo.

3.2.2.1.4

Ampliamento delle relazioni con l'UE (obiettivo 2)

Decisione del Consiglio federale del 27 febbraio 2008 Nell'intento di ampliare le relazioni con l'UE, il Consiglio federale ha deciso, sentite le cerchie interessate, di considerare prioritari alcuni dossier riguardanti diversi nuovi ambiti di interesse comune. Si tratta di dossier di notevole importanza politica o economica, di questioni che devono essere risolte in un futuro prossimo, di settori per i quali l'UE ha già manifestato l'intenzione di avviare negoziati o di ambiti nei quali vi è la prospettiva di giungere a un'intesa. I dossier in questione, spiegati in dettaglio nelle pagine che seguono, sono: Eurojust, elettricità, settore agroalimentare, salute pubblica, Agenzia europea per la difesa, accordo quadro nel settore della politica europea di sicurezza e di difesa, scambio di quote di emissioni, Galileo, REACH e assicurazioni.

13

RS 974.1

5497

Eurojust A margine della riunione del 27 novembre 2008 del Consiglio dei ministri della giustizia e degli affari interni dell'UE, l'Autorità giudiziaria europea (Eurojust) e la Svizzera hanno firmato un accordo di cooperazione. In qualità di intermediaria, Eurojust si propone di creare le condizioni quadro per consentire una cooperazione ottimale tra le autorità giudiziarie nazionali e per migliorare l'efficienza del perseguimento e della repressione dei reati. L'Accordo, che estende la collaborazione nei settori della giustizia e degli affari interni, istituzionalizza una collaborazione che fino ad ora era solo puntuale e contribuirà a lottare meglio e più efficacemente contro la criminalità transfrontaliera e il terrorismo. Il Consiglio federale sottoporrà al Parlamento il messaggio riguardante la ratifica.

Elettricità Scopo di un accordo con l'UE nel settore dell'elettricità è consolidare a lungo termine, attraverso regole vincolanti, il ruolo della Svizzera quale crocevia nel transito di energia elettrica attraverso il mercato europeo. L'accordo dovrà contribuire ad assicurare l'approvvigionamento energetico in un contesto di libero mercato e a garantire il buon funzionamento del mercato elettrico europeo. Considerata poi l'importanza dell'energia idroelettrica in Svizzera, l'accordo dovrà garantire il reciproco riconoscimento delle garanzie d'origine per l'energia ottenuta da fonti rinnovabili.

I negoziati con l'UE sono stati avviati a Bruxelles l'8 novembre 2007 e vertono sui temi seguenti: sicurezza dell'approvvigionamento, disciplinamento del commercio transfrontaliero dell'elettricità, reciproco libero accesso al mercato. Nell'accordo dovranno figurare anche disposizioni di carattere ambientale. Nel corso dell'ultima tornata negoziale, due gruppi di lavoro sono stati incaricati di procedere a un confronto degli ordinamenti giuridici disciplinanti gli aspetti menzionati; le disposizioni svizzere che servono al confronto sono contenute nella legge sull'approvvigionamento elettrico, entrata quasi integralmente in vigore il 1° gennaio 2008.

Settore agroalimentare, salute pubblica e sicurezza dei prodotti Da ben 35 anni i prodotti industriali circolano liberamente tra la Svizzera e l'UE in virtù dell'Accordo di libero scambio concluso nel 1972; il commercio dei prodotti agroalimentari,
invece, è liberalizzato solo parzialmente. L'apertura dei mercati offrirebbe alla Svizzera la possibilità di collaborare con le autorità europee preposte all'analisi dei rischi e di partecipare ai sistemi europei di allarme rapido e precoce, nell'ottica di una protezione contro i pericoli per la salute. Il settore della salute occupa un posto soltanto marginale negli accordi bilaterali in corso.

Il 27 agosto 2008, dopo aver consultato le commissioni parlamentari e i Cantoni, il Consiglio federale ha confermato il mandato negoziale deciso il 14 marzo 2008 per accordi tra la Svizzera e l'UE riguardanti il settore agroalimentare, la sicurezza dei prodotti e la salute pubblica. I negoziati sono stati avviati il 4 novembre 2008.

L'obiettivo consiste, da un lato, nel consentire alla Svizzera di collaborare con le due autorità preposte all'analisi dei rischi (l'Autorità europea per la sicurezza alimentare, EFSA e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, ECDC), nonché di partecipare ai sistemi di allarme rapido per gli alimenti e i mangimi (RASFF), per i prodotti di consumo pericolosi (RAPEX) e per le malattie trasmissibili, nonché al programma dell'UE in materia di salute pubblica.

5498

Dall'altro lato è essenziale che l'accordo disciplini tutti i livelli della filiera agroalimentare (ossia l'agricoltura e tutti i settori a monte e a valle) ed elimini gli ostacoli tariffali (dazi doganali e contingenti) e non tariffali al commercio in modo che l'apertura dei mercati agroalimentari abbia ricadute positive sulla competitività dell'agricoltura e dell'industria alimentare. Un accordo riguardante il settore agroalimentare non si limiterebbe dunque a sviluppare le intese bilaterali esistenti in ambito agricolo (Accordo agricolo, Protocollo 2 dell'Accordo di libero scambio del 1972) e in più aprirebbe nuove prospettive a lungo termine all'agricoltura svizzera, all'industria di trasformazione e al commercio. La soppressione della protezione alle frontiere, tuttavia, pone non pochi problemi all'agricoltura nazionale. Perché possa beneficiare dei nuovi sbocchi di mercato, occorre dunque introdurre gradualmente il libero scambio e sostenere le aziende agricole coinvolte con misure d'accompagnamento.

Agenzia europea per la difesa (EDA) In Europa la cooperazione multilaterale in materia di armamenti è promossa principalmente dall'Agenzia europea per la difesa (EDA), che ha avviato la propria attività alla fine del 2004. Un rafforzamento della cooperazione e delle relazioni internazionali nel settore dell'armamento è assolutamente necessario per la Svizzera non solo per ragioni legate alla politica finanziaria e della sicurezza, ma anche perché solo partecipando alla cooperazione internazionale la nostra industria bellica e i nostri centri tecnologici e di ricerca possono preservare il loro know-how.

Nella primavera del 2008 il Consiglio federale ha quindi deciso di mirare alla collaborazione con l'Agenzia europea e di concludere con essa un cosiddetto accordo amministrativo. Esso renderebbe possibile lo scambio di informazioni tra la Svizzera e l'EDA, mettendo la Svizzera in condizione di identificare eventuali programmi o progetti d'armamento ai quali potrebbe partecipare. Il mandato per l'avvio di negoziati con l'EDA al fine di concludere un accordo amministrativo è in preparazione.

Accordo quadro nell'ambito della politica europea di sicurezza e di difesa (PESD) Dal 2003 l'Unione europea ha assunto un ruolo di rilievo sul fronte della promozione della pace. Nell'ambito della propria
politica di sicurezza e di difesa (PESD) ha condotto numerose missioni civili e militari di promozione della pace sia in Europa che al di là dei suoi confini. A molte delle azioni di promozione della pace ha partecipato anche la Svizzera. Gli Stati europei, ma anche il nostro Paese, sono chiamati a misurarsi con problematiche nuove; basti pensare alla pirateria, che nel Golfo di Aden sta assumendo proporzioni preoccupanti e minaccia ormai sia la navigazione umanitaria che commerciale (cfr. n. 3.4.1.2).

Per partecipare a una missione di pace la Svizzera deve concludere di volta in volta un accordo ad hoc con l'UE. Quest'ultimo semplificherebbe notevolmente le cose, poiché stabilirebbe le modalità di base valide per ogni intervento svizzero nell'ambito delle operazioni civili e militari di promozione della pace. Nel 2004 l'UE aveva già formulato un invito alla Svizzera in tal senso. A tempo debito, il Consiglio federale studierà l'opportunità di avviare negoziati volti alla conclusione di un accordo quadro che disciplini la partecipazione svizzera alle missioni di pace europee.

5499

La conclusione dell'accordo citato non obbligherà la Svizzera a partecipare a tutte le missioni di pace dell'UE; il nostro Paese continuerà a poter decidere liberamente e in ogni singolo caso se la partecipazione è opportuna.

Scambio di quote di emissioni Le imprese che, ai sensi della legge sul CO2, desiderano essere esentate dalla tassa sui combustibili fossili, introdotta il 1° gennaio 2008, possono partecipare al sistema svizzero di scambio di quote di emissioni impegnandosi in modo vincolante a ridurre le emissioni di gas a effetto serra. In futuro, il sistema svizzero dovrebbe essere collegato a quello europeo, operativo dal 2005.

Il 30 aprile 2008 hanno avuto luogo a Bruxelles colloqui esplorativi con la Commissione europea. È emerso che, in linea di massima, non sussistono ostacoli tecnici al collegamento dei due sistemi, tuttavia vi sono alcuni problemi che non consentono di procedere rapidamente. I due sistemi sono infatti impostati in modo diverso poiché quello svizzero si basa sul principio della facoltatività, mentre quello europeo sull'obbligatorietà. Inoltre, a conclusione delle discussioni internazionali in corso sulla politica climatica dopo il 2012, sarà verosimilmente necessario rivedere entrambi i sistemi.

Galileo e EGNOS L'importanza crescente della navigazione satellitare per l'attuazione delle politiche settoriali ha indotto l'UE a lanciare insieme all'Agenzia spaziale europea («European Space Agency», ESA) specifici programmi comuni (cfr. anche n. 3.2.2.3.6). Si tratta di EGNOS («European Geostationary Navigation Overlay Service») e di Galileo il cui scopo è realizzare infrastrutture europee nel settore della navigazione satellitare in grado di porre fine alla dipendenza fattuale degli utenti europei dal sistema americano GPS («Global Positioning System»). Delle prime fasi di questi programmi, compreso il loro finanziamento, si è occupata prevalentemente l'ESA.

Negli ultimi anni si è assistito al graduale trasferimento della responsabilità dei progetti e di importanti competenze decisionali all'UE. In questo contesto è cruciale che il ruolo specifico della Svizzera in quanto membro dell'ESA venga riconosciuto.

Per la Svizzera, inoltre, è essenziale associarsi ai programmi UE in modo da accedere a pieno titolo ai numerosi servizi connessi ai sistemi e aumentare le
possibilità dell'industria aerospaziale nazionale e del terziario di ottenere commesse. Associarsi ai programmi UE significa inoltre godere del diritto di essere consultati e di codecidere.

Negli ultimi due anni l'Amministrazione federale ha proseguito i colloqui per la preparazione dei negoziati ufficiali e solo da poco, visti i ritardi accumulati da parte europea, le condizioni per l'avvio dei negoziati risultano soddisfate. Il Consiglio federale ha autorizzato il mandato negoziale il 13 marzo scorso.

Le trattative per un primo accordo, che potrà essere ampliato in funzione delle necessità, saranno avviate nella seconda metà di quest'anno.

REACH Il 1° giugno 2007 è divenuto operativo il nuovo regolamento REACH («Registration, Evaluation, Authorisation and Restriction of Chemicals», Regolamento [CE] n. 1907/2006), il cui obiettivo consiste nel rendere l'utilizzo di sostanze chimiche più sicuro per l'uomo e l'ambiente. La procedura di registrazione secondo tale 5500

regolamento, in vigore nell'UE dal 1° giugno 2008, ha fatto nascere divergenze sostanziali tra la legislazione svizzera in materia di prodotti chimici e quella europea. Queste divergenze si traducono in ostacoli considerevoli al commercio. Inoltre, a medio e lungo termine il livello di protezione garantito in Svizzera agli esseri umani e agli animali potrebbe risultare inferiore a quello europeo. Il Consiglio federale intende pertanto chiarire rapidamente le possibilità e le condizioni quadro di una collaborazione con l'UE, e segnatamente con l'Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) a Helsinki, in ambito di controllo delle sostanze chimiche.

Il 29 ottobre 2008 il Consiglio federale ha perciò incaricato l'Amministrazione di avviare colloqui esplorativi con l'UE; i colloqui con la Commissione europea sono iniziati nella prima metà del 2009. Parallelamente, occorre procedere a una verifica delle disposizioni elvetiche in materia di prodotti chimici.

Vanno chiarite in particolare le grandi linee di un eventuale accordo con l'UE, le condizioni di accesso ai mercati per le esportazioni svizzere e i costi. Il Consiglio federale ha incaricato l'Amministrazione di riferire, nel secondo semestre del 2009, in merito ai risultati dei colloqui esplorativi con l'UE e di illustrare le possibili ripercussioni soprattutto per l'economia, la Confederazione e i Cantoni.

Assicurazioni L'Accordo tra la Svizzera e l'UE, entrato in vigore nel 1993, concede un'apertura parziale dei mercati del settore assicurativo in base al principio della reciprocità e della non discriminazione. Sono esclusi dal campo d'applicazione dell'accordo le riassicurazioni, le assicurazioni vita e la prestazione transfrontaliera di servizi assicurativi. Queste restrizioni precludono agli operatori elvetici del ramo assicurativo la possibilità di accedere liberamente a segmenti più lucrativi e internazionalizzati.

Secondo quanto deciso dal Consiglio federale il 27 febbraio 2008, l'Amministrazione deve provvedere ai necessari preparativi in vista di un eventuale mandato negoziale per l'ulteriore apertura dei mercati assicurativi. A fine 2009 dovrebbero essere disponibili i risultati del confronto fra la normativa europea e quella svizzera in materia di vigilanza. Inoltre, si valuteranno gli studi condotti da terzi sulla potenziale
utilità dell'ampliamento orizzontale e/o verticale dell'Accordo. In base ai risultati ottenuti si deciderà come procedere.

Controversia fiscale A differenza dei temi trattati sin qui, la controversia fiscale non rappresenta un obiettivo del Consiglio federale e tantomeno uno dei dossier prioritari in merito ai quali intende negoziare con l'UE. Si tratta piuttosto di un caso particolare, di uno sviluppo nei nostri rapporti con l'UE, che va inserito in questo n. del rapporto.

Nel febbraio 2007, dopo aver più volte criticato il trattamento fiscale riservato dai Cantoni ad alcune imprese (in particolare holding e società di gestione) in base alla normativa federale sull'armonizzazione fiscale, la Commissione europea ha informato le autorità svizzere della propria decisione unilaterale di considerare il regime fiscale cantonale una forma di aiuto pubblico, inconciliabile con il buon funzionamento dell'Accordo di libero scambio concluso tra l'UE e la Svizzera nel 1972. Il Consiglio federale ha respinto l'interpretazione dell'UE ritenendola infondata e ha declinato l'invito rivoltole a intavolare negoziati. Il nostro Governo ritiene che l'Accordo di libero scambio, disciplinante unicamente lo scambio di merci, non possa essere considerato lo strumento per armonizzare le politiche fiscali e di con5501

correnza. Le norme vigenti in Europa sugli aiuti pubblici non sono applicabili in Svizzera. Il Consiglio federale si è tuttavia detto disposto al dialogo con l'UE per consentire lo scambio reciproco di vedute e l'approfondimento di aspetti tecnici.

Alla fine del 2008 il Consiglio federale ha deciso di avviare una nuova riforma dell'imposizione fiscale delle imprese allo scopo di consolidare la posizione svizzera nel contesto della concorrenza internazionale e di migliorare le prospettive di crescita del Paese. Si tratta in particolare di adottare misure volte ad abbattere gli ostacoli fiscali per le imprese e di procedere ad alcuni adeguamenti dei regimi fiscali cantonali. Questi provvedimenti tengono conto anche delle richieste formulate dall'UE e migliorano così il riconoscimento internazionale delle società coinvolte.

3.2.2.1.5

Consolidamento delle relazioni con l'UE (obiettivo 3)

Uno degli obiettivi della politica europea del Consiglio federale è il consolidamento della cooperazione bilaterale al fine di garantire la sicurezza giuridica e quindi implicitamente l'esistenza stessa degli accordi bilaterali. L'obiettivo in questione potrebbe essere perseguito anche attraverso la conclusione di un accordo quadro con l'UE.

L'idea di un accordo che contenga un ordinamento quadro per tutte le intese bilaterali tra la Svizzera e l'UE non è nuova. Da parte svizzera, la proposta è stata ventilata più volte: nel rapporto del 18 marzo 2002 della Commissione della politica estera del Consiglio degli Stati sulle opzioni della politica d'integrazione della Svizzera14; nell'interpellanza Polla del 21 giugno 2002 «Miglioramento delle relazioni Svizzera-Unione europea»15 e nella riposta del Consiglio federale del 20 settembre 2002; nel postulato Stähelin del 5 ottobre 2005 «Accordo quadro tra la Svizzera e l'UE»16; nel Rapporto Europa 2006 del Consiglio federale del 28 giugno 200617; in un comunicato stampa del 1° settembre 2006 della Commissione della politica estera del Consiglio degli Stati18; nelle interpellanze Briner (Consiglio degli Stati) e del Gruppo radicale-liberale (Consiglio nazionale) del 7 dicembre 2006 «Garantire a livello interno l'acquis della via bilaterale»19 e nelle risposte del Consiglio federale del 14 febbraio 2007 nonché nel decreto federale del 18 settembre 200820 sul programma di legislatura 2007­2011, in cui tra le misure proposte per raggiungere l'obiettivo del Consiglio federale di un «consolidamento delle relazioni con l'UE» figurano «negoziati con l'UE relativi a un accordo quadro». Da ultimo il Consiglio federale si è espresso a favore di una soluzione di questo tipo nelle risposte del 13 maggio 2009 e del 20 maggio 2009 all'interpellanza Fehr «Quale futuro per le nostre relazioni con l'UE?» (depositata il 18 marzo 2009)21 e all'interpellanza del Gruppo dell'Unione democratica di centro «Un accordo quadro con l'UE per consolidare l'automatismo?» (depositata il 20 marzo 2009)22.

14 15 16 17 18 19 20 21 22

FF 2002 5639 02.3374 05.3564 FF 2006 6223 www.pd.admin.ch/d/mm/2006/seiten/mm_2006-09-01_070_01.aspx 06.3659 e 06.3651 FF 2008 7469 09.3172 09.3249

5502

Da parte europea, l'interesse per la conclusione di un accordo quadro è stato espresso a più riprese da membri della Commissione europea e da alti funzionari.

Nelle considerazioni dell'8 dicembre 2008 sulle relazioni dell'UE con gli Stati dell'AELS, il Consiglio dell'UE si è detto soddisfatto per il dibattito in corso nelle Camere federali sulla questione di un accordo quadro. Il 15 dicembre 2008, in occasione di un incontro con il presidente della Confederazione Pascal Couchepin, il presidente della Commissione europea ha reiterato l'interesse dell'Unione europea a discutere della questione.

Sinora il Consiglio federale non si è ancora espresso sull'opportunità di un accordo quadro. Presenterà la propria posizione non appena disporrà di tutti gli elementi necessari per formulare una decisione.

3.2.2.1.6

Recepimento dell'acquis comunitario e dei suoi sviluppi

Nell'ambito di alcuni dossier l'UE esige dalla Svizzera l'impegno incondizionato a recepire gli sviluppi delle normative comunitarie rilevanti per gli accordi bilaterali.

La Commissione europea ritiene che la ricerca di un'intesa laddove occorra negoziare e aggiornare un accordo con la Svizzera richieda un dispendio di tempo e di energie considerevole. Constata inoltre un crescente divario tra il diritto applicato nel mercato interno e quello svizzero. Per l'UE, l'impegno incondizionato della Svizzera a recepire l'acquis comunitario è quindi essenziale per la conclusione di un accordo. Concretamente, l'UE ha proposto in varie occasioni l'introduzione di disposizioni che prevedano la decadenza o sospensione automatica degli accordi, laddove la Svizzera non voglia o non possa procedere ai necessari adeguamenti.

Automatismi di questo tipo violano la sovranità svizzera e privano gli operatori economici di ambo le parti di una base stabile e giuridicamente sicura sulla quale costruire le proprie relazioni commerciali.

Nell'ottica di una soluzione equilibrata, che garantisca il buon funzionamento degli accordi e rispetti la sovranità svizzera, il nostro Paese si attiene ai seguenti principi (che, per esempio, sono stati applicati in sede di modifica dell'Accordo riguardante l'agevolazione dei controlli e delle formalità nei trasporti di merci per risolvere il problema della cosiddetta «regola delle 24 ore»): a)

la Svizzera è disposta ad accettare che i negoziati si basino sul pertinente «acquis» comunitario, a condizione che gli accordi rispettino la sovranità elvetica (no, tuttavia, a qualsiasi automatismo).

b)

Il recepimento dell'«acquis» comunitario nei nostri accordi deve essere vincolato all'adeguata partecipazione elvetica al processo decisionale («decision shaping») nel settore coperto dall'accordo, in altre parole alla sua partecipazione alle sedute dei competenti gruppi di lavoro, dei comitati «comitologia» (comitati UE che si occupano di sviluppare l'acquis comunitario) e dei gruppi di esperti.

c)

Il meccanismo previsto deve consentire di adeguare gli accordi agli sviluppi dell'acquis comunitario nel rispetto dei termini e della durata delle procedure previste dall'ordinamento elvetico.

d)

Gli adeguamenti degli accordi devono essere fatti sempre di comune intesa.

5503

e)

Qualora, a titolo eccezionale, la Svizzera non possa tener conto degli sviluppi dell'acquis comunitario e l'UE insista nel voler adottare, nel caso specifico, misure di compensazione, queste non possono eccedere la misura necessaria a garantire l'equilibrio dell'accordo; la proporzionalità delle misure può essere vagliata nell'ambito di una procedura arbitrale.

L'obiettivo è convogliare questi principi nei negoziati in corso e in quelli futuri.

3.2.2.1.7

Prospettive

La Svizzera ha optato per la via bilaterale consapevole dei vantaggi e degli svantaggi della sua scelta. Nel Rapporto Europa 2006 il Consiglio federale dà un giudizio positivo: la via bilaterale consente di intensificare la cooperazione e di orientarla verso la ricerca di soluzioni concrete, lasciando tuttavia alla Svizzera un certo margine di manovra. L'ampio consenso che il rinnovo dell'Accordo sulla libera circolazione delle persone ­ fondamento dei nostri accordi bilaterali ­ ha ottenuto nella votazione popolare dell'8 febbraio scorso conferma la validità di questa valutazione e l'ampio sostegno di cui la via bilaterale gode presso la popolazione.

Sempre stando a quanto sostenuto dal Consiglio federale nel rapporto menzionato, la via bilaterale rappresenta lo strumento migliore per difendere gli interessi elvetici nei confronti dell'UE, a condizione tuttavia che siano garantite la partecipazione alle decisioni (condizione 1) e la fattibilità in materia di politica estera (condizione 2) e che siano soddisfatte le condizioni quadro economiche (condizione 3). Le esperienze raccolte dimostrano come il successo della via bilaterale dipenda proprio da queste condizioni. Sebbene non vi sia alcuna garanzia che esse siano soddisfatte anche in futuro, la Svizzera può contribuire a preservarle grazie agli strumenti di politica estera di cui dispone.

Condizione 1: partecipazione alle decisioni Per definizione, la via bilaterale preclude alla Svizzera il diritto di codecidere in seno ai consessi europei, ma le riconosce, entro certi limiti, il diritto di partecipare alla definizione del diritto dell'UE. Nella misura in cui, negli accordi che conclude, la Svizzera si impegna a recepire gli sviluppi del diritto europeo, deve dunque esserle garantita un'adeguata partecipazione all'elaborazione di nuove disposizioni.

Il recepimento del nuovo diritto europeo nella normativa nazionale non può compromettere il rispetto dell'ordinamento elvetico interno e quindi dei diritti da esso contemplati, compreso quello di indire referendum.

Le conseguenze di uno sviluppo del diritto dell'UE che comporti divergenze con il diritto applicato in Svizzera devono essere gestite in modo tale da non compromettere il proseguimento della cooperazione nel settore in causa. Clausole di disdetta automatica non sono opportune e
rappresentano un rischio per la sicurezza giuridica.

Per la Svizzera è importante anche poter adeguare le relazioni contrattuali alle nuove esigenze in modo flessibile.

Quando si tratta di concludere nuovi accordi con l'UE la Svizzera deve adottare l'approccio istituzionale che le garantisce i migliori diritti di partecipazione possibili.

Non essendo membro dell'UE, la Svizzera dispone, nei settori nei quali non ha relazioni contrattuali con l'UE, di un margine di manovra tale da poter adottare soluzioni vantaggiose, divergenti dal diritto UE.

5504

L'esperienza dimostra, tuttavia, che l'UE non esita a esigere dal nostro Paese il rispetto degli standard europei laddove veda i propri interessi minacciati dalle politiche nazionali elvetiche. Basti citare, al riguardo, l'esempio delle critiche mosse dall'Unione europea alle disposizioni cantonali sull'imposizione delle imprese. In generale, si constata un assottigliamento del margine di manovra di cui godono le politiche nazionali svizzere a causa dell'inasprimento della concorrenza globale e dell'emergere di nuovi blocchi di potere.

Nei settori dunque nei quali la Svizzera non ha concluso accordi con l'UE, occorre sfruttare i margini di manovra disponibili in modo tale da rispondere al meglio agli interessi nazionali, vagliando di volta in volta i confini politici di tali margini.

Condizione 2: fattibilità in materia di politica estera La politica europea non è una strada a senso unico: per tutti i problemi va trovata una soluzione equilibrata che tenga conto degli interessi in gioco. A tal fine, L'UE ha adottato nei confronti della Svizzera un approccio globale che definisce «parallelismo»; la Svizzera mantiene il massimo coordinamento possibile fra tutti i dossier UE per tutelare i propri interessi in modo ottimale. In questo modo, i due partner si garantiscono la possibilità di ottenere i migliori risultati possibili.

Nelle relazioni con l'UE la Svizzera applica il principio generale secondo cui le pretese avanzate devono essere realistiche e deve esservi la disponibilità a tenere conto anche delle esigenze della controparte. Questo approccio le consente di difendere i propri interessi in modo coerente ed efficace.

Attraverso la cooperazione con l'UE, ma anche con iniziative di carattere esclusivamente nazionale, quali la realizzazione di efficaci infrastrutture per i trasporti o il sostegno ai nuovi Stati membri dell'UE, la Svizzera contribuisce in modo solidale al raggiungimento degli obiettivi comuni europei. In quest'ottica va letto anche il suo impegno nell'ambito della politica estera e della sicurezza, sia in collaborazione con l'UE ­ ad esempio per garantire la sicurezza nei Balcani o proteggere le navi dalla pirateria (partecipazione alla missione Atalanta) ­ sia attraverso contributi esclusivamente nazionali, per esempio nell'ambito della cooperazione allo sviluppo o della
promozione della pace. La Svizzera si considera un partner solidale in seno al continente europeo e si adopera con contributi significativi.

Condizione 3: condizioni quadro economiche Le conseguenze della crisi mondiale dei mercati finanziari hanno dimostrato con estrema chiarezza quanto rapidamente le condizioni quadro economiche possano mutare, con ripercussioni anche sulle regolamentazioni internazionali. Le modifiche apportate a tali regolamentazioni hanno avuto l'effetto, ad esempio, di assottigliare il margine di manovra di cui disponeva la Svizzera per proteggere gli interessi della propria piazza finanziaria. La parola d'ordine ora è salvaguardarne e consolidarne i vantaggi intervenendo sulle condizioni quadro in vigore e sulle relazioni contrattuali con l'UE. Occorre quindi individuare chiaramente gli ostacoli reciproci ­ esistenti o potenziali ­ all'accesso ai mercati e vagliare le misure per la loro eliminazione.

Con una politica proattiva e impegnata la Svizzera può contribuire a far sì che anche in futuro le condizioni per una via bilaterale proficua siano soddisfatte. In linea di principio, dunque, l'intensificazione della cooperazione bilaterale è possibile. Tuttavia, laddove si manifesti il bisogno crescente di una cooperazione a tutto campo ­ e questo anche quando nell'ambito di nuovi accordi la Svizzera riesce a garantirsi 5505

possibilità vantaggiose di partecipazione istituzionale ­ ci si interroga sui limiti della via bilaterale. Verosimilmente essi sono raggiunti quando le possibilità di cui dispone la Svizzera per influenzare condizioni quadro per lei essenziali sono più circoscritte di quelle che sarebbero offerte da altri scenari.

In altre parole, la via bilaterale non può condurre ad un'appartenenza di fatto all'UE ma senza diritto di voto. Nel contempo però occorre anche impedire che, per ragioni legate alla propria sovranità, la Svizzera si ritrovi ad occupare nel mercato globale una posizione più svantaggiata.

Se in futuro ragioni politiche o economiche rendessero necessari nuovi passi verso l'integrazione, occorrerà domandarsi quale fra gli strumenti disponibili ­ e fra questi figura anche l'adesione ­ sia quello più adatto.

Ma per quanto l'UE sia importante, essa non rappresenta l'Europa intera. Gli Stati membri, gli altri Paesi europei e le organizzazioni regionali rivestono un ruolo significativo per la Svizzera ed è quindi essenziale curare le relazioni bilaterali che ad essi ci legano. Proprio queste relazioni sono l'oggetto dei prossimi n.

3.2.2.2

Relazioni con gli Stati europei

3.2.2.2.1

Paesi confinanti e Stati membri dell'UE

Sono sempre più numerosi gli Stati europei che hanno delegato l'esercizio di singoli diritti sovrani a istanze sovranazionali: nel caso degli Stati membri dell'UE si tratta del Consiglio dell'UE, del Parlamento e della Commissione europei; per i Paesi della zona euro l'istanza delegata è la Banca centrale europea. Per competenze fondamentali ­ fra cui la politica estera, la difesa e il fisco ­ continua a essere necessaria la decisione unanime, alla quale gli Stati più piccoli non possono opporre illimitatamente il loro diritto di veto. L'attuazione delle decisioni e delle politiche comunitarie presuppone strutture statali efficaci. L'esperienza ha dimostrato infatti che, anche in un mercato integrato delle merci, del lavoro, dei servizi e dei capitali, la risposta più rapida a una crisi economica proviene dallo Stato. La maggior parte degli Stati membri dell'UE partecipa inoltre alla NATO, un'alleanza militare che garantisce ai suoi membri un sistema di difesa comune. Va detto che la principale potenza della NATO è uno Stato non europeo e che anche Stati non appartenenti all'UE godono della stessa protezione.

In questo contesto, la Svizzera deve comunque continuare a tutelare i propri interessi e a costruire il proprio futuro di Stato e società. Fedele alla propria tradizione di Stato federale, essa si impegna insieme ai suoi vicini nella ricerca instancabile di equilibri e compromessi capaci di salvaguardare le sue peculiarità e di aumentare la sua capacità di accogliere soluzioni favorevoli al progresso economico e sociale.

Gli Stati europei sono essenziali per gli interessi elvetici. Più del 60 per cento delle esportazioni svizzere è destinato a Stati dell'UE e più dell'80 per cento delle nostre importazioni proviene da tali Paesi (cfr. n. 3.2.2.1). Il quadro è simile anche nel settore terziario. 400 000 cittadini svizzeri, ovvero il 60 per cento dei nostri connazionali all'estero, vivono e lavorano nell'UE. Nel nostro Paese i cittadini comunitari residenti sono 900 000 (cfr. n. 4.4), ai quali si aggiungono 200 000 lavoratori frontalieri provenienti dai Paesi confinanti.

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L'intensificazione della nostra cooperazione con l'UE accresce il bisogno di armonizzazione e di collaborazione bilaterale con ognuno degli Stati membri e in particolare con i Paesi confinanti. Inoltre, la Svizzera ha bisogno di curare i contatti con i singoli Stati membri per proseguire la via bilaterale con l'UE e guadagnarsi la comprensione e il sostegno delle capitali europee per la scelta che ha operato. Non va poi dimenticato che gli Stati europei sono in condizione di esercitare una certa influenza sugli affari internazionali ­ che sia attraverso gruppi cooptati quali il G8 o il G20, attraverso l'UE o anche individualmente, come nel caso della Francia e del Regno Unito in seno al Consiglio di sicurezza dell'ONU. La solidarietà che lega i membri dell'UE e quelli della NATO fa sì che, in termini di approvvigionamento strategico e di sicurezza militare, la Svizzera dipenda largamente dai suoi vicini europei.

La politica estera bilaterale e l'attività delle rappresentanze diplomatiche e consolari svizzere sono gli elementi essenziali della promozione degli interessi elvetici presso i nostri vicini. La conoscenza del contesto e della situazione politica di ogni Stato nonché la capacità di intrecciare reti di relazioni, essenziali per la promozione sistematica dell'immagine svizzera e la tutela dei suoi interessi, sono per il nostro Paese ma anche per gli Stati membri dell'UE presupposti imprescindibili per una collaborazione proficua in un contesto internazionale caratterizzato da una forte concorrenza. La capacità del nostro Paese di risolvere i problemi sul nascere e di ottenere dai negoziati risultati vantaggiosi per tutte le parti dipende essenzialmente dalla costanza e dal buon coordinamento delle autorità e degli operatori elvetici coinvolti, qualità particolarmente importanti sul piano delle relazioni transfrontaliere e dei colloqui per l'approfondimento della cooperazione con l'UE. La ricerca del dialogo con i rappresentanti dei governi e dei parlamenti esteri deve essere sistematica affinché la Svizzera possa compensare la sua assenza dalla maggior parte delle riunioni alle quali settimanalmente partecipano i rappresentanti di tutti gli Stati vicini. In materia di affari esteri, i colloqui tra il capo del DFAE e il Segretario di Stato si traducono in consultazioni che i rappresentanti
svizzeri sul posto e la centrale conducono a cadenza regolare con i colleghi dei Paesi europei. Negli ultimi anni queste consultazioni politiche sono state intensificate e suggellate attraverso dichiarazioni comuni d'intenti con, per esempio, il Regno Unito, la Spagna e l'Italia. La partecipazione puntuale della Svizzera a singole attività di politica estera dell'Unione ­ in particolare alle missioni di promozione della pace nell'ambito della politica europea di sicurezza e di difesa (PESD) ­ e le sue attività di cooperazione con Paesi terzi, a complemento dei programmi di cooperazione lanciati dall'UE e dai suoi Stati membri, permettono al nostro Paese di dimostrarsi solidale con i suoi vicini. Un ulteriore aspetto di questa complementarità sono le aperture che la Svizzera, grazie alla flessibilità della sua politica estera indipendente, riesce a trovare in situazioni in cui le parti in conflitto sono arroccate sulle proprie posizioni.

Il DFAE ha inoltre avviato con i Paesi confinanti colloqui politici annuali incentrati su questioni transfrontaliere. I colloqui condotti con Francia e Italia dimostrano chiaramente l'interesse di tutti i partner nazionali e regionali per la definizione di prospettive comuni e andranno ulteriormente intensificati. Non vanno neppure dimenticate le iniziative trilaterali come l'istituzione della Commissione intergovernativa franco-germano-svizzera per il rafforzamento della cooperazione transfrontaliera nella regione del Reno Superiore, alla quale il DFAE partecipa attivamente.

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Germania Con nessun altro Paese al mondo la Svizzera intrattiene relazioni così strette come con la Repubblica federale di Germania e su queste relazioni poggiano le solide basi della cooperazione bilaterale.

Gli stretti legami e gli intensi scambi fra i due Paesi rispondono a un interesse comune poiché della loro utilità beneficia anche la Germania. La Svizzera importa dalla Germania merci per un valore uguale a quello che importa complessivamente da Italia, Francia, Stati Uniti, Paesi Bassi e Gran Bretagna (2008: 65,8 mia. di fr.). In altre parole, i 7 milioni di abitanti della Svizzera acquistano in Germania una quantità di merci pari alla metà di quella acquistata da 300 milioni di cittadini statunitensi. Nei confronti della Svizzera, la bilancia commerciale tedesca presenta ormai da anni un importante avanzo (2008: 23,1 mia. di fr.), con il quale la Germania finanzia buona parte del suo disavanzo commerciale con l'Asia. Con un volume d'investimenti pari a 50 miliardi di franchi, la Svizzera occupa il sesto posto nella classifica dei maggiori investitori in Germania; nei nuovi Länder ha occasionalmente occupato il vertice della classifica. Le 1200 aziende elvetiche presenti in Germania impiegano complessivamente 260 000 persone e dispongono di una rete di società di produzione, distribuzione e partecipazione ben sviluppata. Le dimensioni molto diverse dei due Paesi (e conseguentemente il loro peso) si traducono in una situazione di asimmetria che tuttavia si riduce man mano che si scende verso il Sud della Germania. Gli scambi commerciali con il Baden-Württemberg, per esempio, sono in perfetta simmetria. Nel Baden meridionale la situazione invece si ribalta: ogni giorno 44 000 cittadini tedeschi attraversano la frontiera per venire a lavorare nel nord della Svizzera. Nella circoscrizione di Waldshut la proporzione delle persone che lavorano in Svizzera è di una su sei. Il nostro Paese è divenuto meta privilegiata di immigrazione dalla Germania tanto che nel 2008 sono stati 31 000 i cittadini tedeschi (ovvero un numero pari alla metà della popolazione di una città svizzera come Lucerna) che hanno deciso di stabilirsi in Svizzera. Ormai vivono e lavorano in Svizzera oltre 233 000 cittadini tedeschi, i quali rappresentano la seconda comunità straniera dopo quella italiana. Il loro contributo
all'economia, alla scienza e alla cultura elvetiche, ma anche al nostro sistema sanitario, è sostanziale.

Queste intense relazioni sono state offuscate dal recente contenzioso riguardante la collaborazione in materia fiscale. Il problema non sta tanto nella differenza degli interessi difesi dai due Stati, quanto nel tono che ha assunto il dibattito fra due vicini così prossimi. Il ministro tedesco delle finanze ha rilasciato a più riprese dichiarazioni inaccettabili e ha continuato anche dopo la decisione del Consiglio federale del 13 marzo 2009 di adottare gli standard OCSE in materia di assistenza amministrativa in ambito fiscale. A queste dichiarazioni, che hanno suscitato lo sdegno delle autorità e della popolazione svizzere, il nostro Paese ha risposto sia pubblicamente che per via diplomatica difendendo la propria posizione e sostenendo chiaramente di non essere un paradiso fiscale. Lo dimostrano la sua attiva collaborazione in ambito fiscale e i 74 accordi sulla doppia imposizione conclusi con altrettanti Paesi. Fra questi figura anche la Germania, che tuttavia si è avvalsa un'unica volta dell'assistenza amministrativa. L'attivo impegno svizzero è dimostrato anche dagli Accordi sulla lotta contro la frode e sulla fiscalità del risparmio conclusi con l'UE.

Proprio in virtù di quest'ultimo Accordo, la Svizzera ha versato alla Germania, per l'anno fiscale 2007, 131 milioni di franchi a titolo di rimborso dell'imposta alla fonte. A questa misura si aggiunge l'applicazione anticipata dell'Accordo sulla lotta contro la frode che la Svizzera ha concluso con l'UE. Nei confronti della Germania e 5508

della maggior parte degli altri Stati membri dell'UE (4 non l'hanno ancora ratificato) è entrato in vigore l'8 aprile 2009. Il contenzioso con la Germania è scoppiato malgrado gli intensi contatti curati a tutti i livelli.

Sulle relazioni bilaterali pesano inoltre le restrizioni tedesche al regime di avvicinamento dei voli all'aeroporto di Zurigo. La disparità di trattamento che ne consegue penalizza l'aeroporto elvetico rispetto ai suoi concorrenti (Francoforte e Monaco), sebbene circa il 70 per cento dei voli sia svolto o gestito da compagnie tedesche (Swiss, Lufthansa, Air Berlin ecc.) e circa un quarto di essi provenga o sia diretto in Germania. L'aeroporto di Zurigo è la più importante infrastruttura svizzera per il traffico aereo e occupa un posto di rilievo sia nell'economia elvetica che in quella della regione transfrontaliera. In occasione dell'incontro con la cancelliera tedesca Angela Merkel, il 29 aprile 2008, è stato deciso di affidare al gruppo di lavoro dei due ministeri dei trasporti l'incarico di analizzare, sulla base di metodi internazionali riconosciuti, le emissioni acustiche dell'aeroporto svizzero. In base ai risultati che scaturiranno, la Svizzera elaborerà un proposta riguardante l'esercizio dell'aeroporto.

La cura delle relazioni con la Germania deve essere considerata altamente prioritaria a tutti i livelli. Ad avviso della Svizzera, due vicini così strettamente legati hanno tutto l'interesse di curare le loro relazioni e devono portarsi rispetto anche quando i loro interessi e le loro opinioni divergono. La Svizzera ha più volte espresso la propria disponibilità a impegnarsi per una buona collaborazione fra vicini, coinvolgendo anche i Cantoni di confine che, come nel caso dei contatti con il Baden-Württemberg, assumono un ruolo determinante. L'attuazione delle misure d'accompagnamento della libera circolazione delle persone resta un punto importante all'ordine del giorno regionale.

Francia Altro membro influente dell'UE è la Francia. In qualità di potenza atomica e membro permanente del Consiglio di sicurezza dell'ONU, la Francia detiene una posizione forte nel mondo intero sia sul piano diplomatico che militare. Rispetto alla politica estera degli altri nostri vicini europei, la politica francese è quella che copre il campo d'interessi più vasto. La posizione
geografica, l'economia, la circolazione delle persone, le questioni di sicurezza hanno agevolato lo sviluppo di una collaborazione stretta e diversificata fra le autorità dei due Paesi, sebbene le differenze in termini di dimensioni territoriali e organizzazione dello Stato siano notevoli. Le intense relazioni economiche sono indubbiamente proficue per entrambe le parti. La Francia è il terzo partner economico della Svizzera (nel 2007 le nostre importazioni dalla Francia hanno raggiunto quota 18,3 mia. di fr. e le esportazioni 17,2 mia.) e la sua bilancia commerciale nei confronti del nostro Paese è regolarmente in attivo (2007: 1,1 mia. di fr.). Nel 2007 le aziende elvetiche hanno investito in Francia 29,4 miliardi di franchi e impiegato 168 000 dipendenti. La maggior parte dei nostri connazionali all'estero vive in Francia (170 000). I cittadini francesi che si sono stabiliti in Svizzera sono 158 000 e 110 000 sono i frontalieri che ogni giorno vengono in Svizzera a lavorare. L'agglomerazione transfrontaliera di Ginevra è un polo di intensa cooperazione, rafforzato ulteriormente dall'importanza che Ginevra riveste sul piano internazionale. L'Euroairport, situato sul territorio francese nelle immediate vicinanze di Basilea, rappresenta un fattore importante per lo sviluppo della cooperazione transfrontaliera nella regione del Reno Superiore, che ingloba parte del territorio svizzero, francese e tedesco. Di estrema importanza inoltre è lo 5509

scambio culturale con la Francia grazie non solo al lavoro di eminenti artisti attivi nei due Paesi ma anche al flusso di prodotti e servizi favorito dalla lingua comune.

In seno all'UE la Francia è un partner di notevole importanza. Sebbene nell'ambito dei negoziati bilaterali abbia sempre puntato al recepimento incondizionato del diritto comunitario, ha anche costantemente promosso la collaborazione con il nostro Paese. Durante la presidenza francese dell'UE, ad esempio, si è mobilitata a favore della rapida attuazione dell'Accordo di associazione a Schengen e tutt'ora segue con attenzione le ripercussioni transfrontaliere sulle politiche regionali. Le sue esigenze in materia di collaborazione nella lotta contro l'evasione fiscale sono note da tempo, ma sono divenute più insistenti in concomitanza con le rivendicazioni tedesche. La Francia segue con grande attenzione anche la questione dell'imposizione cantonale delle imprese, sollevata nel Parlamento europeo da deputati francesi. Negli ultimi quattro decenni, infine, la Francia è stata la forza motrice dell'impegno europeo nello spazio; l'obiettivo è garantire all'UE un ruolo di punta nel settore della politica spaziale europea.

Diversi incontri d'alto livello nel corso del 2008, e in particolare la visita del primo ministro francese il 28 novembre 2008 durante il semestre di presidenza dell'UE, hanno consentito di compiere importanti progressi in alcuni ambiti concreti della cooperazione bilaterale. Soprattutto nei settori dei trasporti, dell'energia elettrica, della cooperazione transfrontaliera (in materia giudiziaria, poliziesca e doganale), dell'addestramento delle forze aeree e della ricerca, la cooperazione con la Francia rappresenta ormai una costante. In diversi ambiti della politica estera, Francia e Svizzera hanno avuto modo di scambiare esperienze e di compiere sforzi congiunti, basti pensare all'evacuazione comune dei propri cittadini da aree di crisi e all'impegno in termini di promozione della pace. Altro esempio concreto sono i buoni uffici umanitari che Svizzera e Francia, insieme a Spagna, hanno reso in Colombia (poi sospesi nel 2008), e per i quali sono stati necessari lunghi anni di intensa collaborazione. L'Organizzazione internazionale della Francofonia, infine, è il forum nel quale da anni la Svizzera e la Francia
difendono posizioni comuni, in collaborazione con rappresentanti di altri Paesi francofoni.

Per il bene dei rapporti con le autorità francesi sarebbero nuovamente necessari contatti più frequenti e sistematici tra i ministri responsabili delle politiche settoriali.

La collaborazione potrebbe essere potenziata anche grazie a scambi di lavoro regolari fra esperti economici e finanziari, come già avvenuto per questioni transfrontaliere con esperti dei rispettivi ministeri degli affari esteri.

Italia Alla base delle relazioni italo-elvetiche vi sono intensi rapporti personali, un'importante scambio di merci, passaggi frequenti della frontiera e una lingua comune. Alle strette relazioni bilaterali contribuiscono altresì la consistente comunità di cittadini italiani residenti in Svizzera (a settembre del 2008: 290 155 persone di sola cittadinanza italiana; circa 500 000 se si considerano anche i doppi cittadini) e gli Svizzeri residenti in Italia (a dicembre del 2007: 47 953 persone). Sono inoltre 40 000 i frontalieri italiani che lavorano in Ticino. Dopo la Germania, l'Italia è il secondo partner commerciale della Svizzera (volume degli scambi commerciali nel 2008: 41 mia. di fr.). Con un volume di investimenti diretti pari a 23 miliardi di franchi, il nostro Paese è sesto nella classifica degli investitori stranieri in Italia, dove offre 79 000 posti di lavoro. Per la messa in esercizio delle nuove trasversali ferroviarie alpine è indispensabile un buon coordinamento con l'Italia, ragione per cui è stato 5510

istituito un gruppo di lavoro bilaterale che vigila sugli investimenti. A fronte del numero di immigrazioni illegali in Italia, la collaborazione nelle questioni migratorie è stata intensificata. Assidue sono anche le relazioni culturali. Dal 1947 la Svizzera gestisce a Roma l'«Istituto Svizzero di Roma», il quale, anche attraverso le filiali (cosiddette «antenne») di Milano e Venezia, promuove lo scambio della cultura e del sapere. Per intensificare gli scambi accademici e culturali è stata istituita inoltre una Commissione culturale consultiva italo-svizzera.

In politica estera, la collaborazione con l'Italia in seno ai consessi multilaterali si è concentrata in particolare sui diritti umani e sulla riforma dei metodi di lavoro del Consiglio di sicurezza dell'ONU. L'Italia è inoltre un interlocutore privilegiato per le questioni che riguardano i Balcani occidentali e l'Africa del Nord, poiché in queste regioni dispone di buoni contatti. In seno all'UE l'Italia si è adoperata per ottenere le migliori condizioni possibili per il traffico transalpino di merci. Malgrado la conclusione dell'accordo sulla tassazione del risparmio, l'Italia ha mantenuto alcune restrizioni nei confronti della Svizzera riguardanti l'esenzione fiscale di cittadini italiani domiciliati in Svizzera e la riduzione a zero dell'imposta alla fonte sulle filiali italiane e le società madri. Anche l'Italia, come la Francia e la Germania, fa pressione sulla Svizzera, ma in modo meno visibile. L'applicazione da parte italiana degli accordi sugli appalti pubblici e sulla libera circolazione delle persone pone diverse questioni soprattutto in Ticino. Per la loro trattazione è stato istituito un gruppo di lavoro cui partecipano rappresentanti del DFAE e del Ministero degli Affari Esteri italiano, che si riunisce una volta all'anno.

Nei contatti volti a curare le relazioni con il nostro vicino è importante tematizzare anche la chiara bocciatura popolare, da parte del Ticino l'8 febbraio 2009, del rinnovo e dell'estensione della libera circolazione delle persone. È importante che entrambe le parti riconoscano l'utilità della via bilaterale e si impegnino ad abbattere gli ostacoli che vi si oppongono.

La cura dei rapporti con l'Italia deve dunque restare prioritaria a tutti i livelli. È essenziale al riguardo coinvolgere anche i Cantoni
di confine e sostenere le loro rivendicazioni.

Austria La collaborazione con l'Austria è particolarmente stretta poiché è l'unico Paese confinante con la Svizzera la cui popolazione ed economia sono comparabili per ordine di grandezza a quelle elvetiche. Con l'Austria sono stati conclusi oltre 80 accordi bilaterali in quasi tutti i settori dell'attività statale ed è con questo Paese che la Svizzera intrattiene le consultazioni più frequenti a tutti i livelli. La tradizione vuole inoltre che la prima visita all'estero di un governo svizzero sia fatta all'Austria e viceversa. L'assiduo dialogo fra i due Paesi consente scambi approfonditi in merito a tutte le più importanti questioni politiche.

L'adesione dell'Austria all'UE, avvenuta il 1° gennaio 1995, non solo non ha pregiudicato questa cooperazione, ma ha consentito anzi di intensificarla. L'Austria è un interlocutore importante per le questioni di politica europea. Sia l'Austria che la Svizzera applicano il segreto bancario, che nel caso dell'Austria è persino ancorato nella Costituzione. Nell'ambito dell'imposizione del risparmio, inoltre, entrambi gli Stati prelevano una ritenuta fiscale per gli Stati dell'UE. Contemporaneamente, ovvero il 13 marzo 2009, i due Stati hanno deciso di recepire gli standard OCSE relativi alla collaborazione in materia fiscale.

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L'Austria ha altresì fornito un preziosissimo aiuto per l'espletamento dei lavori pratici legati all'attuazione dell'Accordo di Schengen. Degna di nota è anche la collaborazione consolare fra i due ministeri degli affari esteri, che, alla conclusione di alcuni progetti pilota in corso, verrà ulteriormente ampliata. Che la cooperazione con l'Austria funzioni anche sotto il profilo pratico, lo dimostra l'organizzazione comune degli europei di calcio EURO 2008.

Principato del Liechtenstein Con il Principato del Liechtenstein la Svizzera intrattiene tradizionalmente rapporti di vicinato molto stretti, che si fondano su un'ampia rete di accordi bilaterali (dal 1919 la Svizzera cura gli interessi del Liechtenstein all'estero; dal 1924 i due Paesi costituiscono un'unione doganale e monetaria senza controlli ai confini). L'adesione del Principato del Liechtenstein allo SEE nel 1995 ha reso necessaria un'estensione della cooperazione in diversi settori. Alla base delle relazioni bilaterali vi sono contatti diretti e frequenti fra le autorità a tutti i livelli. Circa 3600 dei 35 400 abitanti del Liechtenstein sono cittadini svizzeri, ai quali si aggiungono circa 8000 frontalieri residenti in Svizzera che lavorano nel Principato. Gli Svizzeri costituiscono dunque il gruppo di stranieri più numeroso.

Gli stretti contatti con il Principato del Liechtenstein riguardano anche il settore finanziario. Nel marzo del 2009 il Liechtenstein ha recepito, alla stregua della Svizzera, gli standard OCSE in materia di assistenza amministrativa in ambito fiscale. A differenza del nostro Paese però, che ha concluso oltre 70 accordi sulla doppia imposizione, il Principato del Liechtenstein non può applicare gli standard OCSE adeguando gli accordi esistenti. L'adesione di entrambi gli Stati all'Accordo di Schengen ha reso necessario stipulare un nuovo accordo quadro sulla cooperazione in materia di rilascio del visto, di entrata e di soggiorno nonché sulla collaborazione degli organi di polizia nell'area di confine. Poiché nel Liechtenstein l'acquis Schengen non è ancora entrato in vigore e conseguentemente l'attuale confine tra la Svizzera e il Liechtenstein rappresenta una frontiera esterna dello spazio Schengen, dal 12 dicembre 2008 è in atto un regime transitorio che sarà mantenuto fino all'entrata del Liechtenstein nello
spazio Schengen.

Cooperazione transfrontaliera Soprattutto quando si tratta di rapporti con gli Stati confinanti spetta ai Cantoni, così come sancito nella Costituzione federale, curare le relazioni transfrontaliere con gli Stati o gli enti territoriali confinanti, cosa che fanno svolgendo diverse attività di rilievo. Il DFAE, dal canto suo, offre il sostegno politico necessario alla cooperazione transfrontaliera e lo fa per il tramite di contatti bilaterali con i Paesi confinanti e attraverso lo sviluppo di strumenti giuridici bilaterali e multilaterali. Incontri fra esponenti d'alto livello del DFAE e dei ministeri degli affari esteri degli Stati confinanti favoriscono lo scambio di informazioni e agevolano la risoluzione di problemi di vicinato.

Per effetto della crescente mobilità e globalizzazione, gli accordi bilaterali hanno un impatto diretto sulle regioni frontaliere i cui problemi assumono spesso una valenza che supera i confini locali. Diviene pertanto essenziale garantire un coordinamento efficace e una buona attuazione dei vari accordi, assicurando tutto il sostegno necessario all'esecuzione. A questo scopo, e in particolare quando occorre trattare temi eterogenei come servizi, infrastrutture di trasporto o questioni inerenti al sistema

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sanitario, è indispensabile coinvolgere gli interlocutori più preparati sia sul piano nazionale o federale che regionale o cantonale.

Regno Unito L'importante volume dei flussi commerciali e finanziari e l'elevato numero di visitatori dimostrano che le relazioni tra la Svizzera e il Regno Unito sono eccellenti. Con un volume di scambi commerciali pari a 18,4 miliardi di franchi, la Svizzera ha totalizzato nel 2008 un avanzo di 3,9 miliardi di franchi. Nella classifica dei Paesi destinatari degli investimenti elvetici, la Gran Bretagna occupa il secondo posto dopo gli Stati Uniti (investimenti diretti in Gran Bretagna nel 2007: 57 mia. di fr.).

Le 700 imprese svizzere assicurano nel Regno Unito 112 000 posti di lavoro.

Rispetto agli altri grandi vicini europei con i quali la Svizzera ha in comune un confine, ma anche in considerazione dell'elevato numero di cittadini britannici recentemente immigrati, il Regno Unito è un partner con il quale il nostro Paese intrattiene contatti regolari che, a prima vista, potrebbero sembrare di routine. Ma non è così, come dimostra il dibattito accesosi sulla cooperazione tra piazze finanziarie. Il Regno Unito e la sua piazza finanziaria londinese sono tuttora estremamente influenti a livello internazionale, sebbene non abbiano aderito alla zona euro.

Nel promuovere i propri interessi, la Svizzera deve tener conto di questo aspetto come pure prendere coscienza delle differenze e delle analogie oggettive che continuano a sussistere con la politica britannica. In ambito finanziario, la Svizzera e la Gran Bretagna sono in un rapporto di concorrenza come emerge, per esempio, dal contenzioso scoppiato riguardo alla collaborazione in ambito fiscale: la Gran Bretagna pretende da altri Stati la massima trasparenza, ma è la prima a negarla su strumenti quali il trust. Va però detto che tra la Gran Bretagna e la Svizzera vi sono anche punti di convergenza, in particolare su questioni di regolamentazione.

Il Regno Unito è un interlocutore privilegiato. Le sue posizioni di membro dell'UE si scostano a volte dalla linea comune europea e, in alcuni settori, sono vicine a quelle svizzere. Inoltre, dà voce a un'ottica transatlantica di grande interesse per il nostro Paese.

L'obiettivo prioritario in politica estera è il mantenimento di un dialogo bilaterale mirato, che
consenta e faciliti la trattazione di questioni di interesse comune in seno alle istanze multilaterali preposte. L'accento va posto in particolare sui temi che riguardano le nostre relazioni con l'UE. In ambito finanziario e fiscale si tratta di attuare l'«agenda comune» concordata nel 2005 dai ministri delle finanze delle due parti e di adeguarne le priorità alle contingenze globali ed europee. Sulla scia degli sconvolgimenti del sistema finanziario ed economico diviene irrinunciabile cercare soluzioni e dunque strumenti di regolamentazione comuni, come potrebbero esserlo pacchetti di misure a sostegno del sistema finanziario o adeguamenti a medio termine dell'architettura delle istituzioni economiche globali. La presenza diplomatica del Regno Unito, che è membro permanente del Consiglio di sicurezza, continua ad essere forte ovunque nel mondo. Pertanto una buona comunicazione con i rappresentanti britannici e la dimostrazione della complementarità degli sforzi svizzeri e dei suoi partner europei non può che favorire la collaborazione con il Regno Unito.

In sintesi va detto che il potenziale di avvicinamento alla Gran Bretagna andrebbe sfruttato meglio.

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Altri partner europei La Svizzera intrattiene relazioni con ognuno degli altri partner europei e indipendentemente dalle loro dimensioni. Consapevole dell'importanza del ruolo di ognuna delle capitali degli Stati dell'UE nei processi decisionali che si concludono a Bruxelles, la Svizzera cura contatti regolari con la maggior parte di questi Paesi e con la Norvegia. Il regolare scambio di opinioni fra ministeri e autorità, favorito anche dalle rappresentanze diplomatiche dei due Paesi, contribuisce a rendere note le posizioni svizzere e a difenderle. Le relazioni con questi Paesi sono buone e traggono vantaggio dall'applicazione degli Accordi bilaterali tra la Svizzera e l'UE. Con i Paesi dell'Europa centrale e orientale (Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Slovacca, Slovenia, Repubblica Ceca, Ungheria) le relazioni, e in particolare il dialogo politico, si sono intensificate dopo la loro adesione all'UE nel 2004. La conseguente apertura dei mercati, inoltre, ha offerto alle imprese elvetiche nuove prospettive. Un ruolo importante nelle relazioni descritte gioca anche il contributo svizzero all'allargamento. In quest'ottica, il 2009 è un anno intenso poiché sarà decisa la destinazione di oltre 300 milioni di franchi. Anche il contributo versato per la Romania e la Bulgaria offrirà al nostro Paese il modo di consolidare le relazioni bilaterali con questi Paesi, grazie alla possibilità di allacciare nuovi contatti e avviare collaborazioni in settori quali l'accesso al mercato e i movimenti migratori. L'obiettivo resta quello di garantire massima visibilità al contributo svizzero all'allargamento e di veicolare attraverso tale strumento i valori difesi dal nostro Paese.

3.2.2.2.2

Turchia

La Turchia è un partner importante dell'UE e, nel contempo, un attore influente sulla scena del Vicino Oriente, del Caucaso e dell'Asia centrale. Provenienti da queste regioni, e in particolare dall'Iran, transitano attraverso la Turchia grandi quantità di gas naturale e petrolio, dirette sia in Europa che nella stessa Turchia, la cui economia è divenuta nel frattempo una delle prime venti al mondo. La Turchia funge inoltre da ponte tra Oriente e Occidente non solo per ragioni storiche, ma anche e soprattutto per la politica dell'AKP, l'attuale partito di maggioranza, il cui programma politico coniuga il rispetto per la laicità dello Stato turco e per i principi democratici con l'osservanza degli insegnamenti dell'Islam. Gli sforzi diplomatici turchi sono tesi al dialogo fra queste due parti del mondo. Sentendosi parte dell'Europa, la Turchia intende aderire all'UE e per questo ha avviato nel 2005 le necessarie trattative. È membro della NATO e, da molto prima della Svizzera, anche del Consiglio d'Europa. Nel 2008, al termine di una vasta campagna, la Turchia è stata eletta membro non permanente del Consiglio di sicurezza dell'ONU per il periodo 2009/10.

Anche nel 2008 l'evoluzione delle relazioni politiche tra la Svizzera e la Turchia è stata molto positiva. Il buon livello di dialogo consente di trattare senza strascichi negativi anche casi che nel passato avrebbero verosimilmente compromesso la buona comunicazione tra i due governi. La prassi seguita dalla Svizzera in materia di asilo e di estradizione di persone alle quali la Turchia rimprovera attività terroristiche nel quadro del movimento curdo, nonché l'inasprimento dei procedimenti penali da parte dei tribunali svizzeri nei confronti di cittadini turchi che hanno violato la norma penale contro la negazione di genocidio suscitano ancora incomprensione in Turchia. Il DFAE e il ministero turco degli affari esteri si adoperano per consolidare 5514

la fiducia tra le autorità dei due Paesi, tra l'altro intensificando la collaborazione. In occasione della visita del ministro degli affari esteri turco Babacan, nel settembre del 2008, è stato firmato un addendum alla dichiarazione comune d'intenti che già definisce il quadro del dialogo politico fra i due Paesi. L'addendum prevede contatti di lavoro bilaterali in numerosi settori, fra cui consultazioni in materia consolare (incluse questioni di migrazione e integrazione), consultazioni sulla risposta nazionale al terrorismo e consultazioni su questioni energetiche. Prioritari al momento sono il miglioramento del dialogo in materia di assistenza giudiziaria e di migrazione. Dopo una serie di atti ostili, rivendicati da ambienti vicini al PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan), la Svizzera ha irrigidito le misure di prevenzione di attività illegali da parte del PKK in Svizzera, sottolineando così la propria intenzione di reagire a un pericolo concreto.

Un'ulteriore prova delle buone relazioni tra la Svizzera e la Turchia è il ruolo, a lungo confidenziale, che la diplomazia svizzera ha giocato negli sforzi tesi alla normalizzazione delle relazioni tra Turchia e Armenia. Su richiesta di entrambi gli Stati, la Svizzera ha operato da mediatrice per aiutare i due Paesi a superare il blocco delle relazioni. La soddisfazione di entrambi i Paesi per i buoni uffici elvetici si è ripercossa positivamente anche sulle relazioni turco-elvetiche e sull'approfondimento delle relazioni tra Svizzera e Armenia. Il contatto diretto fra i responsabili dei due Stati ha altresì agevolato la comunicazione su alcuni dossier bilaterali. Nel quadro di questo processo di mediazione, cui gli Stati Uniti attribuiscono grande importanza, il capo del DFAE ha incontrato a Istanbul nell'aprile di quest'anno il presidente americano Obama.

La prima visita in Turchia di un presidente della Confederazione, nel novembre del 2008, documenta il successo dell'impegno diplomatico teso, in linea generale, a intensificare i contatti con esponenti turchi d'alto livello. Vista la sua posizione geopolitica, la Turchia può risultare un partner interessante per rafforzare l'impegno svizzero a favore della pace, ad esempio nel quadro dell'«Alleanza delle civiltà». Anche in futuro la nostra politica nei confronti della Turchia dovrà creare
le condizioni affinché tutti i temi siano trattati in uno spirito di rispetto della controparte e dovrà mirare ad una collaborazione sempre più stretta nell'ottica dell'integrazione europea.

3.2.2.2.3

Balcani occidentali

I Balcani occidentali comprendono l'Albania e gli Stati nati dalle ceneri dell'ex Jugoslavia che non fanno parte dell'UE. La presenza in Svizzera di circa 330 000 cittadini provenienti da questa regione, che nel nostro Paese vivono e lavorano, determina il legame esistente fra i due Stati. Per contribuire alla stabilizzazione della regione e al suo coinvolgimento nella cooperazione europea, la Svizzera impiega i suoi strumenti di politica estera e di politica di sicurezza secondo precise priorità. Importante per la storia della regione è stata, durante il periodo in rassegna, la dichiarazione d'indipendenza del Kosovo.

Dopo i complessi negoziati del 2007, dai quali era scaturita l'impossibilità di trovare con la Serbia una soluzione negoziale riguardo allo statuto della regione, il 17 febbraio 2008 il Kosovo si è proclamato Stato indipendente. Alla fine del 2008 l'indipendenza del Kosovo era riconosciuta da oltre cinquanta Stati.

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La Svizzera l'ha riconosciuta il 27 febbraio 2008. Questa decisione del Consiglio federale non è che la logica conseguenza dell'impegno profuso dalla Svizzera, sin dal 2005, a favore della soluzione scelta previa consultazione delle Commissioni della politica estera, ovvero dell'indipendenza vigilata della regione. La decisione rispondeva inoltre a due esigenze. Da un lato, si trattava di garantire una stabilità duratura della regione dei Balcani per favorire lo sviluppo politico e socioeconomico del Kosovo e degli altri Paesi della regione nonché il loro avvicinamento alle istituzioni europee. Dall'altro, occorreva fare chiarezza e allacciare rapporti ufficiali con il Kosovo per consentire alla Svizzera di salvaguardare i propri interessi in materia di migrazione e di sicurezza interna, in considerazione della numerosa comunità kosovara presente nel nostro Paese. Questi obiettivi continuano a rappresentare le priorità dell'impegno svizzero in Kosovo in collaborazione con le autorità kosovare, i cui obblighi e compiti, che hanno accettato rivendicando e ottenendo l'indipendenza, sono chiari e preminenti. Riconoscendo il Kosovo abbastanza rapidamente ma senza precipitazione, la Svizzera ha confermato nei confronti dei suoi partner internazionali la propria posizione di attore particolarmente impegnato e credibile nei Balcani occidentali, nonché intenzionato e capace di assumere la propria parte di responsabilità e di compiti che ancora si impongono nella regione.

La Serbia si era strenuamente opposta alla dichiarazione d'indipendenza del Kosovo e aveva intensificato i suoi sforzi diplomatici, tanto che l'8 ottobre 2008 l'Assemblea generale dell'ONU ha chiesto alla Corte internazionale di Giustizia di verificare la legalità della dichiarazione d'indipendenza. L'opposizione della Serbia ha ritardato la missione EULEX dell'UE, che ha potuto essere avviata solo all'inizio di dicembre. Per tutta risposta, la Serbia ha inizialmente richiamato in patria i suoi ambasciatori in Svizzera e negli altri Paesi che hanno riconosciuto il Kosovo, salvo poi riconfermarli all'inizio del 2009 e normalizzare contemporaneamente le sue relazioni con gli altri partner. Dopo la vittoria dell'area filoeuropea sul blocco conservatore e nazionalista alle elezioni legislative del maggio 2008, la Serbia ha cambiato rotta e
punta ora verso l'UE. Sebbene nel luglio del 2008 Radovan Karadzic sia stato arrestato, la Serbia deve impegnarsi ulteriormente per migliorare la collaborazione con il Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia.

Il quadro degli sforzi profusi dai diversi Stati della regione per entrare a far parte delle istituzioni europee ed euro-atlantiche è piuttosto contrastato. La Croazia, che sta negoziando la propria adesione all'UE, e l'Albania sono divenuti membri della NATO il 1° aprile 2009: entrambi i Paesi sono quindi sulla strada giusto per raggiungere i propri obiettivi. Per la Macedonia, invece, il 2008 è stato un anno a tinte fosche, segnato dalla disputa con la Grecia sul nome del Paese, tanto che in aprile la Grecia ha impedito l'invito ­ già previsto ­ della Macedonia al vertice NATO di Bucarest. Temi nazionalistici inconciliabili con le aspirazioni europeiste della Macedonia sono all'origine di diverse tensioni. Tensioni interne persistono anche in Bosnia ed Erzegovina, dove le numerose e complesse riforme tardano a decollare.

Sia bilateralmente che a margine di vertici multilaterali si sono tenuti numerosi incontri fra esponenti d'alto livello. La Svizzera ha portato avanti il suo impegno ­ che in Kosovo si traduce anche nella partecipazione all'«International Civilian Office» (ICO) (incaricato di supervisionare l'applicazione del Piano Ahtisaari) e alla missione EULEX ­ in vario modo, sotto forma di collaborazione scientifica e tecnica, di promozione civile della pace e di partecipazione militare a missioni di pace. La Svizzera ha inoltre lanciato il dibattito sui partenariati per la migrazione

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con gli Stati della regione, ossia la Bosnia ed Erzegovina, la Serbia, il Kosovo e il Montenegro.

La pressione migratoria dei Balcani occidentali sulla Svizzera continua ad essere forte. Il Gruppo di direzione interdipartimentale Aiuto al ritorno ­ un'importante piattaforma di scambio e di cooperazione tra la DSC e l'Ufficio federale della migrazione (UFM) per le questioni relative alla migrazione ­ promuove programmi nei Balcani occidentali con l'obiettivo strategico di contribuire al partenariato per la migrazione con i Paesi dei Balcani occidentali.

Nell'immediato futuro la Svizzera dovrà adoperarsi, insieme ai suoi partner internazionali, per il consolidamento in Kosovo dello Stato di diritto e per lo sviluppo politico e socio-economico del Paese, nell'interesse dell'intera popolazione. A tal fine la Svizzera proseguirà il suo lavoro in seno al gruppo internazionale incaricato di garantire l'efficace coordinamento delle organizzazioni internazionali che operano in Kosovo. Oltre a curare i programmi bilaterali di cooperazione tecnica e scientifica, continuerà inoltre a collaborare in seno a EULEX e all'ICO, mettendo a disposizione esperti dei settori giustizia e polizia, controlli alle frontiere e promozione della pace, con l'obiettivo ultimo di favorire lo sviluppo sociale e rendere le istituzioni più giuste ed efficienti. Dal febbraio 2008 le evoluzioni osservate corrispondono in sostanza alle aspettative. Il processo di transizione avviato in Kosovo richiederà del tempo e, anche se il compito non è facile, è sicuramente nell'interesse di tutta l'Europa, e dunque anche della Svizzera, sostenere questo Stato lungo il cammino. In quest'ottica, la Svizzera ha prolungato nel 2008 la partecipazione, iniziata nel 1999, alla forza di pace in Kosovo (KFOR), guidata dalla NATO sulla base della Risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell'ONU. Il distaccamento svizzero SWISSCOY conta più di 200 soldati.

Anche in Bosnia ed Erzegovina la comunità internazionale dovrà mantenere il suo impegno verso l'integrazione nelle istituzioni europee. Particolarmente attiva anche in questo Paese, la Svizzera ha tutto l'interesse di continuare a impegnarsi sia sul fronte della cooperazione economica e tecnica e della promozione civile della pace che nell'ambito della missione di stabilizzazione dell'Unione
europea ALTHEA (decisa con la Risoluzione del Consiglio di sicurezza 1575 e alla quale partecipano anche 27 soldati svizzeri; fino a settembre del 2009 anche un distaccamento di elicotteri, due elicotteri da trasporto e il relativo equipaggio). Per quanto riguarda le relazioni con la Serbia, che costituisce un partner importante e con un potenziale promettente, la Svizzera continuerà a consolidare il suo impegno tenendo debitamente conto dell'interesse di Belgrado per la rapida conclusione di un accordo di libero scambio con l'AELS. La Serbia appartiene al gruppo di voto presieduto dalla Svizzera in seno alle Istituzioni di Bretton Woods e alla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS). Particolare attenzione va riservata anche alla Macedonia. Dalla crisi del 2001 l'impegno svizzero è incentrato prioritariamente sul sostegno al dialogo politico fra le due principali comunità del Paese. Parallelamente ad altre attività, la Svizzera continuerà a promuovere in particolare la cooperazione economica e tecnica. Sarà infine importante mantenere le buone e regolari relazioni con l'Albania (che già beneficia di un programma di cooperazione tecnica svizzera), con la Croazia e il Montenegro per sostenere i loro sforzi di integrazione.

In generale, dunque, la Svizzera continuerà a perseguire una politica equilibrata nei Balcani occidentali. Contemporaneamente cercherà di ampliare la collaborazione e approfondire le relazioni che intrattiene ormai da tempo con tutti gli Stati della regione con un duplice intento: sostenere insieme ai suoi partner internazionale gli 5517

sforzi ­ a volte estremamente ardui ­ che questi Paesi devono essere pronti a fare nell'ottica della transizione, nonché tutelare i propri interessi nei settori della migrazione, della sicurezza e dell'economia.

3.2.2.2.4

Russia

Il Consiglio federale attribuisce un'importanza strategica elevata allo sviluppo delle relazioni con la Russia. Questo Paese sta infatti tornando a giocare un ruolo importante sulla scena politica internazionale e difende con crescente fermezza i propri interessi nell'ambito di conflitti regionali o della politica di sicurezza e di disarmo.

La crescita economica galoppante osservata negli ultimi anni (prima della crisi) e il fatto che la Svizzera sia uno dei dieci principali investitori in Russia, ma anche che aziende russe abbiano acquisito importanti partecipazioni in imprese elvetiche, sottolineano l'importanza delle relazioni bilaterali anche in ambito economico. Non va infine dimenticata la posizione dominante che la Russia detiene in qualità di principale fornitore di energia dell'Europa.

Diversi contatti con il governo russo hanno consolidato l'opinione del Consiglio federale secondo cui la Svizzera, in quanto Paese neutrale e al di fuori dell'UE, appartiene alla cerchia dei partner che la Russia considera privilegiati. Lo dimostra anche il memorandum d'intesa (MoU) concluso a Mosca il 7 novembre 2007. Questo accordo bilaterale non copre solo ambiti di politica estera, bensì anche questioni legate alla ricerca, alla cultura, ai diritti dell'uomo, ai trasporti, all'energia e alla cooperazione di polizia. L'ampio processo, che comporta tutta una serie di consultazioni tematiche, è diretto da un comitato congiunto. La sua attività è coadiuvata da un comitato di coordinamento nel quale sono rappresentati i vari servizi federali che si occupano dei rapporti con la Russia e che è presieduto dal segretario di Stato del DFAE. Anche dopo il riconoscimento della neutralità del Kosovo da parte svizzera ­ respinta invece categoricamente dalla Russia ­ le relazioni bilaterali hanno continuato a svilupparsi positivamente.

Nel periodo in rassegna gli scambi di visite d'alto livello si sono intensificati e nuovi temi di interesse comune continuano ad aggiungersi a quelli già oggetto delle regolari consultazioni politiche tra Berna e Mosca. Si tratta, in particolare, del disarmo convenzionale, della limitazione delle armi nucleari e delle sfide attuali della sicurezza in Europa. La Russia ha lanciato l'idea di avviare colloqui su nuove possibili forme dell'architettura europea di sicurezza. Sollevata in
seno alla NATO e all'OSCE, la questione porterà alla stesura di perizie alla cui elaborazione parteciperà anche la Svizzera.

Sia in riferimento a questioni multilaterali che nell'ottica della tutela dei propri interessi, la diplomazia svizzera si adopera per illustrare chiaramente le proprie esigenze, ma anche gli obblighi che le derivano dall'applicazione dei principi dello Stato di diritto e dall'appartenenza a organizzazioni internazionali (p. es. rispetto delle norme del Consiglio d'Europa). La Svizzera considera molto positivi i progressi compiuti dalle riforme in Russia, anche in considerazione delle peculiarità e della storia del Paese. Va detto che recentemente la Russia ha ribadito, a più riprese, la grande importanza che attribuisce alla Ginevra internazionale.

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Gli intensi contatti fra la Svizzera e la Russia sono sicuramente una delle ragioni per cui quest'ultima, dopo la rottura delle relazioni diplomatiche con la Georgia, ha chiesto alla Svizzera di rappresentare i suoi interessi a Tbilisi. All'inizio di ottobre del 2008 il Consiglio federale ha dato il suo sostanziale consenso a condizione, tuttavia, che anche la Georgia si dichiarasse d'accordo con il mandato della Svizzera in qualità di potenza protettrice. Successivamente, anche la Georgia ha chiesto al nostro Paese di rappresentare i suoi interessi in Russia. Il DFAE ha dunque negoziato a Mosca e Tbilisi gli accordi che disciplinano i dettagli dei mandati. La protezione degli interessi di un Paese terzo è uno strumento della politica estera svizzera con una lunga tradizione. Nel caso specifico il ruolo svizzero è consistito nell'assumere, attraverso le proprie ambasciate sul posto, la responsabilità di creare a Tbilisi una sezione d'interessi russa e a Mosca una sezione d'interessi georgiana nei palazzi utilizzati a suo tempo dai due Stati per ospitare le rispettive rappresentanze diplomatiche. In ambito consolare, le sezioni d'interessi comunicano direttamente con le autorità competenti, mentre in ambito diplomatico la comunicazione è mediata dalla Svizzera.

3.2.2.2.5

Caucaso del Sud

Dalle ceneri dell'Unione sovietica sono nati nel Caucaso del Sud tre nuovi Stati ­ Armenia, Georgia e Azerbaigian ­ che vantano una lunga e ricca storia di cultura e tradizioni. Da sempre il Caucaso ­ al crocevia tra Asia ed Europa, tra mondo cristiano e musulmano ­ è una regione contesa fra i suoi potenti vicini. L'indipendenza ha riportato alla luce rivalità ancestrali che, in alcuni casi, sono sfociate in conflitti regionali. I nuovi governi hanno dovuto avviare profonde riforme e trovare soluzioni a problemi politici annosi. Il distacco dalla Russia ha inoltre privato la regione di mercati di lavoro tradizionali. Alle tensioni politiche e regionali che ne sono conseguite si sono aggiunte pesanti ripercussioni economiche per buona parte della popolazione.

Cosciente della difficile situazione, la Svizzera ha aperto nel Caucaso del Sud, già nel 1996, un ufficio di cooperazione. Negli ultimi anni ha gradualmente intensificato la sua presenza, in particolare aprendo nel 2001 una rappresentanza diplomatica a Tbilisi. Nel 2007 ha trasformato l'ufficio diplomatico a Baku (Azerbaigian) in un'ambasciata e nel 2009 prevede di aprire una rappresentanza diplomatica a Erevan (Armenia). La presenza politica della Svizzera nella regione è dunque abbastanza capillare. Sono invece ancora modesti i contatti economici visto il livello relativamente basso degli scambi commerciali e degli investimenti diretti; tuttavia, la notevole crescita economica registrata dall'Azerbaigian negli ultimi anni, grazie alla produzione di petrolio e di gas naturale, apre spiragli di sviluppo anche agli scambi economici. Il Paese appartiene al gruppo di voto presieduto dalla Svizzera in seno alle Istituzioni di Bretton Woods e alla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS). La Svizzera sostiene inoltre un progetto per la diversificazione dell'approvvigionamento energetico dell'Europa occidentale e meridionale, che punta prevalentemente sul gas naturale dell'Azerbaigian e dell'Iran («gasdotto transadriatico»). Più in generale, lo sviluppo economico del Caucaso del Sud offre interessanti prospettive anche a imprese svizzere.

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La pressione migratoria del Caucaso del Sud sulla Svizzera continua a farsi sentire.

Il Gruppo di direzione interdipartimentale Aiuto al ritorno ­ un'importante piattaforma di scambio e di cooperazione tra la DSC e l'UFM per le questioni relative alla migrazione ­ ha pertanto posto l'accento sui progetti di prevenzione della migrazione illegale.

Grazie alla sua pluriennale presenza nella regione, la Svizzera ha saputo reagire in fretta e in modo adeguato al conflitto armato scoppiato tra la Russia e la Georgia per il controllo dell'Ossezia meridionale ed ha adattato e intensificato il suo impegno nella regione (aumento del numero di osservatori dell'OSCE, programmi per l'aiuto mirato ai profughi di guerra e misure di promozione economica per le popolazioni rurali). Il doppio mandato assegnato alla Svizzera ­ ovvero la rappresentanza degli interessi russi in Georgia e degli interessi georgiani in Russia ­ è stato illustrato nel n. precedente. A ciò si aggiunge che Ginevra, e dunque la Svizzera, è stata scelta per i vari colloqui sulla sicurezza della regione che si sono svolti sotto l'egida dell'UE, dell'ONU e dell'OSCE.

Su richiesta dell'Armenia e della Turchia la Svizzera ha mediato fra i due Stati sostenendo così un processo negoziale che per la prima volta ha consentito di creare condizioni soddisfacenti per entrambe le parti e dunque favorevoli a una riconciliazione (cfr. n. 3.2.2.2.2).

3.2.2.2.6

Asia centrale

Un'attenzione particolare va riservata anche agli Stati dell'Asia centrale che, essendo membri dell'OSCE e avendo legami stretti con la Russia e l'Occidente, sono trattati in questa parte del rapporto. Questi Stati, i cui complessi confini furono disegnati all'epoca del regime comunista e che dopo il crollo dell'Unione Sovietica hanno ottenuto l'indipendenza, hanno trovato la loro identità senza rompere con il passato e sono guidati da governi centrali molto forti. Circondati da Russia, Cina, Afghanistan e Iran, puntano sulle ricchezze del sottosuolo, sui giacimenti di gas naturale e petrolio e sui prodotti agricoli per ritrovare, grazie alle esportazioni, la via del benessere e lasciarsi alle spalle i gravi problemi economici seguiti alla fine dell'era sovietica. I due Paesi più isolati dal resto del mondo, il Tagikistan e il Kirghizistan, sono anche i più poveri. La posizione strategica degli Stati dell'Asia centrale li rende, soprattutto in relazione al conflitto in Afghanistan, partner preziosi per gli Stati Uniti e l'Europa. L'Occidente è combattuto tra la volontà di contribuire alla democratizzazione della regione e la necessità di rimettersi alla collaborazione con il regime al potere. La Russia, immediato vicino, sta riguadagnando influenza grazie soprattutto al controllo di buona parte delle esportazioni di carburanti fossili ai quali anche la Cina è interessata.

La Svizzera ha iniziato a indirizzarsi verso questa regione al momento in cui è entrata a far parte delle Istituzioni di Bretton Woods e anche gli Stati dell'Asia centrale divenuti indipendenti erano sul punto di accedervi. Quattro di questi Stati (fatta eccezione per il Kazakistan) hanno accettato di far parte del gruppo di voto cui appartiene anche la Svizzera. Kirghizistan, Tagikistan e Turkmenistan sono altresì membri del gruppo di voto presieduto dalla Svizzera in seno alla Banca europea per la cooperazione e lo sviluppo. Una prima ambasciata svizzera è stata aperta a Tashkent (Uzbekistan) e a marzo del 2009 una seconda è stata inaugurata ad Astana (Kazakistan). Negli ultimi anni il Kazakistan ha acquisito una certa importanza, non 5520

solo grazie alla sua crescente forza economica ma anche al suo ruolo di potenza regionale politicamente stabile. Il fatto che nel 2010 il Kazakistan avrà la presidenza dell'OSCE testimonia la sua capacità di mediare fra diverse culture, poiché è un Paese orientale che non disdegna i valori occidentali.

La tutela degli interessi svizzeri nell'Asia centrale è affidata al lavoro delle nostre rappresentanze diplomatiche e alla buona collaborazione in seno alle organizzazioni di finanziamento internazionali, come pure ai programmi di cooperazione allo sviluppo che, in questa regione, sono stati avviati già negli anni Novanta. La maggior parte di questi programmi riguarda il Kirghizistan e il Tagikistan, altri anche l'Uzbekistan e sono imperniati sulla promozione dei diritti dell'uomo e della sicurezza umana. In quest'ottica, l'obiettivo prioritario dei rapporti con il Tagikistan è l'instaurazione di un dialogo sui diritti umani (cfr. n. 3.3.7.1). Dal 2008, i contatti con questo Paese, dal quale negli ultimi tempi sono giunti segnali di apertura nei confronti dell'Occidente, sono curati dalla nuova ambasciata svizzera a Baku (Azerbaigian) e non più dalla sede diplomatica a Mosca. Ciò dovrebbe consentire di sfruttare meglio il potenziale di avvicinamento e di approfondimento delle relazioni bilaterali.

3.2.2.3

Organizzazioni multilaterali regionali

3.2.2.3.1

AELS

L'Associazione europea di libero scambio (AELS) fu costituita nel 1960 dai seguenti Paesi: Austria, Danimarca, Norvegia, Portogallo, Svezia, Regno Unito e Svizzera.

Alcuni anni più tardi divennero membri la Finlandia e l'Islanda. Nel 1972 Regno Unito e Danimarca lasciarono l'AELS per aderire alla Comunità economica europea (CEE), seguite poi dal Portogallo. Nel 1991 all'AELS si aggiunse il Liechtenstein.

Un anno dopo fu firmato l'Accordo SEE; la Svizzera fu l'unico membro dell'AELS che, in seguito a una votazione popolare, decise di non aderire all'Accordo. Nel 1995 lasciarono l'AELS per diventare membri dell'UE anche l'Austria, la Finlandia e la Svezia.

Oggi l'AELS conta quattro Stati membri (Norvegia, Islanda, Liechtenstein e Svizzera) e ha stipulato accordi di libero scambio con 21 Stati e territori, con i quali i membri dell'AELS realizzano un volume di scambi commerciali pari a 38 miliardi di franchi (5,6 % del commercio estero dell'AELS). La principale partner commerciale dell'AELS è l'Unione europea, con un volume di scambi pari a 489,1 miliardi di franchi (72,6 %).

Per i tre Stati dell'AELS/SEE (Norvegia, Liechtenstein e Islanda) la funzione fondamentale dell'AELS consiste nel gestire l'Accordo SEE. Per la Svizzera, che non ha aderito a tale Accordo, rivestono particolare importanza gli accordi di libero scambio con i Paesi terzi non membri dell'UE. Da quando il ciclo di Doha si è arenato e la congiuntura mondiale si è indebolita, per la Svizzera è diventato ancora più essenziale garantire alle proprie imprese, soprattutto attraverso accordi di libero scambio nel quadro dell'AELS, un accesso non discriminato ai mercati esteri. Nel 2008 sono stati fatti importanti passi avanti grazie alla firma di accordi di libero scambio AELS con il Canada e la Colombia nonché alla conclusione delle trattative con i Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo (CCG) e con il Perù. L'accordo con l'Egitto, firmato nel gennaio del 2007 e applicato provvisoriamente a partire dal 5521

1° agosto 2007, è entrato definitivamente in vigore in Svizzera il 1° settembre 2008 dopo l'approvazione da parte del Parlamento. L'accordo di libero scambio tra gli Stati dell'AELS e quelli dell'Unione doganale dell'Africa australe (SACU) e gli accordi bilaterali sul commercio di prodotti agricoli, firmati nel luglio del 2006, sono operativi dal 1° maggio 2008, dopo il deposito degli strumenti di ratifica di tutte le parti. Nel 2009 la Svizzera continuerà a estendere la sua rete di accordi di libero scambio nel quadro dell'AELS, dando priorità al rapido procedere dei negoziati in corso con l'India, l'Algeria e, a seconda dell'evolversi della situazione politica, con la Thailandia, nonché all'avvio di negoziati con l'Indonesia, l'Ucraina, la Serbia e l'Albania. La Svizzera riserva un occhio di riguardo anche ai lavori dell'AELS per la preparazione dei negoziati con la Russia, che dovrebbero iniziare nella seconda metà del 2009.

Anche la gestione della Convenzione AELS riveste un ruolo importante per i membri dell'Associazione. La Convenzione garantisce ai quattro Stati membri un'integrazione economica molto simile a quella instaurata tra la Svizzera e l'UE.

Come evidenziato sopra, l'AELS promuove non solo una stretta cooperazione economica tra i suoi membri, ma costituisce al tempo stesso un'importante piattaforma finalizzata all'intensificazione della cooperazione economica con Stati terzi. Inoltre, la qualità di membro dell'AELS garantisce alla Svizzera lo status di osservatore in seno al pilastro AELS dello Spazio economico europeo (SEE).

Il 23 luglio 2009, durante la presidenza svedese dell'UE, l'Islanda ha consegnato ufficialmente la domanda di adesione all'Unione europea. Le conseguenze dell'uscita dell'Islanda dall'AELS sul funzionamento dell'Organizzazione andranno valutate a tempo debito.

3.2.2.3.2

Consiglio d'Europa

Il ruolo della Svizzera I valori e gli obiettivi del Consiglio d'Europa riflettono quelli che la Svizzera persegue ormai da tempo nella politica interna come in quella estera, vale a dire la promozione e la tutela dei diritti dell'uomo, della democrazia e dello Stato di diritto.

Il Consiglio d'Europa, che ha sede a Strasburgo e consta di quattro organi (il Comitato dei Ministri, l'Assemblea parlamentare, il Congresso dei Poteri locali e regionali e la Corte europea dei diritti dell'uomo) offre diverse opportunità di collaborazione al Consiglio federale, ai membri dei poteri legislativi ed esecutivi nazionali, cantonali e comunali, nonché ai giudici e a esperti dell'Amministrazione. Le loro attività sono fonte di apprezzamento e contribuiscono al buon nome della Svizzera. Qui di seguito sono discusse le principali linee politiche; si rinvia all'allegato del presente rapporto per informazioni complementari sulle singole decisioni ed attività.

Le convenzioni del Consiglio d'Europa sono molto importanti per la giurisprudenza e la legislazione23: oltre a costituire una base legale per l'intero continente, fungono da riferimento per l'elaborazione e il controllo delle norme. Non fanno ancora parte 23

Fino al 2008, la Svizzera ha firmato e ratificato 108 delle 205 convenzioni del Consiglio d'Europa e ne ha firmate altre 15. Per ulteriori informazioni al riguardo, si veda il nono rapporto sulla posizione svizzera rispetto alle convenzioni del Consiglio d'Europa (2008), FF 2008 3907.

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del Consiglio d'Europa soltanto la Bielorussia, perché non soddisfa i requisiti per l'ammissione, e il Kosovo, perché non è riconosciuto da tutti i membri.

Alcuni Paesi, membri del Consiglio d'Europa, ma non dell'UE, devono recuperare terreno per poter conformarsi alle norme rigide e agli standard elevati fissati dall'organizzazione. Nei loro confronti la Svizzera adotta un approccio cooperativo, sottolineando la funzione peculiare svolta dal Consiglio d'Europa, non comparabile a quella dell'UE, e cercando di stabilire una comunanza con tutti i membri, al fine di trovare sostegno per gli obiettivi dell'organizzazione che ritiene prioritari.

La Corte europea dei diritti dell'uomo, presieduta dal professore svizzero Luzius Wildhaber dal 1998 al 200724, è uno dei pilastri del Consiglio d'Europa. La Svizzera si premura di applicare le decisioni adottate dalla Corte e integra costantemente la giurisprudenza da essa sancita nel diritto elvetico. Per questa ragione, rispetto ad altri Stati, vengono registrate soltanto poche violazioni25.

Il futuro della Corte europea dei diritti dell'uomo: una sfida da affrontare Da alcuni anni la Corte europea dei diritti dell'uomo è sommersa dai ricorsi presentati soprattutto contro determinati Stati, in particolare la Russia, la Turchia, la Romania e l'Ucraina. Poiché le istanze di ricorso non devono soddisfare nessuna formalità particolare, in molti casi ne deve essere verificata l'ammissibilità prima di poter procedere. In considerazione di questo sovraccarico di lavoro è necessaria una riforma; tuttavia, la soluzione accolta da tutti i Governi non è entrata in vigore perché non è stata ratificata da un unico Stato membro: la Duma russa ha infatti rinviato a tempo indeterminato la ratifica del Protocollo n. 14 alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) e, sinora, non ha voluto sentire ragioni. La Svizzera auspica che si trovino soluzioni di rapida realizzazione per uscire da questo vicolo cieco e consentire a tutti i cittadini degli Stati membri di adire la Corte europea e a quest'ultima di adempiere al suo incarico sul lungo termine.

Per quanto riguarda le spese del Consiglio d'Europa, la Svizzera sostiene la linea della crescita zero, che impone un impiego ancora più efficiente delle risorse. Le uscite legate alle attività che non rientrano nei tre
settori chiave dell'organizzazione (tutela dei diritti dell'uomo, della democrazia e dello Stato di diritto) sono già state ridotte. La priorità assoluta è garantire l'efficienza della Corte sul lungo periodo.

L'aumento dei mezzi stanziati a favore della CEDU implica tagli equivalenti in altri settori che non riguardano direttamente i diritti dell'uomo: considerate le ristrettezze finanziarie negli Stati membri, non è infatti possibile far fronte a una crescita reale delle spese26.

Il ruolo dell'UE L'allargamento graduale dell'UE a partire dagli anni Novanta ha modificato i rapporti di forza nelle organizzazioni internazionali con sede in Europa e, di conseguenza, anche quelli in seno al Consiglio d'Europa, dove è particolarmente percepibile il consolidamento dell'UE: i membri dell'Unione europea detengono infatti la maggioranza assoluta (27 seggi su 47). La Svizzera osserva pertanto attentamente le 24 25 26

Il successore del prof. Luzius Wildhaber quale giudice svizzero è il prof. Giorgio Malinverni.

Sette nel 2007 e quattro 2008.

Crescita zero in termini reali delle spese in euro. Il bilancio globale ammonta, nel 2009, a 205 mio. euro.

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posizioni che l'UE difende a nome dei suoi membri, anche quando le decisioni vengono prese a maggioranza dei due terzi dei delegati presenti, i quali devono rappresentare almeno la metà dei membri. Sebbene l'UE non parli sempre con una voce sola, i suoi membri sono fondamentalmente solidali e cercano di assumere posizioni comuni.

Nel maggio del 2007 il Consiglio d'Europa e l'UE hanno firmato un memorandum d'intesa, fondando così le proprie relazioni su basi solide e impegnandosi a evitare dispersioni di energia. La Svizzera accoglie con favore questo approccio comune ed è soddisfatta dell'applicazione che se ne sta facendo.

Altre organizzazioni a Strasburgo Gli Stati del Sudest europeo e del Caucaso del Sud, l'Ucraina e la Russia fanno parte del Consiglio d'Europa, ma non dell'UE. Soprattutto la Russia appare risoluta nel voler svolgere un ruolo attivo in seno all'organizzazione, sebbene la sua linea politica diverga dalla tradizione del Consiglio d'Europa. La Svizzera incoraggia la collaborazione dei Paesi che non sono membri dell'UE e promuove un'applicazione rigorosa, nei diritti interni, delle norme sancite dal Consiglio d'Europa.

Conseguenze di una guerra tra gli Stati membri Sin dall'inizio delle ostilità tra la Russia e la Georgia nell'agosto del 2008 il Consiglio d'Europa ha reagito alla crescente violenza sul territorio georgiano intensificando i meccanismi di controllo («monitoring») in tutta la zona interessata dai combattimenti e dalle loro conseguenze. Degno di nota è inoltre l'intervento nella zona contesa del Commissario per i diritti dell'uomo. Sebbene questa carica, istituita nel 1999, si sia dimostrata estremamente utile, in generale è lamentevole che quanto intrapreso dal Consiglio d'Europa per risolvere la crisi in Georgia ­ nel caso specifico, l'adozione di un piano d'azione ­ non abbia sortito alcun risultato.

La presidenza svizzera Dal 18 novembre 2009 a metà maggio 2010 la Svizzera deterrà la presidenza del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa per via della rotazione stabilita in base all'ordine alfabetico. Nel caso specifico, assumendo questa carica, sarà investita della responsabilità non soltanto nei confronti dei singoli Stati, ma anche per il futuro dell'organizzazione. Durante la presidenza la Svizzera avrà occasione di portare avanti e intensificare la
politica tesa a riorientare le attività del Consiglio d'Europa, auspicata insieme alla maggior parte degli Stati membri. Rispetto all'UE che, in seguito all'allargamento, dispone di molti più mezzi finanziari, il Consiglio d'Europa deve continuare a concentrarsi sui suoi settori chiave (tutela dei diritti dell'uomo, della democrazia e dello Stato di diritto) avvalendosi dello stesso budget di cui si è servita sinora, pari a circa 205 milioni di euro. La Corte europea dei diritti dell'uomo deve essere anche in futuro in misura di adempiere ai suoi compiti e, per farlo, è necessario adeguare le procedure, semplificare l'esame concernente l'ammissibilità dei ricorsi e riformare i sistemi giuridici degli Stati membri da cui proviene la maggior parte delle istanze di ricorso, in modo da diffondere nella popolazione la fiducia necessaria nei poteri della Corte. La Svizzera teme che la situazione possa rendere più difficile interpellare la Corte, soprattutto per chi risiede in zone con un sistema giuridico non sufficientemente sviluppato a causa delle condizioni politiche. Il futuro della Corte è inoltre minacciato a causa della mancata ratifica del Protocollo n. 14 alla CEDU da parte di un unico membro (la Russia). A 5524

tal fine, la Svizzera sostiene gli sforzi intrapresi per risolvere celermente il problema. La Svizzera si terrà inoltre in stretto contatto con la Repubblica di Slovenia e la Repubblica di Macedonia, che assumeranno la presidenza rispettivamente prima e dopo di lei. Durante la presidenza elvetica saranno organizzati diversi eventi, tra cui una conferenza di alto livello sulla riforma della Corte europea dei diritti dell'uomo (dal 18 al 19 febbraio a Interlaken) e varie attività in collaborazione con le scuole universitarie.

3.2.2.3.3

OSCE

Il ruolo della Svizzera La Svizzera collabora intensamente con l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), la cui attività si estende da Vancouver a Wladiwostok per garantire la sicurezza e la promozione delle forme di governo democratiche. La politica di sicurezza dell'OSCE trascende la dimensione militare per inglobare anche gli aspetti umanitari, allineandosi così pienamente con la linea seguita dalla Svizzera.

L'OSCE nasce come evoluzione della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE), istituita nel 1975. Le sue decisioni sono approvate all'unanimità.

Il suo ruolo politico spazia dalla prevenzione dei conflitti alla promozione di «buone pratiche» nel settore del controllo democratico. La Svizzera non può più agire in seno al gruppo dei Paesi neutrali e non allineati che esisteva al tempo della guerra fredda. Tuttavia, gli interessi divergenti nell'enorme territorio che rientra nel raggio d'azione dell'OSCE, e la presenza, in alcuni Stati membri, di organizzazioni dalle rigide strutture, rappresentano embrioni di nuove spaccature. La Svizzera non partecipa ad alleanze e, forte della sua posizione indipendente, sostiene la risoluzione pacifica dei conflitti, nonché i diritti dell'uomo e la democrazia. È inoltre attenta a che l'intervento dell'OSCE e l'utilizzo dei mezzi stanziati rispondano a criteri d'efficacia.

L'Europa all'insegna del cambiamento Il progressivo allargamento dell'UE e della NATO, iniziato negli anni Novanta, ha modificato gli equilibri all'interno delle organizzazioni internazionali e quindi anche dell'OSCE.

Sicuramente a causa di tale allargamento, che ha ormai raggiunto le sue frontiere, la Russia non ha voluto proseguire la cooperazione che si era instaurata negli anni Novanta: da qualche anno chiede infatti che le regole dell'OSCE siano cambiate e lascia trasparire un crescente nervosismo nei confronti dell'organizzazione, alla quale rimprovera parzialità a favore dei Paesi «a Est di Vienna». Le critiche mosse si riferiscono soprattutto alla dimensione umana e a quella relativa alla politica della sicurezza, nonché all'assenza di una Carta della sicurezza promulgata dall'OSCE.

La Russia e alcuni suoi alleati non sono più disposti ad accettare che l'Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti dell'uomo (ODIHR)27
continui a organizzare, come ha fatto dall'inizio degli anni Novanta, monitoraggi delle elezioni o missioni negli Stati dell'ex Unione Sovietica; allo stesso modo, non desiderano più essere assistiti o sostenuti nelle attività di promozione dei diritti dell'uomo, di democratiz27

Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti dell'uomo (Varsavia).

5525

zazione o di sviluppo dello Stato di diritto. Del resto, la maggior parte dei Paesi che spingevano in questa direzione fa ormai parte dell'UE o della NATO. L'ampio sistema di sicurezza dell'OSCE ha così perso, almeno parzialmente, la sua ragion d'essere tanto per i Paesi interessati che per gli Stati membri.

Dagli anni Novanta l'OSCE ha sviluppato strumenti atti a gestire i conflitti interstatali, come quelli scoppiati in Jugoslavia e in alcune regioni dell'ex Unione Sovietica.

Oltre alle missioni in loco28, tali strumenti includono organismi e mandati per la protezione delle minoranze nazionali e della libertà di stampa, per la promozione della democrazia e per la lotta contro l'intolleranza e la discriminazione. Tutti questi strumenti rientrano in un sistema di gestione e prevenzione dei conflitti derivante dal concetto di sicurezza globale.

È significativo che, dal 2002, i ministri degli affari esteri non siano più riusciti ad accordarsi su una dichiarazione finale in occasione degli incontri annuali in seno all'OSCE. Continua a non esserci consenso neppure sul progetto di accordo sullo status giuridico dell'organizzazione.

Quanto alla dimensione parlamentare dell'OSCE, non si è riusciti a svilupparla in misura equivalente, ad esempio, a quella dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, nonostante il ruolo di primo piano che svolge in ambito di monitoraggio delle elezioni.

Il ruolo dell'UE Anche nell'OSCE è percepibile il rafforzamento del ruolo dell'UE. I membri dell'UE si concertano, cercano di sostenere posizioni comuni e di parlare con un'unica voce. Considerata la maggioranza relativa degli Stati dell'UE in seno all'OSCE (27 su 56 membri), i candidati dei Paesi non UE ­ tra cui anche la Svizzera ­ hanno poche possibilità di successo nelle nomine di cariche importanti.

La sfida: Asia centrale e Caucaso del Sud Dal punto di vista geografico, i centri d'interesse dell'OSCE si sono decisamente spostati dall'Europa meridionale in direzione Est, verso il Caucaso del Sud e l'Asia centrale, una tendenza confermata dall'assunzione, nel 2010, della presidenza dell'OSCE da parte del Kazakistan. In queste regioni la presenza della Russia è ancora più forte.

Ripercussioni di una guerra tra due Stati membri Gli strumenti di cui l'OSCE si avvale in materia di politica di sicurezza nonché
le misure volte a instaurare la fiducia hanno dato buoni risultati nel conflitto tra la Russia e la Georgia, ma gli Stati membri non sono comunque riusciti ad adottare i provvedimenti necessari per prevenire il conflitto stesso. Il rifiuto, da parte della Russia, di prorogare la missione OSCE in Georgia alla fine del 2008 ha impedito all'organizzazione di gestire le conseguenze della guerra e questo dipende, non da ultimo, dal fatto che nell'OSCE vige il principio del consenso: un unico Stato può quindi bloccare l'intera organizzazione quando si tratta di affrontare una questione importante. La credibilità dell'OSCE è stata pregiudicata al punto che l'UE ha dovuto organizzare un'importante missione di osservazione. Il contraccolpo per l'OSCE è palpabile e oltrepassa i confini del conflitto Georgia-Russia.

28

16 missioni nel 2008.

5526

Previsioni Dopo la sospensione del Trattato sulle forze armate convenzionali in Europa e le tensioni con gli Stati Uniti a causa della difesa antimissile nell'Europa centrale, il presidente russo Medvedev ha proposto di negoziare un patto inteso a regolare tutte le questioni concernenti la sicurezza e il controllo degli armamenti in Europa.

Facendo esplicito riferimento all'Atto finale di Helsinki del 1975, Medvedev ha inoltre proposto di sostituire l'OSCE con un nuovo organismo. All'elaborazione di questo accordo paneuropeo gli Stati dovrebbero partecipare «singolarmente, indipendentemente da qualsiasi blocco o alleanza» e unicamente sulla base di «interessi nazionali». La proposta russa rimette in discussione la stretta relazione tra la dimensione politico-militare e quella umana, ovvero la relazione che è alla base stessa dell'esistenza dell'OSCE.

La tendenza verso una collaborazione politica più stretta in seno all'UE, il rafforzamento di alleanze e blocchi e le crescenti tensioni tra le diverse organizzazioni complicano l'individuazione di soluzioni in linea con i principi e gli strumenti dell'OSCE. La Svizzera non fa parte di nessuna alleanza; sostiene invece i valori dell'OSCE e gli impegni da questa assunti collaborando attivamente con l'organizzazione e intensificando i contatti con gli Stati che condividono la sua ideologia e non sono legati ad alleanze militari. Questi Stati, tuttavia, non hanno né il peso necessario né sono disposti a svolgere un ruolo autonomo tra la NATO da una parte e la Russia e relativi alleati dall'altra. La Svizzera ritiene che una ridefinizione dei compiti dell'OSCE debba necessariamente essere preceduta da un dialogo attivo con i membri dell'UE, la Russia e gli Stati Uniti.

Nel 2008, di fronte al nervosismo russo causato non da ultimo dall'allargamento che ha caratterizzato la NATO dal 1999, il presidente Medvedev ha lanciato un'iniziativa volta a costituire una nuova architettura di sicurezza a livello europeo.

L'iniziativa prevede l'elaborazione di un documento vincolante che dovrebbe fungere da fondamento per una struttura di sicurezza collettiva nello spazio euroatlantico.

Gli Stati sarebbero tenuti a rispettare determinati principi, come la rinuncia all'uso della forza, il disarmo e il rispetto della sovranità nazionale e dell'uguaglianza dei diritti
degli Stati: nessuno Stato singolo e nessuna alleanza di Stati godrebbe di diritti esclusivi in materia di sicurezza. La proposta russa resta vaga quanto alla struttura precisa di una simile architettura di sicurezza. La discussione sull'iniziativa di Medvedev si sta svolgendo in primo luogo in seno all'OSCE, ma anche nel Consiglio Russia-NATO e in altri organismi. La Svizzera, secondo cui l'OSCE potrebbe essere la piattaforma adeguata per portare avanti la discussione, sta valutando che posizione assumere al riguardo.

Negli ultimi anni l'importanza del Consiglio d'Europa e dell'OSCE ­ due organizzazioni internazionali radicate a livello regionale e con un chiaro mandato politico ­ è andata scemando, soprattutto in seguito all'allargamento dell'UE e della NATO.

La Svizzera, che pur essendo situata nel cuore dell'Europa non aderisce a nessuna delle due istituzioni, lamenta questa evoluzione, le cui conseguenze sono più drastiche per l'OSCE che per il Consiglio d'Europa.

Come accennato sopra, la tendenza verso una collaborazione più stretta in seno all'UE e tra i suoi Stati membri, così come il rafforzamento di alleanze e blocchi complicano l'individuazione di soluzioni basate sui principi e sugli strumenti, ormai convalidati, delle due organizzazioni internazionali. Le tensioni tra blocchi e alleanze e l'incapacità emersa nel 2008 di prevenire una guerra nella zona di compe5527

tenza del Consiglio d'Europa e dell'OSCE pregiudicano l'efficacia delle due organizzazioni e, in particolar modo, quella dell'OSCE.

Questa constatazione inquieta la Svizzera, uno dei membri più attivi di entrambe. Al nostro Paese, che non fa parte dell'UE, né di qualsiasi altra alleanza, risulta alquanto difficile contrastare la tendenza in corso.

3.2.2.3.4

Partenariato euroatlantico e partenariato per la pace

Il Consiglio di partenariato euroatlantico (EAPC) e il Partenariato per la pace (PfP) sono per la Svizzera, accanto all'UE, all'OSCE e all'ONU, due elementi essenziali dell'architettura europea di sicurezza. Tutte queste organizzazioni sono infatti accomunate dalla convinzione secondo cui la stabilità e la sicurezza nello spazio euroatlantico possono essere raggiunte soltanto attraverso la cooperazione e la condivisione degli stessi valori. Il Partenariato rappresenta per la Svizzera una piattaforma essenziale per collaborare alle attività riguardanti la sicurezza collettiva e, al tempo stesso, uno strumento utile per scambiare conoscenze ed esperienze in ambito militare. Prendendo le mosse dal principio della partecipazione volontaria, il Partenariato euroatlantico non comporta alcun obbligo giuridico di partecipazione a determinate attività e si concilia quindi perfettamente con la neutralità svizzera.

Secondo l'ottica elvetica, inoltre, il Partenariato è uno strumento importante della politica europea di sicurezza. Negli ultimi anni il paesaggio euroatlantico in ambito di sicurezza ha subìto modifiche sostanziali, alle quali il Partenariato si è costantemente allineato, portando contemporaneamente avanti le sue attività. Nell'ambito della sua partecipazione al Partenariato, la Svizzera resta fedele a determinate priorità, quali una migliore collaborazione militare, la pianificazione civile delle situazioni di emergenza, l'aiuto in caso di catastrofi o la promozione del diritto internazionale umanitario. Per preservare anche in futuro l'importanza del Partenariato, la Svizzera è favorevole a un approccio flessibile della cooperazione tra NATO e Paesi partner, in modo tale da tener conto delle esigenze e degli interessi dei singoli Stati che vi aderiscono. La partecipazione al Partenariato offre alla Svizzera anche un accesso diretto e istituzionale agli Stati membri della NATO che svolgono un ruolo chiave per la sicurezza europea (Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Germania ecc.).

Per il tramite del DFAE e del DDPS, la Svizzera partecipa a oltre 200 attività nel quadro del PfP. Queste comprendono, da un lato, formazioni che la Svizzera offre agli altri membri del PfP e, dall'altro, corsi ed esercitazioni della NATO a cui la Svizzera partecipa e che sono aperti a tutti gli Stati membri. Grazie
a queste attività il nostro Paese può migliorare le sue capacità in ambito di gestione delle crisi, nell'ottica di una partecipazione alle operazioni di promozione della pace. Ne è un esempio l'impiego della Swisscoy nel Kosovo. La Svizzera può così offrire un contributo concreto alla sicurezza del continente.

Per il 2009, la Svizzera ha in programma di proseguire le attività intraprese con lo stesso impegno dell'anno precedente, concentrandosi in particolare sulle nuove minacce che incombono sulla politica di sicurezza nel contesto europeo e internazionale, dato il peso che hanno assunto alla luce della crisi economica. In quest'ottica acquistano per esempio maggior rilievo tematiche quali la sicurezza dell'approvvigionamento energetico, il terrorismo, gli Stati deboli o in declino, la guerra cibernetica e la pirateria.

5528

Per le operazioni di sostegno della pace (che, per la Svizzera, presuppongono un mandato ONU), la NATO conta sempre di più sull'impegno dei partner sotto forma di interventi civili e militari sul posto. Per questo, in futuro, le relazioni della Svizzera con la NATO dipenderanno sempre più dalla forma e dalla portata del contributo elvetico alle operazioni di pace condotte dall'Alleanza.

Attualmente sono 22 (su 50) gli Stati membri del Partenariato euro atlantico esterni alla NATO, tra cui anche la Svizzera. L'avvenire di questa istituzione di sicurezza politica dipenderà molto dall'importanza che questi Stati le vorranno accordare.

3.2.2.3.5

CERN

Il CERN, fondato a Meyrin (Ginevra) nel 1953, è cresciuto incessantemente fino a diventare il più importante laboratorio di fisica delle particelle a livello internazionale. Negli ultimi vent'anni fisici e ingegneri provenienti da tutto il mondo hanno pianificato, sviluppato e concretizzato un progetto unico nel suo genere: il Large Hadron Collider, che può essere considerato il più grande e più potente microscopio di tutti i tempi. Aprendo la strada a scoperte fisiche del tutto inedite, gli esperimenti condotti con questo strumento consentiranno di approfondire la nostra conoscenza della struttura della materia e della natura delle forze.

L'attenzione mondiale riservata a questo progetto incomparabile, reso possibile soltanto grazie al lavoro di esperti di tutto il mondo, attira a Ginevra, per soggiorni più o meno brevi, sempre più scienziati. Sebbene la maggior parte dei membri del CERN appartenga all'UE, fino a poco tempo fa l'interesse e il coinvolgimento di quest'ultima sono stati alquanto limitati. Da due anni, invece, l'UE, che ha statuto di osservatore nel Consiglio del CERN, ha intensificato i contatti con il laboratorio, lasciando così trasparire l'intenzione di ampliare la sua sfera di influenza.

Per la Svizzera, che lo ospita, il CERN è estremamente importante dal punto di vista scientifico: accanto al contributo ordinario versato dai membri, pari a circa trenta milioni di franchi all'anno (cioè al 3 % del budget del CERN), negli ultimi vent'anni la Svizzera, in quanto sede del laboratorio, ha stanziato contributi straordinari per oltre 125 milioni di franchi. Questo impegno finanziario sottolinea la volontà politica di mantenere in territorio elvetico questo laboratorio mondiale di fisica delle particelle e l'intenzione di sfruttarne la fama per promuovere nuove leve svizzere nei settori scientifico e tecnico.

Dalla presenza del CERN la Svizzera trae anche un beneficio economico: innanzitutto è il Paese più rappresentato perché il 7,5 per cento del personale è svizzero. Va poi considerato che i 2500 impiegati del laboratorio costituiscono un fattore economico rilevante per la regione. Inoltre, oltre 8000 ricercatori giungono al CERN ogni anno e vi restano per periodi più o meno lunghi, contribuendo così all'industria turistica regionale. Ma ancora più determinanti sono i cospicui
introiti che confluiscono nel nostro Paese grazie ai contratti industriali e a quelli per la prestazione di servizi del CERN. L'incasso netto degli ultimi cinque anni ha superato i 200 milioni di franchi.

Da quando il Large Hadron Collider è entrato in funzione, il CERN sta cercando di consolidare sul lungo termine la sua posizione di primo piano a livello mondiale. Il Consiglio del CERN ha infatti creato un gruppo di lavoro nel dicembre 2008 per elaborare una strategia di espansione sul lungo termine. La strategia, alla cui elabo5529

razione collabora anche la Svizzera, dovrebbe consentire di attirare quanti più Stati membri qualificati, in modo da sfruttare le maggiori entrate per far fronte agli immensi costi generati da esperimenti di grande portata. Al tempo stesso, si dovrà vegliare affinché l'aumento degli Stati membri non complichi le relazioni reciproche e, di conseguenza, l'efficienza del processo decisionale del Consiglio del CERN.

Una strategia di espansione sul lungo termine deve rispondere soprattutto alle seguenti domande: come vanno definite e strutturate le varie categorie di Stati membri, di membri associati, di osservatori e di partner, in modo da poter raggiungere gli obiettivi ambiziosi prefissati e rispondere anche agli interessi degli Stati finanziatori? Come dev'essere concepita, in futuro, la relazione con la Commissione europea? E quella con i laboratori partner nell'America del Nord e in Asia? Che rapporto intercorre tra un'eventuale espansione scientifica e un'espansione geografica? E infine: il CERN dovrebbe restare un'istituzione europea dotata di una rete mondiale di partner oppure divenire un'organizzazione globale accessibile a tutti i Paesi non solo in quanto partner e beneficiari, bensì in qualità di membri?

3.2.2.3.6

ESA

L'Agenzia spaziale europea (ESA) è stata istituita nel 1975 da 10 Stati europei, tra cui la Svizzera, e conta oggi 18 Stati membri. L'ESA si occupa dello sviluppo del vettore Ariane e svolge programmi scientifici nei settori del volo spaziale umano, della ricerca spaziale, dell'osservazione della Terra, delle telecomunicazioni e della navigazione.

La Svizzera non sarebbe in grado di realizzare da sola questi programmi. In quanto membro dell'ESA ha invece accesso alla dimensione spaziale, il che le consente di concorrere allo sviluppo di tecnologie in questo settore e di avvalersi della loro applicazione in ambiti d'importanza economica e sociale, quali la comunicazione, la circolazione stradale, la navigazione, le previsioni meteorologiche e il monitoraggio ambientale.

L'ESA è in piena evoluzione: oltre ad essersi espansa, si è infatti avvicinata alle istituzioni dell'UE firmando con quest'ultima un accordo quadro nel 2004.

L'accordo prevede lo svolgimento di incontri ministeriali (nel cosiddetto «Consiglio Spazio») nei quali discutere dell'orientamento strategico di programmi comuni come Galileo (navigazione e posizionamento, cfr. anche n. 3.2.2.1.4) e GMES/Kopernikus (monitoraggio ambientale e sicurezza). L'ESA è sostanzialmente un ente di ricerca e sviluppo, si occupa cioè di sviluppare l'infrastruttura spaziale gestita e impiegata dall'UE. La Svizzera si contraddistingue in seno all'ESA per la grande influenza che esercita, di gran lunga superiore al contributo finanziario versato. Difendere questa posizione privilegiata e le priorità elvetiche nei programmi comuni ESA-UE, tuttavia, non è semplice, soprattutto quando il programma passa dalla fase ESA a quella UE. L'esito di questa sfida dipende dalla forza della posizione elvetica in seno all'ESA e dalla partecipazione svizzera alle fasi operative dei programmi (cfr. anche n. 3.2.2.1.4, Galileo e EGNOS).

Un altro esempio dell'avvicinamento istituzionale menzionato sopra è costituito dall'elaborazione di una politica spaziale europea comune, adottata nel maggio del 2007 dal Consiglio Spazio, nel quale sono rappresentati i ministri responsabili per le questioni spaziali negli Stati membri dell'ESA e dell'UE. In occasione del quinto

5530

incontro del Consiglio, svoltosi nel settembre del 2008 a Bruxelles, i ministri hanno stabilito le nuove priorità per l'attuazione della politica spaziale europea.

Un altro importante evento nel settore spaziale è stata la conferenza ministeriale del Consiglio ESA, svoltasi nel novembre del 2008 all'Aia, durante la quale si è deciso l'orientamento strategico dei programmi dell'Agenzia e il relativo finanziamento per il prossimo decennio. In questa occasione, la Svizzera ha presieduto il gruppo di lavoro che ha trovato un compromesso per la partecipazione dell'ESA alla stazione spaziale internazionale («International Space Station», ISS). Ha inoltre confermato il sostegno all'Agenzia concorrendo a diversi programmi volontari da cui traggono beneficio anche l'industria e la ricerca svizzere.

3.2.3

Politica nei confronti del continente americano

3.2.3.1

America del Nord

Forte della supremazia degli Stati Uniti, la regione dell'America del Nord si contraddistingue per il suo peso politico ed economico. Tutti i tre gli Stati che costituiscono la regione ­ Canada, Stati Uniti e Messico ­ sono membri del G8+5 e del G20 e sono uniti nell'Accordo di libero scambio dell'America del Nord (NAFTA).

Attualmente sono anche gli unici tre membri dell'OCSE nel continente americano.

Gli interessi della Svizzera nei loro confronti sono innanzitutto di natura economica, dato il grande potenziale del Canada e del Messico, i quali stanno cercando di diminuire la loro dipendenza dagli Stati Uniti diversificando le proprie relazioni economiche. Grazie alla comunione di valori con questi due Paesi (stampo culturale prettamente europeo del continente americano), esistono inoltre i presupposti di una collaborazione in seno alle istituzioni multilaterali. Un altro legame con questa regione è infine creato dagli oltre 110 000 Svizzeri che vivono nell'America del Nord e dagli intensi flussi turistici (cfr. n. 3.2.3.2 per maggiori informazioni sul Messico).

Stati Uniti Durante il secondo mandato del presidente George W. Bush si sono moltiplicati i segnali di una diminuzione dell'egemonia mondiale detenuta dagli Stati Uniti e dell'abbozzarsi di una realtà multipolare. L'apparente perdita di importanza degli Stati Uniti, tuttavia, non deve alimentare l'illusione che questa nazione non sia in grado di conservare ancora per un certo tempo il suo ruolo di grande potenza egemonica, dato anche il suo potenziale economico, scientifico e militare. Resta pertanto un partner e un punto di riferimento imprescindibile per le economie emergenti, per l'Europa (e la Svizzera) e per il sistema internazionale nel suo insieme.

L'entrata in carica del presidente Barack Obama accende la speranza di un rinnovamento della politica americana e delle relazioni internazionali, soprattutto per quanto riguarda l'impegno degli Stati Uniti nelle istituzioni multilaterali.

Il nuovo Governo, tuttavia, deve affrontare sfide immani sia nella politica interna che in quella estera. La priorità numero uno sarà il superamento della crisi finanziaria ed economica, sebbene anche la riforma del sistema sanitario e della politica energetica nonché la chiusura del carcere di Guantanamo siano obiettivi complessi. In politica estera,
gli Stati Uniti devono innanzitutto ripristinare la loro influenza e il loro prestigio mondiale. Iran, Iraq, Afghanistan e il processo di pace nel Vicino Oriente 5531

rappresentano altre sfide molto delicate. Il nuovo Governo ha fatto intendere di voler collaborare maggiormente con i partner e le istituzioni multilaterali per affrontare le grandi problematiche mondiali. Si è espresso ad esempio a favore di una cooperazione più stretta con l'Europa, esigendo tuttavia dai partner un maggiore impegno (p. es. in Afghanistan). È tuttavia indiscutibile che le grandi sfide globali ­ tra cui la crisi finanziaria, i cambiamenti climatici, il terrorismo, la proliferazione di armi di distruzione di massa e la sicurezza alimentare ­ possono essere affrontate soltanto insieme agli Stati Uniti.

Le medesime considerazioni si applicano anche alla Svizzera: per il loro ruolo guida nell'economia e nella politica mondiali, anche per il nostro Paese gli Stati Uniti sono un partner importante sotto ogni punto di vista. Al di là della ricerca congiunta di soluzioni ai problemi globali, gli interessi della Svizzera sono soprattutto di natura economica. Gli Stati Uniti sono la meta principale degli investimenti diretti svizzeri e il secondo mercato d'esportazione; parallelamente, il flusso di investimenti diretti statunitensi è il secondo in ordine di importanza per il nostro Paese. Anche nel settore della tecnologia gli Stati Uniti hanno una parte di rilievo grazie ai loro istituti di ricerca e di sviluppo, da cui l'interesse della Svizzera a un'intensa collaborazione nei settori della scienza e della tecnologia. Degna di nota, infine, è la grande colonia elvetica stabilitasi negli Stati Uniti, nella quale si concentra il 10 per cento di tutti gli Svizzeri all'estero.

Negli ultimi anni l'obiettivo strategico della politica estera svizzera è stato di ottimizzare la tutela degli interessi nazionali intensificando e strutturando le relazioni bilaterali e rafforzando anche la collaborazione con gli Stati Uniti negli ambiti d'interesse comune. La firma di un «memorandum d'intesa» per l'intensificazione delle relazioni reciproche (maggio 2006) e l'avvio di un assiduo dialogo politico ad alto livello hanno permesso di riprendere e consolidare il rapporto bilaterale, il che consente di risolvere divergenze puntuali che possono costituire un fattore di disturbo (critica svizzera alle «restituzioni straordinarie» e al carcere di Guantanamo, critica americana all'accordo con l'Iran sulla
fornitura di gas naturale, risoluzione della questione UBS nel quadro degli accordi bilaterali esistenti).

La collaborazione si è concretizzata su più fronti: in Kosovo, per esempio, gli Stati Uniti e la Svizzera operano congiuntamente nel quadro della missione dell'Unione europea sullo stato di diritto («European Union Rule of Law Mission in Kosovo», EULEX). Parimenti, la Svizzera ha partecipato attivamente, con il consenso degli Stati Uniti, al processo di normalizzazione tra l'Armenia e la Turchia. A questo proposito, il 6 aprile 2009, vale a dire a pochi mesi dalla sua elezione, il presidente Obama ha incontrato il capo del DFAE. Nell'estate 2008 i due Paesi si sono inoltre espressi a favore del rafforzamento del regime internazionale di non proliferazione nel quadro dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA) e, sempre nel 2008, hanno collaborato in occasione della conferenza sul divieto delle bombe a grappolo nonché all'elaborazione di un codice di condotta per le imprese private che operano nel settore militare e della sicurezza.

La Svizzera sostiene gli interessi americani in Iran e a Cuba e quelli cubani a Washington. In Iran, il nostro Paese offre assistenza in loco a oltre 7000 cittadini americani (la maggior parte con doppia cittadinanza) ed è pronta a proseguire queste attività, ma anche ad offrire il proprio appoggio nel caso in cui l'Iran e gli Stati Uniti decidessero di normalizzare le proprie relazioni.

5532

La rete di contatti con l'Amministrazione Obama, con il Congresso americano e con importanti moltiplicatori di opinioni si sta rinnovando e intensificando. Il Governo americano ha per esempio accolto con favore la proposta del Consiglio federale di verificare i mezzi di cui disponeva la Svizzera per fornire il proprio sostegno alla chiusura del carcere di Guantanamo.

Emergono inoltre nuove possibilità in ambito di collaborazione multilaterale, dato che il presidente Obama ha elencato tra le sue priorità la lotta contro i cambiamenti climatici, la tutela dei diritti dell'uomo, la risoluzione pacifica dei conflitti attraverso il dialogo e la diplomazia, il disarmo e la non proliferazione delle armi di distruzione di massa ­ ambiti questi che godono di una posizione privilegiata anche nella politica estera svizzera. La Svizzera punta quindi a una comunione d'intenti soprattutto nel quadro del Consiglio dei diritti dell'uomo dell'ONU (sulla scorta del rinnovato impegno degli USA) e dell'AIEA, nonché in materia di gestione internazionale dell'ambiente, di sicurezza umana e per quanto concerne la riforma delle attività dell'ONU per lo sviluppo e il mantenimento della pace nonché i meccanismi di finanziamento dell'organizzazione.

Un'altra piattaforma per la tutela degli interessi economici è costituita dal Forum di cooperazione Svizzera ­ Stati Uniti per il commercio e l'investimento: istituito nel maggio 2006, il Forum si occupa di commercio elettronico, protezione dei dati, tutela della proprietà intellettuale, nessi tra scambi economici e sicurezza nonché esportazioni svizzere di carne negli Stati Uniti. Una delle preoccupazioni centrali sarà quella di far fronte alle eventuali tendenze protezionistiche che potranno emergere durante la lotta contro la crisi economica. In ambito di scienza e tecnologia, il 1° aprile 2009 è stato firmato a Washington D.C. un accordo bilaterale per la cooperazione scientifica e tecnologica. Alla fine di marzo è inoltre stata inaugurata l'estensione della rete Swissnex di Boston. La cooperazione deve essere estesa all'assistenza amministrativa in materia doganale mediante la stipulazione di accordi. Gli Stati Uniti restano inoltre un Paese prioritario di Presenza Svizzera.

In un altro settore di rilievo, la lotta contro il terrorismo e il suo finanziamento, è da segnalare
l'entrata in vigore, il 1° dicembre 2007, di un accordo sulla costituzione di gruppi inquirenti comuni («Operative Working Arrangement II»). Nell'ottica della politica antiterroristica e di non proliferazione gli Stati Uniti seguiranno con attenzione anche le relazioni economiche della Svizzera con l'Iran.

Nonostante determinate difficoltà, la Svizzera intende mantenere il suo posto nel Programma di esenzione dal visto (Programma Visa Waiver): agli Stati che partecipano al programma, tra cui appunto la Svizzera, gli Stati Uniti chiedono infatti di intensificare la cooperazione in materia di sicurezza; soltanto in questo modo i loro cittadini potranno continuare a entrare in territorio americano senza chiedere un visto d'ingresso. Questa cooperazione deve tuttavia conformarsi anche alle condizioni e norme giuridiche svizzere.

Per il momento, comunque, le questioni più urgenti riguardano la piazza finanziaria.

Un punto di attrito tra Stati Uniti e Svizzera è il caso di UBS, contro cui gli Stati Uniti hanno avviato un procedimento di diritto civile affinché la banca riveli i nomi di 52 000 contocorrentisti (cfr. n. 3.3.1). In ambito fiscale, inoltre, alcuni progetti di legge americani potrebbero rivelarsi problematici; tra questi, per esempio, la proposta, presentata nel 2007 dal senatore Levin e rilanciata dinanzi al Congresso all'inizio di marzo 2009, secondo cui la Svizzera dovrebbe figurare nell'elenco delle giurisdizioni offshore che conservano il segreto bancario («Offshore Secrecy Juri5533

sdictions»). Altri progetti di legge non parlano di elenchi particolari, ma mirano sempre a un'ottimizzazione delle attività di controllo del fisco americano, per esempio mediante l'introduzione di una procedura di notifica delle transazioni eseguite all'estero.

Degno di nota è anche il sistema americano dell'intermediario qualificato («Qualified Intermediary System»), di cui è in programma la revisione e che, mediante un accordo diretto tra gli Stati Uniti e le banche, consente la compravendita di titoli americani dietro l'obbligo di fornire informazioni su tali titoli e sui clienti statunitensi.

La decisione adottata dal Consiglio federale il 13 marzo 2009 concernente la nuova strategia svizzera in ambito di assistenza amministrativa e giudiziaria tra le autorità fiscali offre potenziali soluzioni per soddisfare lo scambio di informazioni sollecitato dagli Stati Uniti e, allo stesso tempo, l'esigenza svizzera di garantire agli istituti finanziari e ad altre società il libero accesso al mercato da entrambe le parti. Per la Svizzera è essenziale che la collaborazione in ambito fiscale sia sancita esclusivamente nel quadro di accordi bilaterali. La priorità numero uno è la revisione della Convenzione di doppia imposizione con gli Stati Uniti. Il 19 giugno 2009 è stato parafato un protocollo di revisione. La tematica fiscale è stata oggetto di discussione anche all'incontro di fine luglio a Washington tra il capo del DFAE e il Segretario di Stato Hillary Clinton. Contemporaneamente, è importante prestare attenzione e influenzare positivamente tutte le condizioni contingenti, ricorrendo a qualsiasi forma di collaborazione con gli Stati Uniti così da rafforzare il buon rapporto bilaterale e la fiducia reciproca e instaurare un clima di buona disposizione vicendevole (cfr. spiegazioni sopra).

Canada Quale membro del G8, del G20 e di numerose altre organizzazioni internazionali e regionali operanti nel settore politico ed economico, il Canada riveste una posizione influente nella politica mondiale. L'attiva politica estera canadese, di inclinazione tradizionalmente multilaterale, ha dovuto essere ricalibrata in seguito ai cambiamenti decisivi avvenuti nel periodo in esame, che hanno fatto passare in primo piano le relazioni con gli Stati Uniti.

In passato, la Svizzera e il Canada hanno sostenuto
posizioni molto simili su diverse questioni discusse a livello multilaterale e hanno quindi collaborato soprattutto in seno all'ONU e alla Rete della sicurezza umana o in materia di federalismo.

Entrambi sono inoltre membri della Francofonia. A causa del cambiamento d'orientamento della politica estera canadese, tuttavia, negli ultimi anni sono cambiati anche i punti di contatto tra i due Paesi. L'ago della bilancia si è spostato verso la sfera economica, facendo aumentare il volume degli scambi commerciali e gli investimenti diretti svizzeri. Nel gennaio del 2008 è stato siglato l'Accordo di libero scambio tra l'AELS e il Canada, entrato in vigore il 1° luglio 2009. Il Canada è il secondo partner commerciale della Svizzera sul continente americano.

Attualmente gli sforzi si stanno concentrando sulla riattivazione delle consultazioni politiche ad alto livello e sull'ottimizzazione dello sfruttamento del potenziale energetico, ambientale e scientifico.

5534

3.2.3.2

America latina e Caraibi

Il nuovo ordine mondiale offre una gamma d'opzioni più ampia all'America latina.

Da alcuni anni diversi Stati stanno aggiungendo alle tradizionali relazioni con gli Stati Uniti e l'Europa anche quelle con l'Asia. Il Brasile, che emerge dalla schiera dei protagonisti mondiali, ma anche altri Paesi latinoamericani svolgono un ruolo sempre più attivo sul palcoscenico politico globale e in seno alle organizzazioni internazionali. Alcuni di questi Paesi fanno inoltre da ponte tra Nord e Sud e contribuiscono con il loro impegno a trovare soluzioni alle problematiche globali.

Gli ultimi cinque anni ­ fino a quando è iniziata la crisi ­ sono stati caratterizzati da uno sviluppo economico positivo: oltre a una sostanziale crescita economica, si sono fatti alcuni passi avanti nella lotta contro la povertà nella quasi totalità della regione.

A questo hanno contribuito la forte domanda di prodotti d'esportazione latinoamericani e i prezzi elevati dei beni agricoli e delle materie prime. Inoltre, la sicurezza manifestata dai governi latinoamericani in materia di politica estera può essere ricondotta alla crescente stabilità che poggia, a sua volta, sul ripristino dell'ordine democratico nella regione e sul miglioramento delle condizioni quadro macroeconomiche avvenuti alla fine del XX secolo. Lo scorso anno, tuttavia, la crisi finanziaria ed economica ha raggiunto, con effetti diversi, anche le economie dell'America latina che nel frattempo si erano ampiamente globalizzate. La tesi di un possibile «sganciamento» dall'economia americana è così stata confutata. Vi è ora il pericolo che alcune delle conquiste fatte, ad esempio, nel settore sociale o nella riduzione del debito pubblico, siano annullate.

Le sfide che l'America latina si trova ora ad affrontare sono notevoli su tutti i fronti, tanto più che nella regione continuano a registrarsi enormi differenze sociali. La questione sociale ha assunto un ruolo fondamentale per via dell'avanzata di numerosi governi di sinistra di stampo diversificato. Molti Stati latinoamericani si adoperano per assecondare le rivendicazioni della popolazione di una migliore sicurezza pubblica e sociale, di istruzione, di occupazione, di fonti di guadagno, di accesso al sistema giuridico e di certezza del diritto, per non menzionare che alcuni dei settori in cui urge un intervento.
L'interesse della Svizzera per l'America latina aumenta su più versanti: in termini economici, l'America latina rappresenta un mercato in crescita; sotto il profilo sociale, vi è una comunanza di valori umani e culturali; e infine, a livello politico, la grande maggioranza dei governi di questa regione difende, in diversi ambiti, le stesse posizioni della Svizzera diventando una sorta di alleato naturale. La vicinanza culturale tra il nostro Paese e questa regione facilita infatti la condivisione di orientamenti in settori quali la democrazia, i diritti dell'uomo, la risoluzione pacifica dei conflitti, il rafforzamento del diritto internazionale e un multilateralismo che consolidi la collaborazione internazionale. Un'ulteriore prova di questi stretti legami e dell'interesse del nostro Paese per questa regione si esplica nei circa 50 000 Svizzeri che vivono in America latina e nelle relazioni diplomatiche ed economiche di lunga data. Sempre più importante diventa inoltre la cooperazione nei settori della scienza, della ricerca, dei cambiamenti climatici e della lotta contro il traffico di stupefacenti e il crimine organizzato.

Negli ultimi anni la Svizzera ha pertanto rafforzato i legami con l'America latina, conducendo, per esempio, assidue consultazioni politiche con alcuni Paesi. Vi sono inoltre stati numerosi incontri di alto livello, tra i quali vanno menzionate la visita di Stato della presidente cilena (2007), in occasione della quale è stata firmata una 5535

dichiarazione d'intenti nel settore della scienza e della tecnologia, e la visita di Stato del presidente della Confederazione Pascal Couchepin (dicembre 2008), durante la quale la concreta cooperazione scientifica è stata nuovamente al centro delle discussioni. Inoltre, le rappresentanze svizzere in Bolivia, nella Repubblica Dominicana, in Haiti, nel Paraguay e nell'Uruguay sono state valorizzate grazie all'accreditamento di un ambasciatore residente nel Paese.

Gli sforzi fatti in questo senso vanno continuati, sfruttando per esempio la comunanza di valori e la vicinanza culturale nelle piattaforme multilaterali: avvalendosi di partenariati, di iniziative comuni o del sostegno reciproco si può rafforzare la collaborazione con molti Paesi latinoamericani.

Quanto allo sviluppo delle relazioni economiche, la Svizzera guarda soprattutto ai Paesi emergenti della regione. Per questa ragione è essenziale migliorare le condizioni quadro e l'accesso ai mercati, stipulando per esempio accordi di libero scambio con questi Paesi. Nel 2008 sono stati conclusi i negoziati su accordi di questo tipo tra l'AELS e il Perù, da una parte, e tra l'AELS e la Colombia, dall'altra. Nel prossimo futuro la difesa degli interessi economici acquisterà ancora più importanza, non da ultimo in seguito all'aumentata influenza dello Stato sull'economia di taluni Paesi latinoamericani e alle conseguenti nazionalizzazioni che, in alcuni casi, hanno interessato anche imprese svizzere.

Contemporaneamente, vengono gradualmente consolidate anche le relazioni contrattuali con i Paesi dell'America latina mediante l'avvio di negoziati e la stipulazione di convenzioni in materia di doppia imposizione, di trasporto aereo, di cooperazione scientifica e tecnologica, di assistenza giudiziaria, di trasferimento dei beni culturali, di scambio di tirocinanti, nonché di riammissione e trasferimento di persone condannate.

La Svizzera sostiene l'impegno profuso da alcuni Paesi della regione nel tentativo di risolvere i propri problemi di sviluppo. La cooperazione allo sviluppo e l'aiuto umanitario continueranno ad operare nei Paesi andini (Bolivia, Perù e Colombia), nell'America centrale (Nicaragua e Honduras), a Cuba (programma speciale) e in Haiti. La cooperazione svizzera allo sviluppo si articola su tre assi: la riduzione della povertà,
la sicurezza umana e il partenariato internazionale; promuove inoltre l'emancipazione dei gruppi svantaggiati della popolazione affinché questi possano raggiungere i loro obiettivi di sviluppo. In futuro, si intende coinvolgere maggiormente il settore privato ed individuare insieme all'America latina soluzioni concrete ad alcuni problemi globali quali il clima e la sicurezza alimentare.

I terremoti, le inondazioni, gli uragani, la siccità e le ondate di gelo che caratterizzano la regione sono all'origine di catastrofi naturali sempre più frequenti. Nell'ambito dell'aiuto umanitario, perciò, la Svizzera dà la priorità alle attività intese a ridurre i pericoli di queste catastrofi («Disaster Risk Reduction», DRR), soprattutto nel Nicaragua, in Perù, in Bolivia e Haiti. Degna di nota, in Haiti, è anche la cooperazione trilaterale che il Paese ha stretto con il Brasile e la Svizzera. In Colombia le attività dell'aiuto umanitario della Confederazione sono indirizzate alle vittime delle violazioni dei diritti umani causate da lunghi conflitti interni e alle persone sfollate all'interno del proprio Paese.

Nel periodo in esame la Svizzera ha sostenuto l'instaurazione di un dialogo umanitario con la guerriglia colombiana. Anche in futuro porterà avanti il suo impegno a favore della pace e del rispetto dei diritti dell'uomo, avvalendosi dei vari strumenti previsti dal suo programma di promozione della pace (cfr. n. 3.3.6). La Colombia è 5536

uno dei Paesi su cui si concentra la politica svizzera di promozione della pace e di aiuto umanitario.

Dall'agosto del 2009 all'agosto del 2010 la Svizzera sfrutterà la celebrazione del bicentenario di indipendenza dell'Argentina, del Cile e del Messico come occasione per consolidare la sua presenza nella regione ­ soprattutto in questi Paesi e in Brasile ­ mediante progetti culturali e di promozione dell'immagine elvetica.

Brasile Il Brasile fa da guida ai Paesi emergenti dell'America latina che accrescono la loro influenza sulla scena mondiale. Coprendo metà dell'America del Sud, il Brasile detiene indiscutibilmente, per superficie, numero di abitanti e forza economica, il predominio del subcontinente. Già tra i cinque più grandi Paesi sulla Terra, entro il 2050 secondo le previsioni diventerà anche la quinta principale economia mondiale.

Il Brasile svolge un ruolo importante nel settore agricolo, ma allo stesso tempo esporta aeroplani modernissimi e trasmette i suoi programmi televisivi in tutto il mondo. Il Paese ha inoltre voce in capitolo in importanti processi multilaterali ed è candidato a un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza dell'ONU. La fiducia che il Brasile ha maturato nelle proprie capacità non ha sinora sofferto della crisi finanziaria ed economica; al contrario, appare più persuaso che mai che è arrivato il momento di dar vita, insieme agli altri Paesi BRIC (Russia, India e Cina), a un nuovo ordine finanziario ed economico mondiale nel quale assumere, in quanto più grande Paese dell'America latina, un ruolo preminente, in particolare nel quadro del G20. Il Brasile funge sempre più da ponte di collegamento tra Nord e Sud e ha una funzione trainante per l'integrazione regionale dell'America latina.

Per l'estensione, la complessità e la dinamica delle relazioni bilaterali, il Brasile è un Paese chiave della politica estera svizzera. Nel 2008 la Svizzera ha pertanto firmato un «memorandum d'intesa» con il Brasile per costituire un partenariato strategico.

Nel memorandum i due Paesi hanno pattuito di instaurare un regolare dialogo politico e di rafforzare la cooperazione reciproca. In questo modo la diplomazia svizzera può stabilire legami più stretti con i responsabili della politica estera brasiliana. Alla luce dei valori che condividono, la Svizzera e il Brasile hanno
identificato un potenziale per azioni comuni a livello multilaterale e bilaterale. Nel corso dei prossimi anni, questa collaborazione potrà crescere soprattutto in ambito di politica di disarmo, di sicurezza umana e di cooperazione allo sviluppo a favore dei Paesi più poveri (innanzitutto in Haiti e poi in Africa). Il tutto contribuirà a costituire una base solida per un partenariato nella politica estera e per un rapporto fondato sulla fiducia reciproca.

Sfruttando il dialogo politico con il Brasile, la Svizzera intende sviluppare il quadro giuridico bilaterale ancora lacunoso. Nel 2009 è in programma la ripresa dei negoziati, fermi ormai da tempo, su una convenzione per evitare la doppia imposizione. Il Brasile supera di gran lunga gli altri Paesi dell'America latina a livello di rapporti economici con la Svizzera. Nella strategia in materia di economia esterna varata dal Consiglio federale la promozione del commercio e degli investimenti ha assunto maggior rilievo. Nel 2007, per esempio, è stato firmato un memorandum d'intesa per l'istituzione di una commissione economica congiunta che fungerà da piattaforma per consolidare le relazioni economiche tra i due Paesi.

5537

L'agenda bilaterale prevede inoltre la ratifica del Trattato di assistenza giudiziaria, la stipulazione di un accordo sullo scambio di tirocinanti e di un accordo di cooperazione scientifica e tecnologica. Quest'ultimo fungerà da base per un maggiore scambio di prestazioni.

Messico Per popolazione, il Messico è il secondo Paese dell'America latina. Come il Brasile, fa parte del G8+5 e del G20 e ha un peso politico in quanto potenza regionale emergente. Dovendo affrontare esso stesso i problemi dello sviluppo, ma facendo al contempo parte dell'OCSE e della NAFTA, il Messico funge da intermediario tra Nord e Sud e si avvale di questa posizione per accrescere la sua influenza facendo leva su un'attiva politica estera.

Il Messico è inoltre il secondo partner economico della Svizzera in America latina.

Con questo Paese la Svizzera ha stipulato, nel quadro dell'AELS, il primo accordo di libero scambio sul continente americano. L'accordo è entrato in vigore il 1° luglio 2001; alla fine del 2007, il Consiglio federale ha varato una strategia in materia di economia esterna nei confronti del Messico. La gestione delle questioni economiche tra i due Paesi è affidata al gruppo consultivo Svizzera­Messico.

Le relazioni bilaterali, tradizionalmente incentrate sul settore economico, stanno abbracciando anche altri ambiti: nel settembre del 2008 è entrato in vigore un accordo di assistenza giudiziaria e si prevede di intensificare la cooperazione in materia di trasferimento dei beni culturali e di tecnologia ambientale. Dal 2007, inoltre, vengono condotte regolari consultazioni politiche.

Il Messico rappresenta infine per la Svizzera un partner importante a livello multilaterale, come traspare dalla collaborazione in seno al Consiglio dei diritti dell'uomo dell'ONU e in materia di gestione internazionale dell'ambiente. Su queste fondamenta si dovrà continuare a costruire anche in futuro.

3.2.4

La politica nei confronti dell'Asia e dell'Oceania

L'incessante crescita economica e sociale che l'Asia ha vissuto negli ultimi 20 anni è continuata anche nel 2008, nonostante lo stallo nell'ultimo trimestre causato dalla crisi dei mutui ipotecari a rischio (subprime) negli Stati Uniti. Questo segnale congiunturale è significativo: si pensava infatti che il dinamismo asiatico sarebbe stato in grado di proteggere i mercati della regione nell'evento di una grande recessione, o almeno di minimizzarne gli effetti. È invece apparso chiaro che la globalizzazione apre certo la porta a nuove possibilità, ma anche a nuovi rischi, a cui l'Asia orientale è particolarmente esposta a causa della sua economia esportatrice, quindi strettamente connessa all'economia mondiale. Resterà da vedere se i Paesi trainanti (Giappone, Cina, Corea del Sud e India), seguiti da quelli di più piccole dimensioni, riusciranno a superare la crisi nei prossimi mesi e a recuperare lo slancio iniziale. Sullo sfondo della crisi, la firma dell'accordo di libero scambio e di partenariato economico con il Giappone (bilaterale), i negoziati in corso con l'India per la stipulazione di un accordo di libero scambio (nel quadro dell'AELS) e i preparativi per un accordo bilaterale con la Cina nel 2009 sono comunque segnali positivi.

5538

Il bilancio del 2008 è in ogni caso ottimo, se si considera la riduzione della povertà, la crescita del ceto medio, la quota degli scambi mondiali e gli investimenti effettuati. In Asia vi sono, tuttavia, differenze considerevoli: accanto a Paesi completamente integrati nel sistema mondiale e con una storia di importanti conquiste democratiche, ve ne sono altri che propugnano un'economia liberalizzata limitando i diritti civili, o ancora Paesi con democrazie traballanti o completamente riluttanti al cambiamento. In questo senso le conseguenze negative della crisi sono percepibili in modo diverso: esse dipendono dalle interrelazioni con il commercio mondiale e con gli investimenti internazionali, dalla stabilità e dalla dinamica del mercato interno.

Le problematiche legate all'ambiente, alla demografia e alla sicurezza, così come il crescente divario sociale mettono in pericolo i progressi fatti grazie alla crescita e al potere politico conquistato dal continente. L'inquinamento ambientale opprime la qualità di vita nelle metropoli asiatiche e il riscaldamento globale del clima pende come una spada di Damocle sopra le pianure costiere e i fecondi delta fluviali, dove si concentra la popolazione. In un contesto di tensioni palesi o latenti, la potenza militare accumulata nelle mani dei principali protagonisti asiatici, per lo più avulsa da qualsiasi sistema di sicurezza, rappresenta un pericolo per la stabilità di tutte le regioni dell'Asia. In molti Paesi asiatici l'intolleranza religiosa (islamista, buddista o induista) di gruppi armati o di regimi autoritari è fonte di tensioni crescenti. Anche le differenze sociali, esacerbate dalle riforme economiche, sono terreno fertile per atteggiamenti estremistici dagli effetti destabilizzanti.

L'interesse della Svizzera per l'Asia riguarda essenzialmente tre grandi potenze, in ragione della portata, della complessità e della dinamica delle relazioni bilaterali. I tre giganti dell'Asia, vale a dire la Cina, l'India e il Giappone, sono partner importanti per la Svizzera, come traspare dalle intense relazioni economiche e governative. Nel 2005 il Consiglio federale li ha infatti inclusi tra i Paesi prioritari della sua politica. Per ognuno di essi, tuttavia, va adottata una strategia diversa e adeguata al contesto: nel 2007, per esempio, la Svizzera ha
firmato un memorandum d'intesa con la Cina e, nel 2008, ha stipulato un accordo di libero scambio e di partenariato economico con il Giappone, siglato poi nel 2009. Nel 2008, Svizzera e India hanno festeggiato il 60° anniversario del trattato d'amicizia tra i due Paesi con uno scambio di messaggi e di dichiarazioni d'intenti.

3.2.4.1

Cina

La politica svizzera nei confronti della Cina include tre ambiti di cooperazione: la politica, l'economia, la scienza/tecnologia/formazione e l'ambiente/energia.

Il principale strumento politico tra la Cina e la Svizzera è il dialogo sancito nel memorandum d'intesa del settembre 2007. Il dialogo politico si fonda sulla cosiddetta politica elvetica di «una sola Cina», ovvero sul riconoscimento (dal 1950) di un'unica Cina, la Repubblica Popolare Cinese. L'esito positivo della visita del primo ministro cinese Wen Jiabao nel gennaio 2009, un chiaro segnale di fiducia della Cina nei confronti della Svizzera, ha dato notevoli impulsi in diversi ambiti, tra cui quello delle finanze e dell'economia. Nel quadro del dialogo in materia di diritti dell'uomo, avviato nel 1991 su iniziativa della Cina, sono affrontati anche temi delicati come le riforme giuridiche, il diritto penale, l'esecuzione delle pene, la libertà religiosa e i diritti delle minoranze (tra cui quelle nelle regioni cinesi dello Xinjiang e del Tibet). Dopo una pausa di due anni, nel luglio del 2008 si è svolto il 5539

decimo ciclo di incontri. Nel 2009 è stato avviato il dialogo in materia di migrazioni.

Per la Svizzera, i Giochi olimpici, la cui apertura è stata presenziata dal Presidente della Confederazione, sono stati fonte di entrate («House of Switzerland» e stadio nazionale di Pechino) e di preziose esperienze in vista della concretizzazione e dell'ottimizzazione del nostro contributo all'esposizione universale di Shanghai nel 2010. Attraverso l'aiuto umanitario abbiamo inoltre dato prova delle nostre competenze specialistiche grazie al rapido intervento dopo il terremoto del 12 maggio 2008 a Sichuan.

Dal punto di vista economico, la Cina (con la regione amministrativa speciale di Hong Kong) è dal 2002 il partner economico più importante della Svizzera in Asia, seguita dal Giappone. La Svizzera è tra i pochi Paesi occidentali a vantare un'eccedenza commerciale con la Cina. Nel 2008 il volume bilaterale degli scambi commerciali ha oltrepassato gli 11 miliardi di franchi. Nel corso degli ultimi anni le imprese svizzere hanno investito circa 5 miliardi di franchi in Cina creandovi 55 000 posti di lavoro.

Le questioni economiche continuano ad essere discusse soprattutto in seno alla commissione economica mista. Per alcune di esse sono stati fatti passi avanti grazie alle visite di alto livello del DFE; per altre c'è ancora molto lavoro da fare: la protezione della proprietà intellettuale in senso ampio (p. es. costituzione di un ambizioso gruppo di lavoro) e, soprattutto, la stipulazione di un accordo di libero scambio. Per quanto riguarda quest'ultimo è stato deciso, in occasione della visita del primo ministro Wen, di condurre uno studio di mercato congiunto. Da quando, nel maggio 2008, la compagnia aerea Swiss ha inaugurato il collegamento Zurigo­Shanghai, vi è di nuovo un ponte diretto con la Cina.

Per quanto riguarda i settori della scienza, della tecnologia e della formazione, l'evento più importante è stata l'apertura, nell'agosto 2008, del Swissnex Shanghai, il secondo Swissnex in Asia e il quarto in assoluto. La Cina è, per la Svizzera, un Paese prioritario in ambito scientifico29: dal 2008 è operativa la cooperazione scientifica e tecnologica tra le università e gli istituti di ricerca.

Un programma della DSC in Cina sostiene la formazione dei quadri superiori amministrativi; l'aiuto umanitario,
dal canto suo, collabora alla formazione di esperti nell'ambito del soccorso («Urban Search and Rescue Team»); questi ultimi si sono già distinti in occasione del terremoto in Sichuan.

Sul piano ambientale ed energetico, infine, i Giochi olimpici hanno evidenziato problemi latenti, che le autorità hanno incluso tra le priorità da risolvere. Le iniziative svizzere per una produzione industriale e una gestione dei rifiuti «pulite», così come i progetti per uno sviluppo sostenibile (gestione delle acque e selvicoltura) meritano di essere portati avanti. Nel febbraio 2009 è stato firmato un primo memorandum d'intesa sulla cooperazione economica in ambito di tecnologia ambientale; nell'aprile del 2009 ne è seguito un secondo sulla gestione delle acque e la prevenzione dei pericoli.

Tutti gli ambiti di cooperazione sono al centro della collaborazione bilaterale tra la Svizzera e la Cina. In considerazione della crisi finanziaria globale è necessario intensificare ed ampliare il dialogo con Pechino, in quanto la Cina è un importante attore sia per il G20 sia per il sistema finanziario internazionale.

29

Cfr. messaggio ERI 2008­2011; FF 2007 1131

5540

3.2.4.2

India

La politica della Svizzera nei confronti dell'India è simile a quella condotta nei confronti della Cina, eccetto una consistente differenza dal punto di vista qualitativo, vale a dire il grande impegno che la Svizzera ha profuso negli ultimi 45 anni nella cooperazione allo sviluppo.

A livello politico, il 60° anniversario del Trattato di amicizia e di domicilio tra i due Paesi è stato l'occasione per riaffermare valori comuni fondamentali quali la democrazia pluralistica e il federalismo. Nelle dichiarazioni ministeriali scambiate nell'agosto del 2008 sono stati confermati l'importanza del dialogo politico e il carattere privilegiato del partenariato svizzero-indiano. Sul piano multilaterale, l'India è diventata un partner indispensabile (OMC, «Nuclear Suppliers Group»).

Nel settore della sicurezza umana, l'India conta innanzitutto sulle proprie capacità, non escludendo tuttavia una collaborazione per la gestione delle catastrofi.

Lo sviluppo economico dell'India ha dato slancio anche al commercio e agli investimenti svizzeri. Nel 2007 il volume bilaterale degli scambi commerciali ha superato i 3 miliardi di franchi (bilancia commerciale attiva per la Svizzera) e continua ad aumentare (+8 % tra il 2007 e il 2008). La Svizzera è tra i primi dieci investitori stranieri in India. Secondo le statistiche indiane, gli investimenti svizzeri tra il 2000 e il 2007 sono stati pari a 634 milioni di dollari americani. E il potenziale latente è ancora considerevole. A consolidamento delle condizioni quadro, è in fase di trattative nel quadro dell'AELS un accordo di ampia portata sul commercio e gli investimenti. Nel 2007 è stato costituito un gruppo di lavoro sulla proprietà intellettuale. La commissione economica mista resta il principale forum di discussione per le questioni in sospeso. Dal 2007 Nuova Delhi è diventata la seconda destinazione per i collegamenti aerei con la Svizzera.

Nel settore della scienza e della tecnologia vengono realizzati programmi bilaterali ambiziosi. Nel 2009 è prevista l'apertura di uno Swissnex nel Bangalore (il quinto di questo tipo e il terzo in Asia) e di un consolato generale. La collaborazione tra le scuole universitarie svizzere e gli istituti indiani si inserisce nel quadro della cooperazione scientifica bilaterale della Segreteria di Stato per la formazione e la ricerca
(secondo il messaggio ERI 2008­2011, l'India è uno degli otto Paesi prioritari della Svizzera nel settore scientifico).

La cooperazione nel settore ambientale e dell'energia deve invece essere approfondita. In quanto terzo principale produttore di CO2 al mondo, l'India deve gestire meglio i propri consumi e le proprie risorse. L'elaborazione di un programma nucleare civile, problematico alla luce dei criteri per la non proliferazione di armi nucleari, è in un certo senso una conseguenza di questo stato di cose. Una delle priorità della Svizzera era e continua ad essere quella di manifestare le sue esigenze in seno al forum dei Paesi appartenenti al «Nuclear Suppliers Group» (NSG). Sull'agenda della nostra futura collaborazione con l'India figura però anche la promozione di un'energia e di nuove tecnologie «pulite». In ambito di cooperazione allo sviluppo, le questioni climatiche (mitigazione e adattamento) e il federalismo rappresentano le priorità del nostro programma. Dopo più di 45 anni di attività in India, la DSC ha ridimensionato il suo programma per indirizzarlo, in base alle esperienze fatte, verso lo sviluppo e la promozione di una collaborazione regionale e trinazionale nell'Asia meridionale. In questo modo è possibile ottimizzare l'aiuto pubblico allo sviluppo della Svizzera e ancorare saldamente i progressi raggiunti nel contesto indiano, dove

5541

resta fondamentale ridurre la povertà, anche e soprattutto per eliminare le cause di violenza e discriminazione.

3.2.4.3

Giappone

Le relazioni bilaterali con il Giappone rimangono in primo piano per il nostro Paese, soprattutto perché si riallacciano ad affinità sistemiche. Nel commercio estero il Giappone è stato superato dalla Cina e da Hong Kong, ma resta, dopo Singapore, il secondo destinatario degli investimenti svizzeri in Asia. Secondo le statistiche della Banca nazionale svizzera, nel 2007 gli investimenti diretti in Giappone sono ammontati a circa 13,7 miliardi di franchi, vale a dire all'1,8 per cento di tutti gli investimenti diretti svizzeri all'estero. Secondo i dati forniti dal Giappone, il 2,9 per cento della totalità degli investimenti diretti esteri in Giappone proviene appunto dalla Svizzera, che si colloca quindi al settimo posto tra gli investitori mondiali. Le imprese svizzere in Giappone occupano circa 40 000 persone. Il volume degli scambi commerciali è stato di 11 miliardi di franchi nel 2008, con una crescita di circa il 9 per cento rispetto al 2007.

Il Giappone, seconda potenza economica mondiale, è anche un partner importante nel settore scientifico e tecnologico.

Tra gli eventi salienti degli ultimi mesi va menzionata la firma di un accordo di libero scambio e di partenariato economico, il primo di questo genere che il Giappone stipula con un Paese industrializzato dell'Occidente. Questo accordo spiana quindi la strada ad altri Paesi industrializzati e sottolinea allo stesso tempo relazioni bilaterali strette e strutturate. Simbolizza inoltre la comunanza di valori che unisce la Svizzera al Giappone.

Questi interessi comuni hanno permesso lo sviluppo di sinergie anche in fori multilaterali come l'OMS, dove le priorità del futuro riguardano le questioni ambientali (conformemente al Protocollo di Kyoto), la continuazione e l'intensificazione della nostra cooperazione scientifica e tecnologica, la riforma del sistema ONU, le convergenze in materia di cooperazione allo sviluppo (p. es. Banca asiatica di sviluppo), la non proliferazione delle armi nucleari e la cultura.

La Svizzera continua a essere il Paese europeo più amato dai giapponesi, così come il Giappone è il Paese asiatico preferito dagli svizzeri. Questa simpatia reciproca si ripercuote positivamente sull'economia e sulla circolazione di persone (turismo e ricerca) e, indirettamente, ha contribuito alla stipulazione dell'accordo di cui sopra.
Proprio in base alla convergenza di interessi e a questo accordo si è deciso, ai più alti livelli, di instaurare un dialogo politico equilibrato e differenziato che tenga conto della prudenza giapponese in questo settore. Una dichiarazione politica comune potrebbe suggellare questo traguardo, consentendo così di sistematizzare e istituzionalizzare i contatti bilaterali ai più alti livelli. Il Giappone è inoltre stato sensibilizzato in merito alla richiesta del nostro Paese di partecipare all'individuazione di soluzioni alla crisi finanziaria, soprattutto in seno al G20.

5542

3.2.4.4

Altre relazioni bilaterali con partner regionali

La nostra presenza e i nostri interessi in Asia non si limitano ai tre grandi partner Cina, India e Giappone. Senza analizzare nel dettaglio le relazioni bilaterali che la Svizzera intrattiene con ogni singolo Paese asiatico, presentiamo qui di seguito gli elementi principali che caratterizzano tali relazioni al fine di chiarirne gli sviluppi e definire le prospettive e priorità che ne risultano.

I Paesi appartenenti alla regione Asia-Pacifico sono suddivisi in quattro categorie, che non devono essere intese come assolute: a)

Paesi paragonabili alla Svizzera per ragioni sistemiche (democrazie consolidate, simile grado di sviluppo, Paesi donatori che condividono gli stessi principi negli organismi bilaterali e multilaterali, membri OSCE, Paesi che affrontano le stesse problematiche sociali);

b)

partner soprattutto economici (consistenti scambi economici e investimenti, sistemi politici a tendenza democratica, mete turistiche);

c)

partner in materia di sviluppo (intenso impegno bilaterale, assistenza ai Paesi in transizione o a quelli esposti alla globalizzazione, scambi economici più modesti);

d)

Paesi beneficiari dell'aiuto umanitario e piccoli Stati del Pacifico (marginalizzazione generale, vulnerabilità sistemica o minaccia alla loro esistenza a causa dei cambiamenti climatici).

a) Paesi paragonabili alla Svizzera per ragioni sistemiche: tra questi figurano Stati, come la Repubblica di Corea (Corea del Sud) o l'Australia, appartenenti alle quindici principali potenze economiche mondiali e con i quali la Svizzera effettua scambi nel quadro di fori multilaterali; i rari problemi bilaterali sono risolti nell'ambito del cosiddetto courant normal. Gli scambi economici e gli investimenti sono fattori consolidati e in crescita. Nei campi della ricerca scientifica, dell'ambiente, della non proliferazione vengono condivisi valori comuni. In seno al G20 i Paesi appartenenti a questa categoria rappresentano potenziali punti di appoggio. È pertanto auspicabile intensificare i contatti bilaterali e valorizzare l'immagine della Svizzera. Le relazioni intrattenute con questi Paesi sono paragonabili a quelle tra la Svizzera e il Giappone, seppure meno intense.

b) Partner soprattutto economici: a questo gruppo appartiene la maggior parte dei Paesi dell'ASEAN, in particolare i membri fondatori (Thailandia, Indonesia, Filippine, Malaysia e Singapore). Gli scambi economici tra la Svizzera e questi Paesi sono stabili o in crescita e gli investimenti poggiano su basi solide. Il rafforzamento del quadro istituzionale, segnatamente per mezzo della conclusione di accordi di libero scambio, è una delle priorità elvetiche. Questi Paesi sono inoltre mete frequenti dei turisti svizzeri e, viceversa, la Svizzera vi gode di un'ottima reputazione.

Anche in futuro bisognerà pertanto curare l'immagine del nostro Paese. Resta inoltre all'ordine del giorno il rafforzamento dei sistemi democratici, con cui la Svizzera, a seconda del Paese in oggetto, potrebbe cooperare: nel caso dell'Indonesia, per esempio, si profila una possibile cooperazione, considerato che questo Paese appartiene al G20 e che Giacarta ospita il segretariato dell'ASEAN.

c) Partner in materia di sviluppo: in questi Paesi gli strumenti svizzeri in ambito di sviluppo (DSC, SECO) sono all'opera soprattutto per lottare contro la povertà e consolidare il buon governo (p. es. lotta contro la corruzione). Sebbene le prestazioni 5543

economiche di questi Paesi non siano le stesse, essi presentano prospettive interessanti. Il bilancio socioeconomico di partner quali il Vietnam, il Bangladesh o il Pakistan si ripercuote intensamente sulle sottoregioni a causa della densità demografica e dei difficili rapporti tra Paesi limitrofi. In ragione del potenziale economico latente, la presenza della Svizzera in loco è importante, nonostante non manchino gli ostacoli sul fronte della sicurezza (Pakistan), delle questioni istituzionali (Pakistan, Bangladesh) o dei cambiamenti climatici (Bangladesh, Vietnam). Come nel caso dell'India, anche in Pakistan la DSC sta adeguando i suoi programmi, nell'ambito di una riorganizzazione globale, per sfruttare al meglio le esperienze acquisite nel corso di oltre 40 anni di attività nella cooperazione allo sviluppo del Paese. Anche i nostri strumenti di dialogo politico (la pace e i diritti umani) sono spesso impiegati in congiunzione con le misure di sviluppo, per esempio nel Nepal o nello Sri Lanka.

Quanto a quest'ultimo, il Consiglio federale nutre grandi preoccupazioni per la situazione umanitaria nel Paese, tanto da rivolgere un appello al governo srilankese il 5 febbraio del 2009.

d) Paesi beneficiari dell'aiuto umanitario: la problematica menzionata all'inizio e correlata al diverso grado di sviluppo dei Paesi asiatici si esplicita in tre Paesi chiave, cioè l'Afghanistan, il Myanmar e la Repubblica popolare democratica di Corea (Corea del Nord). La grande influenza esercitata da questi Paesi sulle relative sottoregioni incide sulla sicurezza e interessa quindi anche la Svizzera, sia a livello di terrorismo sia di proliferazione delle armi nucleari o di traffico di stupefacenti. La Svizzera prosegue innanzitutto il suo impegno umanitario, in particolare in Afghanistan, a conferma della sua solidarietà con la comunità internazionale. Nel 2008, per esempio, la DSC ha fornito al Myanmar, sotto forma di mezzi finanziari, materiali e tecnici, un consistente aiuto di primo soccorso e di ricostruzione dopo il disastroso ciclone «Nargis»; parallelamente, ha continuato a implementare il suo programma sociale 2006­2008 nell'Est del Paese. L'aiuto alle vittime del ciclone continuerà a essere elargito negli anni 2009­2011 e sarà incluso nel programma in corso.

La Svizzera tiene adeguatamente conto delle
richieste provenienti dai piccoli Stati del Pacifico, soprattutto in seno ai fori multilaterali e regionali che si occupano della politica climatica, dove può nel contempo avvalersi del loro appoggio per sostenere gli interessi elvetici.

3.2.4.5

Relazioni con organismi sottoregionali

Tra gli organismi sottoregionali è da menzionare anzitutto l'ASEAN, il cui statuto è entrato in vigore il 15 dicembre 2008. Al momento, la Svizzera sta valutando se e secondo quali modalità strutturare le sue relazioni con questo organismo e in particolare se offrire un sostegno istituzionale al segretariato. Il nostro Paese ha già avviato un dialogo interessante con ASEAN+3 (Giappone, Cina, Corea del Sud) e con l'Unione europea («Asia Europe Meeting», ASEM). Un approccio altrettanto interessante, soprattutto alla luce dell'attuale crisi economica, è costituito dall'iniziativa di Chiang Mai, nata in seguito alla crisi finanziaria che ha travolto l'Asia meridionale alla fine degli anni Novanta. Altre piattaforme, come l'APEC («Asia Pacific Economic Cooperation»), la SAARC («South Asia Association for Regional Cooperation») o la SCO («Shanghai Cooperation Organisation») si basano su un multilateralismo politico ed economico che richiede un impegno maggiore da parte della Svizzera. Al riguardo vanno menzionate le seguenti attività: il nostro impegno 5544

multilaterale (Banca asiatica di sviluppo, Gruppo consultivo per la ricerca agricola internazionale), gli strumenti della cooperazione Sud-Sud oppure la nostra presenza sulla penisola coreana nell'ambito della Commissione di supervisione delle nazioni neutrali (NNSC) conformemente all'accordo di cessate il fuoco del 1953.

L'area Asia-Pacifico svolgerà un ruolo decisivo anche in considerazione della gestione dei problemi economici che si stanno profilando nel corso del 2009. Questo continente, sede di sei membri del G20 (Giappone, Cina, India, Corea del Sud, Australia e Indonesia) e riserva di considerevoli fondi sovrani e di divise, è un tassello fondamentale nella ricerca di soluzioni sostenibili. Le relazioni privilegiate che la Svizzera intrattiene con questi Paesi dovrebbero consentirle di presentare i suoi interessi in un contesto che la concerne direttamente, data la sua implicazione nel processo di globalizzazione. Questa constatazione ha un'importanza strategica per il nostro posizionamento nell'area Asia-Pacifico e si colloca sullo stesso livello delle nostre priorità nella lotta contro la povertà o nella gestione responsabile delle risorse e dell'ambiente.

3.2.5

Politica nei confronti del Vicino e Medio Oriente e del Nord Africa

Nella regione tra il Marocco e il Golfo Arabico-persico si intrecciano tradizionalmente la cultura orientale e quella occidentale. Qui si concentra anche l'interesse internazionale, sia per ragioni economiche (approvvigionamento di energia) che geostrategiche (gli stretti di Gibilterra e di Hormuz, il Canale di Suez).

La politica della regione è dominata dal conflitto tra Israele e Palestina e dagli sforzi dell'Iran di diventare una potenza regionale. L'Iraq, dal canto suo, non ha ancora ritrovato la pace e la stabilità dopo la guerra.

Il Nord Africa e il Medio e Vicino Oriente devono cimentarsi con i problemi di sicurezza nazionale, ma anche internazionale. L'area minacciata dal terrorismo si è nel frattempo estesa fino alla Mauritania. Anche se gli Stati della regione riescono a resistere alla violenza, persiste il pericolo di un'espansione, anche oltre frontiera, del terrorismo.

3.2.5.1

Interessi svizzeri nella regione

Il Medio Oriente e il Nord Africa sono fornitori di prodotti energetici necessari per la Svizzera; rappresentano inoltre i luoghi di origine e di passaggio di molti richiedenti l'asilo. Queste regioni, relativamente instabili, distano soltanto 2­5 ore di volo dalla Svizzera. Contemporaneamente sono però mercati emergenti di rilievo per le esportazioni elvetiche e per la piazza finanziaria Svizzera (potenziali investitori).

3.2.5.2

Vicino e Medio Oriente

La Svizzera intende partecipare al processo di pace nel Vicino e Medio Oriente: ricorrendo alla strategia del dialogo con tutte le parti nel conflitto, cerca quindi di individuare e di indirizzare adeguate soluzioni negoziali (cfr. n. 3.3.6).

5545

Il nostro Paese fornisce inoltre sostegno alle vittime dei conflitti (rifugiati e vittime dirette). Sul piano politico, promuove il rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani avvalendosi anche di programmi della cooperazione allo sviluppo e dell'aiuto umanitario (cfr. n. 3.3.8.4). Nel Vicino Oriente, pertanto, la Svizzera assiste i rifugiati palestinesi e iracheni e partecipa alla costruzione di strutture nei territori occupati palestinesi. Per attuare questa politica, la Svizzera collabora intensamente con l'ONU e con il CICR, nonché con altre ONG nazionali e internazionali. Conduce inoltre un ampio dialogo politico con Israele; l'ultimo incontro si è svolto a Berna nel 2008.

Dopo il conflitto di Gaza (dicembre 2008­gennaio 2009), la Svizzera è stata il primo Paese a poter portare mezzi di soccorso umanitario nella Striscia di Gaza e continuerà ad adoperarsi anche in futuro per le vittime di questa guerra. Il nostro Paese si impegna per un'apertura sicura della frontiera della Striscia di Gaza e ha nel contempo segnalato la sua disponibilità a sostenere un sistema di sorveglianza che faciliti l'importazione e l'utilizzo di beni nella regione.

In Libano la Svizzera appoggia il dialogo di pace tra le parti. Negli incontri che ha organizzato durante la crisi politica libanese, a cui hanno partecipato tutti i principali attori, sono stati affrontati temi quali il ruolo dello Stato, la strategia di difesa nazionale e le relazioni con la vicina Siria. Gli incontri hanno così contribuito a spianare la strada agli Accordi di Doha del 2008. La Svizzera continuerà ad appoggiare il dialogo nazionale avviato dal presidente libanese, tra l'altro con un progetto della DSC, con il quale si intende offrire ai rifugiati palestinesi (alcuni dei quali vivono dal 1958 in Libano con lo statuto di rifugiati o profughi) l'accesso al mondo del lavoro e, con esso, a una vita dignitosa.

L'ambasciata svizzera a Bagdad (Iraq) è stata chiusa fino a nuovo ordine nel settembre 2008, anche per ragioni di sicurezza. I compiti politici sono stati assunti temporaneamente dall'ambasciata a Damasco (Siria) e quelli consolari dall'ambasciata ad Amman (Giordania). L'assistenza alla popolazione irachena e ai nuovi rifugiati palestinesi è fornita a livello regionale. La Svizzera si adopera in particolare per fornire
un'assistenza medica di base e, per i prossimi anni, intende concentrare i propri sforzi nella regione per affrontare la questione dell'approvvigionamento di acqua, sia per i risvolti sanitari (soddisfacimento dei bisogni elementari) che per quelli produttivi (agricoltura). Nell'intento di ridurre i disastri provocati dai rischi naturali, la Svizzera sostiene inoltre, con l'aiuto umanitario, i governi della regione nell'attuazione del Quadro d'azione di Hyogo («Hyogo Framework for Action»). Il sostegno prevede, per esempio, campagne di sensibilizzazione sui terremoti, il rafforzamento delle capacità tecniche di organizzazioni partner (p. es. la protezione civile giordana), o ancora la realizzazione di meccanismi di coordinamento nazionali.

La situazione di stallo tra l'Iran e la comunità internazionale degli Stati circa le attività iraniane in ambito nucleare e la politica regionale del Paese sono questioni alquanto controverse sia all'interno che all'esterno dei confini regionali e hanno un effetto destabilizzante. La Svizzera si adopera, con tutte le parti interessate, per avviare un dialogo che consenta di superare la sfiducia reciproca. Parallelamente, tra Svizzera e Iran è in corso un dialogo sui diritti dell'uomo: l'ultimo incontro al riguardo si è svolto a Berna nel settembre del 2008 e il prossimo è previsto nel 2009 a Teheran.

5546

La Svizzera, un Paese senza litorale e privo di fonti di energia proprie (ad eccezione dell'energia idroelettrica), dipende ampiamente (per l'80 % del suo fabbisogno) dall'approvvigionamento energetico estero, per garantire il quale deve pertanto diversificare non soltanto le fonti energetiche di per sé, ma anche le modalità di approvvigionamento (cfr. n. 3.3.3). In quest'ottica la Svizzera sostiene ufficialmente il progetto del gasdotto transadriatico («Transadriatic Pipeline», TAP), a cui partecipano la società elettrica svizzera di Laufenburg (EGL), filiale del gruppo Axpo, e la società norvegese StatoilHydro. Il progetto prevede l'apertura di un nuovo corridoio d'approvvigionamento (che andrebbe ad aggiungersi a quelli esistenti nel Mare del Nord, in Europa centrale/Russia e nel Nord Africa), per consentire appunto all'Europa, e quindi anche alla Svizzera, di diversificare le fonti di approvvigionamento di gas. Lo stesso obiettivo è perseguito anche da altri progetti europei, come il Nabucco e l'ITGI («Interconnector Turkey-Greece-Italy»). Il gasdotto transadriatico dovrebbe trasportare gas naturale dalla regione del Caucaso e del Medio Oriente fino all'Italia, passando per la Turchia, la Grecia e l'Albania. Concretamente ciò significa che se il gasdotto potesse utilizzare una condotta esistente in Turchia (p. es. sulla base di un accordo di transito), la società EGL dovrebbe costruire la parte che va dalla Grecia all'Italia. Per far sì che questa condotta trasporti gas naturale secondo modalità sostenibili, nel marzo del 2008 è stato sottoscritto un contratto di fornitura di gas naturale tra la EGL e la società nazionale iraniana di esportazione di gas («National Iranian Gas Export Company», NIGEC). Il contratto è conforme al diritto internazionale e alle pertinenti risoluzioni ONU. Sostenendo questo progetto, la Svizzera protegge direttamente i propri interessi, dato che la presenza di un quarto corridoio consentirà di agevolare l'approvvigionamento di gas in Europa e quindi anche in Svizzera. Il recente conflitto sulla fornitura di gas naturale e le sue ripercussioni su diversi Paesi europei hanno messo in luce l'importanza della strategia svizzera di puntare a una diversificazione, nel caso specifico mediante il progetto TAP.

Per ampliare le relazioni con gli Stati del Golfo la Svizzera
ha elaborato una strategia di commercio estero con i Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo («Golf Cooperation Council») e, il 22 giugno 2009, ha sottoscritto un accordo di libero scambio tra l'AELS e il Consiglio.

3.2.5.3

Nord Africa

La Svizzera intrattiene in generale buone relazioni con i Paesi del Nord Africa e, negli ultimi anni, le ha sensibilmente intensificate. L'unica eccezione è costituita dalla Libia: dopo la breve incarcerazione (per sospetto di maltrattamenti e/o lesioni corporali) di uno dei figli del leader libico, avvenuta nell'estate del 2008 a Ginevra, le relazioni con la Libia si sono infatti fortemente deteriorate. Dalla fine di luglio 2008 sono state condotte lunghe e difficili trattative per cercare di risolvere il problema, Il 20 agosto 2009 il Presidente della Confederazione ha firmato un accordo con la Libia che prevedeva il rimpatrio dei due cittadini svizzeri trattenuti in Libia dall'inizio delle tensioni, il ritorno alla normalità delle relazioni bilaterali nell'arco di 60 giorni e l'istituzione di un tribunale arbitrale per porre fine alle controversie.

La politica svizzera nel Nord Africa poggia su quattro pilastri: il dialogo politico, la cooperazione economica, l'approvvigionamento d'energia e la migrazione.

5547

Fatta eccezione per la Libia, il dialogo politico si svolge con tutti i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo. L'ultimo incontro è stato quello con la Tunisia, svoltosi a Berna nel febbraio 2009 e il prossimo avrà luogo in Algeria nel corso dell'estate. Gli accordi sulla protezione degli investimenti che la Svizzera ha concluso parecchi anni fa con tutti i Paesi del Maghreb sono in corso di verifica e, nei prossimi anni, saranno adeguati alle nuove esigenze (p. es. quelle sulla protezione della proprietà intellettuale). Sono inoltre al vaglio accordi di libero scambio per promuovere i reciproci scambi commerciali: è, per esempio, sul tavolo delle trattative un accordo tra l'Algeria e l'AELS. La Svizzera collabora inoltre a stretto contatto con il Marocco in materia di prevenzione delle crisi e delle catastrofi naturali.

In ambito di politica energetica, sono particolarmente importanti le relazioni con l'Algeria e la Libia. La prima è infatti tra i maggiori produttori di gas naturale, mentre la seconda gestisce una raffineria in Svizzera per il trattamento del petrolio grezzo. Per quanto riguarda i carburanti e i combustibili, la Svizzera dovrà tuttavia continuare a concentrarsi soprattutto sul mercato spot di Rotterdam.

Il Maghreb è oggi soprattutto un territorio di passaggio dei flussi migratori: la pressione che gli emigranti provenienti dal sud del Sahara e dall'Africa orientale esercitano su questa regione è enorme. Molti di essi naufragano sulle coste del Maghreb e qui restano non riuscendo a proseguire verso l'Europa e non volendo tornare nei loro Paesi. La protezione di cui possono usufruire nel Maghreb è tuttavia minima. In loro soccorso interviene la Svizzera con progetti finalizzati a migliorarne le condizioni di vita e lo statuto giuridico, nonché a promuovere il loro ritorno volontario nei Paesi d'origine. Il ritorno in patria dalla Svizzera e l'arrivo nei Paesi d'origine sono agevolati mediante accordi di riammissione, che la Svizzera intende negoziare con una pluralità di Stati africani.

3.2.5.4

Problematiche e prospettive

Nei prossimi anni l'attenzione della Svizzera nel Vicino e Medio Oriente si concentrerà sul conflitto arabo-israeliano e sulla situazione preoccupante in Iran. Altre tematiche da seguire da vicino saranno la pressione migratoria verso e in provenienza dal Maghreb e la possibile radicalizzazione di gruppi islamici nella regione.

La strategia della Svizzera per affrontare queste problematiche consiste in una politica del dialogo, in cui rientra la promozione della pace. Per contrastare situazioni di concreto disagio e offrire nuove prospettive, la Svizzera ricorre inoltre a progetti dell'aiuto umanitario e della cooperazione allo sviluppo, nonché alla cooperazione economica (p. es. accordi di libero scambio e accordi sulla protezione degli investimenti).

3.2.6

Politica nei confronti dell'Africa subsahariana

Tra l'Africa subsahariana e la Svizzera non sussiste un legame particolarmente stretto, né a livello politico, né economico. L'unica eccezione è costituita dall'Africa meridionale, dove si concentra appunto la politica estera della Svizzera. Negli ultimi anni, la parte dell'Africa a sud del Sahara ha accresciuto la sua importanza geostrategica e politica in ragione della ricchezza del suo sottosuolo (petrolio, diamanti,

5548

oro, platino e uranio). Ciononostante, è proprio in questa regione che si trovano 33 dei Paesi più poveri al mondo.

3.2.6.1

Interessi svizzeri nella regione

Nella parte del continente africano situata a sud del deserto del Sahara vivono circa 14 000 Svizzeri e soggiornano molti turisti, i quali si avvalgono in modo relativamente frequente dei servizi consolari. Grazie a queste persone la Svizzera vanta una forte presenza e visibilità nell'Africa occidentale e in quella meridionale.

Nell'Africa subsahariana la Svizzera è attiva da decenni nei settori dell'aiuto umanitario e della cooperazione allo sviluppo. Sette dei dodici Paesi prioritari e due dei tre programmi regionali della Svizzera si situano proprio in questa regione30.

L'approvvigionamento energetico dal Golfo del Benin (Nigeria e Cameron) e dall'Angola è importante per la Svizzera in quanto transita per vie marittime sicure e libere da ostacoli.

La pressione migratoria che l'Africa subsahariana esercita sulla Svizzera è forte. Il Gruppo di direzione interdipartimentale Aiuto al ritorno (ILR) è un'importante piattaforma di scambio e cooperazione tra la DSC e l'Ufficio federale della migrazione (UFM) per tutte le questioni relative alla migrazione; il principale dei suoi obiettivi operativi consiste nella prevenzione dell'immigrazione irregolare (PiM) e nell'attuazione di programmi all'estero.

La Svizzera si serve della sua rete di relazioni in questa regione per concertare le sue posizioni in seno alle organizzazioni internazionali (p. es. in sede di elezioni e votazioni) e per difendere al meglio gli interessi della Ginevra internazionale.

3.2.6.2

Sudafrica

Il Sudafrica ha una posizione di rilievo sulla scena mondiale e ricopre un ruolo di riferimento nella regione sia a livello politico sia economico. La stabilità politica interna e la forza economica hanno valso al Paese il rispetto della comunità internazionale e contribuiscono alla stabilità dell'intera regione.

Per la Svizzera, il Sudafrica è un partner strategico e rappresenta di gran lunga il più importante partner commerciale nell'Africa subsahariana e il principale mercato di sbocco per le esportazioni di merci svizzere nel continente. Data l'importanza politica ed economica del Sudafrica, la Svizzera si adopera per una cooperazione in tutti i settori di interesse comune. Nel marzo del 2008, in occasione di una visita ufficiale di lavoro della ministra sudafricana degli affari esteri, è stato firmato un memorandum d'intesa sul rafforzamento della cooperazione reciproca. Tra i settori oggetto della cooperazione vi sono la politica, l'economia, lo sviluppo, la promozione della pace, l'istruzione, la scienza e la cultura. Al memorandum d'intesa si riallacciano tra l'altro l'avvio di un periodico dialogo politico tra rappresentanze di alto livello dei due Paesi e l'istituzione di una commissione economica mista.

30

Cfr. messaggio Sud; FF 2008 2451

5549

L'accordo di libero scambio entrato in vigore nel maggio del 2008 tra gli Stati dell'AELS e gli Stati dell'Unione doganale dell'Africa australe (SACU: Sudafrica, Botswana, Lesotho, Namibia, Swaziland) rafforzerà ulteriormente le relazioni economiche e commerciali con il Sudafrica e garantirà sul mercato sudafricano un trattamento paritetico dei prodotti svizzeri rispetto a quelli dell'UE. Alla fine del 2007 la Svizzera ha inoltre sottoscritto un Accordo sulla cooperazione scientifica e tecnologica con il Sudafrica; l'Accordo si affianca all'intensificazione del dialogo politico ed economico e agli sforzi per approfondire le relazioni bilaterali con i Paesi extraeuropei che presentano un forte potenziale di sviluppo scientifico e tecnologico.

Nell'agosto 2008 sono stati avviati i primi otto progetti di ricerca congiunti afferenti ai settori della salute pubblica, della biomedicina, della bio e nanotecnologia e delle scienze umane e sociali; altri otto progetti sono stati avviati nella prima metà del 2009. Nel 2009 le relazioni tra la Svizzera e il Sudafrica, tradizionalmente già molto buone, continueranno all'insegna della concretizzazione e del consolidamento della cooperazione istituzionalizzata con la firma del memorandum d'intesa, nonché dell'attuazione e della promozione dell'accordo di libero scambio AELS­SACU, anche dopo l'elezione del nuovo presidente sudafricano nell'aprile 2009.

Il programma regionale della DSC nell'Africa meridionale è incentrato sui problemi principali della «Southern African Development Community» (SADC), vale a dire l'assenza di sicurezza alimentare, la lotta contro il virus dell'HIV/AIDS e la debolezza del governo. La DSC intrattiene relazioni molto strette con il Sudafrica. Nel quadro del memorandum d'intesta sottoscritto nel marzo del 2008 sono stati definiti diversi progetti bilaterali per la cooperazione allo sviluppo con il governo sudafricano, in particolare nei seguenti settori: accesso al sistema giudiziario, gestione decentralizzata delle risorse idriche e formazione professionale. Nel 2009 l'obiettivo principale della cooperazione sarà l'elaborazione di un programma sui cambiamenti climatici.

3.2.6.3

Regione dei Grandi Laghi

A distanza di quindici anni dal genocidio in Ruanda, la situazione nella regione dei Grandi Laghi continua a non essere sicura. Lo hanno dimostrato i recenti scontri ad Est della Repubblica Democratica del Congo (RDC). Nelle zone in conflitto le parti belligeranti hanno commesso gravi violazioni dei diritti umani e crimini di guerra.

Tra questi sono particolarmente diffusi gli stupri praticati come arma di guerra da parte di soldati e miliziani infetti dall'HIV. La stabilità politica nel Ruanda e le soluzioni che si stanno profilando nell'Est della RDC lasciano tuttavia sperare che la situazione raggiunga un equilibrio e che i governi possano concentrarsi quanto prima sui problemi strutturali che hanno condotto a questi conflitti, vale a dire la debolezza dello Stato di diritto, le violazioni dei diritti umani, l'impunità dei crimini commessi, l'incuranza nei confronti della situazione ambientale, le problematiche di diritto fondiario, l'estrazione illecita di risorse naturali e l'estrema povertà.

Nel Burundi, in Ruanda e nella RDC la Svizzera presta un'assistenza complementare e coordinata nei settori della cooperazione allo sviluppo, della politica di pace e dell'aiuto umanitario, contribuendo così alla promozione della pace, alla stabilità e alla sicurezza nella regione dei Grandi Laghi. L'assistenza svizzera spazia dai soccorsi urgenti alle vittime di conflitti al sostegno ai processi di democratizzazione,

5550

riconciliazione e lotta contro l'impunità dei crimini, sino al rafforzamento delle dinamiche di integrazione regionali e alla lotta contro la povertà (cfr. n. 3.3.6.2).

3.2.6.4

Africa orientale e Corno d'Africa

Negli ultimi anni, la situazione politica e umanitaria nel Corno d'Africa, di per sé già grave, è sensibilmente peggiorata a causa dei conflitti interni e internazionali, delle catastrofi naturali come siccità e inondazioni, delle malattie e dell'impennata dei prezzi dei generi alimentari. Particolarmente difficili sono le condizioni nella Somalia centrale e meridionale dove, dal 1991, dilagano la criminalità e la pirateria per la mancanza di un governo centrale efficiente (cfr. n. 3.2.2.1.4). Queste due piaghe costituiscono una minaccia anche per le vie marittime e commerciali internazionali e per la fornitura dell'aiuto alimentare, così impellentemente necessario nella regione.

Sono quindi diventate centrali le problematiche in ambito di sicurezza, aiuto umanitario, diritti umani, diritto internazionale e migrazione. Nella regione, circa 17 milioni di persone necessitano di un assistenza umanitaria; in Somalia quasi metà della popolazione vive in condizioni di estrema indigenza. Considerata l'emergenza della situazione, il Corno d'Africa è di nuovo, e resterà anche nei prossimi anni, una delle priorità dell'aiuto umanitario della Svizzera. I mezzi previsti sono pertanto stati aumentati proporzionalmente e, nella primavera del 2009, l'ambasciata a Nairobi è stata rafforzata con un esperto umanitario responsabile dell'intera regione.

Per far fronte alla crescente pressione che i flussi migratori provenienti dalla Somalia, dall'Eritrea e dall'Etiopia esercitano sui Paesi confinanti e sulle vie di transito, il DFGP e il DFAE collaborano a stretto contatto adottando le opportune misure per proteggere in loco le popolazioni civili minacciate. La migrazione resterà una questione di primaria importanza anche nei prossimi anni.

La Svizzera intende rafforzare la sua presenza anche nel Sudan. La situazione di questo Stato, il più grande del continente africano, continuerà a occupare la comunità internazionale, i cui consistenti sforzi, per il momento, sono sfociati soltanto in un lieve miglioramento delle condizioni generali. L'attuazione dell'importante Accordo di pace tra Nord e Sud del Paese non ha introdotto cambiamenti di grande portata perché restano numerose problematiche da affrontare. Non è da escludere che il referendum per l'autodeterminazione del Sudan meridionale, fissato nel 2011 secondo
l'Accordo di pace, si concluda con la secessione della regione. Quanto al Darfur, le varie iniziative per la pace non sono ancora riuscite a spianare la strada a veri e propri negoziati. Sarà questo uno dei compiti del nuovo negoziatore dell'Unione Africana e delle Nazioni Unite nel Darfur. La Svizzera gli ha offerto la propria disponibilità per sostenere la comunità internazionale nella promozione e nel mantenimento della pace.

I settori in cui la Svizzera si adopera nel Sudan meridionale sono l'aiuto umanitario, la promozione e il mantenimento della pace (p. es. primo Accordo di pace tra Nord e Sud del Paese nel 2002 sui monti Nuba; ruolo della Svizzera nell'Accordo di Naivasha del 2005 tra Nord e Sud), rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo e riforma del settore della sicurezza (soltanto nel Sud del Paese) (cfr. n. 3.3.6.2).

5551

Le attività svizzere nel Sudan sono state intensificate e diversificate. L'approccio elvetico si basa sulla cooperazione interdipartimentale e mira a garantire un intervento coerente e adeguato (cosiddetto «Whole of Government Approach»).

3.2.6.5

Africa occidentale e centrale

Anche se le sanguinose atrocità che hanno caratterizzato la Liberia e la Sierra Leone sono finite con la conclusione della guerra civile, l'Africa occidentale resta una regione instabile. Soprattutto nel Ciad, ma anche nelle parti settentrionali del Mali e del Niger, sono sempre sul punto di esplodere nuovi conflitti, che oltrepassano spesso le frontiere regionali. A ciò si aggiunge l'elevata diffusione della povertà: nella maggior parte degli Stati dell'Africa occidentale oltre il 70 per cento della popolazione vive con meno di 2 dollari americani al giorno. La forte impennata dei prezzi degli alimenti di base ha inferto un duro colpo alla regione, tanto da causare dimostrazioni in diverse capitali dell'Africa occidentale, in occasione delle quali vi sono anche stati scontri tra i dimostranti e le forze dell'ordine. La terribile povertà e la disoccupazione alimentano, soprattutto tra i giovani, la sensazione già generalizzata di non avere prospettive e, di conseguenza, il crimine (organizzato), i conflitti e le ondate migratorie.

Già in passato la Svizzera ha stanziato mezzi consistenti per la cooperazione allo sviluppo e per l'aiuto umanitario. L'importo di questi mezzi sarà mantenuto, se non addirittura aumentato; gli sforzi saranno concentrati nel settore della promozione civile della pace (cfr. n. 3.3.6.2) e nelle tematiche di interesse globale quali i cambiamenti climatici, la sicurezza alimentare e la migrazione. Oltre a rafforzare la collaborazione bilaterale, l'obiettivo è quello di intensificare i contatti con le organizzazioni regionali. La visita di lavoro del presidente della Commissione della Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale (ECOWAS), nell'ottobre 2008, è stata un'occasione per intensificare gli scambi. A questa è seguito il viaggio del capo del DFAE in Nigeria, Mali e Burkina Faso, nell'aprile del 2009, che ha permesso di sottolineare l'impegno della Svizzera nell'Africa occidentale e di consolidare i contatti esistenti.

3.2.6.6

Problematiche e prospettive

La Svizzera si è ritagliata una buona posizione in Africa. Ma la povertà e la pressione migratoria nella e dalla regione continueranno a figurare per diversi anni tra le priorità mondiali e quindi anche tra quelle svizzere. Una soluzione rapida non è infatti concepibile. Del resto, l'approvvigionamento energetico proveniente dall'Africa subsahariana acquisterà un'importanza crescente per la Svizzera.

La strategia della Svizzera per affrontare queste problematiche consiste in una politica del dialogo, in cui rientra la promozione della pace. Per contrastare situazioni di concreto disagio e offrire nuove prospettive, la Svizzera ricorre inoltre a progetti dell'aiuto umanitario e della cooperazione allo sviluppo, nonché alla cooperazione economica (p. es. accordi di libero scambio e accordi sulla protezione degli investimenti).

5552

Nell'estate del 2009 è inoltre stata aperta un'ambasciata svizzera a Luanda, la capitale dell'Angola, grazie alla quale si potranno migliorare e intensificare le relazioni con questo importante fornitore di petrolio. L'Angola detiene infatti le più grandi riserve di petrolio del continente.

3.2.7

Politica nei confronti dei piccoli Stati

Rispetto agli Stati di maggiori dimensioni, e soprattutto rispetto alle grandi potenze regionali e globali, i piccoli Stati condividono l'interesse comune di far primeggiare il diritto sulla forza nelle relazioni internazionali. Anche se i numerosi piccoli Stati si differenziano sensibilmente per geografia e politica, questo interesse comune li porta a collaborare per esercitare un peso maggiore sulla scena internazionale.

Un ruolo decisivo in questo senso è svolto dalle convenzioni internazionali e dalle organizzazioni internazionali a vocazione universale. Salvo pochissime eccezioni (p. es. nel Consiglio di sicurezza dell'ONU), gli Stati hanno fondamentalmente gli stessi diritti. La voce di un piccolo Stato conta quindi tanto quanto quella di uno di dimensioni maggiori. Per accrescere la sua influenza a livello internazionale, la Svizzera non può dunque trascurare i piccoli Stati.

L'obiettivo della Svizzera è quello di sviluppare e realizzare il potenziale di questi Stati. A tal fine, concentra le sue attività nell'ambito dell'ONU. La Svizzera, in collaborazione con altri quattro piccoli Stati (Costa Rica, Principato del Liechtenstein, Giordania e Singapore) ha per esempio elaborato e presentato ufficialmente, a nome dei «Small Five» (S-5), alcune proposte concernenti la riforma dei metodi di lavoro del Consiglio di sicurezza dell'ONU (cfr. n. 3.4.1.2). Nella sede principale dell'ONU a New York, la piattaforma informale chiamata «Forum of Small States» offre la possibilità, di cui la Svizzera si avvale ampiamente, di intensificare i contatti e gli accordi. È questo anche un modo efficace per sostenere le candidature svizzere, dato che, per ragioni di risorse, in molte capitali di questi Stati la Svizzera non dispone di una rappresentanza diplomatica diretta (in questi Stati la rappresentanza della Svizzera avviene con accreditamenti collaterali di una rappresentanza svizzera in un altro Stato).

Il dibattito sulla rappresentanza e la capacità di influenza degli Stati non rappresentati nei consessi in cui siedono le grandi potenze acquisisce un'importanza particolare alla luce della discussione sulla dinamica delle relazioni tra le grandi potenze e delle modifiche istituzionali che si profilano nei prossimi anni. La Svizzera intende seguire attentamente questa discussione e parteciparvi accanto ai partner che condividono le sue posizioni. In questo senso, i piccoli Stati costituiscono un raggruppamento ricco d'interesse.

3.3

Sfide globali

3.3.1

Politica finanziaria ed economica internazionale

Dalla crisi dei mercati finanziari alla crisi economica Lo scorso anno è stato caratterizzato da una crisi finanziaria internazionale che si è diffusa in modo inaspettatamente veloce e travolgente, trasformandosi in una crisi economica e gettando un'ombra sugli sforzi intrapresi dai Paesi in materia di politica economica in vista di una più stretta e regolamentata cooperazione regionale e 5553

multilaterale. Il Ciclo di Doha dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) è stato al centro dei negoziati multilaterali. Nonostante gli sforzi profusi, le grandi nazioni economiche non hanno raggiunto un'intesa sui principali settori negoziali (agricoltura e prodotti industriali; cfr. n. 3.4.4).

La crisi finanziaria è stata provocata da diversi fattori, rafforzatisi a vicenda. Il fattore scatenante è stato lo scoppio della bolla immobiliare negli Stati Uniti nell'estate 2007. Il crollo del mercato dei crediti ipotecari a rischio (subprime) è imputabile a criteri troppo permissivi per la concessione dei prestiti, a un eccesso di liquidità e alla concomitante debolezza dei tassi d'interesse e dei premi di rischio.

Mediante un complesso processo di raggruppamento, cartolarizzazione, suddivisione e nuova emissione, i crediti e i rischi sono stati rivenduti ai quattro angoli del globo, spesso senza che i loro meccanismi siano stati effettivamente compresi dai partecipanti al mercato. I rischi reali sono stati spesso sottovalutati, in particolare dalle agenzie di rating e dagli assicuratori di crediti che non sono stati in grado di identificarli correttamente. Inoltre, specifiche debolezze di determinati modelli d'affari sono state chiaramente evidenziate per quanto riguarda le strutture d'incentivazione.

Cause più profonde hanno contribuito ad aggravare la crisi, ossia la crescente interconnessione dei mercati finanziari, la ricerca sfrenata di rendimenti supplementari negli investimenti, gli eccessi di liquidità apparsi in certi Paesi industrializzati in seguito a politiche monetarie troppo generose, la politica di cambio condotta dalla Cina nonché gli squilibri mondiali. In retrospettiva, il forte indebitamento degli Stati Uniti contrapposto agli enormi attivi delle bilance commerciali dei Paesi esportatori di petrolio e dei mercati emergenti asiatici non era sostenibile.

Le incertezze relative alla qualità di taluni titoli hanno provocato una perdita di fiducia nei confronti di intere categorie di investimenti, ma anche un clima di diffidenza fra le stesse banche. Inoltre, sono venute alla luce operazioni fuori bilancio in proporzioni inattese svolte dalle banche. La crisi ha raggiunto l'apice nell'estate 2008. Il mercato dei prestiti interbancari a breve termine si è praticamente paralizzato,
i mercati delle divise hanno accusato turbolenze, i corsi delle azioni sono crollati e l'economia reale ha cominciato ad avvertire una rapida contrazione della domanda.

Presi da questa spirale negativa, le banche centrali e i governi hanno dovuto cercare con tutti i mezzi di ripristinare la fiducia nei mercati finanziari. Le banche centrali, grazie a ripetute iniezioni di liquidità e alla riduzione dei tassi d'interesse, sono riuscite a impedire il collasso completo del sistema finanziario e a evitare perdite ancora più pesanti. Tuttavia, rimaneva da risolvere il problema di ripristinare la fiducia reciproca dei partecipanti al mercato.

Con la contrazione del sistema finanziario, cinghia di trasmissione e forza motrice dell'economia globalizzata, le prospettive dell'economia mondiale si sono fatte nettamente più cupe. Dapprima negli Stati Uniti e poi nella maggior parte dei Paesi industrializzati è avvenuto un passaggio repentino da una crescita moderata o forte a una recessione. Anche i Paesi emergenti, fino ad allora in pieno boom, sono stati confrontati a un netto rallentamento congiunturale.

A più riprese, interi Paesi hanno rischiato di divenire insolventi. Questa situazione può avere diverse cause: ­

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esistono rischi sistemici importanti quando i bilanci bancari complessivi sono sovradimensionati rispetto alla potenza economica di un Paese e sono inoltre finanziati essenzialmente da capitali terzi. L'Islanda costituisce un esempio di questa situazione;

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in caso di doppio deficit (di bilancio e della bilancia delle partite correnti), i Paesi diventano molto vulnerabili alla diminuzione degli investimenti finanziari e diretti effettuati dall'estero, come è avvenuto per l'Ungheria;

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per i Paesi emergenti che non traggono i loro proventi dal petrolio o da altre materie prime, è sufficiente la generale avversione al rischio nei confronti dei mercati emergenti e il ritiro degli investimenti esteri per provocare una crisi, come dimostra il caso del Pakistan.

Misure di lotta contro la crisi finanziaria ed economica e dibattiti sull'architettura finanziaria Misure internazionali di rilancio I governi, le banche centrali e le istituzioni finanziarie internazionali, in particolare il Fondo monetario internazionale, hanno dato il via a misure di rilancio. Dapprima la crisi è stata gestita a livello degli Stati, con l'appoggio delle autorità internazionali; in seguito sono state adottate misure congiunturali. Inoltre, sono stati avviati dibattiti riguardanti le lacune in materia di regolazione e le misure da prendere. Già nell'ottobre 2007 il Forum di stabilità finanziaria (FSF) è stato incaricato dal G7 di proporre misure per affrontare la crisi imminente. Nell'aprile del 2008 il FSF, di cui anche la Svizzera è membro, ha emanato 68 raccomandazioni per migliorare la stabilità finanziaria, alcune delle quali sono poi state applicate. Nonostante numerosi piani nazionali di salvataggio, iniezioni di liquidità, swap su divise e riduzioni dei tassi direttori, la dinamica ribassista si è accentuata nel corso dell'estate 2008. In ottobre i ministri delle finanze del G7 hanno deciso un piano d'azione che è stato appoggiato anche dai 185 Stati membri del Fondo monetario internazionale. Fra l'altro, è stato deciso di impedire il collasso delle grandi banche, di dare impulsi ai flussi di crediti e ai mercati monetari, di ricapitalizzare gli istituti finanziari (se necessario anche mediante fondi pubblici) e di garantire i conti bancari dei piccoli risparmiatori. Queste misure dovevano essere concepite in maniera tale da proteggere i contribuenti e da evitare conseguenze dannose per gli Stati terzi. Infine, i fondi messi a disposizione dal Fondo monetario internazionale sono stati considerevolmente aumentati (cfr. n. 3.4.2).

Nella maggior parte degli Stati industrializzati le misure nazionali consistono nel ricapitalizzare le banche importanti, nell'acquistare attivi problematici, nel fornire garanzie statali per i crediti (inter)bancari e le obbligazioni e aumentare le garanzie che coprono i depositi. Le principali banche centrali hanno inoltre rafforzato la loro cooperazione, già piuttosto intensa. Numerose banche centrali sono diventate più generose nel definire le garanzie, poiché riprendono titoli illiquidi ed emettono in cambio titoli di Stato liquidi.

Misure prese
in seno all'Unione europea In seno all'UE le misure di stabilizzazione del settore finanziario sono state rafforzate nell'autunno 2008. Contrariamente alla Svizzera che, trasferendo i titoli illiquidi in una società veicolo ed emettendo un prestito obbligatoriamente convertibile, ha consolidato sia gli attivi che i passivi iscritti a bilancio di UBS (banca essenziale per l'economia del Paese), gli Stati membri dell'UE si sono concentrati in un primo momento sui passivi delle banche in difficoltà. Gli istituti finanziari sono stati o interamente nazionalizzati, oppure almeno in parte ricapitalizzati mediante fondi pubblici allo scopo di rafforzarne la base di fondi propri. Inoltre, in taluni Stati 5555

membri dell'UE sono state fornite garanzie generali o lettere di patrocinio politiche a favore dei depositi dei clienti privati e di altri creditori. Queste misure, considerate in seno all'UE come aiuti statali, richiedono l'autorizzazione preliminare della Commissione europea, il cui ruolo è di vegliare affinché non siano violate le regole in materia di concorrenza. Vista la portata dell'attuale crisi finanziaria, l'autorizzazione avviene nell'ambito di una procedura d'urgenza e l'accento viene posto in particolare sulle banche essenziali per il sistema finanziario.

Misure congiunturali Le principali banche centrali hanno imposto un'inversione alle loro politiche monetarie riducendo rapidamente e in modo considerevole i tassi direttori, con i tassi reali spesso su valori negativi. Tuttavia, la concessione di crediti interbancari è rimasta asfittica, e mentre le prospettive economiche si facevano sempre più cupe e aumentavano i rischi di inadempimento, i costi del credito per ditte e privati sono rimasti superiori a quelli riscontrati prima della crisi. Dato che la politica monetaria non era riuscita a ridare impulsi all'economia, si sono levate richieste per l'adozione di una politica fiscale espansiva. Secondo le preferenze specifiche di ogni Paese, le misure di rilancio decise hanno assunto aspetti molto variati in termini di obiettivi, dimensione e struttura. Mentre è normale e giustificato che ogni nazione cerchi di sostenere in primo luogo la propria economia, ogni sostegno fornito alla domanda va a profitto anche dei suoi partner commerciali. Non si può però parlare di una risposta coordinata al rallentamento globale, dato che neppure in seno all'Unione europea, molto avanzata sulla via dell'integrazione, gli Stati membri sono riusciti ad accordarsi in modo vincolante sui valori di riferimento e sulla tempestività dei piani di rilancio.

A livello internazionale si è tuttavia imposto un asse comune per quanto riguarda l'impostazione delle misure congiunturali basata su criteri di sostenibilità ambientale. Il Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (PNUA) ha lanciato a tal fine un'«iniziativa per un'economia verde», conosciuta anche con la denominazione «Global Green New Deal», che intende fornire incentivi per un'economia rispettosa dell'ambiente e creatrice di impieghi «verdi» e
sostenibili. Numerosi governi hanno riservato una parte considerevole delle loro misure a progetti con un plusvalore ecologico.

Dibattiti in seno al G20 Su proposta dei Paesi europei, un vertice mondiale della finanza secondo il formato del G20 è stato organizzato a Washington il 14 e 15 novembre 2008 su invito degli Stati Uniti e a un livello inabituale per il G20, ossia quello dei capi di Stato e di governo; finora, infatti, era sempre stato uno spazio di discussione riservato ai ministri delle finanze e ai direttori o governatori delle banche centrali. Dal vertice non sono tuttavia emerse molte decisioni concrete, benché l'esauriente piano d'azione in 47 punti contenesse numerose proposte per migliorare il controllo, rafforzare la sorveglianza e intensificare la cooperazione internazionale. All'incontro successivo, tenutosi il 2 aprile 2009 a Londra, si sarebbero dovute varare proposte concrete di riforma relative ai punti più urgenti di questo piano d'azione. Inoltre, dovevano essere convenute ulteriori misure congiunturali. La dichiarazione finale del G20 è stata più esauriente e più precisa di quanto lasciasse presagire l'eterogeneità che caratterizzava il gruppo ancora alcuni mesi prima della riunione. La cooperazione è stata tuttavia rafforzata al fine di contrastare i rischi sistemici e di dare un 5556

quadro internazionale più solido alle politiche svolte a livello dei singoli Paesi. Il FSF, che accoglie 13 nuovi membri, è integrato nel nuovo Consiglio di stabilità finanziaria («Financial Stability Board», FSB). Per quanto attiene ai contenuti, il G20 lascia in gran parte il compito di definire i dettagli al FSB, che assume il ruolo di coordinatore fra i diversi organi normativi. Il G20 ha tuttavia fornito nuovi stimoli per migliorare la vigilanza dei fondi alternativi (hedge fund) e delle agenzie di rating. Sono stati affrontati anche temi popolari, ma che hanno poche relazioni con le cause della crisi e i mezzi per superarla, ad esempio la lotta contro i paradisi fiscali e il riciclaggio. In materia, i dibattiti in seno al G20 erano fortemente incentrati su lavori svolti da altri organi e organizzazioni quali l'OCSE (cfr. n. 3.4.4), il FSB, il FMI e il Gruppo d'azione finanziaria contro il riciclaggio di capitali (GAFI).

Il G20 ha preso anche decisioni determinanti per rafforzare il Fondo monetario internazionale e le banche multilaterali di sviluppo (cfr. n. 3.4.2). I risultati sono stati meno concludenti per quanto riguarda il sostegno da fornire alla domanda; infatti, le opinioni sugli squilibri mondiali e i rimedi da applicare erano molto discordanti. Gli Stati Uniti e, in misura minore, la Gran Bretagna hanno chiesto il rilancio più marcato possibile a livello mondiale. A loro avviso, il proprio indebitamento e i deficit di bilancio non costituiscono un problema reale. Inversamente, Germania e Francia, quali grandi nazioni esportatrici, hanno plebiscitato la stabilità in materia di spese e stimoli limitati, ponendo l'accento sulla necessità di rafforzare la regolazione. La Germania ha inoltre lanciato l'idea di un consiglio finanziario mondiale sotto l'egida dell'ONU. Il Giappone, dal canto suo, dopo la deflazione conosciuta negli anni Novanta, ha invece auspicato forti misure di rilancio al fine di allontanare lo spettro di una depressione a livello mondiale.

La prossima riunione dei capi di Stato e di governo nel settembre 2009 e il rapporto del FMI e del FSB al G20 rinviano a un nuovo rafforzamento del G20 ­ un punto corrispondente allo spostamento del centro di gravità politico descritto nel n. 2.2.

Ripercussioni per la Svizzera e misure prese In Svizzera la crisi finanziaria ha
colpito soprattutto il maggiore riassicuratore e i due grandi gruppi bancari fortemente impegnati sul mercato americano. Le altre banche, compagnie d'assicurazione e casse pensioni sono state coinvolte soltanto indirettamente e in un primo tempo in modo meno grave, benché la diminuzione della cifra d'affari rilevata per numerosi prodotti e la crisi delle borse abbiano provocato ripercussioni anche per esse. Fortunatamente la Svizzera ha potuto beneficiare di una buona situazione congiunturale senza segnali di surriscaldamento.

Misure a favore di UBS Alla fine di settembre 2008 UBS è entrata in una zona di forti turbolenze. Per evitare una profonda crisi di fiducia che avrebbe potuto nuocere gravemente all'insieme dell'economia elvetica, il Consiglio federale, la Banca nazionale svizzera e la Commissione federale delle banche il 15 ottobre 2008 hanno deciso un pacchetto di misure. Contrariamente a quanto prevalso in altri Paesi, si trattava unicamente di un solo istituto bancario, ma di estrema importanza per l'insieme del sistema economico. Conformemente al piano d'azione del G7, il pacchetto di misure prevedeva due punti complementari:

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il trasferimento degli attivi illiquidi di UBS a una società veicolo (StabFund BNS). Questa transazione, per un importo di circa 39 miliardi di dollari, è stata conclusa alla fine di marzo 2009. La Banca nazionale svizzera ha accordato allo StabFund un prestito di un importo corrispondente. In tal modo, UBS ha recuperato liquidità ed è stata sgravata dai rischi, i quali sono stati assunti dalla Banca nazionale svizzera in qualità di proprietaria della società veicolo. Inoltre, UBS ha dotato la società veicolo di un capitale proprio corrispondente al 10 per cento degli attivi esternalizzati;

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il rafforzamento, all'inizio di dicembre 2008, della base di fondi propri di UBS da parte della Confederazione mediante la sottoscrizione di un prestito obbligatoriamente convertibile in azioni di 6 miliardi di franchi per permettere alla banca di dotare lo StabFund dei capitali necessari senza diminuire la base di fondi propri. La Confederazione non diventa comproprietaria di UBS, almeno per ora, ma riceve un appropriato indennizzo mediante una cedola del 12,5 per cento.

Nel 2008 UBS è stata oggetto di un'inchiesta svolta a più livelli dalle autorità giudiziarie e fiscali americane e anche dalle autorità di vigilanza sulle borse. Le è stato rimproverato di aver consigliato, senza autorizzazione, clienti bancari americani in materia di piazzamenti e di averli aiutati a frodare il fisco americano. Nonostante la procedura di assistenza giudiziaria in corso, il Ministero della giustizia americano ha fatto aumentare considerevolmente la pressione minacciando di sporgere denuncia penale contro la banca. Al fine di evitare conseguenze spiacevoli per UBS e per la stabilità del sistema finanziario svizzero, l'Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (FINMA, che dall'inizio del 2009 sostituisce la Commissione federale delle banche) ha autorizzato UBS, il 18 febbraio 2009, a trasmettere immediatamente alle autorità fiscali americane i dati relativi a un numero limitato di 255 clienti. In tal modo UBS ha potuto concludere un accordo con il Ministero della giustizia americano, allontanando la minaccia di una procedura formale. L'accordo non includeva tuttavia le autorità fiscali americane, che hanno continuato a svolgere indagini su altri clienti di UBS e che hanno chiesto alla banca, nell'ambito di una procedura civile, di fornire loro i dati di migliaia di clienti. La procedura è stata chiusa il 19 agosto 2009 con la firma di un accordo con gli Stati Uniti, in base al quale la Svizzera si impegna a fornire, nell'arco di un anno, i dati concernenti 4450 conti americani in risposta a una domanda di assistenza amministrativa di cui questi conti saranno appunto oggetto. Il Consiglio federale ha inoltre deciso il ritiro della Confederazione, per il 20 agosto 2009, dall'impegno nei confronti di UBS. Il ricavo netto risultante dal ritiro completo della Confederazione è di circa 1,2 miliardi di franchi.

Altre misure nel settore finanziario Le Camere federali hanno reagito molto rapidamente per adeguare la protezione dei depositanti aumentando, nell'ambito del pacchetto di misure congiunturali, i depositi bancari garantiti da 30 000 a 100 000 franchi. Per quanto riguarda i sistemi di rimunerazione, l'Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari elabora standard minimi applicabili all'intero settore finanziario e UBS ha dovuto adeguare i modelli di rimunerazione
dei suoi quadri dirigenti e dei membri del suo consiglio d'amministrazione alle norme internazionali attualmente in fase di elaborazione. Inoltre, le due grandi banche svizzere dovranno adempiere, entro il 2013, prescrizioni più severe in materia di fondi propri e saranno tenute a rispettare un grado di indebita5558

mento massimo («leverage ratio»). La Svizzera ha dunque reagito con rapidità nel confronto internazionale.

Stabilizzazione della congiuntura Lo scorso anno le Camere federali hanno preso le prime misure di stabilizzazione della congiuntura, che prevedevano uscite per un importo di 432 milioni di franchi.

Inoltre, la Confederazione ha liberato riserve di crisi costituite dalle imprese e beneficianti di sgravi fiscali per 550 milioni di franchi. Tenuto conto delle spese generate da terzi, questo impulso ha raggiunto oltre 1,1 miliardi di franchi. Un secondo pacchetto di 710 milioni di franchi, deciso nel febbraio 2009, prevede spese pubbliche supplementari, miglioramenti a livello della copertura dei rischi all'esportazione e un prolungamento a 18 mesi dell'indennità per lavoro ridotto. Grazie alle spese effettuate da terzi, le misure di rilancio questa volta hanno raggiunto la cifra di 1,3 miliardi di franchi. Infine, le decisioni prese nel settore dell'imposizione dei coniugi e delle famiglie nonché l'accelerazione della compensazione della progressione a freddo hanno contribuito a stabilizzare la congiuntura.

Secondo le stime, le misure di stabilizzazione decise dai Cantoni ammontano a 4,8 miliardi di franchi. Includendo anche il contributo stabilizzatore dell'assicurazione contro la disoccupazione (2,4 miliardi nel 2009 e altrettanto nel 2010), si raggiunge un totale di circa 14,4 miliardi di franchi, che corrisponde quasi al 2,7 per cento del prodotto interno lordo.

Finora la Svizzera è rimasta fedele alla sua politica prudente in materia di finanze pubbliche e di rispetto del freno all'indebitamento. Di fronte alla gravità della recessione, il Consiglio federale ha adottato un nuovo pacchetto di misure nel giugno 2009 per un importo di 600 milioni di franchi.

Sfide future Opportunità e rischi per le multinazionali e la piazza finanziaria svizzera Nel corso dei prossimi anni le carte del settore della finanza saranno rimescolate a livello internazionale. È compito dello Stato instaurare le condizioni quadro per impedire per quanto possibile il ripetersi della crisi attuale e per dar luogo a nuove prospettive in materia di crescita. La crisi offre alla Svizzera nuove opportunità in termini di competitività internazionale. La sua attuale situazione è favorevole, dato che non presenta né
squilibri economici interni né una bolla speculativa sul mercato immobiliare. La Svizzera dispone invece di un'economia d'esportazione molto diversificata e in grado di affrontare la concorrenza estera, di imprese dotate di finanze sane e di un debito pubblico moderato. Per lo meno temporaneamente deve però contare su una riduzione del valore aggiunto apportato dal settore finanziario.

Le condizioni quadro vengono costantemente migliorate in stretta collaborazione con il settore privato.

Per la Svizzera, che accoglie numerose multinazionali e costituisce una piazza finanziaria internazionale di primo piano, un rafforzamento delle tendenze protezionistiche avrebbe effetti particolarmente negativi proprio perché la libertà di movimento dei capitali e la libertà d'investimento sono fondamentali. Queste libertà possono essere minacciate da Paesi in recessione. Di fronte a profondi deficit di bilancio, i governi si preoccupano per il loro substrato fiscale e sono tentati di fare il possibile per rendere più difficoltosi ai loro cittadini e alle loro imprese gli affari con l'estero. La tolleranza nei confronti dei grandi gruppi internazionali potrebbe ridursi 5559

e l'idea secondo cui essi intensificano la concorrenza con le loro idee e i loro prodotti e contribuiscono notevolmente alla dinamica mondiale potrebbe avere sempre più difficoltà a imporsi. Una pressione crescente si eserciterebbe non soltanto sui centri finanziari offshore deregolamentati e sui paradisi fiscali non cooperativi, bensì anche sull'ambiente in generale, che potrebbe diventare sempre più ostile alle transazioni finanziarie internazionali.

La pressione esercitata sul segreto bancario è considerevolmente aumentata. Benché la Svizzera non sia un paradiso fiscale, dato che dispone di un sistema fiscale completo e collabora attivamente con le autorità fiscali estere in caso di sospetto di riciclaggio di denaro o di frode fiscale, è considerata tale da numerosi Paesi membri dell'OCSE. Il principio del segreto bancario, fortemente ancorato in Svizzera e considerato uno strumento a tutela della sfera privata, non è accettato nella stessa misura all'estero. Inoltre, la distinzione fra frode fiscale e evasione fiscale è sempre più difficilmente accettata dai Paesi terzi, poiché taluni ritengono che limiti la cooperazione della Svizzera in materia fiscale. Viste le crescenti critiche e le minacce rivolte alla Svizzera da diversi Stati per quanto riguarda lo scambio di informazioni fiscali, ma anche perché la cooperazione internazionale in materia fiscale si è intensificata in seguito alla globalizzazione dei mercati finanziari e alla crisi finanziaria, il 13 marzo 2009 il Consiglio federale ha deciso di dare un nuovo orientamento all'assistenza amministrativa in materia fiscale. La Svizzera ha dunque annunciato di essere pronta ad adottare le corrispondenti norme dell'OCSE e ha ritirato la sua riserva relativa all'articolo 26 del modello di convenzione fiscale di questa organizzazione. In futuro instaurerà inoltre uno scambio di informazioni più intenso con le autorità estere, nella misura tuttavia in cui tale scambio continui a essere giustificato da una domanda concreta e fondata da parte degli Stati terzi. L'applicazione di questa decisione si effettuerà nel quadro delle convenzioni bilaterali sulla doppia imposizione, le quali sono in fase di negoziazione o di revisione. Attraverso queste misure la Svizzera adempierà agli standard internazionali.

Politica economica esterna ­ libero scambio
e solidarietà L'accesso al mercato e il rafforzamento del quadro legale a livello internazionale sono i due grandi pilastri della politica economica esterna della Svizzera31. Viste le misure protezionistiche e le distorsioni della concorrenza prodotte dalle misure di rilancio, la Svizzera deve più che mai difendere il suo interesse per un quadro economico internazionale regolato e libero da barriere discriminatorie. L'impegno a favore di un commercio libero e sostenibile è un obiettivo fondamentale, sia in seno all'OMC sia attraverso le opportunità offerte dall'estensione degli accordi di libero scambio conclusi con Paesi non europei su base bilaterale o sotto l'egida dell'AELS.

La cooperazione con l'UE deve essere approfondita ove necessario. Un forum importante per i dibattiti su questioni riguardanti finanze ed economia internazionali è costituito dal G20, del quale però la Svizzera non fa parte pur essendo una delle 20 più importanti economie al mondo e godendo di una piazza finanziaria particolarmente attiva nelle operazioni con l'estero; la Svizzera ha tuttavia un interesse considerevole a partecipare attivamente ai lavori di questo gruppo a tutti i livelli.

La politica relativa al mercato interno rappresenta il secondo campo d'azione. Grazie a riforme interne tempestive, la competitività internazionale della Svizzera viene costantemente rafforzata.

31

Cfr. FF 2005 949, inoltre rapporto sulla politica economica esterna 2008, FF 2009 535.

5560

Il quadro è completato dalla cooperazione solidale e attiva con altri Paesi. La cooperazione allo sviluppo comprende sia il sostegno ai Paesi più poveri sia il contributo al miglioramento delle condizioni di vita di nazioni che in seguito potranno diventare partner commerciali. Per maggiori dettagli sulle differenze esistenti tra la cooperazione svolta con i Paesi emergenti e con i Paesi in sviluppo si rinvia al n. 3.3.8.3.

Una politica estera responsabile va tuttavia oltre questi obiettivi, in particolare in questa difficile fase dell'economia mondiale. Il fatto di agire oggi in modo esemplare e solidale permetterà di acquistare prestigio. Esemplare in questo senso è stato finora l'operato della Banca nazionale svizzera, che ha dato prova di abilità collaborando strettamente con le principali banche centrali degli Stati Uniti, dell'Europa occidentale e dell'Europa orientale. Le misure di rilancio sono un altro aspetto della nozione di responsabilità condivisa. Benché il principale obiettivo delle misure congiunturali sia la lotta alla recessione a livello nazionale, la loro efficacia si estende anche all'estero. Oltre al commercio e ai fattori psicologici, tutti i pacchetti congiunturali sono collegati fra di loro e costituiscono pertanto una forma di solidarietà, in particolare nell'ambito delle relazioni con i Paesi limitrofi, che sono anche i nostri partner più stretti.

3.3.2

Politica estera in materia di clima

I cambiamenti climatici quale sfida globale I cambiamenti climatici e le loro ripercussioni Il quarto rapporto di valutazione del Gruppo intergovernativo di esperti dei cambiamenti climatici («Intergovernmental Panel on Climate Change», IPCC), pubblicato nel 2007, indica che il riscaldamento del clima è una certezza, che tale riscaldamento con grande probabilità è provocato dalle attività umane e che, se non si riducono in modo massiccio le attuali emissioni di gas a effetto serra, la temperatura media del pianeta continuerà ad aumentare.

Senza contromisure decisive nell'ambito delle emissioni di gas a effetto serra, il riscaldamento climatico provocherà un sensibile innalzamento del livello degli oceani, un aumento degli uragani e delle inondazioni, l'estinzione di numerose specie animali e vegetali, l'ulteriore diffusione di malattie quali la malaria e un incremento della desertificazione. Con grande probabilità questi fenomeni saranno accompagnati da flussi migratori e numerose violazioni dei diritti dell'uomo (diritto all'alimentazione, accesso all'acqua, tutela della salute ecc.).

I Paesi in sviluppo saranno particolarmente colpiti dal riscaldamento climatico.

Tuttavia, anche la Svizzera non potrà sottrarsi alle ripercussioni negative di questo fenomeno. La temperatura della regione alpina, infatti, negli ultimi anni ha subito un incremento superiore alla media mondiale. Oltre alla già osservata diminuzione dei ghiacciai, si assisterà soprattutto a un aumento delle frane e delle inondazioni.

Necessità di intervento a livello mondiale Per ovviare a questi effetti negativi, la comunità internazionale deve affrontare le seguenti sfide.

1.

Forte riduzione delle emissioni globali di gas a effetto serra (mitigation). In primo piano vi è la necessità di ridurre il consumo di energia, rinunciando all'impiego di prodotti energetici fossili e puntando maggiormente sulle 5561

energie sostenibili (si parla di «decarbonizzazione dell'economia»). Oltre alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, occorre anche arrestare la deforestazione e assicurare la tutela delle foreste per diminuire le emissioni di carbonio. La distruzione delle foreste tropicali provoca oggi un quinto delle emissioni globali di CO2.

2.

Adattamento (adaptation) alle ormai inevitabili ripercussioni dei cambiamenti climatici. Questo adattamento presuppone la gestione dei rischi climatici, che comporta misure quali la costruzione o il consolidamento di opere di protezione (fra cui le dighe), uno sfruttamento più efficiente delle risorse idriche e adeguamenti nella gestione agricola. Accanto alle misure preventive per ridurre i rischi dovuti ai cambiamenti climatici, che sono fra l'altro illustrate nel Quadro d'azione di Hyogo in materia di prevenzione delle catastrofi, l'adattamento comprende anche un settore di trasferimento dei rischi, in particolare sotto forma di assicurazioni pubbliche e private. I molteplici compiti nell'ambito dell'adattamento ai cambiamenti climatici porranno molti Stati, in particolare i Paesi in sviluppo, di fronte a importanti sfide. In questo contesto, la terza Conferenza mondiale sul clima dell'Organizzazione meteorologica mondiale (OMM) dell'ONU, che si svolgerà nel settembre 2009 a Ginevra, si prefigge di migliorare la disponibilità dei dati relativi al clima al fine di pianificare e attuare a breve e a lungo termine le misure di adattamento.

3.

Identificare vie che permettano ai Paesi in sviluppo di continuare ad evolvere rispettando per quanto possibile l'ambiente, con ridotte emissioni di gas a effetto serra. Il diritto allo sviluppo non è pregiudicato dalla lotta contro i cambiamenti climatici: al fine di agevolare uno «sviluppo verde», sarà necessario procedere a un trasferimento di tecnologie rispettose dell'ambiente, introdurre innovazioni nel settore energetico e spezzare il circolo vizioso fra crescita economica e consumo energetico. I Paesi industrializzati, che attraverso il loro sviluppo economico producono ingenti quantitativi di CO2 e sono i maggiori responsabili dei cambiamenti climatici, sono le prime a dover promuovere il trasferimento di tecnologie.

Il rapporto Stern («Stern Review on the Economics of Climate Change»), pubblicato nel 2006, conferma che i costi economici della lotta contro i cambiamenti climatici a lungo termine sono nettamente inferiori ai costi che dovranno essere sopportati se non verranno intraprese misure per ridurre le emissioni di gas a effetto serra. Queste conclusioni sono state confermate da altri rapporti pubblicati nel frattempo. I cambiamenti climatici rappresentano una sfida globale che richiede un rapido e ampio intervento da parte della comunità internazionale. Quest'ultima agisce fra l'altro nell'ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici («United Nations Framework Convention on Climate Change», UNFCCC). Entro la fine del 2009 occorrerà elaborare un accordo destinato a sostituire il Protocollo di Kyoto, che scadrà nel 2012.

I cambiamenti climatici, una priorità a livello internazionale Il rapporto Stern, il quarto rapporto di valutazione del Gruppo intergovernativo di esperti dei cambiamenti climatici e la Conferenza dell'ONU sullo stesso argomento, tenutasi a Bali nel dicembre 2007, hanno contribuito a porre questa problematica ai primi posti dell'agenda internazionale.

5562

­

Nell'ambito dei negoziati dell'ONU sul clima svoltisi a Bali sono state elaborate possibili opzioni per un nuovo regime globale in materia (suddivisione degli oneri delle misure di mitigazione, finanziamento delle misure di adattamento e trasferimento di tecnologie). Le decisioni prese dalla comunità internazionale e denominate «Bali Road Map» pongono le basi per un consenso globale a livello di politica climatica che dovrà essere approvato in occasione della Conferenza internazionale dell'ONU sul clima prevista per la fine del 2009 a Copenaghen.

­

L'UE ha stabilito e precisato la sua posizione in merito ai negoziati in corso approvando nel dicembre 2008 un pacchetto di misure in materia di energia e clima. Per il periodo 2013­2020 l'UE si prefigge di ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 20 per cento rispetto al livello del 1990. Questo obiettivo, valido per l'intera UE, sarà raggiunto mediante una riduzione delle emissioni da parte degli Stati membri e mediante l'acquisto di certificati di emissione negoziabili. Se i negoziati internazionali sul clima daranno risultati soddisfacenti per l'UE, quest'ultima intende non solo portare il proprio obiettivo di riduzione al 30 per cento, ma anche aumentare considerevolmente la quota di energie rinnovabili, che dovranno coprire il 20 per cento del fabbisogno energetico europeo entro il 2020. Infine, in questo periodo di tempo, anche l'efficienza energetica dovrà essere incrementata del 20 per cento.

­

Gli Stati Uniti sino a poco tempo fa erano i principali responsabili a livello mondiale delle emissioni di gas serra; tuttavia, dato che non avevano ratificato il Protocollo di Kyoto, non si erano impegnati a ridurre quantitativamente le loro emissioni. Il Governo americano sembra però intenzionato a seguire una politica climatica progressista analoga a quella perseguita da alcuni Stati federali della Costa orientale e occidentale, prefiggendosi una completa inversione della situazione per quanto riguarda le emissioni nazionali di gas serra.

­

I Paesi emergenti, durante i negoziati internazionali, si sono finora dimostrati molto reticenti a ridurre le proprie emissioni e hanno chiesto, d'intesa con il gruppo negoziale di tutti i Paesi in sviluppo, un ampio sostegno finanziario e tecnologico da parte dei Paesi industrializzati. Diversi Paesi emergenti hanno tuttavia già intrapreso, al loro livello, passi sostanziali per affrontare il problema dei cambiamenti climatici. Da menzionare è il caso del Sudafrica, che ha formulato precisi obiettivi per stabilizzare le proprie emissioni di gas serra entro il 2020­2025.

La posizione della Svizzera La Svizzera ha un particolare interesse a che sia condotta una lotta mirata e globale contro i cambiamenti climatici, un problema mondiale che richiede una risposta coordinata dell'intera comunità internazionale.

La politica svizzera è fondata sul principio, sancito nella Convenzione dell'ONU sul clima, della responsabilità collettiva ma differenziata di tutti gli Stati nella lotta contro i cambiamenti climatici. In tale contesto si ispira ­ in accordo con l'UE ­ all'obiettivo di evitare un riscaldamento globale superiore a 2 gradi Celsius, al fine di evitare per quanto possibile ripercussioni nefaste per l'ambiente. Questo obiettivo presuppone una massiccia riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.

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La Svizzera ritiene che un nuovo regime climatico globale debba includere una ripartizione equilibrata degli oneri. Questo significa che, oltre agli Stati industrializzati, anche i principali Paesi emergenti devono assumerne una parte. I Paesi in sviluppo più poveri, invece, non devono essere costretti a ridurre le loro emissioni.

In questo ambito la posizione della Svizzera è la seguente.

Riduzione delle emissioni La Svizzera ha ratificato il Protocollo di Kyoto nel 1997 impegnandosi a ridurre le emissioni di gas serra dell'8 per cento tra il 2008 e il 2012 rispetto al livello del 1990. Questo impegno internazionale, uno dei più ambiziosi rispetto agli altri Paesi, è stato incluso nella legge sul CO2 adottata nel 1999. Questa legge prevede misure volontarie per ridurre le emissioni, l'introduzione di una tassa nel caso in cui tali misure si rivelino insufficienti, l'applicazione dei meccanismi flessibili previsti dal Protocollo di Kyoto (mercato dei certificati d'emissione e progetti di mitigazione, in particolare nei Paesi in sviluppo), la promozione delle energie rinnovabili e il rafforzamento dell'efficacia energetica.

Grazie a una produzione di elettricità praticamente esente da emissioni di CO2 e alla pressoché totale assenza sul proprio territorio di industrie con emissioni elevate, la Svizzera presenta tassi di emissione pro capite relativamente modesti. Nel settore dei trasporti e dell'edilizia, tuttavia, il potenziale di riduzione delle emissioni è consistente ed è questa la via da seguire nell'impegno svizzero, immediato e futuro, a favore del clima. I piani d'azione per aumentare l'efficienza energetica e promuovere le energie rinnovabili, approvati dal Consiglio federale nel 2008, rafforzeranno ulteriormente il coordinamento fra politica climatica e politica energetica.

Per il periodo successivo al 2012 la Svizzera deve rinnovare gli impegni internazionali assunti per la riduzione delle emissioni nell'ambito dei negoziati multilaterali in corso. Nel contempo dovrà rivedere la legge nazionale sul CO2. I lavori preliminari sono stati avviati nel 2008 e la procedura di consultazione si è conclusa nel marzo 2009. Da un lato, si tratta dell'obiettivo di riduzione che la Svizzera dovrà raggiungere entro il 2020, e, dall'altro, dei mezzi di cui potrà disporre.

La risonanza internazionale
degli sforzi per migliorare la protezione del clima deve incitare la Svizzera ad apparire come un attore solidale. Ciò richiede, da un lato, l'adozione di misure interne, fine che il Consiglio federale intende raggiungere con i piani d'azione della politica energetica e con nuove proposte nell'ambito della revisione della legge sul CO2. Dall'altro, la Svizzera dovrà partecipare attivamente al trasferimento di capitali e di tecnologie a favore dei Paesi emergenti e in sviluppo, sia attraverso meccanismi di scambio dei diritti di emissione, sia mediante finanziamenti diretti tramite le misure bilaterali della cooperazione allo sviluppo o delle istituzioni finanziarie internazionali.

Nel caso delle compensazioni all'estero, la qualità dei certificati acquisiti è essenziale. Nel corso dei negoziati internazionali la Svizzera si impegna affinché, nell'ambito del Meccanismo di sviluppo pulito («Clean Development Mechanism», CDM, cfr. sotto), sia garantita la necessaria qualità e addizionalità dei progetti. Se questo obiettivo non viene raggiunto, la Svizzera si riserva il diritto di escludere categorie di progetti controversi.

5564

Adattamento ai cambiamenti climatici In materia di adattamento la Svizzera dispone delle competenze necessarie per gestire le ripercussioni dei cambiamenti climatici. La sfida reale per i Paesi industrializzati consiste nel sostegno che devono fornire ai Paesi più vulnerabili per fronteggiare queste ripercussioni. La loro vulnerabilità non è dovuta unicamente all'esposizione ai rischi climatici, bensì anche al fatto che non dispongono di mezzi sufficienti per affrontarli. Particolarmente difficile è la situazione dei Paesi meno sviluppati e dei piccoli Stati insulari, che non sono direttamente responsabili dei cambiamenti climatici visto il tasso molto ridotto delle loro emissioni di gas a effetto serra.

I costi dei necessari adattamenti a livello internazionale sono stimati in miliardi. La Svizzera si è tempestivamente inserita nei negoziati internazionali con una proposta per produrre i necessari mezzi finanziari; quest'ultima consiste nell'applicare una tassa globale sul CO2 (che non colpirà i Paesi in sviluppo più poveri) destinata a ricavare somme consistenti secondo il principio di causalità. Tutti gli Stati ne trarrebbero profitto, ma in particolare quelli in sviluppo più colpiti dai cambiamenti climatici. Anche altri Stati e gruppi di Stati hanno presentato proposte per trovare ulteriori fondi.

Cambiamenti climatici e cooperazione allo sviluppo La DSC ha fatto dei cambiamenti climatici una priorità di uno dei suoi nuovi programmi globali (cfr. n. 3.3.8.2). In diversi Paesi svolge specifici programmi in materia di clima e in alcuni di essi, come l'India, i problemi climatici rappresentano addirittura il tema prioritario della cooperazione bilaterale; in questi casi vengono incentivati il trasferimento di tecnologie e di sapere per incrementare l'efficienza energetica e la produzione sostenibile di energia. La Svizzera sostiene inoltre i Paesi in sviluppo nell'attuazione di concrete misure di adattamento.

Nell'ambito della cooperazione e dello sviluppo economici, la SECO aumenta i propri sforzi a favore della protezione del clima concentrandosi sulla promozione dell'efficienza energetica, delle energie rinnovabili e sul trasferimento di tecnologie.

Partecipa inoltre alla gestione sostenibile delle foreste tropicali e all'elaborazione di programmi di protezione del clima lanciati dalle
banche di sviluppo.

Cambiamenti climatici e migrazione In seguito al crescente riscaldamento del clima si può presumere che un numero crescente di persone sarà costretto ad abbandonare le proprie regioni d'origine a causa di mutamenti climatici progressivi (desertificazione dovuta all'evoluzione del regime delle precipitazioni) o repentini (uragani). È difficile fare previsioni sull'entità di queste migrazioni, tuttavia si può prevedere che la quota delle persone interessate aumenterà considerevolmente entro la metà di questo secolo.

A livello nazionale la Svizzera promuove un'azione globale e coordinata e sta elaborando un documento di posizione riguardante i mutamenti climatici e le migrazioni.

Inoltre, nel contesto più generale della posizione della Svizzera nei dibattiti sul clima, il nostro Paese pone l'accento sugli aspetti umanitari dei mutamenti climatici e sulla loro integrazione nella conduzione dei negoziati. La Svizzera è convinta che sia necessario accordare maggiore attenzione a questo tema nell'agenda internazionale.

5565

Integrazione internazionale del sistema svizzero di scambio delle quote di emissioni Il sistema svizzero di scambio delle quote di emissioni dev'essere integrato a livello internazionale per consentire agli attori svizzeri l'accesso a un mercato più ampio. A tale proposito il sistema approntato dall'Unione europea sembra particolarmente indicato. Si sono già svolti colloqui a livello tecnico fra Svizzera e UE in vista di una integrazione tra i due sistemi. Questi colloqui dovrebbero sfociare in una convenzione formale che consenta alle imprese svizzere di accedere al sistema di scambio di quote di emissioni dell'UE, garantendo in tal modo anche la negoziabilità delle quote svizzere sul mercato europeo (cfr. anche n. 3.2.2.1.4).

La via verso Copenaghen Necessità di un ampio regime climatico globale I negoziati sul clima dell'ONU, previsti per dicembre 2009 a Copenaghen, dovrebbero condurre a un regime climatico vincolante conformemente al diritto internazionale per il periodo successivo al 2012.

Secondo la Svizzera, il compito più urgente consisterà nell'indurre sia i Paesi industrializzati, inclusi gli Stati Uniti, sia i grandi Paesi emergenti a impegnarsi a raggiungere sostanziali obiettivi di riduzione o di stabilizzazione delle loro emissioni di gas a effetto serra. L'importanza del coinvolgimento dei Paesi emergenti è dimostrata dal fatto che da poco tempo la Cina, in termini assoluti, è diventata la principale responsabile delle emissioni di gas serra a livello mondiale. Anche l'India conosce un rapido sviluppo economico che la porterà a contribuire in modo determinante alle emissioni globali di CO2. Lo stesso vale per Paesi emergenti quali Brasile, Messico, Corea del Sud e Sudafrica. È pertanto evidente che si dovrà abbandonare la rigida separazione finora esistente nel regime climatico internazionale fra Paesi industrializzati con obiettivi di riduzione inderogabili e Paesi emergenti e in sviluppo senza condizioni vincolanti.

Nell'ambito dell'adattamento si tratta essenzialmente di trovare le risorse finanziarie che sono necessarie per gestire le ripercussioni dei cambiamenti climatici (cfr.

sopra).

Dal 2000 la Svizzera coordina un gruppo negoziale («Environmental Integrity Group», EIG), cui appartengono Liechtenstein, Messico, Principato di Monaco e Repubblica di Corea. Questo gruppo
consente alla Svizzera e ai suoi partner di svolgere un ruolo costruttivo nei negoziati in corso, facendo da tramite fra i Paesi industrializzati e i Paesi in sviluppo. L'EIG deve però prendere atto del fatto che i negoziati multilaterali sul clima condotti sotto gli auspici delle Nazioni Unite, pur essendo una piattaforma di discussione privilegiata, non sono più l'unica. Lo dimostrano chiaramente i vertici del G8, del G8+ che include alcuni Paesi emergenti, il «Major Economies Forum» (MEF) oppure le nuove iniziative della Banca mondiale.

Riforma del Meccanismo di sviluppo pulito (CDM) La riforma del Meccanismo di sviluppo pulito sarà decisiva per il successo dei negoziati sul clima. Il CDM prevede che i Paesi industrializzati sostengano finanziariamente progetti per ridurre le emissioni di CO2 nei Paesi in sviluppo, ricevendo in cambio certificati d'emissione conteggiabili nelle loro iniziative nazionali di riduzione delle emissioni. Questa iniziativa offre un considerevole potenziale di impulsi per lo sviluppo sostenibile nei Paesi in sviluppo, che potrà essere sfruttato al meglio mediante una promozione mirata del trasferimento di tecnologie innovative e rispet5566

tose dell'ambiente. Le imprese svizzere possono fornire un importante contributo in tal senso.

Attualmente sono ancora in corso discussioni per quantificare la quota massima di certificati di emissione acquistati all'estero che i Paesi industrializzati possono imputare ai loro impegni in materia di emissioni. Il principio di supplementarietà sancito nel Protocollo di Kyoto non prevede in merito prescrizioni quantificabili.

Secondo quanto inteso a livello internazionale, il principio di supplementarietà significa tuttavia che le riduzioni delle emissioni acquisite all'estero possono essere imputate unicamente quale complemento alle riduzioni che avvengono entro i propri confini, ossia che le principali riduzioni devono avvenire sul piano nazionale.

Finora soprattutto i Paesi emergenti hanno tratto profitto dai progetti CDM. I Paesi in sviluppo più poveri (particolarmente in Africa) non hanno praticamente potuto beneficiare del potenziale di promozione dello sviluppo sostenibile inerente a questi progetti. Inoltre, talune categorie di progetti quali le grandi centrali idroelettriche o l'estrazione di metano da miniere di carbone, pur contribuendo alla riduzione del CO2, non sempre soddisfano altri criteri per uno sviluppo sostenibile. È particolarmente importante risolvere questi problemi, oggetto di negoziati internazionali, per migliorare il CDM.

La protezione del clima, un vantaggio per l'economia La comunità internazionale deve fare tutto il possibile affinché la Conferenza sul clima di Copenaghen, in programma per la fine del 2009, sia un successo. Non è però escluso che l'attuale crisi economica comprometta la rapida conclusione di un accordo internazionale efficace sul clima. Data l'insicurezza che regna attualmente in merito a una probabile lunga fase di recessione, si sono levate numerose voci per chiedere che misure incisive in materia climatica vengano applicate unicamente se non comportano conseguenze negative per l'economia. La consapevolezza che un impegno forte e sostenibile nel settore del clima e delle energie rinnovabili può contribuire considerevolmente alla crescita economica e a creare posti di lavoro deve imporsi con maggior forza.

3.3.3

Politica estera in materia energetica

Sfide nel settore energetico Come la maggior parte degli altri Stati, la Svizzera deve affrontare grandi sfide nel settore energetico. La crescente domanda di energia, la forte dipendenza dalle importazioni, le limitate risorse mondiali di vettori energetici fossili, la necessità di diversificare le fonti energetiche e i canali di rifornimento nonché i cambiamenti climatici imputabili alle emissioni di gas a effetto serra richiedono un regolare riesame dell'orientamento strategico della politica energetica del nostro Paese.

Non è opportuno affrontare queste sfide unicamente dal profilo energetico poiché esse toccano interessi fondamentali della Svizzera che vanno oltre le questioni puramente tecniche. L'interdipendenza mondiale richiede un approccio politico coerente e globale e soluzioni coordinate, sia in Svizzera che a livello internazionale.

Per tale ragione il Consiglio federale nel febbraio 2008 ha adottato una strategia di politica estera in materia energetica della Svizzera (vedi di seguito).

5567

Secondo le previsioni dell'Agenzia internazionale per l'energia (AIE), il fabbisogno mondiale di energia aumenterà di oltre il 50 per cento entro il 2030. Questo incremento del fabbisogno è provocato essenzialmente dai Paesi emergenti (soprattutto Cina e India) e dai Paesi in sviluppo, ma anche dall'America del Nord. Secondo l'AIE, anche in futuro i vettori energetici fossili (petrolio, carbone e gas naturale) copriranno circa l'80 per cento del fabbisogno energetico mondiale. Nonostante una forte crescita, le nuove energie rinnovabili quali la biomassa e l'energia solare ed eolica contribuiranno soltanto parzialmente a placare la domanda energetica mondiale.

L'UE negli ultimi anni ha istituito un mercato interno dell'elettricità e del gas.

Inoltre, all'inizio del 2007, ha adottato un piano d'azione che prevede l'incremento della sicurezza dell'approvvigionamento, il rafforzamento della competitività e la costituzione di un sistema energetico sostenibile. L'istituzione della Comunità dell'energia ha permesso all'UE di estendere il proprio mercato interno energetico anche a Paesi dell'Europa sudorientale. Fra la Svizzera e l'UE vi sono diversi accordi nel settore energetico ma finora non è stato concluso un accordo specifico sull'energia.

Diverse fonti energetiche La Svizzera copre il 55 per cento del proprio consumo lordo di energia con vettori energetici fossili (ca. il 45 % per il petrolio e il 10 % per il gas naturale) e il 25 per cento con combustibile nucleare. Il rimanente 20 per cento è costituito da fonti energetiche locali, provenienti per la metà dalle forze idriche e, per l'altra metà, da combustibili solidi (rifiuti e legno) nonché da altre energie rinnovabili. Questa struttura di approvvigionamento energetico dev'essere considerata anche tenendo conto dei punti riportati qui di seguito.

Petrolio Le risorse di petrolio disponibili e quelle stimate dovrebbero essere sufficienti per coprire il fabbisogno sino al 2030. La loro concentrazione geografica può influire non soltanto sulle possibili perturbazioni nella fornitura, ma anche sul livello e la volatilità dei prezzi.

Gas Secondo le stime, le riserve di gas naturale attualmente conosciute sono sufficienti ancora per circa 60 anni. Il gas dev'essere trasportato attraverso costosi gasdotti oppure come gas liquefatto, prodotto in
dispendiosi impianti di trasformazione. Per realizzare le infrastrutture necessarie al trasporto transfrontaliero del gas devono essere stipulati accordi internazionali. In Eurasia il gas naturale deve spesso transitare attraverso Stati terzi prima di giungere agli utenti finali. Diversi esempi recenti mostrano l'importanza di questi Paesi di transito.

Energia nucleare Per motivi di politica climatica e di tecnica d'approvvigionamento, numerosi Paesi stanno rivalutando l'energia nucleare. I giacimenti di uranio conosciuti sono ancora sufficienti per circa 70 anni; la domanda di combustibile potrebbe però essere coperta ancora per diversi secoli grazie ai giacimenti non ancora sfruttati e alle nuove tecnologie di ritrattamento.

5568

Energie rinnovabili Mentre l'approvvigionamento di energie fossili dipende essenzialmente dalla cooperazione internazionale, la promozione delle energie rinnovabili è soprattutto compito della politica energetica nazionale. Ogni Stato sviluppa le proprie energie rinnovabili in funzione delle risorse di cui dispone (sole, vento, acqua ecc.). Per migliorare le basi legali per simili energie, per il relativo finanziamento e per il trasferimento delle tecnologie, accanto alle misure prese dai singoli Stati, è necessario intensificare la cooperazione internazionale. Organizzazioni quali l'Agenzia internazionale per l'energia (AIE), il Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (PNUA) e la Banca mondiale si impegnano a favore di questa cooperazione. Il 26 gennaio 2009, a Bonn, è stata costituita una nuova organizzazione internazionale, l'Agenzia internazionale per le energie rinnovabili («International Renewable Energy Agency», IRENA), il cui obiettivo principale è quello di promuovere su vasta scala le energie rinnovabili. La comunità internazionale, con la costituzione di questa agenzia, ha nuovamente sottolineato il ruolo sempre più importante che svolgeranno in futuro le energie rinnovabili. Il 27 maggio 2009, a Berlino, la Svizzera ha firmato gli statuti dell'Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (IRENA) con riserva della ratifica da parte dell'Assemblea federale.

Strategia di politica estera in materia energetica Il 21 febbraio 2008 il Consiglio federale ha adottato una strategia per una politica estera in materia energetica della Svizzera, che verrà attuata dal DATEC, dal DFAE e dal DFE sotto la direzione dell'Ufficio federale dell'energia. Questa strategia persegue tre obiettivi principali: 1)

garantire le importazioni di energia (sicurezza dell'approvvigionamento energetico);

2)

garantire la competitività del mercato energetico (redditività);

3)

promuovere un'utilizzazione dell'energia efficiente e rispettosa del clima (sostenibilità ambientale).

Con il terzo obiettivo s'intende anche promuovere la produzione e il consumo sostenibili di energia nei Paesi emergenti e in sviluppo.

Il Consiglio federale attua pertanto una politica estera in materia energetica profilata e impegnata. Esso intende partecipare all'elaborazione di decisioni internazionali concernenti l'energia (in particolare nell'ambito dell'AIE, dell'AIEA e della Carta dell'energia), garantire l'approvvigionamento a lungo termine con vettori energetici fossili come petrolio e gas naturale mediante la cooperazione internazionale (istituendo dialoghi energetici con determinati Paesi produttori e di transito e con i Paesi limitrofi della Svizzera) e rafforzare la posizione della Svizzera come piattaforma al centro della rete elettrica europea (negoziati con l'UE).

Prospettive e misure future L'energia svolge un ruolo importante nella politica estera svizzera. Pertanto, il Consiglio federale ha deciso di concentrare le sue attività sui seguenti settori.

Dialoghi energetici con i Paesi limitrofi I Paesi limitrofi della Svizzera sono importanti per il suo approvvigionamento energetico, dato che gran parte dell'energia utilizzata in Svizzera (gas, petrolio, 5569

elettricità) transita sul loro territorio. La Svizzera è però anche Paese di transito per vettori energetici fossili destinati ai suoi vicini e pertanto è generalmente interessata a un'estesa cooperazione. A tale scopo mantiene contatti permanenti con i Paesi limitrofi nei settori dell'elettricità e del gas, del trasporto e del commercio di energia, della promozione delle energie rinnovabili, dell'efficienza energetica e della ricerca. Ha l'intenzione di rafforzare ulteriormente tali contatti mediante regolari dialoghi in materia energetica.

Negoziati con l'UE Negli ultimi anni l'UE ha costituito un mercato interno dell'energia che comprende sia la liberalizzazione dei mercati del gas e dell'elettricità, sia la promozione delle energie rinnovabili e del consumo energetico efficace. Vista l'interconnessione dei mercati e la crescente armonizzazione delle politiche energetiche, la Svizzera è direttamente coinvolta nell'evoluzione del settore energetico in Europa ed è pertanto particolarmente interessata a coordinare il mercato energetico svizzero con quello europeo. Un primo importante passo in questa direzione consiste dunque nel negoziare un accordo sull'energia elettrica fra la Svizzera e l'UE, vertente su temi quali il transito dell'elettricità, le norme di sicurezza nel trasporto di elettricità, il reciproco riconoscimento dei certificati d'origine per l'elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili e l'accesso reciproco al mercato (cfr. n. 3.2.2.1.4). A medio termine un bisogno di armonizzazione potrebbe delinearsi anche in altri settori energetici, ad esempio in quello del gas. Inoltre, la Svizzera intende partecipare maggiormente, come osservatrice, ai diversi forum e organismi di politica energetica dell'UE, al fine di seguire da vicino l'evoluzione futura del mercato europeo dell'energia.

Cooperazione con Paesi terzi selezionati Incombe principalmente al settore energetico privato garantire la sicurezza dell'approvvigionamento della Svizzera. Con la sua politica energetica estera il nostro Paese intende tuttavia fornire un contributo attivo per conseguire questo scopo. Vuole pertanto condurre colloqui su temi energetici e, all'occorrenza, sviluppare partenariati energetici con Stati terzi selezionati che producono o fanno transitare vettori energetici fossili oppure che si impegnano
a promuovere le energie rinnovabili, l'efficienza energetica o la ricerca in questi settori. La Svizzera guarda in particolare all'Azerbaigian, alla Turchia, alla Russia, all'Algeria e agli Emirati Arabi Uniti.

La Svizzera partecipa agli sforzi in vista di una diversificazione delle forniture di gas naturale in Europa (quarto corridoio), sostenendo ufficialmente il progetto del gasdotto transadriatico («Transadriatic Pipeline»,TAP) della società svizzera EGL («Elektrizitätsgesellschaft Laufenburg») e della ditta svedese StatoilHydro. Questo progetto, d'importanza strategica per la Svizzera, accrescerà la sicurezza dell'approvvigionamento a lungo termine in Europa e, di conseguenza, in Svizzera.

A partire dal 2015-2016 dovrebbe permettere di trasportare gas dalla regione del Caucaso e del Medio Oriente all'Italia, passando attraverso Turchia, Grecia e Albania (cfr. anche n. 3.2.5.3).

Il recente conflitto del gas e le sue gravi conseguenze per alcuni Paesi dell'Europa orientale hanno nuovamente dimostrato l'importanza fondamentale di una diversificazione più ampia possibile dell'approvvigionamento energetico (pluralità delle fonti energetiche e delle vie di trasporto). Questa diversificazione costituisce fra l'altro un pilastro della politica energetica estera della Svizzera. Per contribuire a 5570

realizzarla, occorre ­ come mostra anche il progetto TAP ­ un'attività diplomatica mirata sia a livello tecnico che a livello politico. In questo settore le nostre ambasciate sono regolarmente sollecitate e forniscono un sostegno politico sostanziale.

Proprio per questo motivo, nel 2008 è stata aperta un'ambasciata svizzera nella capitale dell'Azerbaigian, Baku.

La nostra politica energetica estera non deve concentrarsi unicamente sui mercati.

Ogni questione politica può avere la sua importanza ed è necessario negoziare adottando un approccio globale per coordinare e difendere nel modo migliore i nostri interessi.

Concentrazione delle attività multilaterali Diverse organizzazioni internazionali si occupano di questioni energetiche. La Svizzera si impegna affinché l'AIE, la cui sede è a Parigi, l'AIEA, con sede a Vienna, e la Carta dell'energia, la cui segreteria è stabilita a Bruxelles, rimangano istituzioni multilaterali essenziali in materia di energia e il loro ruolo venga ulteriormente rafforzato. È nell'interesse della Svizzera che la politica energetica globale possa essere concepita da organismi multilaterali: queste istanze permettono infatti al nostro Paese di intervenire anche in questioni energetiche di portata geopolitica.

Cooperazione allo sviluppo e energia In futuro, la cooperazione allo sviluppo svizzera dovrà tenere maggiormente conto delle questioni energetiche. Essa intende contribuire, nell'ambito dei programmi multilaterali delle banche di sviluppo e dei progetti bilaterali, affinché i Paesi emergenti e in sviluppo utilizzino più efficacemente l'energia, ricorrano maggiormente alle energie rinnovabili e sostituiscano gli impianti di produzione energetica dannosi per il clima con impianti rispettosi dell'ambiente.

3.3.4

Politica estera in materia sanitaria

Nuovo significato della politica estera in materia sanitaria Negli ultimi dieci anni il tema della salute ha assunto una considerevole importanza a livello internazionale. Il suo ruolo, in particolare in relazione allo sviluppo, alla stabilità e al benessere di un Paese, è oggi universalmente riconosciuto. I cambiamenti indotti dalla globalizzazione impongono di rafforzare la cooperazione internazionale e conferiscono alla salute un carattere di bene pubblico. Le esperienze acquisite con l'epidemia della SARS o i preparativi in vista di una pandemia d'influenza mostrano che, in considerazione delle interazioni sociali ed economiche transfrontaliere, è necessario un approccio coordinato a livello internazionale per gestire sfide di tale natura.

Le questioni sanitarie non sono pertanto più affrontate unicamente sotto il profilo tecnico e all'interno dei confini nazionali; il loro esame e la ricerca di soluzioni richiedono sempre più un approccio interdisciplinare e internazionale. Questa evoluzione si rispecchia in modo esemplare nella risoluzione dell'Assemblea generale dell'ONU del settembre 2008, la quale stipula che la salute, intesa come bene pubblico globale, dev'essere una priorità in materia di politica estera per tutti i suoi Stati membri. Altre iniziative, ad esempio la Dichiarazione di Oslo (firmata da sette 5571

Paesi32 di tutti i continenti e che sottolinea l'importanza della salute per la politica estera) hanno lo stesso obiettivo.

Sull'esempio della società, caratterizzata da una crescente interdipendenza che impone la ricerca di soluzioni interdisciplinari e coordinate, la situazione sul fronte sanitario si complica a causa dei molti attori coinvolti. Oltre all'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), che rimane la piattaforma centrale e l'agenzia normativa per le questioni internazionali in materia di salute, sono state fondate numerose nuove istituzioni statali, private o miste. Incentrate essenzialmente, per quanto riguarda il contenuto, sulla realizzazione degli Obiettivi di sviluppo del Millennio, grazie alla loro potenza finanziaria spesso considerevole hanno rapidamente acquisito influenza sulla scena internazionale (Fondazione Bill e Melinda Gates, Fondo globale per la lotta contro l'AIDS, la tubercolosi e la malaria ecc.). L'architettura globale nel settore della sanità è diventata più complessa e la governanza a livello mondiale più ardua.

Misure decise nel 2008 e sfide future L'importanza crescente del settore sanitario porta con sé nuove sfide e nuove opportunità per la politica estera svizzera. Se finora gli interessi legati a questo tema sono stati perseguiti in modo indiretto nell'ambito della politica estera ed essenzialmente percepiti come compito settoriale della politica sanitaria e di sviluppo, l'interdipendenza mondiale impone ormai un approccio politico globale e coerente, nonché soluzioni coordinate a livello nazionale e internazionale. Si tratta pertanto di riunire in un unico quadro i vari aspetti politici coinvolti.

A tale scopo il DFAE e il DFI hanno stipulato nell'ottobre 2006 l'Accordo sugli obiettivi relativo alla politica estera in materia di sanità («Accordo sugli obiettivi»), che costituisce la base amministrativa interna della politica estera svizzera in materia sanitaria. Visto il positivo bilancio intermedio tratto dai principali attori, è stato deciso di prorogare l'Accordo sugli obiettivi sino alla fine del 2009, allo scopo di proseguire anche oltre questa data la stretta collaborazione instaurata.

Negoziati con l'UE Sia la Svizzera che l'UE intendono intensificare la collaborazione nel settore della sanità (cfr. n. 3.2.2.1.4). Fra i punti chiave di un
possibile accordo in materia sanitaria fra la Svizzera e l'UE citiamo la lotta contro le malattie trasmissibili, le questioni generali in materia sanitaria, la sicurezza alimentare e la sicurezza globale dei prodotti. Per la Svizzera i temi principali dell'accordo riguardano la partecipazione a due agenzie europee (il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie e l'Autorità europea per la sicurezza alimentare), l'integrazione a tre sistemi di allarme rapido e precoce e la partecipazione al programma dell'UE in materia di salute pubblica.

Cooperazione e coordinamento globali La Svizzera attribuisce grande importanza al tema della salute mondiale e al relativo coordinamento. Nel 2008 è stato pertanto avviato un processo di consultazione interno finalizzato a migliorare la governanza globale in materia sanitaria e a definire le modalità dell'impegno svizzero al riguardo.

32

Brasile, Francia, Indonesia, Norvegia, Senegal, Sudafrica e Thailandia.

5572

La Svizzera partecipa attivamente ai lavori dell'OMS, che considera come l'agenzia chiave e la piattaforma internazionale più importante per le questioni sanitarie. Nel 2008 si è pertanto impegnata in seno ai diversi organi e nei negoziati dell'OMS.

Nel maggio 2008, dopo intensi negoziati nei quali la Svizzera ha svolto un ruolo determinante, l'Assemblea mondiale della sanità ha approvato una strategia globale e un piano d'azione in materia di salute pubblica, innovazione e proprietà intellettuale, conformemente al rapporto della Commissione sui diritti della proprietà intellettuale, l'innovazione e la sanità pubblica presieduta dall'ex consigliera federale Ruth Dreifuss. La Svizzera intende impegnarsi per applicare questa strategia il più rapidamente possibile a livello nazionale e internazionale, provvedendo ad appianare le divergenze in seno all'Amministrazione federale, in particolare per quanto riguarda l'accesso ai medicamenti. I negoziati intergovernativi avviati nel 2007 a proposito dello scambio di virus influenzali e dell'accesso ai vaccini sono stati portati avanti con successo grazie all'attiva partecipazione svizzera.

Nell'ottobre 2008 ha potuto essere avviato un dialogo, posto sotto l'egida dell'OMS e dell'OCSE e sostenuto finanziariamente dalla Svizzera, sul problema della migrazione dei professionisti della salute, in particolare in preparazione dell'elaborazione di un codice di comportamento dell'OMS sul reclutamento del personale sanitario.

Nell'ambito dell'OMS la Svizzera continuerà a operare a favore dell'attuazione consensuale delle priorità dell'Organizzazione. Oltre alle questioni di fondo relative a temi attuali quali il sovrappeso, i preparativi in vista di una pandemia o l'accesso ai medicamenti, il nostro Paese si concentrerà sul coinvolgimento dell'OMS nella riforma dell'ONU per quanto riguarda la sua attività sul terreno (ONE-UN) e sulla questione del ruolo dell'Organizzazione, nel lungo termine, in relazione alla molteplicità degli attori multidisciplinari nel settore sanitario.

Nel 2008 la Svizzera ha difeso posizioni interdipartimentali consolidate anche in altri organi multilaterali attivi nel settore della salute, come il Programma comune delle Nazioni Unite sull'HIV/AIDS (UNAIDS), e continuerà a farlo anche in futuro.

Il rafforzamento del ruolo di Ginevra
quale centro internazionale di competenze per le questioni globali legate alla salute è e rimane una delle priorità della Svizzera.

Oltre al suo ruolo di Stato sede dell'OMS, la Ginevra internazionale ha un notevole interesse ad adeguarsi alle nuove realtà derivanti dal moltiplicarsi degli attori nel settore sanitario. Il progetto «Campus Santé», ad esempio, è destinato a migliorare le sinergie in termini di competenze e di spazi fra l'OMS, UNAIDS e il Fondo globale per la lotta contro l'AIDS, la tubercolosi e la malaria (GFATM). Grazie a un accordo di sede fra la Svizzera e l'Alleanza mondiale per i vaccini e la vaccinazione (GAVI), il Campus Santé e pertanto Ginevra nel suo ruolo di «capitale internazionale della salute» consolideranno la loro posizione. L'Istituto di alti studi internazionali e dello sviluppo (IHEID), con il suo settore specializzato nella sanità, organizza numerose manifestazioni su questo tema (Global Health Programme, Summer Course on Global Health and Diplomacy ecc.) e contribuisce così, in ambito accademico, a rafforzare la reputazione di Ginevra come centro di competenze in materia sanitaria.

Sanità e sviluppo Il tema della salute costituisce una sfida notevole sotto il profilo della politica di sviluppo. Tre degli otto Obiettivi di sviluppo del Millennio approvati nel 2000 da tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite riguardano la sanità in quanto tale (Obiet5573

tivo 4: ridurre la mortalità infantile; Obiettivo 5: migliorare la salute materna; Obiettivo 6: combattere l'HIV/AIDS, la malaria e altre malattie trasmissibili), e almeno altri tre obiettivi mirano indirettamente a migliorare la salute delle popolazioni più povere del pianeta. Nel contempo, è stato accertato che occorrerà accrescere gli investimenti per permettere all'Africa subsahariana di conseguire gli Obiettivi del Millennio. I messaggi concernenti l'aiuto allo sviluppo con i Paesi del Sud, la cooperazione con l'Europa orientale e l'aiuto umanitario affrontano questa e altre sfide, mentre la DSC ne tiene conto nell'ambito della propria riorganizzazione consolidando le proprie strutture interne. In termini di contenuto, occorre rafforzare le sinergie fra le misure bilaterali nei Paesi prioritari e le cooperazioni multilaterali (OMS, UNAIDS, GFATM ecc.) grazie all'integrazione mirata delle esperienze e delle realtà specifiche di ogni Paese. Conformemente alla ripartizione dei compiti convenuta con gli altri Paesi donatori, in questo settore la DSC mantiene il suo orientamento incentrato sul consolidamento del sistema sanitario, sulla lotta contro le malattie trasmissibili che colpiscono le popolazioni più sfavorite e sul miglioramento della salute riproduttiva. I principi della cooperazione sanciti dalla Dichiarazione di Parigi sull'efficacia degli aiuti aprono nuove possibilità molto promettenti per la DSC di influire sul dialogo politico. Temi quali l'accesso più equo alle prestazioni sanitarie assumono una nuova dimensione, mentre nel settore delle malattie trasmissibili i partenariati con l'economia privata rappresentano una soluzione sempre più apprezzata (p. es. «Swiss Malaria Group»).

3.3.5

Politica del disarmo e di non proliferazione

3.3.5.1

Contesto

Il disarmo mondiale e la prevenzione della proliferazione di ogni tipo di armi e di munizioni porranno la Svizzera davanti a notevoli sfide anche negli anni a venire33.

Sotto il profilo della sicurezza, la comunità internazionale si trova oggi in una situazione politicamente complessa. Se è vero che gli Stati Uniti conservano sotto molti aspetti la posizione egemonica acquisita con il crollo dell'Unione Sovietica, appare ora chiaro ­ e gli attentati dell'11 settembre 2001 lo hanno confermato ­ che non si può parlare di un sistema unipolare stabile. È nato un nuovo contesto geopolitico (cfr. n. 2), in seno al quale numerosi attori cercano di conseguire i loro obiettivi a diversi livelli. Da un lato, un numero sempre maggiore di Stati rivendica un ruolo di potenza regionale o mondiale, ambizione che questi Stati sottolineano per esempio rafforzando i loro arsenali; d'altro lato, attori non statali contestano allo Stato il monopolio della forza. In un simile contesto mondiale, il rischio di proliferazione di armi di distruzione di massa aumenta. Nello stesso tempo, lo stallo in cui continuano a trovarsi i negoziati multilaterali, soprattutto per quanto concerne le armi di distruzione di massa, rimette in discussione il futuro della struttura internazionale di disarmo e di non proliferazione.

Per rispondere a queste sfide, la Svizzera deve proseguire la sua politica attiva di disarmo e di non proliferazione fondata su un approccio pragmatico e realista. Solo così può salvaguardare i propri interessi e reagire in modo appropriato agli sviluppi politici attuali. In questo settore, la politica della Svizzera si allinea ai principi della 33

Cfr. anche il rapporto del 10 settembre 2008 del Consiglio federale sulla politica di controllo degli armamenti e di disarmo della Svizzera 2008, FF 2008 6981.

5574

sua politica estera definiti nell'articolo 54 della Costituzione. Esiste per esempio un legame diretto tra la coesistenza pacifica dei popoli menzionata nell'articolo 54 e la sua politica attiva di controllo degli armamenti e di disarmo. Quest'ultima coincide inoltre con il suo ruolo e i suoi interessi di Stato permanentemente neutrale, poiché gli sforzi della Svizzera in materia di riduzione mondiale degli arsenali aumentano la sicurezza del Paese. Dato che lo statuto di neutralità le vieta di far parte di qualsiasi alleanza militare o di difesa e che di conseguenza deve garantire autonomamente la propria sicurezza, la Svizzera ha un interesse particolare a operare attivamente per il controllo degli armamenti e per il disarmo in modo da preservare la pace internazionale.

3.3.5.2

Priorità della Svizzera

Queste considerazioni hanno indotto la Svizzera a stabilire tre priorità nel campo del disarmo e della non proliferazione: 1)

consolidamento dei trattati internazionali;

2)

disarmo e prevenzione della proliferazione delle armi di distruzione di massa;

3)

disarmo e prevenzione della proliferazione delle armi e munizioni convenzionali.

Consolidamento dei trattati internazionali Un diritto internazionale saldo e attuabile migliora la sicurezza della Svizzera. Per questo motivo essa aderisce di principio a tutti gli accordi internazionali che le sono accessibili nel settore del controllo degli armamenti, del disarmo e della non proliferazione ­ eccezione fatta per l'accordo «Cieli aperti» del 2002, al quale non ha aderito per ragioni finanziarie. Per rispondere agli imperativi di trasparenza e di fiducia, secondo la Svizzera è molto importante che questi strumenti internazionali siano per quanto possibile non discriminatori, abbiano forza cogente di diritto internazionale e siano pertanto dotati di meccanismi di verifica. Quest'ultimo punto non è sempre osservato dappertutto e pertanto la Svizzera prosegue gli sforzi volti a consolidare i trattati in vigore sul piano istituzionale e a garantirne l'attuazione.

Inoltre partecipa agli sforzi intesi ad aumentare il numero di Stati parte alle diverse convenzioni sul disarmo e la non proliferazione ed infine favorisce i trattati universali rispetto alle intese tra gruppi di Stati.

Disarmo e prevenzione della proliferazione delle armi di distruzione di massa La seconda priorità della Svizzera è l'eliminazione totale di tutte le armi di distruzione di massa e la prevenzione della loro proliferazione e di quella dei loro vettori.

La Svizzera considera indissociabili questi due aspetti. La mancanza di progressi, soprattutto nei confronti delle armi nucleari e biologiche, sminuisce sempre più la rilevanza degli strumenti che le concernono.

Il controllo delle esportazioni è un utile strumento di prevenzione della proliferazione delle armi di distruzione di massa. Sul piano internazionale esistono tre regimi, ognuno dei quali raccoglie una quarantina di Paesi: il Gruppo dei fornitori nucleari («Nuclear Suppliers Group», NSG) nel settore nucleare, il Regime di controllo delle tecnologie missilistiche (RCTM) in quello dei vettori e il Gruppo d'Australia (GA) 5575

per quanto concerne i beni chimici e biologici. Essi si occupano delle esportazioni di beni a duplice impiego che possono entrare nella fabbricazione di armi di distruzione di massa. Vi è inoltre un quarto regime relativo agli armamenti convenzionali: l'Accordo di Wassenaar. La Svizzera è membro di tutti quattro i regimi e si impegna a riprenderne le direttive e gli elenchi di beni nella sua legislazione nazionale.

Armi nucleari La questione nucleare ha recentemente riacquistato importanza. La deroga accordata dal Gruppo dei Paesi fornitori nucleari su richiesta degli Stati Uniti riguardo alla cooperazione nucleare con l'India ha rimesso fondamentalmente in discussione il futuro della struttura internazionale di non proliferazione. L'Iran continua ad arricchire uranio e i dubbi sul carattere civile del suo programma nucleare non sono stati fugati. La Svizzera applica le Risoluzioni 1737, 1747 e 1803 con le quali il Consiglio di sicurezza ha predisposto sanzioni nei confronti dell'Iran34, nonché la Risoluzione 1718 che impone sanzioni alla Corea del Nord in seguito al suo esperimento nucleare del 2006.

Questi sviluppi intervengono in un contesto segnato dal fallimento della Conferenza di revisione del 2005 del Trattato di non proliferazione nucleare (TNP). Per questa ragione la Svizzera si adopera per rafforzare gli aspetti multilaterali del regime di non proliferazione nucleare e sostiene gli sforzi dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA) per contrastare la proliferazione nucleare. Il dibattito verte in particolare sulla multilateralizzazione del ciclo del combustibile nucleare. La Svizzera approfitta del fatto di far attualmente parte del Consiglio dei governatori dell'AIEA per favorire progressi in questo campo. Nella prospettiva della Conferenza di revisione del TNP prevista per il 2010, cercherà inoltre di ottenere una ponderazione equilibrata tra il disarmo, la non proliferazione e l'utilizzazione pacifica dell'energia nucleare. Si adopererà affinché gli Stati parte presenti alla Conferenza raggiungano un'intesa su un documento finale di massima.

Per contribuire al rafforzamento della struttura multilaterale di disarmo e di non proliferazione nucleari, la Svizzera ha presentato nel 2007 e 2008, insieme con altri cinque Stati, una risoluzione all'Assemblea generale delle
Nazioni Unite, nella quale si chiede la riduzione del livello d'allarme delle armi nucleari35. La questione del «de-alerting» viene attualmente approfondita in seguito a uno studio commissionato dalla Svizzera e il suo esame verrà proseguito a medio termine.

La Svizzera prevede di intensificare ulteriormente negli anni a venire il suo impegno nel settore del disarmo nucleare. In particolare intende offrire i suoi buoni uffici per i negoziati sul disarmo e operare a favore del divieto di utilizzo delle armi nucleari36 e della trasparenza degli arsenali nucleari. La Svizzera si trova infatti in una buona posizione per svolgere un ruolo più attivo in questi ambiti: tradizionalmente neutrale e non appartenente a nessuna alleanza militare, gode di una grande credibilità e di 34 35

36

L'impegno della Svizzera in merito al programma nucleare iraniano è trattato nel n. 3.3.6 (promozione della pace).

Risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite A/RES/63/41, «Decreasing the operational readiness of nuclear weapons systems» (Riduzione del livello di disponibilità operativa dei sistemi di armi nucleari).

La dottrina e la giurisprudenza lasciano ancora aperta la questione se il diritto internazionale vieti o meno l'utilizzo di armi nucleari, sebbene tanto l'utilizzo quanto la minaccia di utilizzo di tali armi siano aspetti controversi sotto il profilo del diritto internazionale bellico.

5576

una solida autonomia d'azione per quanto riguarda il disarmo e la non proliferazione. Intrattiene buone relazioni con tutte le potenze nucleari, ha partecipato con successo alla concezione del processo internazionale di disarmo convenzionale e chimico e possiede una lunga tradizione di buoni uffici. Potrà dunque difendere questa causa senza essere accusata di avere intenzioni non dichiarate.

Armi chimiche La Svizzera intende mantenere il suo impegno di lunga data nel disarmo e nella non proliferazione delle armi chimiche. La Convenzione sulle armi chimiche (CAC) è di grande importanza perché è il solo trattato che prevede il divieto e la distruzione di un'intera categoria di armi di distruzione di massa e che possiede un meccanismo di verifica funzionante. Essa impone la distruzione di tutti gli stock entro il 2012, il che rappresenta la più grande e immediata sfida posta agli Stati parte. È ancora dubbio se gli Stati Uniti e la Russia, che possiedono i più grandi arsenali di armi chimiche, riusciranno a rispettare questo termine. Una delle priorità della Svizzera al riguardo verte sul rafforzamento del sistema di verifica, in particolare nel settore delle ispezioni delle installazioni chimiche industriali. Oltre a formare ispettori, la Svizzera si adopera per l'applicazione dell'articolo X della Convenzione, che definisce le regole di cooperazione e assistenza internazionali in caso di utilizzo o minaccia di utilizzo di armi chimiche. Un'altra delle priorità consiste nell'ottenere, usando mezzi diplomatici e scientifici, che nella CAC siano integrate di continuo le nuove scoperte della ricerca chimica. Secondo la Svizzera, questo è l'unico modo per far sì che la CAC rimanga pertinente e adempia le sue funzioni in termini di sicurezza e di non proliferazione. Una volta eliminati tutti gli stock di armi chimiche, occorrerà ridefinire la CAC. È nell'interesse della Svizzera che la Convenzione resti uno strumento incentrato sulla non proliferazione e non sia convertita in un semplice strumento di aiuto allo sviluppo e di trasferimento di conoscenze.

Armi biologiche Contrariamente alla Convenzione sulle armi chimiche, la Convenzione sull'interdizione della messa a punto, produzione e immagazzinamento delle armi batteriologiche (biologiche) e tossiniche e sulla loro distruzione («Biological and Toxin
Weapons Convention», BTWC) non possiede un meccanismo di verifica ­ il che la rende più fragile, soprattutto in considerazione dei progressi rapidissimi delle biotecnologie e della tecnica genetica. Non sembra realistico per il momento prevedere la ripresa dei negoziati su un simile meccanismo, interrotti nel 2001. La Svizzera rimane nondimeno favorevole all'istituzione di uno strumento di verifica degli obblighi enunciati nella BTWC. Desiderosi di ovviare alla mancanza di un sistema di verifica, gli Stati parte hanno convenuto misure di fiducia che autorizzano scambi d'informazioni in materia. La Svizzera partecipa attivamente alle discussioni per intensificare le misure volte a rafforzare la fiducia in vista della conferenza di revisione prevista nel 2011.

Disarmo e prevenzione della proliferazione di armi e munizioni convenzionali Nel settore delle armi convenzionali, uno dei principali obiettivi della Svizzera è quello di lottare contro il commercio illecito delle armi leggere e di piccolo calibro allo scopo di migliorare la sicurezza umana. Si vuole anche aumentare la trasparenza e ridurre gli arsenali, preservando nel contempo la stabilità e la sicurezza.

5577

Armi leggere e di piccolo calibro La Svizzera ha mantenuto il suo importante impegno in materia di lotta contro la proliferazione delle armi leggere e di piccolo calibro37. In seno alle Nazioni Unite, ha contribuito a sbloccare, nel luglio 2008, i negoziati riguardanti l'attuazione, sotto tutti gli aspetti, del programma d'azione volto a prevenire, combattere ed eliminare il commercio illecito di armi leggere e di piccolo calibro, assumendo un ruolo di facilitatrice in occasione della terza conferenza biennale degli Stati. La ricerca attiva di risposte alla problematica posta dal flagello delle armi leggere e di piccolo calibro rimarrà al centro degli sforzi della Svizzera nel settore della promozione della pace e del controllo degli armamenti, sia mediante l'attuazione a livello internazionale della strategia svizzera adottata nel 2008, sia nel quadro della Dichiarazione di Ginevra sulla violenza armata e lo sviluppo. Lanciata nel giugno 2006, la Dichiarazione è stata firmata da 106 Stati. La Svizzera coordina i lavori di un gruppo di Stati incaricati di vegliare l'osservanza degli impegni presi. Nei prossimi anni, la Svizzera si adopererà in particolare per far riconoscere la problematica dal maggior numero possibile di Stati, per attuare progetti concreti nei Paesi più interessati dal problema e per quantificare i costi provocati su scala mondiale dalla violenza armata (cfr. n.

3.3.6.2).

In materia di armi leggere e di piccolo calibro, la Svizzera sostiene anche lo «Small Arms Survey», un centro di competenza per le armi di piccolo calibro dipendente dall'Istituto di alti studi internazionali e dello sviluppo («Institut des Hautes Études Internationales et du Développement», IHEID) di Ginevra e riconosciuto come un punto di riferimento internazionale in questo campo. Nei prossimi anni continuerà i suoi vari impegni nel settore delle armi leggere e di piccolo calibro.

Armi pesanti convenzionali Nel settore delle armi pesanti convenzionali, la Svizzera sostiene gli strumenti di fiducia e di sicurezza dell'ONU, dell'OSCE e di altre strutture. Il Trattato del 1990 sulle forze convenzionali in Europa (Trattato FCE) riveste particolare importanza al riguardo. I membri della NATO hanno vincolato la ratifica della revisione del Trattato FCE, realizzata nel 1999, a talune condizioni imposte alla Russia,
che tuttavia quest'ultima ha finora rigettato. Nondimeno, la Svizzera continua a considerare il Trattato un pilastro dell'architettura di sicurezza europea e vaglierà la possibilità di firmarlo qualora entri in vigore.

Trattato sul commercio delle armi Da diversi anni si sono intensificate in seno all'ONU le richieste per la negoziazione di un trattato che sottoponga il commercio mondiale delle armi convenzionali di qualsiasi tipo a regole cogenti. Una risoluzione dell'Assemblea generale dell'ONU ­ firmata anche dalla Svizzera ­ ha dato origine nel 2006 all'istituzione di un gruppo di esperti governativi cui partecipano 28 Paesi membri, inclusa la Svizzera. Nel 2008 il gruppo ha preparato un rapporto sulla fattibilità, il campo di applicazione e il possibile contenuto di un trattato giuridicamente cogente e ha formulato raccomandazioni rivolte all'Assemblea generale. Quest'ultima ha adottato, all'inizio del 2009, una nuova risoluzione che istituisce un gruppo di lavoro («Open-Ended Working Group») incaricato di proseguire, sulla base del rapporto del gruppo di esperti, la 37

Cfr. anche la strategia 2008­2011 della Svizzera nella lotta contro la proliferazione illecita delle armi leggere e di piccolo calibro.

5578

riflessione sui mezzi per assoggettare su scala mondiale le importazioni, le esportazioni e il trasferimento di armi convenzionali a norme internazionali giuridicamente cogenti. La Svizzera ha assunto con altri Paesi la vicepresidenza del gruppo e continuerà a operare in favore del buon esito di questi negoziati.

Mine antiuomo La Svizzera sostiene gli sforzi internazionali volti a vietare ed eliminare a livello mondiale le mine antiuomo, destinando a tal scopo risorse finanziarie e diplomatiche. La seconda strategia antimine della Confederazione copre il periodo dal 2008 al 2011 e definisce sei obiettivi38: 1)

attuazione e applicazione a livello mondiale della Convenzione di Ottawa (Convenzione per la messa al bando dell'uso, lo stoccaggio, la produzione ed il trasferimento di mine anti-persona, e per la loro distruzione);

2)

attuazione e applicazione a livello mondiale del Protocollo V sui resti esplosivi bellici e del Protocollo II modificato allegato alla Convenzione sulla proibizione o la limitazione dell'uso di alcune armi convenzionali che possono essere considerate dannose o aventi effetti indiscriminati («Convention on Certain Conventional Weapons», CCW);

3)

rafforzamento della protezione della popolazione civile dalle conseguenze umanitarie delle mine e dei resti esplosivi bellici;

4)

sminamento delle aree minate;

5)

aiuto alle vittime e prevenzione;

6)

introduzione nella cooperazione allo sviluppo della lotta contro le mine.

Uno degli obiettivi politici e operativi della Svizzera consiste nel promuovere gli sforzi volti a coinvolgere gli attori armati non statali nel divieto di impiego delle mine. La Svizzera sostiene in particolare l'attuazione della Misura 46 del piano d'azione di Nairobi, che chiede agli Stati di sostenere l'azione antimine nei territori sotto controllate da soggetti armati non statali. In questo contesto, la Svizzera sostiene l'ONG «Appello di Ginevra», che si adopera per persuadere i soggetti armati non statali a rinunciare all'utilizzo di mine antiuomo.

La Svizzera presiede nel 2009 la Convenzione di Ottawa. Una delle priorità durante la presidenza è quella di avanzare con l'eliminazione degli stock e lo sminamento completo. Il ritardo accusato da alcuni Stati in questo settore non è fonte d'inquietudine per il nostro Paese. La Svizzera cercherà anche di promuovere l'universalizzazione della Convenzione e di sostenere i programmi dell'ONU, degli Stati interessati e delle ONG, fornendo loro materiale ed esperti nello sminamento e garantendo il trasferimento di conoscenze sul posto. Sul piano geografico, concentrerà il suo impegno nell'Europa sudorientale, in Africa e nel Medio Oriente. Sono stati avviati progetti in altre regioni del globo (p. es. in Colombia e in Afghanistan) allo scopo di sensibilizzare le popolazioni sui pericoli delle mine e di dare aiuto alle vittime.

Un altro aspetto dell'impegno svizzero nel campo della lotta contro le mine è il sostegno offerto al Centro di Ginevra per lo sminamento umanitario, che dal 2001 funge da segretariato della Convenzione di Ottawa. La Confederazione fornisce un

38

Cfr. anche la strategia antimine della Confederazione Svizzera 2008­2011.

5579

contributo considerevole alle spese d'esercizio di questa fondazione non governativa riconosciuta a livello internazionale.

Bombe a grappolo/Convenzione sulle armi convenzionali (CCW) Le bombe a grappolo possiedono caratteristiche che le rendono pericolose per la popolazione civile sia al momento del loro impiego sia dopo la fine dei combattimenti. Negli ultimi quarant'anni hanno ucciso o ferito decine di migliaia di persone.

Esse sono immagazzinate da più di 70 Stati e una ventina di Stati ne ha subito le conseguenze. Utilizzate già nella Seconda guerra mondiale, figurano sull'agenda internazionale del disarmo dopo le ostilità del 2006 tra Israele e Libano.

L'adozione, nel maggio 2008 a Dublino, della Convenzione internazionale per la messa al bando delle bombe a grappolo («Convention on Cluster Munitions», CCM) è uno degli esempi più significativi di questi ultimi anni in materia di sviluppo del diritto internazionale umanitario e del diritto internazionale nel settore delle armi convenzionali. Dopo il tentativo fallito nella Terza conferenza di revisione degli Stati parte alla Convenzione del 1980 sulle armi convenzionali (CCW) di avviare negoziati su un nuovo protocollo sulle bombe a grappolo, la Norvegia, sostenuta da un gruppo di Stati, ha lanciato nel febbraio 2007 a Oslo un processo multilaterale al di fuori del quadro istituzionale abituale (Processo di Oslo). In occasione delle conferenze organizzate a Lima, Vienna, Wellington e Dublino, un numero crescente di Stati ha aderito al processo di Oslo e 107 Stati hanno adottato la CCM in occasione della conferenza diplomatica di Dublino. La Svizzera ha contribuito in modo rilevante all'adozione per consenso della CCM facilitando i difficili negoziati sul problema dell'interoperabilità. I principali Paesi produttori e utilizzatori di bombe a grappolo non hanno partecipato al processo di Oslo (Stati Uniti, Cina, Federazione Russa, Israele, Brasile e India) e non hanno finora manifestato l'intenzione di firmare la CCM.

La CCM prevede in particolare la messa al bando generale della produzione, dello stoccaggio, del trasferimento e dell'impiego di bombe a grappolo (ad eccezione di talune munizioni dotate di sensori per individuare il bersaglio), nonché l'obbligo di distruggere gli arsenali al più tardi entro otto anni dall'entrata in vigore
della CCM.

La Svizzera è stata uno dei primi firmatari, il 3 dicembre 2008 a Oslo. La procedura di ratifica, che rende necessaria la modifica della legge federale del 13 dicembre 199639 sul materiale bellico, è già stata avviata. La ratifica avrà conseguenze per l'esercito svizzero, che ha immagazzinato munizioni a grappolo per la sua artiglieria.

La Svizzera si adopererà affinché Ginevra sia scelta come sede del segretariato della CCM e affinché la CCM sia attuata a livello internazionale e nazionale sfruttando in modo ottimale le sinergie con la Convenzione di Ottawa sulla messa al bando delle mine antiuomo.

Dalla fine del 2007 gli Stati parte alla CCW, tra cui la Svizzera e tutte le grandi potenze militari, negoziano nel quadro dell'ONU a Ginevra un protocollo concernente le bombe a grappolo. I negoziati proseguiranno nel 2009. Si tratta soprattutto di includere nel regime internazionale gli Stati che figurano tra i più grandi produttori e detentori di queste munizioni.

39

RS 514.51

5580

Vettori e militarizzazione dello spazio Negli ultimi anni sono stati concepiti, in diversi Paesi, nuovi vettori (missili balistici e di crociera, velivoli senza pilota) capaci di trasportare armi convenzionali, ma anche nucleari, chimiche e biologiche. La Svizzera si adopera per frenare la disseminazione di simili sistemi; sostiene gli sforzi volti a consolidare i meccanismi internazionali esistenti, ancorché lacunosi, e a preparare norme cogenti. Ha per esempio organizzato nel 2008 un seminario sul dispiegamento dei sistemi di difesa antimissile, in cui sono state dibattute le risposte politiche da dare a questi sviluppi e le possibili iniziative.

Nessuno Stato ha per il momento dislocato armi nello spazio o neutralizzato satelliti di un altro Stato. Tuttavia, molti Paesi lavorano allo sviluppo di armi spaziali, come dimostrato l'anno scorso dalla distruzione da parte della Cina di uno dei propri satelliti. La Svizzera reputa che una simile tendenza rimetta in discussione il principio dell'uso pacifico dello spazio e minacci sistemi spaziali che ospitano servizi essenziali per un numero crescente di Paesi. Di conseguenza, sostiene gli sforzi internazionali volti a ristabilire la fiducia e la trasparenza in materia di uso dello spazio.

3.3.6

Promozione della pace

3.3.6.1

Linee direttrici

La sfida della sicurezza umana Dopo la fine della guerra fredda, le sfide nel settore della sicurezza umana si sono moltiplicate. Le crisi hanno cause e conseguenze sempre più complesse. I conflitti armati si svolgono spesso all'interno delle frontiere di uno Stato o in regioni in cui le strutture statali sono deboli. A questi conflitti prendono parte attori statali e non statali. Le interrelazioni internazionali sono diventate tanto strette che anche Paesi molto lontani dalle zone di conflitto possono subirne le conseguenze: rialzo dei prezzi delle materie prime, recrudescenza della criminalità organizzata e pressione migratoria. L'impegno a favore della sicurezza umana è dunque diventato una priorità per un numero crescente di Stati e di organizzazioni internazionali e non governative.

Tale impegno è, da decenni, parte integrante della politica estera della Svizzera. A partire dall'inizio degli anni Novanta è aumentata l'importanza, in Svizzera come all'estero, del contributo alla prevenzione e alla soluzione pacifica dei conflitti, ma è nel corso degli ultimi dieci anni che gli sforzi si sono particolarmente intensificati40.

La Svizzera, che gode di un vantaggio legato alla sua storia, può apportare un valore 40

L'impegno a favore della coesistenza pacifica dei popoli e del rispetto dei diritti umani è stato introdotto nella Costituzione del 18 aprile 1999 (art. 54) e precisato nella legge federale del 19 dicembre 2003 su misure di promozione civile della pace e rafforzamento dei diritti dell'uomo (RS 193.9). Nel rapporto sulla politica estera 2000, il Consiglio federale affermava di voler fornire un contributo essenziale e ben visibile alla prevenzione dei conflitti armati, «condurre una politica umanitaria indipendente e profilata» e potenziare «mediante provvedimenti adeguati, gli sforzi a favore del rispetto e del promovimento dei diritti dell'uomo, della democrazia e dello Stato di diritto». La necessità di impegnarsi per la promozione della pace e della prevenzione dei conflitti è stato inoltre riaffermata dal Consiglio federale nel Programma di legislatura 2007­2011 (FF 2008 597) e nei suoi obiettivi per il 2009.

5581

aggiunto in questo settore. Possiede infatti competenze in materia di federalismo, di democrazia, di processi elettorali, di rispetto delle minoranze e di analisi del passato molto ricercate dalle parti in conflitto e dai governi e istituzioni multilaterali. L'opera di mediazione che svolge non cela alcun interesse personale; la Svizzera non dispone inoltre del potere per imporre le soluzioni proposte ed è pertanto percepita come un mediatore neutrale degno di fiducia.

Nel 2008, anno dell'entrata in vigore del nuovo credito quadro approvato dal Parlamento41, la Svizzera ha destinato 56,5 milioni di franchi alla sicurezza umana42. Gli esperti del DFAE a Berna, che operano sia sul terreno che nelle organizzazioni multilaterali, hanno contribuito alla risoluzione di crisi e alla formulazione di politiche internazionali per mezzo di strumenti sviluppati nel corso degli anni: programma di gestione civile dei conflitti (40 %, 22 mio. di fr.), Pool di esperti svizzeri per la promozione civile della pace (29 %, 16,6 mio. di fr.), dialoghi bilaterali sui diritti umani (1 %, 820 000 fr.), iniziative diplomatiche (14 %, 7,8 mio. di fr.) e partenariati strategici (16 %, 9,2 mio. di fr.).

Studi scientifici43 dimostrano che, dopo la fine della guerra fredda, il numero di conflitti armati nel mondo si è all'incirca dimezzato. Secondo gli esperti, questo fenomeno si spiega in gran parte con l'accresciuto impegno di attori internazionali (Stati, ONU, organizzazioni regionali e organizzazioni non governative) per la promozione della pace. Se dati di questo genere sono incoraggianti, non va dimenticato che diverse decine di conflitti armati sono ancora in corso, fanno molte vittime e sono occasione di numerose violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario. La violenza armata al di fuori dei conflitti rimane una delle principali cause di decesso e provoca 490 000 morti all'anno44. I conflitti e le violenze causano immense perdite finanziarie45. Di fronte a queste sfide di portata mondiale e alle loro ripercussioni sulla politica interna e sulla politica estera, per la Svizzera ­ che da secoli ha rinunciato a perseguire con la forza i suoi interessi e crede nella solidarietà internazionale ­ è fondamentale continuare a impegnarsi nella promozione della sicurezza umana.

41

42

43 44 45

Il nuovo credito quadro (di complessivi 240 mio. di fr. circa) copre un periodo di quattro anni a contare dal 1° maggio 2008. L'introduzione nel 2004 di un credito quadro su quattro anni ha avuto un effetto molto positivo sulla pianificazione delle attività. Il secondo credito quadro permette al DFAE di rendere più professionali i suoi dispositivi di gestione e, di conseguenza, l'attuazione dei progetti.

La Divisione politica IV della Direzione politica, principale destinataria del credito quadro, è il servizio responsabile per le questioni di sicurezza umana (promozione civile della pace, rafforzamento dei diritti umani, politica umanitaria e migrazione) in seno al Dipartimento federale degli affari esteri. La DSC contribuisce, mediante i suoi programmi di sviluppo e l'aiuto umanitario, alla prevenzione dei conflitti, all'attuazione dei diritti dell'uomo e alla diffusione del diritto internazionale umanitario. Gli sforzi principali del DFAE nel settore della promozione civile della pace sono trattati nel presente capitolo. Le attività del DFAE in materia di rafforzamento dei diritti umani, di politica unitaria e di migrazione sono trattati nel n. 3.3.7. Oltre al DFAE, anche altri soggetti nell'Amministrazione federale si adoperano per la promozione della pace. Il DDPS, per esempio, è responsabile della promozione militare della pace (cfr. n. 2.6).

P. es. «Human Security Report 2005», Human Security Centre, Oxford University Press, Oxford, 2005, pag. 22.

Small Arms Survey, «The Global Burden of Armed Violence», Ginevra 2008, pag. 3.

Si stima che per il solo Vicino e Medio Oriente, siano andati persi nel corso degli ultimi vent'anni più di 12 000 miliardi di dollari. Cfr. Sundeep Waslekar, Ilmas Futehally,«Cost of Conflict in the Middle East», Strategic Foresight Group, Mumbai, 2009.

5582

La prevenzione e la risoluzione pacifica dei conflitti, l'impegno per il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario e la promozione di una gestione della migrazione efficace e rispettosa della dignità umana rappresentano un aspetto importante della politica di sicurezza della Svizzera e della salvaguardia dei suoi interessi nel mondo. Nei prossimi anni la Svizzera intende rafforzare l'impegno in questo settore. Nel 2009 investirà nella sicurezza umana circa 60 milioni di franchi del credito quadro46.

Attenzione ai diversi bisogni e ruoli delle donne e degli uomini Nell'impiego dei suoi diversi strumenti di promozione della sicurezza umana in tutte le fasi di attività (analisi, ideazione dei progetti, realizzazione di azioni concrete e valutazione) il DFAE si sforza di prendere in considerazione i diversi bisogni e ruoli delle donne e degli uomini coinvolti nei conflitti e si impegna contro la violenza specifica al sesso. Nel 2008 il 56 per cento delle spese del DFAE per le sue attività di sicurezza umana aveva una forte o sostanziale componente specifica al sesso; nel restante 32 per cento questa componente era più modesta47.

Diverse azioni di promozione civile della pace cercano di coinvolgere le donne nei processi di pace, come in Nepal, nel Burundi o in Colombia. Il DFAE sostiene la rete mondiale 1000 donne per la pace e le sue attività di attuazione sistematica della Risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza.

La lotta contro la violenza nei confronti delle donne nei conflitti armati è una priorità per il DFAE, che sostiene il programma svolto in questo senso dalle Nazioni Unite nel mondo intero («Azione contro la violenza nei confronti delle donne, no allo stupro!»), nonché il progetto «GenCap» dei servizi umanitari delle Nazioni Unite. Questo progetto impiega in 18 Paesi una squadra di specialiste dell'uguaglianza tra i sessi che appoggia le missioni ONU affinché le attività locali delle Nazioni Unite tengano conto delle specificità legate al sesso e lottino efficacemente contro la violenza specifica al sesso.

Nel giugno del 2009 il DFAE ha organizzato congiuntamente alle autorità cilene un seminario sulla violenza domestica nel quadro dell'UNASUR (Unione dei 12 Stati dell'America del Sud). In futuro, i servizi del DFAE che lavorano nel settore della promozione
della pace, del rafforzamento dei diritti umani, della politica umanitaria e della migrazione includeranno maggiormente nelle loro attività l'approccio specifico al sesso. Questo approccio è favorito dall'attuazione, avviata dalla Svizzera nel 2007, della Risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza dell'ONU sulle donne, la pace e la sicurezza.

I criteri dell'impegno della Svizzera La natura odierna dei conflitti armati rende indispensabile l'adozione di strategie efficaci da parte degli attori della pace.

La Svizzera non può svolgere un ruolo determinante in ogni nuova crisi, dato che un impegno serio implica un considerevole investimento di tempo e risorse. È dunque necessario concentrare gli sforzi finanziati dal credito quadro speciale su regioni e 46

47

Come previsto nel rapporto sulla politica estera 2000 (FF 2001 201) e nel messaggio del 15 giugno 2007 concernente la prosecuzione delle misure di promozione civile della pace e di rafforzamento dei diritti dell'uomo (FF 2007 4339), le risorse destinate alla sicurezza umana sono state leggermente aumentate, allo scopo di consolidare gli sforzi in materia.

Per il 12 % delle spese il criterio non è applicabile.

5583

Paesi specifici. Fondandosi su un'analisi approfondita (realizzata nel 2005) delle azioni attuate in materia di promozione della pace, sono state definite priorità geografiche. I Paesi e regioni prioritari sono stati ridotti da 13 nel 2004 a sette nel 2007, numero che da allora è rimasto invariato.

Prima di decidere un nuovo impegno, la Svizzera prende inoltre in considerazione una serie di criteri: ­

gli interessi della Confederazione, per mezzo di una valutazione delle eventuali ripercussioni che un conflitto potrebbe avere sulla Svizzera in termini di sicurezza, economia, migrazione, diritti umani e ambiente;

­

l'esistenza di relazioni storiche, politiche ed economiche particolari tra il nostro Paese e le regioni in conflitto;

­

l'esistenza di una domanda delle parti in conflitto o di un gruppo internazionale o regionale di esperti;

­

la possibilità di creare sinergie con altre attività della Svizzera, in particolare quelle che concernono la cooperazione allo sviluppo e la promozione militare della pace, oppure con sforzi profusi a livello multilaterale;

­

un rischio calcolato, dato che la Confederazione non può permettersi di mettere in pericolo i suoi esperti, né compromettere le sue relazioni bilaterali o internazionali.

La Svizzera continuerà a preferire impegni a medio termine. Nella maggior parte dei casi, anche quando un processo di pace è riuscito, i risultati raggiunti sono piuttosto fragili. Un contributo a favore della pace che sia durevole e credibile esige un impegno esteso su più anni.

3.3.6.2

Attività della Svizzera

Dialogo come strumento per risolvere i conflitti Storicamente, uno dei grandi punti di forza della Svizzera è la sua capacità di dialogare e di promuovere il dialogo. Il dialogo è necessario per affrontare situazioni conflittuali e sfide delicate e complesse. La Svizzera cerca di tessere alleanze in vista di focalizzare gli sforzi su determinate questioni importanti della sicurezza umana. Il dialogo è stato finora uno strumento particolarmente utile della politica estera Svizzera: le ha permesso di ottenere successi considerevoli e di costruirsi un ruolo in seno alla comunità internazionale ed è divenuto una delle espressioni più raffinate della diplomazia. Negli ultimi anni la Confederazione si è adoperata per porre fine alle violenze in diverse zone di conflitto, ha contribuito al compimento di svariati processi di pace e ha introdotto nuovi aspetti della sicurezza umana nell'agenda internazionale. La Svizzera intende rafforzare ulteriormente lo strumento del dialogo (cfr. n. 2.5).

Un numero crescente di Paesi e di organizzazioni internazionali persegue una strategia simile, si tratti di difendere gli interessi nazionali, di risolvere problemi globali o di facilitare colloqui tra i belligeranti. In caso di conflitti armati, le opinioni differiscono tuttavia sulla scelta dei soggetti con i quali dialogare. La Svizzera ritiene che soltanto coinvolgendo tutte le parti è possibile instaurare le condizioni per una vera e propria soluzione pacifica. Certi governi, talune personalità politiche e alcuni 5584

gruppi armati non statali violano i diritti dell'uomo e il diritto internazionale umanitario, talvolta in modo grave. Ciononostante, si tratta di soggetti rilevanti, che non possono essere trascurati se si vuole porre fine alle violenze. Dialogare con loro non significa tuttavia giustificarne le azioni né tantomeno caldeggiare un'amnistia nei loro confronti. La Svizzera afferma chiaramente che la ricerca della pace passa attraverso il rispetto delle norme e dei principi del diritto internazionale (diritti dell'uomo, diritto internazionale umanitario e diritto penale internazionale) e tutti questi elementi non sono negoziabili.

La mediazione Nel corso degli anni, la Svizzera ha accumulato considerevoli conoscenze nel settore della mediazione, conoscenze richieste dai belligeranti stessi o dalle squadre internazionali di negoziazione. Nel 2008 il nostro Paese ha investito 1,1 milioni di franchi nella mediazione diretta.

In Nepal, dove è attiva da decenni nell'ambito della cooperazione allo sviluppo, la Svizzera ha svolto nel corso degli ultimi anni un ruolo importante nel processo di costruzione della pace. Dal 2005 un consigliere svizzero per la pace ha aiutato a stabilire i contatti tra le parti politiche e i maoisti. Lavorando dietro le quinte, ha partecipato alla pianificazione del processo di negoziazione e ha contribuito in modo sostanziale all'accordo di pace, firmato il 21 novembre 2006 a Kathmandu, che ha posto fine a dieci anni di guerra civile. Nel 2007 e 2008 la Svizzera ha contribuito all'attuazione degli elementi essenziali dell'accordo di pace, ha fornito un apporto particolarmente importante all'organizzazione dell'elezione dell'assemblea costituente nell'aprile 2008; ha poi prestato consulenza all'assemblea in materia di federalismo e sulla concezione di un nuovo sistema di sicurezza. La Svizzera continua a sostenere nel 2009 il processo locale di consolidamento della pace. Questo sostegno è stato particolarmente apprezzato in momenti difficili, quale la crisi di fiducia che ha scosso il processo di pace nel maggio-giugno 2009.

Nel Burundi, la Svizzera è attiva nella mediazione dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso48. Negli ultimi anni ha favorito il dialogo tra il governo del Paese e l'ultima organizzazione ribelle (il Palipehutu-FNL) mediante un consigliere per la pace
e l'organizzazione non governativa «Iniziativa e cambiamento». L'ONG aveva intessuto nel corso degli anni contatti con i ribelli, che ha assistito nei negoziati condotti sotto l'egida del Sudafrica. Un primo cessate il fuoco è stato firmato nel settembre del 2006, ma la sua applicazione è stata ritardata e l'accordo è stato violato a più riprese. L'accordo attuale è stato firmato nel maggio del 2008; nella prospettiva della sua attuazione e delle prossime elezioni, la Svizzera aiuta il movimento ribelle a trasformarsi in partito politico.

Inoltre, un consigliere svizzero per la pace è attivo nel Darfur. La Svizzera intende avvalersi delle sue conoscenze per contribuire ad avviare un negoziato di pace nel quale tutte le parti al conflitto siano implicate nella ricerca di una soluzione e trattate in modo paritario. Nel 2008 e 2009, d'intesa con la mediazione e con successivo debriefing del governo sudanese, il nostro Paese ha condotto corsi di formazione per i gruppi ribelli allo scopo di aiutarli a comprendere il funzionamento delle istituzioni dello Stato, a rispettare i diritti umani e a migliorare le loro competenze in materia di negoziazione.

48

Dal 1998 al 2000 la Svizzera ha sostenuto il processo di pace di Arusha.

5585

Dal 2006 la Svizzera fornisce il suo contributo alla soluzione della controversia riguardante il programma nucleare iraniano. L'approccio scelto è il seguente: esigere dall'Iran che rispetti i suoi obblighi internazionali, in particolare il TNP; favorire presso il gruppo E3+3 (Germania, Cina, Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Russia) l'apertura a una soluzione diplomatica. A tal fine, la Svizzera ha intensificato nel 2008 i contatti allacciati negli anni precedenti con le due parti implicate (Iran e E3+3), ma anche con l'AIEA a Vienna e il gruppo dell'alto rappresentante dell'UE, Javier Solana. Queste attività sono sfociate nei «Geneva Talks» dell'estate 2008 tra il negoziatore in capo iraniano Jalili e Javier Solana, nel corso dei quali quest'ultimo ha presentato una proposta di negoziato direttamente ispirata al principio «freeze for freeze» sviluppato dalla Svizzera. Anche se non hanno avuto un seguito immediato, i «Geneva Talks» sono stati una tappa importante nel processo di dialogo tra E3+3 e l'Iran. La Svizzera si è detta disposta a elaborare le modalità di un'eventuale ripresa dei colloqui diretti tra gli Stati Uniti e l'Iran; in questo contesto conduce discussioni di alto livello con le parti, che apprezzano i suoi sforzi e le sue proposte.

La Svizzera contribuisce anche all'appianamento delle tensioni nel Caucaso del Sud sostenendo il dialogo portato avanti dai rappresentanti dell'OSCE per condurre l'Azerbaigian e l'Armenia a negoziare una soluzione al problema del NagornoKarabakh e delle regioni occupate dall'Armenia. Su domanda di quest'ultima e della Turchia, la Svizzera ha offerto i suoi buoni uffici per accompagnare un processo di negoziazione che giunga a risultati accettabili per entrambi le parti.

Sostegno alla mediazione e facilitazione Oltre alle attività dirette di mediazione, la Svizzera continuerà ad adoperarsi per il sostegno e la mediazione, offrendo per esempio il quadro logistico per i colloqui o mettendo a disposizione conoscenze tematiche. Tenuto conto dell'attuale natura dei conflitti, sarà sempre più importante lavorare in sinergia con attori internazionali o regionali e con altri Stati: attualmente, i negoziati di pace sono spesso condotti da un mediatore sperimentato, a sua volta assistito da esperti a cui sono affidati svariati compiti. Nei prossimi anni il
DFAE si propone di intensificare la ricerca, le analisi delle esperienze e gli scambi di conoscenze con i principali attori della mediazione e della facilitazione (in particolare l'ONU) e di rafforzare il suo gruppo di mediatori sperimentati, in modo da poter delegare esperti nelle squadre internazionali di mediazione. Il DFAE continuerà dunque a organizzare corsi di formazione destinati ai suoi collaboratori, a esperti stranieri e a mediatori locali. Nel 2008 la Svizzera ha investito 2,3 milioni di franchi nel sostegno alla mediazione, ossia nelle attività di facilitazione e di formazione.

Programmi di promozione civile della pace Negli ultimi anni, il DFAE ha continuato a impegnarsi in diversi Paesi e regioni mediante programmi di promozione civile della pace, collaborando con gli altri attori della Confederazione attivi sul terreno e operanti nella cooperazione allo sviluppo o la promozione militare della pace. La Svizzera ha agito nel quadro delle strategie esistenti in seno al dipartimento. Nel 2008 l'Europa del Sud-Est (6,7 mio.

di fr.), il Vicino Oriente (4,6 mio. di fr.), il Sudan (2,7 mio. di fr.), la regione dei Grandi Laghi (2,3 mio. di fr.), il Nepal (2 mio. di fr.), lo Sri Lanka (1,5 mio. di fr.) e la Columbia (2,4 mio. di fr.) sono stati i principali destinatari dei programmi svizzeri di promozione civile della pace. L'anno scorso, la Svizzera ha inoltre parteci5586

pato a programmi sperimentali ed è intervenuta puntualmente, in particolare in Tagikistan e nel Caucaso settentrionale.

Dopo che il governo dello Sri Lanka ha denunciato l'accordo di pace nel gennaio 2008 e rifiutato le offerte internazionali di mediazione, la Svizzera ha iniziato a concentrare i suoi sforzi di pace sulla promozione dei diritti umani. Inoltre si adopera affinché tutte le parti rispettino il diritto internazionale umanitario. Qualora le condizioni quadro mutassero, la Svizzera sarebbe pronta a rafforzare di nuovo il suo impegno. Gli impegni profusi in questi ultimi anni nell'Africa occidentale e centrale sono sfociati nel 2008 nel lancio di un programma di promozione civile della pace per l'insieme della regione.

Europa del Sud-Est In Kosovo, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia e Serbia, la Svizzera ha proseguito nel 2008 il suo programma di promozione della pace nell'intento di continuare a contribuire alla stabilizzazione di una regione che ha legami stretti con la Confederazione (cfr. anche il n. 3.2.2.2.2). Gli sforzi hanno riguardato l'analisi del passato, processo indispensabile per ristabilire la fiducia e la riconciliazione. Inoltre, il DFAE ha continuato a organizzare tavole rotonde finalizzate a instaurare la fiducia reciproca.

In Kosovo, ha contribuito in modo sostanziale alla presenza multilaterale, in particolare nell'ambito del gruppo direttivo internazionale dell'Ufficio civile internazionale a cui è affidata la supervisione dell'attuazione della proposta Ahtisaari, uno degli strumenti chiave per la protezione delle comunità. Nel 2008, 45 dei 188 esperti del Pool svizzero per la promozione civile della pace erano attivi nell'Europa meridionale partecipando, per esempio, a missioni volte a rafforzare la polizia e la giustizia, quali EUPOL (Bosnia ed Erzegovina) ed EULEX (Kosovo). Nei prossimi anni, la Svizzera proseguirà la sua azione nell'Europa del Sud-Est focalizzandola di nuovo sul Kosovo. Nell'insieme della regione, gli sforzi si concentreranno prioritariamente sull'analisi del passato e la giustizia nella transizione, sulla protezione delle minoranze e la loro partecipazione alle istituzioni, come pure sul dialogo politico. Per quanto riguarda quest'ultimo aspetto, la Svizzera continuerà a sostenere l'organizzazione di tavole rotonde regionali su temi comuni e
favorirà lo sviluppo di attività specifiche in Kosovo e in Macedonia. In Bosnia ed Erzegovina il DFAE continuerà ad apportare il suo contributo allo sminamento umanitario. Un'azione di questo tipo sarà avviata anche in Kosovo.

Vicino Oriente Nel Vicino Oriente la Svizzera svolge da anni un programma di promozione civile della pace incentrato su quattro assi principali. In primo luogo, appoggia diverse organizzazioni israelo-palestinesi attive nella promozione di soluzioni non violente.

Sostiene in particolare l'elaborazione dei dettagli degli accordi di Ginevra e la loro diffusione da parte di ONG israeliane e palestinesi. In secondo luogo, la Svizzera assiste il Centro per il controllo democratico delle forze armate (DCAF) di Ginevra nelle attività svolte in Libano e nei territori palestinesi occupati. In Libano, in seguito al dialogo informale tenutosi all'inizio del 2008 in Svizzera e che ha impegnato tutte le parti ­ dialogo che è stato apprezzato dalle autorità libanesi e in particolare dal presidente Suleyman ­ il DCAF ha prestato la sua assistenza all'ideazione di una nuova dottrina nazionale della difesa. Una discussione su questo tema cruciale è stata avviata sotto l'egida del Presidente nell'ambito del dialogo nazionale libanese. Nei territori palestinesi occupati il DCAF collabora agli sforzi internazio5587

nali volti a riformare e a professionalizzare i servizi di sicurezza palestinesi. In terzo luogo, la Svizzera partecipa all'unica presenza internazionale operante finora nei territori palestinesi occupati mettendo del personale a disposizione della missione internazionale di osservazione a Hebron («Temporary International Presence in the City of Hebron», TIPH). Da ultimo, sul piano diplomatico, prosegue il dialogo con tutti gli attori interessati dal conflitto del Vicino Oriente allo scopo di cercare e collaudare soluzioni pratiche ai problemi complessi che continuano a ostacolare il processo di pace (cfr. anche il n. 3.2.5.2).

Sudan In Sudan le sfide rimangono particolarmente numerose. Nel Sudan meridionale la transizione verso la democrazia e la costruzione di strutture statali sono in pericolo.

Le relazioni Nord-Sud, definite dall'accordo di pace globale del 2005, rimangono tese per quanto riguarda la definizione delle frontiere e la ripartizione delle risorse nonché la preparazione delle elezioni generali previste per il 2009 e del referendum sull'indipendenza del Sud previsto per il 2011. Nel Darfur le condizioni di sicurezza e umanitarie sono particolarmente precarie e il processo di pace si trova da tempo in una fase di stallo. Nel marzo 2009 la Camera preliminare I della Corte penale internazionale («International criminal court», ICC) ha emesso un mandato d'arresto contro il presidente sudanese Al-Bashir. Nonostante la gravità della situazione in questo Paese, rimane un margine di manovra e gli sforzi profusi dalla Svizzera sono apprezzati. Dalla fine del 2008, un esperto svizzero dirige l'ufficio dell'«Assessment and Evaluation Commission» a Juba, nel Sud del Sudan; questo ufficio è incaricato di soprintendere all'attuazione dell'accordo di pace Nord-Sud. La Svizzera esplorerà le diverse possibilità di contribuire alla prevenzione dei conflitti che potrebbero nascere in occasione del processo elettorale e del referendum. Nel Darfur, dove è in atto la più vasta operazione umanitaria a livello mondiale (4,6 milioni di sfollati), la Svizzera proseguirà il suo impegno a favore del dialogo tra le parti al conflitto, continuando a fornire aiuti umanitari (cfr. anche il n. 3.2.6.5).

Grandi Laghi Nella regione dei Grandi Laghi, una zona sconvolta dalle guerre civili e dalle violenze, la Svizzera
si è adoperata a favore della pace già a partire dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso. In Burundi, dove nel 2005 ha avviato un programma di promozione civile della pace, la Svizzera è conosciuta come un attore affidabile ed è presente nella maggioranza dei forum politici. In questo Paese, oltre a promuovere il dialogo con l'ultima organizzazione ribelle, il Palipehutu-FNL, il DFAE ha proseguito l'anno scorso le sue attività nel settore dell'analisi del passato, adoperandosi per l'istituzione di una commissione per la verità e la riconciliazione e la creazione di un tribunale speciale indipendente. Si è anche impegnata contro la proliferazione delle armi leggere e di piccolo calibro e ha continuato i suoi sforzi nel settore dei diritti umani. Nel 2009 la Svizzera intende proseguire il suo impegno su questi fronti. È allo studio l'estensione del programma di promozione civile della pace nella regione. La strategia comune 2009­2013, in fase di preparazione, rafforzerà il coordinamento tra le attività locali della DSC (cfr. anche il n. 3.2.6.4).

Africa occidentale e centrale Nel 2007 e nel 2008 la Svizzera ha lavorato al consolidamento di un programma di promozione civile della pace nell'Africa occidentale e centrale, due regioni chiave del continente africano. Ha messo a punto un piano di impegno a medio termine 5588

incentrato principalmente sul Mali, il Niger e il Ciad. L'Africa occidentale costituisce un'area di contatto tra il mondo africano, quello arabo e il mondo europeo. I fenomeni che si sviluppano nella zona sahelo-sahariana, quali l'emigrazione, il radicamento di gruppi terroristici e la presa di ostaggi, hanno un grande impatto sulla stabilità della regione e comportano rischi che interessano direttamente l'Europa. L'Africa centrale è sconvolta da conflitti ­ in particolare quelli in Ciad e nella Repubblica Centrafricana, legati al conflitto del Darfur ­ che minacciano l'equilibrio dell'intera regione. Nel 2008 la Svizzera ha contribuito in particolare al lancio di un processo di dialogo politico ­ che sosterrà anche nei prossimi anni - riguardante il conflitto nel nord del Mali e i conflitti intracomunitari. Inoltre, la Svizzera ha proseguito la collaborazione con l'«Ecole de maintien de la paix» di Bamako, organizzando per la prima volta un corso sul consolidamento della pace destinato agli esperti che si preparano a partecipare alle future missioni di sostegno della pace dell'Unione Africana. Nei prossimi anni intende inoltre contribuire al rafforzamento delle capacità degli attori africani impegnati in diversi processi di pace nella regione, conducendo attività di formazione e di sensibilizzazione con partner africani quali la Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale (ECOWAS), l'«Institut des relations internationales du Cameroun» e il «Centre des Nations Unies pour la démocratie et les droits de l'homme en Afrique centrale» (cfr.

anche il n. 3.2.6.6).

Nepal Nell'ambito del programma di promozione civile della pace e della strategia svizzera per il Nepal la Svizzera ha sostenuto nel 2008 la conclusione della lunga fase di transizione del processo di pace che ha seguito la firma nel 2006 dell'accordo di pace di Kathmandu. Il viaggio che alcuni membri dell'assemblea costituente ed esperti nepalesi hanno fatto in Svizzera nell'ottobre 2008 ha permesso loro di affrontare in modo approfondito il tema del federalismo. Il processo di attuazione dell'accordo di pace si è rivelato, come spesso accade in situazioni analoghe, più complicato del previsto; nel 2009 si è verificata una crisi di fiducia interna, in occasione della quale la Svizzera è stata chiamata a svolgere, dietro richiesta
pressante, il suo ruolo di consulente informale. Nel 2009 il nostro Paese si sta adoperando per favorire la discussione costruttiva sulla futura Costituzione e sulla riforma del settore della sicurezza. La Svizzera continuerà inoltre a mettere a disposizione le sue conoscenze per far fronte ai conflitti durante questa delicata fase e s'impegnerà nel settore dell'analisi del passato proseguendo il suo impegno a favore del rispetto dei diritti umani. Già nel 2008 aveva fornito un importante sostegno alla missione sul terreno dell'Alto commissariato dell'ONU per i diritti umani.

Colombia Nel primo semestre 2008 la Svizzera ha accompagnato il processo di ricerca di un dialogo umanitario con le FARC in collaborazione con la Francia e la Spagna. In luglio il governo colombiano ha tuttavia deciso di rinunciare alla facilitazione internazionale e di cercare contatti diretti con la guerriglia. La Svizzera ha inoltre contribuito nel 2008 all'introduzione delle norme internazionali in materia di analisi del passato nelle attività degli organi nazionali incaricati di ristabilire i diritti alla verità, alla giustizia e alla riparazione per le vittime di violazioni dei diritti umani. È stato pubblicato un primo rapporto del gruppo di lavoro sull'analisi storica e le sue raccomandazioni hanno avuto un effetto diretto sulla lotta contro l'impunità. L'anno scorso la Svizzera ha inoltre proseguito il lavoro di rafforzamento delle iniziative 5589

della società civile per la pace, in particolare tramite il «Programma svizzero per la promozione della pace in Colombia».

Temi prioritari I programmi di promozione civile della pace verteranno anche in futuro su temi atti a garantire la durevolezza dei processi di pace giudicati prioritari per la Svizzera, quali la mediazione, il rafforzamento dello Stato di diritto, la ripartizione del potere, il federalismo, il sostegno ai processi elettorali, lo sminamento umanitario, la promozione dei diritti dell'uomo, la giustizia e la pace, l'analisi del passato. In questi settori la Svizzera può apportare un importante valore aggiunto rispetto agli sforzi intrapresi da altri Stati o organizzazioni internazionali.

Per quanto riguarda il processo di analisi del passato, la Svizzera sostiene per esempio i Paesi interessati nella realizzazione dei loro obblighi in termini di lotta contro l'impunità, commissioni d'inchiesta, giustizia, riparazione e garanzia che quanto avvenuto in passato non si ripeterà; queste attività includono il lavoro svolto da commissioni per la verità, la protezione degli archivi, il ritorno degli sfollati, la ricerca delle persone scomparse e il risarcimento delle vittime. Nel 2008 la Svizzera si è in particolare impegnata in Guatemala (protezione degli archivi) e nei Balcani (questione degli scomparsi). La Svizzera è anche parte del Gruppo di amici della Dichiarazione di Norimberga sulla pace e la giustizia: questa Dichiarazione enuncia una serie di principi e raccomandazioni che possono essere attuati nel lavoro di instaurazione della pace e della giustizia in situazioni di post-conflitto. La Svizzera si impegna anche nella prevenzione dei genocidi e nel 2008 ha organizzato a Buenos Aires, in collaborazione col governo argentino, un primo forum regionale su questo tema. Due altri forum regionali si svolgeranno nel 2009 e 2010 in Africa e in Asia.

Il Pool di esperti Nel 2008, 188 membri del Pool di esperti svizzero per la promozione civile della pace sono stati inviati in 36 Paesi, nell'ambito di missioni bilaterali o multilaterali.

Nove consiglieri per la pace e tre consiglieri per i diritti umani hanno contribuito a programmi bilaterali. In media, circa 80 esperti svizzeri (di cui il 43% donne) erano presenti simultaneamente in diverse zone di crisi. Il Pool ha posto un accento
particolare sul Kosovo. Diversi esperti hanno occupato posizioni importanti in ambito internazionale: uno Svizzero ha occupato il posto di capo della missione dell'OSCE in Kosovo e un altro dirige la divisione «Community Affairs» dell'Ufficio civile internazionale. Come nel 2007, un esperto del Pool ha assistito nel 2008 l'ufficio del Primo ministro del Kosovo sulle questioni dei diritti delle comunità. Altri esperti sono stati destinati alla missione EULEX. Nel 2008 il Pool ha inviato sul terreno 15 poliziotti civili e sei guardie di frontiera e doganieri. In futuro una grande sfida consisterà nel trovare soluzioni per rimediare alla penuria di candidati ai posti di esperti poliziotti. Nei prossimi anni, il Pool continuerà inoltre a partecipare ai monitoraggi delle elezioni. Questi monitoraggi sono sempre realizzati nel quadro di missioni internazionali in partenariato con l'OSCE, l'UE o l'OAS. Nel 2008, 78 esperti svizzeri hanno partecipato al monitoraggio di elezioni presidenziali, parlamentari o comunali in una dozzina di Stati, tra i quali la Georgia, l'Ucraina, la Serbia, la Macedonia, il Nepal, l'Angola e il Ruanda.

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La definizione di strategie internazionali La Svizzera tiene ad apportare il suo contributo alla definizione di strategie internazionali di pace, al rafforzamento del sistema internazionale di risoluzione dei conflitti e all'applicazione del diritto. Nel 2008, come negli anni precedenti, ha partecipato allo sviluppo di iniziative diplomatiche nei consessi multilaterali allo scopo di promuovere la pace, il rispetto dei diritti umani e del diritto umanitario e il dialogo sulle migrazioni.

La Dichiarazione di Ginevra sulla violenza armata e lo sviluppo Dopo i successi ottenuti negli ultimi anni nella lotta contro le armi leggere e di piccolo calibro (cfr. anche il n. 3.3.5), la Svizzera concentrerà le sue attività sull'attuazione della Dichiarazione di Ginevra sulla violenza armata e lo sviluppo.

Questa Dichiarazione intende sensibilizzare i governi sul legame tra violenza armata e sviluppo49. Diversi studi dimostrano che i Paesi in preda alla violenza armata presentano un indice di sviluppo debole e che i Paesi con uno sviluppo fragile sono esposti alla violenza armata. Lanciata nel 2006 dalla Svizzera e dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (PNUS), la Dichiarazione di Ginevra è solidamente radicata sul piano internazionale. Nel settembre 2008 una conferenza ministeriale ha riunito a Ginevra 85 Paesi firmatari50. L'importanza di questa iniziativa diplomatica è stata riconosciuta dall'Assemblea generale dell'ONU: con una risoluzione adottata per consenso nel novembre 2008, l'Assemblea generale domanda al Segretario generale di sottoporle nel 2009 un rapporto sul problema della violenza armata e dello sviluppo. Nei prossimi anni le attività continueranno a concentrarsi su tre piani: sensibilizzare sul problema il maggior numero possibile di Stati, attuare progetti concreti nei Paesi più toccati dalla violenza armata e quantificare i costi provocati su scala globale dalla violenza armata51. L'obiettivo è di giungere entro il 2015 a una riduzione quantificabile della violenza armata nel mondo.

Prevenzione dei conflitti: gettare ponti tra le civiltà Nel 2009 la Svizzera ha proseguito il suo impegno in seno all'«Alleanza delle civiltà», promossa dalla Spagna nel 2004 dopo gli attentati di Madrid (cfr. anche il n. 3.4.1.2.3). In questo contesto la Svizzera promuove una strategia d'azione
volta a gettare ponti tra le civiltà. L'esperienza acquisita dalla Svizzera nella prevenzione e nella trasformazione di conflitti nei quali religioni e politica si intrecciano dimostra infatti che il dialogo e gli scambi sui valori ­ benché siano di primaria importanza ­ non sono sufficienti a instaurare la fiducia e a rendere possibile la convivenza. La Svizzera continuerà inoltre a facilitare «dialoghi mediante l'azione» in Medio Oriente, in Asia centrale e in Asia meridionale. Questi dialoghi permettono di favorire la collaborazione tra attori politici i cui sistemi di valori differiscono e che, insieme, cercano di fornire una risposta concreta a un fattore di tensione o di conflitto. Per esempio in Tagikistan, rappresentanti delle élite religiosa e laica hanno sviluppato con il sostegno della Svizzera un piano di studi che prevede l'introduzione nelle scuole coraniche di temi di educazione secolare e di diritti civici. La Svizzera facilita inoltre l'individuazione di attività che possano essere sviluppate congiuntamente da un ente assistenziale protestante in Svizzera e da un ente assistenziale musulmano in 49 50 51

www.genevadeclaration.org Nel marzo 2009 i firmatari erano 106.

Un primo rapporto è stato pubblicato l'anno scorso: Small Arms Survey, «The Global Burden of Armed Violence», Ginevra, 2008.

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Egitto. Le diverse tappe di questa cooperazione sono raccolte e analizzate in modo da poter essere condivise e moltiplicate sul piano internazionale.

I partner della Svizzera: un effetto moltiplicatore La promozione della sicurezza umana è un compito collettivo. La Svizzera continuerà pertanto nei prossimi anni a collaborare con diversi partner, ad esempio con Paesi che condividono le stesse posizioni, con l'ONU e con altre organizzazioni internazionali e regionali, organi non statali e istituzioni scientifiche. Nel corso degli anni la collaborazione con partner esterni si è dimostrata un sostegno indispensabile dato che essi, grazie al loro bagaglio di conoscenze, al loro influsso e alla loro presenza sul posto hanno un effetto moltiplicatore, che attribuisce un peso maggiore agli sforzi della Svizzera e ne completa le possibilità.

3.3.7

Sicurezza umana e consolidamento del diritto internazionale

3.3.7.1

Politica dei diritti dell'uomo

Nuove sfide A più di 60 anni dall'adozione della Dichiarazione universale il 10 dicembre 1948, il modo in cui sono rispettati i diritti dell'uomo in tutto il mondo offre un'immagine ambivalente. La protezione internazionale dei diritti umani continua a evolversi in modo positivo. Un numero sempre maggiore di governi assume impegni vincolanti aderendo alle maggiori convenzioni internazionali e ai nuovi strumenti che le completano, ad esempio riguardo alla sparizione delle persone. Inoltre la comunità internazionale dispone sia di tribunali che puniscono i responsabili di gravi violazioni, come la Corte penale internazionale, sia di meccanismi politici che promuovono il rispetto dei diritti fondamentali. Il meccanismo di più recente istituzione è il Consiglio dei diritti dell'uomo dell'ONU, dotato di esame periodico universale EPU («Universal Periodic Review», UPR) nel quadro del quale ogni Stato presenta il proprio bilancio in fatto di rispetto dei diritti umani. D'altra parte sussistono tuttora seri problemi: ancor oggi in più di 70 Paesi vige la pena di morte, in altrettanti vengono impiegati la tortura e altri metodi crudeli e umilianti, migliaia di persone sono arrestate in modo arbitrario o spariscono senza lasciare traccia. I due terzi della popolazione mondiale vivono in povertà e a milioni di persone viene negato il diritto al cibo, all'acqua, all'assistenza sanitaria e alla formazione, per non parlare del diritto a partecipare alla vita politica ed alle pari opportunità.

Nel decennio passato, addirittura, sotto diversi aspetti il rispetto dei diritti umani è regredito. Dopo gli attentati dell'11 settembre 2001 negli Stati Uniti e successivamente in altri Paesi, la lotta contro il terrorismo è servita ad alcuni governi per acuire la repressione interna e mettere a tacere l'opposizione. La credibilità del mondo occidentale in fatto di promozione e protezione dei diritti umani è stata pregiudicata dagli abusi perpetrati in nome della lotta contro il terrorismo. Anche altri sviluppi hanno modificato la situazione di chi si adopera nella politica dei diritti umani. Le crudeli conseguenze che conflitti interni hanno avuto sulla popolazione civile, l'aumento del fenomeno della migrazione, il crescente divario tra ricchi e poveri, le lacune nei sistemi democratici e nello Stato di diritto, il ruolo delle imprese transna-

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zionali, i cambiamenti climatici e la crisi alimentare sono problemi che la politica estera dei diritti umani deve affrontare.

Nell'ambito dei diritti umani continuano a mantenere la loro validità le tradizionali priorità della politica estera svizzera, soprattutto la promozione mirata dei diritti fondamentali, la protezione di gruppi particolarmente a rischio e il rafforzamento degli strumenti esistenti, in primo luogo del Consiglio dei diritti dell'uomo. Mentre nel 2007, soprattutto a livello istituzionale, si è trattato di consolidare il Consiglio dei diritti dell'uomo, che ha stabilito i propri regolamenti procedurali e i propri strumenti di lavoro, nel 2008 questi strumenti ­ segnatamente l'esame periodico universale (cfr. il n. 3.4.1) ­ sono stati consolidati e applicati.

La Svizzera deve inoltre essere disposta ad affrontare le nuove sfide dovute alla realtà in continuo divenire. Ad esempio dovrà cercare di promuovere nuovi strumenti, come avvenne alla fine del 2008 in occasione del 60° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. All'epoca ha propugnato l'Agenda per i diritti umani con proposte di priorità globali per il decennio successivo. Anche in futuro la Confederazione, nelle relazioni bilaterali, dovrà impegnarsi nella promozione dei diritti umani: infatti continua ad essere persuasa del fatto che le sfide attuali possono essere affrontate nel modo più adeguato soltanto nell'ambito di partenariati con altri Paesi, con organizzazioni internazionali e con operatori non statali. Nel contesto attuale, caratterizzato da polarizzazioni ­ tra oriente e occidente, tra Paesi industrializzati e Paesi in sviluppo, tra cultura occidentale e cultura islamica ­ percepibili in modo particolare nelle istanze internazionali, la Svizzera dovrà cercare di promuovere il dialogo sul rispetto delle norme internazionali riguardanti i diritti umani, perseverando nella convinzione che il modo migliore di promuovere questa questione sia costruire ponti tra posizioni diverse.

I rapporti nazionali ai comitati dell'ONU L'8 e l'11 agosto 2008 il Comitato dell'ONU per l'eliminazione della discriminazione razziale ha esaminato l'attuale rapporto (quarto, quinto e sesto rapporto combinato) della Svizzera sull'attuazione della Convenzione internazionale del 1965 sull'eliminazione di ogni
forma di discriminazione razziale. Una delegazione di rappresentanti dell'Amministrazione federale e delle autorità cantonali sotto la direzione del DFAE ha presentato il rapporto a Ginevra e ha risposto alle domande dei membri del Comitato. Il 15 agosto 2008 il Comitato ha pubblicato le osservazioni conclusive sulla situazione in Svizzera.

Il Comitato accoglie con favore la presentazione del rapporto dettagliato e apprezza il dialogo aperto e costruttivo intrattenuto con la delegazione svizzera. Nota con soddisfazione che dall'ultimo rapporto la Svizzera ha intrapreso numerose attività di lotta contro ogni forma di discriminazione razziale, ad esempio approvando nel giugno 2003 la procedura individuale di notifica ai sensi dell'articolo 14 della Convenzione, istituendo il Fondo a favore di progetti per i diritti umani e l'antirazzismo e mediante le attività di sensibilizzazione e prevenzione del Servizio per la lotta al razzismo. Accoglie positivamente la rigorosa prassi delle autorità in merito alla fattispecie di reato di discriminazione razziale (art. 261bis CP) e la definizione di standard nella formazione e nel perfezionamento degli agenti di polizia in fatto di diritti umani.

5593

Nel quadro della 44a sessione dal 20 luglio al 7 agosto 2009 il Comitato dell'ONU per l'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna esaminerà il terzo rapporto della Svizzera sull'attuazione della Convenzione del 1979 sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna. Una delegazione di rappresentanti dell'Amministrazione federale e delle autorità cantonali presenterà il rapporto a New York e risponderà alle domande dei membri del Comitato. Il rapporto, approvato il 2 aprile 2008 dal Consiglio federale, illustra numerose misure che la Confederazione, i Cantoni e i Comuni hanno preso negli ultimi anni, come ad esempio l'introduzione dell'assicurazione per la maternità, provvedimenti più rigorosi contro la violenza domestica, la promozione delle offerte di custodia di bambini complementare alla famiglia e la ratifica del protocollo facoltativo della Convenzione, che istituisce la possibilità di notifica individuale al Comitato dell'ONU in casi concreti di discriminazione delle donne.

Il 10 aprile 2008 il Consiglio federale ha approvato il secondo e terzo rapporto relativi all'attuazione del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (Patto I). Il rapporto, consegnato poi al Comitato dell'ONU per i diritti economici, sociali e culturali, fornisce un quadro completo dell'attuazione dei diritti previsti nel Patto. Si prevede che il Comitato esaminerà il rapporto nel novembre del 2010.

L'Agenda per i diritti umani Nel 2008 è stato festeggiato il 60° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. La Dichiarazione e il suo valore universale in genere non vengono messi in discussione. Anche se in sporadici casi vengono propugnate tesi che li relativizzano, o addirittura ne mettono in dubbio la portata, nessun Paese ritiene che la Dichiarazione sia obsoleta o incompleta. Questa situazione rappresenta un grande successo e lascia sperare che i futuri dibattiti sulla più ampia attuazione possibile degli ideali propugnati dalla Dichiarazione daranno buoni risultati.

La Svizzera ha proposto l'elaborazione di un'Agenda per i diritti umani in grado di offrire un contesto per un sostegno più efficace e una migliore protezione di questi diritti52 per i prossimi dieci anni. L'Agenda è stata compilata da un gruppo
indipendente di personalità di spicco, con il sostegno dell'Accademia di Ginevra di diritto internazionale umanitario e di diritti umani e propone riflessioni su argomenti quali la responsabilità comune, l'eliminazione della povertà grazie all'introduzione di un «obbligo alla solidarietà», l'amministrazione della giustizia e l'accesso alla giustizia, i cambiamenti climatici e l'istituzione di una corte internazionale dei diritti dell'uomo. Nel 2009 e negli anni successivi diventerà necessario approfondire l'Agenda per i diritti umani. I lavori vengono assistiti da Paesi partner e istituzioni universitarie.

Prosecuzione delle consultazioni e dei colloqui bilaterali Negli ultimi anni sono stati portati avanti le consultazioni e i colloqui bilaterali sui diritti umani con Vietnam, Cina, Iran, Cuba e Russia. Ognuno dei colloqui ha seguito un proprio ritmo e portato a risultati diversi. Il dialogo risulta ancora una volta uno strumento molto adeguato. La maggior parte dei colloqui bilaterali è stata avviata relativamente di recente. Il dialogo con la Cina e ancor più quello con l'Iran sono molto irregolari mentre quello con il Vietnam e quello recentissimo con Cuba 52

www.udhr60.ch

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promettono bene. Inoltre nel 2009 la Svizzera ha deciso di iniziare un dialogo sui diritti umani con il Tagikistan. Data la natura confidenziale dei colloqui, la Svizzera può costruire un rapporto di fiducia con questi partner. Ed è proprio questo rapporto di fiducia a permettere di affrontare argomenti delicati come il modo in cui uno Stato applica i diritti umani ad esempio nel diritto penale (esecuzione e procedura penali) oppure nel diritto delle minoranze. Una volta stabilito un rapporto di fiducia, questi argomenti possono essere approfonditi e ampliati e il dialogo può essere proseguito efficacemente. I colloqui sono completati da progetti concreti ad esempio nell'amministrazione carceraria oppure nell'ambito dei diritti della donna.

3.3.7.2

Politica umanitaria e migrazione

Crescente necessità di protezione La protezione di persone vulnerabili in balia di pericoli quali la guerra, la violenza o le catastrofi naturali continua ad essere un problema molto attuale. Oggi circa 200 milioni di persone sono migranti ­ cioè il 3 per cento della popolazione mondiale. Tra questi, secondo dati dell'Alto Commissariato dell'ONU per i rifugiati, al termine del 2007 si contavano 67 milioni di sfollati, tra cui 16 milioni di profughi.

Trattamenti particolarmente disumani quali la tratta di esseri umani, le cui vittime sono spesso donne e bambini, sono sempre più frequenti. Inoltre i movimenti dei gruppi sono diventati molto complessi: ad esempio, persone in fuga da conflitti armati si uniscono a gruppi di persone in fuga da povertà e fame. La pressione migratoria non aumenta solamente sui Paesi industrializzati, ma anche sui Paesi in sviluppo, i quali non dispongono né della capacità né dei mezzi per affrontarla.

Anche i conflitti ­ una delle cause tradizionali dell'allontanamento ­ sono diventati più complessi. Il numero di guerre in senso classico tra eserciti regolari è diminuito nell'ultimo decennio, mentre sempre più frequenti sono i conflitti armati interni, in cui le truppe regolari si oppongono a gruppi armati non statali e in alcuni casi addirittura a ditte militari private. Spesso quasi non è possibile distinguere tra civili e combattenti, dunque il pericolo per la popolazione civile diviene estremo. Misure contrarie al diritto internazionale, come ad esempio attacchi mirati alla popolazione civile o il mancato rispetto del principio della proporzionalità rientrano nelle strategie di ambedue le parti. In tale contesto si tratta soprattutto da una parte di convincere gli Stati ed i gruppi non statali armati a rispettare le norme in vigore, dall'altra di mettere a disposizione sul campo le soluzioni operative che corrispondono alle esigenze dei civili.

Nonostante aumenti il bisogno di protezione, la popolazione dei Paesi industrializzati sembra percepire la migrazione soprattutto come una minaccia e reagisce spesso con il rifiuto. Il diritto d'asilo viene messo continuamente sotto pressione e gli aspetti positivi della migrazione vengono ignorati. Questa reazione è acuita dalla minaccia di recessione e dal timore che la disoccupazione possa aumentare. In tale contesto alla
Svizzera si pongono due sfide: non deve solo risolvere le cause dell'allontanamento e cercare soluzioni umane, innovative e sostenibili, ma anche modificare la percezione della migrazione facendo comprendere che per il nostro Paese sfruttare la potenzialità della migrazione per lo sviluppo sociale ed economico rappresenta un'opportunità. Per questa ragione sarà importante rafforzare l'assistenza in loco e il partenariato con i Paesi di provenienza e di transito.

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Politica umanitaria: attuazione della strategia del DFAE Per quel che riguarda la politica umanitaria, il 2008 è stato caratterizzato dagli sforzi tesi a rendere più efficace e coerente l'intervento della Svizzera a favore della popolazione civile. A tale scopo il DFAE ha preparato la Strategia per la protezione delle persone civili in caso di conflitti armati (2009­2012), che permette al Dipartimento di seguire una filosofia e un linguaggio comuni, di determinare priorità di lavoro e di aumentare la coerenza interna e le sinergie dell'intervento. In questo modo il DFAE eleva l'efficacia dell'impegno multilaterale e bilaterale, consolida la propria posizione internazionale in questo ambito e può esercitare una maggiore influenza sul relativo dibattito.

Nel 2009 e nel quadriennio successivo il DFAE cercherà di concretizzare gli elementi più importanti di questa strategia e si concentrerà su tre questioni principali: chiarire, consolidare e rispettare il quadro normativo che offre protezione ai civili in caso di conflitto armato (in particolare grazie a seminari specializzati sulle attuali sfide per il diritto internazionale umanitario e sul rafforzamento di meccanismi atti a garantire il controllo e l'attuazione di questo quadro); migliorare le attività per la protezione di civili in caso di conflitto armato (in particolare per la protezione dei gruppi più vulnerabili di civili, per l'accesso umanitario e per la sicurezza degli operatori) e consolidare le proprie competenze nel settore della protezione di civili.

Nel corso del 2009 inoltre verrà concluso il progetto di un manuale sulla guerra aerea e l'impiego di missili («Air and Missile Warfare Manual») inteso a diffondere le conoscenze e il rispetto delle norme di diritto internazionale in questo ambito.

Dopo consultazioni bilaterali e regionali tra Stati e in stretta collaborazione con il CICR, un gruppo di esperti rinomati è stato incaricato di elaborare un manuale con relativo commento sul diritto consuetudinario nella guerra aerea e nell'impiego di missili. Il manuale e il commento sono destinati agli eserciti nazionali, agli organi decisionali, agli operatori e agli scienziati. Questo progetto, scaturito dall'«Alabama Process», verrà concluso nel 2009 con la presentazione dei due testi definitivi e l'avvio di attività finalizzate
all'ampliamento e alla formazione in questo settore.

Quello degli sfollati interni è uno dei gruppi più vulnerabili della popolazione civile e, in quanto tale, al centro del secondo elemento prioritario della strategia del DFAE.

In questo ambito la Svizzera continua a sostenere l'Incaricato speciale del Segretario generale dell'ONU per gli sfollati interni, il professor Walter Kälin, nel colloquio con i governi e le organizzazioni internazionali e regionali. Scopo di questi dialoghi è far applicare le direttive dell'ONU sullo sfollamento interno. Nella ricerca di una soluzione duratura ai problemi causati dallo sfollamento, il DFAE ha intrapreso sforzi supplementari nel settore della garanzia dei diritti fondiari, in particolare con l'elaborazione di un manuale specializzato e la preparazione di progetti per contesti specifici come la Colombia e la Repubblica Democratica del Congo. La Svizzera ha prestato aiuto umanitario a livello sia bilaterale sia multilaterale agli sfollati interni.

Inoltre sostiene operatori internazionali quali il CICR, l'UNHCR e l'UNICEF ed è attiva nel settore della tutela delle vittime.

La Svizzera continuerà ad occuparsi giuridicamente, politicamente e operativamente in modo particolare delle persone che hanno dovuto lasciare i luoghi di residenza a causa di conflitti armati o catastrofi naturali o che in seguito alle conseguenze dei cambiamenti climatici sono state costrette a lasciare il Paese d'origine. Grazie a uno scambio permanente e con il sostegno dei nostri maggiori partner, intendiamo promuovere sia il rispetto del diritto sia la ricerca di soluzioni durature per milioni di 5596

sfollati. In particolare la collaborazione con l'Incaricato del Segretario generale dell'ONU per gli sfollati interni e il partenariato con il «Brookings-Bern Project on Internal Displacement» offriranno l'opportunità di avviare un dialogo diretto con le autorità, la società civile e gli operatori umanitari dei Paesi colpiti dallo sfollamento.

Inoltre una maggiore collaborazione con il Centro di monitoraggio per le persone sfollate («Internal Displacement Monitoring Centre», IDMC) di Ginevra permetterà di sistematizzare la diffusione delle direttive dell'ONU.

La questione dell'accesso alla popolazione civile è un problema centrale delle attività umanitarie. In proposito la Svizzera ha organizzato un incontro tra personalità di spicco cui hanno partecipato i rappresentanti di governi e i membri di organizzazioni internazionali e non statali. In questa occasione sono stati formulati approcci destinati ad essere approfonditi (cfr. anche il n. 3.3.7.3). Inoltre, il DFAE ha sostenuto un'iniziativa dell'Ufficio di coordinamento degli affari umanitari dell'ONU (OCHA), il cui scopo è sviluppare i meccanismi di controllo delle difficoltà di accesso alla popolazione civile e presentare rapporti in merito («monitoring and reporting»). Si tratta tra l'altro di facilitare i relativi dibattiti nel Consiglio di sicurezza dell'ONU. Il crescente numero di minacce e violazioni cui è esposto il personale umanitario nelle regioni in conflitto rappresenta un ostacolo sempre più complesso per le attività umanitarie. Nel 2009 il DFAE proseguirà il sostegno alla «Security Management Initiative» (SMI) con sede a Ginevra, un centro di competenze incaricato di sviluppare soluzioni operative a questioni di sicurezza nell'attività delle organizzazioni umanitarie. Nel contesto dell'iniziativa a favore di una buona prassi nel settore umanitario («Good Humanitarian Donorship») la Svizzera si impegna a rafforzare i sistemi di coordinamento e concertazione con le organizzazioni umanitarie.

Migrazione: promuovere le opportunità e risolvere le sfide L'introduzione, nel 2008, di partenariati per le migrazioni ha conferito una prospettiva globale alla politica di migrazione svizzera permettendole di basarsi su partenariati con i Paesi d'origine. Il Comitato del Gruppo di lavoro interdipartimentale sulla migrazione ha preso le prime
misure operative. Il 13 aprile 2009 e il 30 giugno 2009 rispettivamente sono stati firmati i memoranda d'intesa con la Bosnia ed Erzegovina e la Serbia. Un testo analogo è stato parafato anche con il Kosovo (giugno 2009) e sarà verosimilmente firmato nel corso dell'autunno. Sono inoltre stati stretti i primi contatti con la Nigeria.

Alla fine del 2007 il Comitato ha adottato un piano per migliorare la protezione dei rifugiati nelle relative zone d'origine («Protection in the Region») venendo incontro all'obiettivo del Parlamento e del Consiglio federale di ampliare l'assistenza offerta in loco ai rifugiati che ne hanno bisogno. Impegnandosi in questo settore, la Svizzera intende permettere ai rifugiati di trovare rapidamente protezione nei luoghi d'origine e aiutare i Paesi ospitanti ad adempiere gli obblighi internazionali di protezione dei rifugiati. Migliorare a medio termine questa protezione nei Paesi di primo asilo può ridurre i flussi migratori irregolari verso l'Europa. Per quel che riguarda il flusso proveniente dal Corno d'Africa e dall'Eritrea, l'impegno della Svizzera nel 2009 si sta concentrando soprattutto sullo Yemen. Un programma verrà elaborato da svariati servizi dell'Amministrazione federale, tra cui la Direzione politica, la DSC e l'Ufficio federale della migrazione (UFM) in collaborazione con il governo yemenita e alcune organizzazioni internazionali e sarà sostenuto da progetti già in corso presso l'UFM per la prevenzione della migrazione irregolare e per l'aiuto umanitario 5597

per la regione del Corno d'Africa. Nel 2009 verrà esaminata l'opportunità di avviare un programma in Siria a favore dei rifugiati provenienti dall'Iraq.

Nei prossimi anni la Svizzera continuerà anche l'attività in alcuni forum internazionali e regionali di discussione sulla migrazione. Per il 2009 si tratta soprattutto del Forum globale sulla migrazione e lo sviluppo riunito ad Atene e dei lavori successivi alla seconda conferenza ministeriale euro-africana sulle migrazioni e lo sviluppo, tenutasi a Parigi nel novembre 2008. Nel quadro dell'ONU, per il 2011 è previsto un dialogo informale cui ne seguirà un altro di alto livello sulla migrazione e sullo sviluppo. La decisione di avviare in seno all'ONU un secondo dialogo di alto livello sullo stesso argomento rappresenta un passo importante verso la formulazione di un programma di azione politica comune per affrontare sia i numerosi problemi sia le opportunità della migrazione.

Il nuovo Programma globale sulla migrazione della DSC promuove l'introduzione di aspetti migratori nella cooperazione allo sviluppo con Paesi prioritari della DSC o con Paesi compresi nell'elenco strategico del Comitato. Grazie all'abbinamento della questione della migrazione con quella dello sviluppo la Svizzera può raggiungere i propri obiettivi meglio e in maniera più efficace in ambedue i contesti.

La Svizzera dovrà trattare anche la questione delle conseguenze dei cambiamenti climatici sulla migrazione, al fine di formulare una posizione coerente sulle sfide connesse e partecipare attivamente al dibattito internazionale (cfr. anche il n. 3.3.2).

Il nuovo ambasciatore straordinario per la cooperazione internazionale in materia di migrazione farà progredire la collaborazione della Svizzera nel campo della migrazione ricorrendo al sostegno di tutti i dipartimenti e consoliderà l'approccio governativo integrato, praticato con successo da alcuni anni. Tra l'altro si occuperà dei settori citati e intensificherà e ottimizzerà le misure concrete di collaborazione.

In questo modo la Svizzera potrà accentuare il proprio profilo internazionale e rappresentare ancor meglio gli interessi nel settore della migrazione.

Tratta di esseri umani: prevenzione, protezione e maggiore presenza locale Negli ultimi anni la Svizzera ha nuovamente intensificato i propri sforzi nella lotta
contro la tratta di esseri umani, al fine di migliorare la prevenzione, di proteggere in maniera più efficace le vittime e di rafforzare le prestazioni delle autorità straniere (p. es. in Moldavia, in Ucraina, nella Federazione Russa, in Nigeria e nella regione del Mar Nero). Si è inoltre cercato di rafforzare i contatti tra gli esperti svizzeri e i partner stranieri. Ad esempio, una delegazione svizzera si è recata in Romania per migliorare lo scambio di informazioni sulle indagini e i relativi risultati, sul lavoro degli organi di giustizia e sulla protezione delle vittime.

In futuro la Svizzera manterrà il proprio contributo visibile e concreto in questo settore. A tale scopo deve partecipare alla definizione e all'aggiornamento di norme e standard internazionali. Al momento sta valutando l'opportunità di un contributo multilaterale al fine di dare maggior peso alle raccomandazioni. Continuerà ad impegnarsi in loco, in particolare nella Romania sudoccidentale, dove è in corso un progetto per bambini Roma esposti al pericolo di sfruttamento e tratta di esseri umani. Nel tentativo di consolidare i contatti tra le strutture estere e gli operatori svizzeri e migliorare la collaborazione internazionale, la Svizzera prevede infine di inviare una seconda delegazione in un Paese ritenuto prioritario dagli esperti svizzeri.

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3.3.7.3

Consolidamento del diritto internazionale umanitario

Tradizionalmente la Svizzera si impegna per la promozione e l'evoluzione del diritto internazionale, una costante della sua politica estera, soprattutto quale Paese senza potere politico o militare. Importanza particolare viene data ai diritti umani e al diritto internazionale umanitario.

Gli Stati, gli scienziati e le organizzazioni, come il CICR, sono in linea di massima concordi nell'affermare che le sfide si presentano soprattutto nel mantenimento e nell'applicazione o interpretazione di determinate norme e in situazioni specifiche piuttosto che nel diritto consolidato. Ciò non esclude che, in determinati settori, come ad esempio l'impiego di alcune armi, il diritto internazionale umanitario possa essere circonstanziatamente sviluppato. Qui di seguito mostreremo, sulla scorta di due esempi, come la Svizzera si impegni per chiarire determinate disposizioni e per promuovere il diritto internazionale umanitario e la giurisdizione penale internazionale.

Accesso umanitario in caso di conflitto armato L'accesso e l'assistenza alle vittime dei conflitti armati è un punto nevralgico del diritto internazionale umanitario e della politica umanitaria. Tuttavia, regolarmente in caso di conflitto armato, l'accesso viene limitato o completamente negato da una o più parti al conflitto, oppure la sicurezza degli operatori umanitari non può essere garantita. L'ultimo chiaro esempio di questa situazione si è presentato durante il conflitto di Gaza tra la fine del 2008 e l'inizio del 2009. La Svizzera ha invitato tutte le parti al conflitto a permettere un rapido e libero accesso alle organizzazioni umanitarie e a proteggere il personale medico e gli ospedali nonché altre strutture mediche. Ha chiesto alle autorità israeliane di lasciar entrare al più presto una squadra di pronto intervento del CICR nella Striscia di Gaza. L'Aiuto umanitario della Confederazione ha messo a disposizione, oltre ai 3 milioni di franchi già previsti, altri mezzi per l'UNRWA e il CICR. Inoltre la Svizzera ha svolto un intervento umanitario inviando una delegazione di esperti in medicina, acqua potabile e logistica.

Spesso è difficile stabilire con chi o su che base devono essere condotti i negoziati per garantire l'accesso. Per chiarire tali questioni, il 30 giugno e il 1° luglio 2008 il DFAE ha organizzato un incontro a Montreux
sull'argomento dell'accesso umanitario in caso di conflitto armato con lo scopo di individuare gli ostacoli maggiori ed esaminare le possibilità giuridiche, politiche ed operative di superarli. All'incontro hanno partecipato circa 50 persone (rappresentanti governativi e militari, personalità della scienza, membri di organizzazioni umanitarie e di organizzazioni internazionali), che si sono mostrate persuase dell'importanza fondamentale di questa questione.

I dibattiti si sono limitati ai conflitti armati in generale senza soffermarsi su situazioni precise. La prima parte dell'incontro ha riguardato soprattutto le condizioni giuridiche generali dell'accesso umanitario in caso di conflitto armato, mentre la seconda parte si è dedicata ai problemi pratici da affrontare in loco. Tre gruppi di lavoro hanno trattato gli aspetti seguenti: ­

entità degli ostacoli all'accesso;

­

coordinamento tra organizzazioni internazionali, ONG e operatori militari in loco;

­

negoziati sull'accesso: operatori umanitari, statali e non statali.

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L'incontro ha portato a più di una conclusione interessante. Innanzitutto i dibattiti hanno mostrato l'esigenza di maggiori analisi e buone pratiche sull'accesso umanitario in caso di conflitti armati. Inoltre è stata discussa la differenza tra operazioni umanitarie e operazioni militari, una distinzione centrale se si vogliono evitare problemi nel lavoro del personale umanitario sul posto. A livello operativo, l'OCHA dovrebbe avere maggior peso in particolare in seno all'ONU per la sua funzione di coordinatore nella soluzione di problemi riguardanti l'accesso umanitario. Numerosi partecipanti hanno fatto notare la necessità di migliorare la dotazione e le competenze degli operatori umanitari in vista di negoziati sull'accesso. Infine è stato sottolineato come a livello giuridico sussistano incertezze, in particolare per quel che riguarda i criteri di divieto o limitazione dell'accesso per gli operatori umanitari.

Grazie a questo incontro utile e istruttivo e alle relative conclusioni sono state elaborate alcune raccomandazioni su come seguire questa problematica. La Svizzera desidera continuare questi lavori e sarebbe favorevole alle seguenti proposte: ­

elaborazione di analisi esemplificative, ad esempio in collaborazione con gli operatori politici, operativi e giuridici coinvolti per raccogliere e analizzare gli approcci scelti da questi ultimi e indicare i problemi concreti che limitano l'accesso umanitario;

­

in base a queste analisi esemplificative, redazione di un manuale di buone pratiche per tutti gli operatori in loco (statali, non statali, umanitari, militari ecc.) e di un catalogo di misure di applicazione;

­

nel quadro dell'elaborazione di questo manuale, potrebbe essere organizzato un incontro di esperti che si occupi delle questioni giuridiche e delle condizioni quadro legali vigenti.

Società di sicurezza e militari private Nei conflitti più recenti è aumentato l'impiego di società di sicurezza e militari private. La loro presenza nelle regioni in conflitto non rappresenta un fenomeno nuovo, ma il loro numero e il tipo di attività è cambiato dall'inizio degli anni Novanta. Ad esempio, si stima che circa 180 000 impiegati di più di 300 società private di sicurezza e militari siano stazionati in Iraq per espletare compiti che si avvicinano sempre più a mansioni tipicamente militari, come l'interrogatorio dei prigionieri o la manutenzione di sistemi d'arma tecnicamente complessi.

L'impiego di ditte private nei conflitti armati è controverso. Le convenzioni di Ginevra e i protocolli aggiuntivi in cui sono codificate le norme di diritto internazionale per i conflitti armati non prevedono ruoli importanti per ditte di questo genere.

Abusi perpetrati di recente da membri di queste società in Iraq hanno dato l'impressione che queste persone agiscano in una zona grigia del diritto e in particolare non siano tenute a giustificare il proprio comportamento.

Dal 2005 il DFAE (più precisamente la Direzione del diritto internazionale pubblico) si impegna affinché nelle zone in conflitto anche le società di sicurezza e militari private rispettino in modo più rigoroso il diritto internazionale umanitario e i diritti umani. Insieme al CICR, il DFAE ha avviato un'iniziativa intergovernativa.

In seguito a intense sollecitazioni e dopo consultazioni anche presso la società civile e il settore interessato, dal 15 al 17 settembre ha avuto luogo l'incontro conclusivo dell'iniziativa, al quale hanno partecipato i 17 Paesi maggiormente coinvolti - tra

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cui gli Stati Uniti, l'Iraq e l'Afghanistan53 - i quali, nell'ultima giornata dell'incontro, hanno adottato il Documento di Montreux sulle società di sicurezza e società militari private54.

Il Documento di Montreux chiarisce e conferma gli obblighi legali internazionali che gli Stati devono rispettare nell'impiego di società di sicurezza e militari private durante i conflitti armati. Secondo il diritto internazionale vigente, gli Stati non possono sottrarsi ai propri doveri utilizzando questo tipo di società, devono prendere misure adeguate per evitare che tali ditte violino il diritto internazionale umanitario e i diritti umani e devono mettere a disposizione gli strumenti necessari per punire le violazioni. Gli Stati sono direttamente responsabili del comportamento di ditte che agiscono su incarico del governo.

In secondo luogo, il Documento elenca le cosiddette buone pratiche destinate ad aiutare in maniera concreta gli Stati nell'adempimento dei loro obblighi. Ad esempio si raccomanda di emanare disposizioni adeguate e di introdurre una procedura di licenza al fine di aumentare il controllo e la responsabilità sulle società di sicurezza e militari private. È importante controllare gli impiegati e formarli nel settore del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani, sviluppare procedure e norme di intervento conformi al diritto e prevedere procedure interne per punire le violazioni commesse dal personale.

In particolare, il Documento di Montreux stabilisce che le società di sicurezza e militari private non debbano agire in una zona grigia del diritto: tutti i Paesi che hanno partecipato agli incontri a Montreux erano concordi su questo punto.

Altri Stati e organizzazioni internazionali nonché l'intero settore sono ora chiamati a utilizzare il Documento quale testo di riferimento e ad applicare le misure che vi vengono proposte. La cerchia dei Paesi partecipanti deve essere ampliata. Il DFAE perciò, insieme al CICR, si premura di estendere la diffusione del Documento oltre la cerchia dei Paesi partecipanti. La sua presentazione ad organizzazioni internazionali quali l'ONU, la NATO, l'OCSE, l'OAS, il Consiglio d'Europa e l'UE rientra in questa attività come anche lo svolgimento di seminari in Asia, Africa e America latina. Inoltre la Direzione politica (Divisione politica IV) ha invitato aziende e gruppi di interesse ad un dialogo internazionale con lo scopo di adottare un codice di comportamento per il settore, riconosciuto globalmente.

3.3.7.4

La Corte penale internazionale

La Svizzera ha partecipato sin dall'inizio ai negoziati sull'istituzione di una corte penale internazionale permanente e ha propugnato un organo importante, universale e indipendente. Questo impegno non è cessato con l'istituzione della Corte penale internazionale («International Criminal Court», ICC) e la ratifica dello Statuto di Roma da parte della Svizzera (RS 0.312.1). La Svizzera continua instancabilmente a impegnarsi nella promozione della giurisdizione penale internazionale e in particolare della ICC, divenuta uno degli elementi fondamentali del perseguimento penale 53

54

Hanno partecipato 17 Paesi: Afghanistan, Angola, Australia, Austria, Canada, Cina, Francia, Germania, Gran Bretagna, Iraq, Polonia, Sierra Leone, Stati Uniti, Sudafrica, Svezia, Svizzera e Ucraina.

Il Documento di Montreux è ora un documento ufficiale dell'ONU. È consultabile alla voce UN Doc. A/63/467­S/2008/636 (6 ott. 2008). La lingua originale è l'inglese.

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internazionale. L'impegno della Svizzera scaturisce dalla convinzione che la lotta contro l'impunità di crimini gravissimi rappresenti un fattore essenziale nel conseguimento e mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.

La Svizzera, che negli anni 2007 e 2008 ha partecipato attivamente ai colloqui e ai negoziati in occasione delle conferenze annuali dei Paesi parte allo Statuto di Roma, continuerà nel suo impegno e prenderà parte anche alla Conferenza d'esame dello Statuto di Roma che si terrà nella prima metà del 2010. La Svizzera prevede di non limitarsi alla preparazione di questa conferenza straordinaria, bensì di partecipare attivamente ai negoziati sulla definizione del crimine di aggressione. Inoltre intende adoperarsi affinché, durante la revisione dello Statuto di Roma, vengano trovate soluzioni realistiche per la Corte penale.

La Svizzera ha sempre appoggiato la Corte penale, da una parte con contributi finanziari regolari e volontari, ad esempio al Fondo fiduciario per le vittime di crimini, dall'altra con la collaborazione con la ICC. In tale contesto, la Svizzera nel prossimo biennio esaminerà se ratificare l'Accordo sui privilegi e le immunità della Corte penale internazionale che ha firmato nel settembre 2002.

Inoltre la Svizzera sostiene in vari Paesi progetti per promuovere la ratifica dello Statuto di Roma e la sua applicazione a livello nazionale. Infine, il 23 aprile 2008, il Consiglio federale ha trasmesso al Parlamento il messaggio concernente la modifica di leggi federali per l'attuazione dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale55.

3.3.7.5

La questione dei fondi illeciti di capi di Stato e di alti funzionari

Dalla fine degli anni Ottanta la questione dei «fondi di potentati» è diventata importante nella politica estera elvetica a causa di casi sensazionali (Marcos, Abacha, Montesinos). Spesso valori patrimoniali di politici importanti lasciano i Paesi ai quali sono stati sottratti per essere trasferiti su piazze finanziarie internazionali, tra l'altro anche in Svizzera.

Di fronte a questi sviluppi la Svizzera ha elaborato un sistema basato su due pilastri: la prevenzione e l'assistenza giudiziaria.

Il settore della prevenzione è stato ampliato in collaborazione con le cerchie bancarie. Uno degli strumenti più importanti è la legge del 10 ottobre 1997 sul riciclaggio di denaro (RS 955.0), che obbliga gli intermediari finanziari a individuare i valori patrimoniali acquisiti indebitamente e a comunicarli all'Ufficio di comunicazione in materia di riciclaggio di denaro MROS («Money Laundering Reporting Office of Switzerland»). Il secondo pilastro si basa sulla legge federale del 20 marzo 1981 sull'assistenza internazionale in materia penale (RS 351.1), che rende possibile la collaborazione con Paesi terzi nel sequestro e la restituzione di valori patrimoniali acquisiti indebitamente. La crescente problematica dei cosiddetti «failed states» ha mostrato tuttavia i limiti del sistema, come illustrano chiaramente i casi Duvalier e Mobutu.

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Comunque, nel complesso il sistema ha dato buoni risultati. Negli ultimi 15 anni la Svizzera ha restituito ai Paesi d'origine più di 1,7 miliardi di franchi, cioè più di qualsiasi altra piazza finanziaria. Nonostante questo bilancio positivo, le possibilità del nostro sistema sono ancora abbastanza sconosciute, soprattutto all'estero. Inoltre fondi illegali e in particolare valori patrimoniali di personaggi politici acquisiti illecitamente, tramite corruzione o appropriazione indebita di fondi pubblici, mettono in cattiva luce gli istituti finanziari svizzeri.

La Svizzera non trova molto sostegno negli sforzi intrapresi per dimostrare l'efficacia del suo sistema di lotta contro il riciclaggio di denaro sporco e degli strumenti legali che agevolano l'assistenza giudiziaria per il recupero di tali fondi.

Per questo motivo la sua politica della comunicazione si trova davanti ad una vera sfida: infatti deve dimostrare che il blocco presso la nostra piazza finanziaria di numerosi fondi acquisiti illecitamente non significa che questi fondi giacciono in Svizzera a causa della protezione offerta dal segreto bancario. Al contrario, la Svizzera ha creato gli strumenti necessari e mostra la volontà politica di trovare valori patrimoniali di questo tipo, di sequestrarli e di bloccarli.

Quale pioniere nella restituzione di fondi di potentati, la Svizzera è attiva a livello internazionale e nazionale.

a. Impegno internazionale della Svizzera La Svizzera ha avviato e sostiene diverse iniziative per promuovere una lotta coordinata contro la criminalità finanziaria a livello internazionale. I centri finanziari internazionali devono impedire congiuntamente l'afflusso di fondi criminali, bloccare rapidamente i relativi valori patrimoniali e restituirli ai legittimi proprietari: ­

nel 2001 la Svizzera ha avviato il Processo di Losanna, che offre regolari opportunità di incontro agli specialisti di tutto il mondo per migliorare le procedure esistenti e allacciare contatti. In questo Processo si tratta anche di creare un rapporto di fiducia in ambito tecnico per poter risolvere meglio i casi di assistenza giudiziaria internazionale per il recupero dei fondi. Al seminario «Lausanne IV», svoltosi dal 25 al 27 maggio 2008, hanno partecipato circa 60 rappresentanti governativi ed esperti internazionali, che hanno discusso soprattutto delle condizioni quadro giuridiche, risultanti dal principio dello Stato di diritto, nel recupero di valori patrimoniali. Sono inoltre state al centro dei dibattiti le sfide poste dai sempre più numerosi casi dei cosiddetti Stati falliti («failed states»);

­

la Svizzera è tra i maggiori finanziatori dell'«International Center for Asset Recovery» (ICAR) con sede a Basilea, sin dalla fondazione di questo organo. Lo scopo del centro è sostenere i Paesi in sviluppo e in transizione negli sforzi di recupero di valori patrimoniali. La Svizzera offre assistenza tecnica sotto forma di corsi con cui acquisire capacità e realizzare le procedure e istituzioni necessarie all'assistenza giudiziaria nel settore della restituzione di fondi. L'ICAR offre anche una vasta gamma di corsi di gestione governativa e lotta contro la corruzione, che vengono adattati alle condizioni e realtà locali. Inoltre sussistono partenariati con la Banca mondiale e l'UNODC;

­

a livello multilaterale, la Svizzera è la principale promotrice di una clausola nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (art. 57) che obbliga gli Stati a restituire i valori patrimoniali acquisiti illecitamente ai 5603

Paesi vittime di corruzione. Questa disposizione è senza precedenti a livello internazionale. Probabilmente la Svizzera ratificherà la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione nel 2009 e si impegna affinché questa ­ e in particolare l'articolo 57 - venga applicata in modo efficace in tutto il mondo, in particolare per quel che riguarda il trattamento di fondi di potentati. La Svizzera partecipa attivamente ai relativi gruppi di lavoro e alle conferenze di Stati parte ai trattati; ­

la Svizzera collabora con la «Stolen Assets Recovery Initiative» (StAR), avviata dalla Banca mondiale e dall'UNODC nel settembre 2007. L'iniziativa intende innanzitutto mettere tutti gli Stati in condizione di trattare e inoltrare domande di assistenza giudiziaria internazionale, approvare e applicare misure efficaci di sequestro di valori patrimoniali illegali e migliorare la trasparenza e l'obbligo di render conto delle amministrazioni finanziarie pubbliche.

b. Progetto di una legge federale sul sequestro e sulla restituzione di fondi di potentati Nel giugno 2007, quando si è diffusa l'impressione che i fondi Duvalier dovessero essere sbloccati, il consigliere nazionale Felix Gutzwiller ha inoltrato il postulato «Assistenza giudiziaria nel caso dei » (07.3459) in cui incaricava il Consiglio federale di illustrare il modo di procedere della Svizzera in caso di dissequestro di fondi, qualora lo Stato cui deve essere prestata l'assistenza giudiziaria non sia in grado di applicare una procedura rispettosa dei principi di uno Stato di diritto e delle garanzie in materia di diritti umani. Il Consiglio federale ha accolto il postulato.

Secondo l'opinione del Consiglio federale, in questo campo esistono effettivamente lacune e sarebbe dunque auspicabile una legge speciale che completi le disposizioni vigenti sulla protezione della buona reputazione della piazza finanziaria svizzera. La legge si applicherebbe ai settori che non rientrano nel campo di applicazione della legge federale sull'assistenza internazionale in materia penale perché non sono soddisfatte le condizioni per l'assistenza giudiziaria. Grazie a una tale legge possono essere chiarite le premesse per la restituzione di fondi sequestrati: infatti è nell'interesse della Svizzera che la procedura di restituzione sia trasparente e che i fondi vengano utilizzati a favore della popolazione degli Stati da cui provengono.

3.3.8

Sviluppo equo e sostenibile

3.3.8.1

Situazione di partenza: la Dichiarazione del Millennio e gli OSM

Il mandato principale della cooperazione allo sviluppo svizzera è stabilito nella legge federale del 197656 sulla cooperazione allo sviluppo e sull'aiuto umanitario internazionali. La cooperazione allo sviluppo svizzera sostiene Paesi in sviluppo nel loro impegno a ridurre la povertà. Nel 2000, con la Dichiarazione del Millennio, la comunità internazionale degli Stati ha stabilito un quadro di misure strategiche con 56

Legge federale del 19 marzo 1976 sulla cooperazione allo sviluppo e sull'aiuto umanitario internazionali, RS 974.0.

5604

obiettivi da realizzare entro il 2015 («Millennium Development Goals», MDG). La DSC sostiene i Paesi partner nel raggiungimento di queste mète. La povertà ha cause pluridimensionali. Le crisi finanziaria, alimentare e climatica acuiscono notevolmente la pressione sui Paesi in sviluppo e possono vanificare i progressi raggiunti negli anni passati. Le attività economiche, sociali e politiche connesse alla globalizzazione hanno conseguenze che non si fermano ai confini statali e concentrano l'attenzione dell'odierna politica internazionale su questioni riguardanti lo sviluppo equo e sostenibile. La Dichiarazione del Millennio, approvata da 189 Stati, pone quale sfida centrale della comunità degli Stati una gestione proficua della globalizzazione. La responsabilità del successo degli Obiettivi di sviluppo del Millennio è un impegno comune dei Paesi in sviluppo e dei Paesi industrializzati. Il principio della responsabilità comune e condivisa richiede ai Paesi in sviluppo sforzi a favore di riforme politiche ed economiche e ai Paesi dell'OCSE di tener conto delle esigenze dei Paesi in sviluppo in tutti i settori della politica e di aumentare i mezzi pubblici per l'aiuto allo sviluppo. Le conferenze internazionali, l'ultima nel dicembre 2008 a Doha, hanno rafforzato il principio del partenariato globale. Per rendere la cooperazione allo sviluppo più efficace, i Paesi donatori si sono messi d'accordo su modalità comuni (Dichiarazione di Parigi 2005; «Accra Action Agenda») e hanno stabilito di dare maggior evidenza alla ricerca del risultato. Questo quadro di obiettivi, principi, modalità e ricerca del risultato rappresenta un'indicazione importante per la politica svizzera dello sviluppo.

3.3.8.2

Ripercussioni delle crisi globali sui Paesi in sviluppo

La crisi finanziaria La crisi finanziaria internazionale acuisce le ripercussioni di quella climatica e alimentare.

Fino a poco tempo fa le economie della maggior parte dei Paesi emergenti e in sviluppo hanno dimostrato di saper reggere l'impatto della crisi finanziaria le cui conseguenze però sono sempre più evidenti: il crollo delle quotazioni nelle borse dei Paesi emergenti, il drastico aumento dei premi di rischio sui prestiti dei Paesi in sviluppo, le difficoltà di finanziamento esterno, la pressione della svalutazione e i problemi di liquidità di istituti finanziari locali.

Il ritiro di investimenti e i mancati afflussi di capitale avranno importanti ripercussioni sull'economia. Il rincaro del credito provoca un rallentamento della crescita.

Prezzi ridotti per il petrolio e le materie prime causano perdite d'introiti agli esportatori di materie prime e di risorse energetiche dall'Africa, dall'Asia e dall'America latina. Invece, gli oneri degli importatori di materie prime e risorse energetiche possono essere alleviati. Il crollo della crescita nei Paesi industrializzati avrà ripercussioni sui trasferimenti finanziari dai Paesi industrializzati verso i Paesi poveri (p. es. rimesse degli emigrati).

Particolarmente colpiti sono i Paesi in sviluppo che mantengono strette relazioni economiche con gli Stati Uniti (Messico e Paesi dell'America centrale e meridionale). In seguito al crollo della domanda statunitense, le loro esportazioni diminuiranno. Un evidente rallentamento avrà luogo nei Paesi in trasformazione dell'Europa orientale, in particolare a causa della diminuzione delle esportazioni verso l'Europa occidentale. Nell'Africa subsahariana sussistono grandi differenze, l'esportazione di 5605

materie prime dipende dalla situazione economica dei Paesi interessati. È probabile un aumento delle esigenze umanitarie nei Paesi in sviluppo colpiti dalle conseguenze della crisi finanziaria.

Secondo il Segretario generale dell'ONU Ban Ki-moon, le ripercussioni della crisi finanziaria possono vanificare i progressi raggiunti negli anni passati nella lotta contro la povertà e rimandare a un lontano futuro il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio previsti entro il 2015. In occasione dell'Assemblea generale dell'ONU dell'autunno 2008, molti capi di governo hanno fatto notare che uno sviluppo sostenibile globale richiede una ristrutturazione dell'ordinamento economico mondiale.

Per quel che riguarda la gestione della crisi, il Fondo monetario internazionale offre crediti ad alcuni Paesi per risolvere i problemi di bilancia dei pagamenti (cfr. anche il n. 3.4.2). Con i «Policy Loans» la Banca mondiale sostiene Paesi a reddito medio e contribuisce alla ricapitalizzazione dei sistemi bancari in Paesi in sviluppo. Le banche regionali per lo sviluppo dovranno aumentare i prestiti rendendo eventualmente necessari incrementi di capitale. Le soluzioni a medio e a lungo termine (come la nuova iniziativa del programma ambientale onusiano «Global Green New Deal») collegano le crisi finanziaria, climatica e alimentare e accelerano una modernizzazione «verde» dell'economia mondiale.

La crisi alimentare Il numero di persone affamate nel mondo è aumentato da 848 a 923 milioni nel giro di un anno. 33 Paesi sono colpiti da una drammatica carestia. L'«Indice globale della fame» di recente pubblicazione parla di una «situazione allarmante o estremamente allarmante». Nonostante i progressi fatti in alcune regioni (Asia meridionale e sudorientale, Medio Oriente, Africa settentrionale, America latina e Caraibi), il numero di persone colpite da questo flagello in Asia meridionale e nell'Africa subsahariana (Repubblica Democratica del Congo, Eritrea, Burundi, Zimbabwe, Nigeria e Sierra Leone) è elevato e ancora non è possibile prevedere quando scenderanno i prezzi dei generi alimentari. Rispetto al rapidissimo crollo dei prezzi del petrolio e dei prodotti agrari, i prezzi al consumatore dei generi alimentari sono rimasti quasi invariati.

Secondo stime dell'ONU, per superare la crisi alimentare sono
necessari dai 25 ai 40 miliardi di dollari americani. Negli anni Ottanta, i fondi d'aiuto all'agricoltura sono diminuiti dal 18 a quasi il 4 per cento del bilancio complessivo della cooperazione allo sviluppo. Nei Paesi in sviluppo le famiglie spendono circa due terzi del reddito per generi alimentari. Secondo un'analisi dell'Oxfam, i profitti provenienti dagli aumenti di prezzo sono andati a favore soprattutto di pochi gruppi industriali alimentari e di alcune catene di supermercati. Un aumento moderato dei prezzi dei prodotti agricoli può essere sfruttato a favore dello sviluppo e della lotta contro la povertà se si riesce ad accrescere la capacità produttiva basata sulla domanda del mercato e il potere d'acquisto dei consumatori.

Per risolvere a lungo termine e con successo la crisi alimentare, il diritto all'alimentazione deve diventare uno dei fondamenti delle strategie di sviluppo rurale e della lotta contro la fame. Elementi centrali sono inoltre lo sfruttamento sostenibile di risorse quali il suolo e il miglioramento della fertilità dei terreni. Oltre alla conservazione della biodiversità, anche la lotta contro la desertificazione e la protezione delle foreste assumono un ruolo importante per la sicurezza alimentare e 5606

la lotta contro la povertà. La conservazione sostenibile e lo sfruttamento della biodiversità costituiscono pilastri fondamentali della gestione degli ecosistemi. Infatti spesso sono le popolazioni più povere a dipendere dalle risorse naturali che le circondano. Sia nella ricerca agricola sia nelle operazioni di cooperazione allo sviluppo questa mèta deve essere prioritaria e le relative misure devono essere sufficientemente finanziate. La DSC dispone di un'esperienza pluriennale nello sviluppo rurale. Nel 2007 ha devoluto quasi il 20 per cento dei mezzi della cooperazione bilaterale allo sviluppo a progetti e programmi in questo settore.

La crisi climatica Oggi tutti si rendono conto della stretta connessione tra la politica climatica e quelle ambientale ed energetica. I cambiamenti climatici incontrollati colpiscono in modo particolare i Paesi poveri e ne distruggono le superfici agricole, acuiscono i problemi idrici, causano fenomeni atmosferici estremi e catastrofi, oltre a gravi perdite e costi economici. Uno sviluppo sostenibile globale richiede sia cambiamenti nel modo di impiegare le risorse naturali sia misure per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo del Millennio.

Diversamente da quanto accade nella maggior parte dei Paesi industrializzati, situati in zone climatiche temperate, i Paesi in sviluppo sono particolarmente vulnerabili a causa della loro posizione geografica. Nella quarta relazione sullo stato di avanzamento dei lavori (2007)57, il Gruppo intergovernativo di esperti dei cambiamenti climatici («Intergovernmental Panel on Climate Change» IPCC) ha pronosticato l'aumento dell'intensità e della frequenza di fenomeni atmosferici estremi quali cicloni e periodi di siccità. L'agricoltura dipende dalla situazione atmosferica influenzando la situazione economica di molti Paesi in sviluppo. In alcuni Paesi poveri la situazione del reddito e quella alimentare peggioreranno a causa del riscaldamento del pianeta. Entro la fine del secolo, l'Africa perderà probabilmente il 9 per cento della superficie coltivabile perché diminuiranno le risorse idriche.

Mancando i mezzi per adottare misure appropriate, spesso la capacità d'adeguamento dei Paesi in sviluppo è scarsa. Mancano personale competente e istituti in grado di prendere provvedimenti, soprattutto dove la situazione politica non è
stabile. Molti Paesi si impegnano a fondo per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo del Millennio. Tuttavia gli effetti rimarranno limitati se i Paesi dell'OCSE e quelli emergenti (cioè quelli maggiormente responsabili dei gas a effetto serra) non sosterranno in modo massiccio gli Stati poveri nel processo di adeguamento ai cambiamenti climatici. Nella Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici («United Nations Framework Convention on Climate Change» UNFCCC) i Paesi industrializzati si sono impegnati a prestare questo aiuto. L'adeguamento ai cambiamenti climatici non si realizza con attività separate, ma con coerenti strategie per lo sviluppo. I Paesi poveri devono essere assistiti nella concretizzazione delle strategie di adeguamento ai cambiamenti climatici e questo sostegno deve completare le misure di lotta contro la povertà.

Fenomeni climatici estremi possono rimandare di anni i progetti di sviluppo dei Paesi poveri, spesso mal preparati ad affrontare catastrofi. La Svizzera assiste svariati Paesi nella prevenzione di catastrofi climatiche e nella preparazione ad affrontarle impiegando gli strumenti dell'Aiuto umanitario e della Cooperazione allo

57

www.ipcc.ch/pdf/assessment-report/ar4/syr/ar4_syr.pdf

5607

sviluppo e avvalendosi della cooperazione di altri organi federali. In questo modo contribuisce inoltre alla sostenibilità dei progetti di sviluppo.

Il vertice sul clima, tenutosi a Posen nel dicembre 2008, ha creato le premesse formali per trovare nel 2009 a Copenaghen un accordo globale per il periodo dopo il 2012. Molti Paesi industrializzati non si sono mostrati molto disponibili a negoziare seriamente una riduzione delle emissioni del 25­40 per cento (a partire dal livello del 1990) entro il 2020, secondo le indicazioni dell'IPCC. L'UE, la Norvegia e la Svizzera hanno rappresentato un'eccezione. Continua a non essere chiaro come la cooperazione finanziaria e tecnologica con i Paesi poveri possa essere ampliata e garantita a lungo termine. In quest'ottica tuttavia promettono buoni risultati i fondi per investimenti a favore del clima («Climate Investment Funds»), iniziati nel 2008 dalla Banca mondiale e dotati di svariati miliardi di dollari. La decisione su una partecipazione finanziaria della Svizzera al momento non è ancora stata presa. Il tentativo dei Paesi in sviluppo di accedere a nuove fonti di finanziamento per il Fondo multinazionale di adattamento (discusso per il cosiddetto Kyoto 2) è fallito.

Invece ci si è accordati sulla struttura da dare al Fondo, di modo che questo nel 2009 probabilmente potrà iniziare a finanziare progetti. La Svizzera detiene uno dei 16 seggi nel comitato esecutivo del Fondo, che viene finanziato con un'innovativa imposta globale, invece di ricorrere a contributi dell'aiuto pubblico allo sviluppo.

Per il finanziamento di misure di adeguamento dopo il 2012 la Svizzera propone una tassa mondiale sul CO2 con un'aliquota bassa: i Paesi meno sviluppati sarebbero solo beneficiari di fondi cui non sono tenuti a contribuire.

Una politica climatica equa richiede in particolare tre elementi fondamentali: una notevole riduzione delle emissioni da parte dei Paesi industrializzati; il passaggio a fonti di energia non fossili; il sostegno tecnologico e finanziario a Paesi in sviluppo, ma soprattutto a quelli emergenti, nel passaggio a fonti alternative e il sostegno ai Paesi più poveri nell'adeguamento agli inevitabili cambiamenti climatici.

La cooperazione svizzera allo sviluppo attribuisce un'importanza sempre maggiore alla crisi climatica. In svariati Paesi sono
in corso programmi in questo settore. In alcuni casi (p. es. in India) la questione climatica rappresenta la componente principale della collaborazione bilaterale. Anche per il 2009 è previsto un programma globale che si occupa della problematica e prevede misure bilaterali e multilaterali.

Grazie a tale programma la DSC sostiene anche altri progetti elvetici nel settore, come quelli del Dipartimento federale dei trasporti, dell'energia e delle comunicazioni (DATEC).

L'emigrazione e il ruolo della cooperazione allo sviluppo La mobilità è un fenomeno del mondo globalizzato. Le crisi già citate contribuiranno ad accentuare questa tendenza. Le conseguenze dei cambiamenti climatici (catastrofi naturali, aridità ecc.) e della povertà, ma anche le ripercussioni della crisi finanziaria e l'inasprimento della situazione dei diritti umani costringeranno all'emigrazione una parte sempre maggiore della popolazione mondiale. L'emigrazione e lo sviluppo sono dunque strettamente connessi. La DSC cerca perciò di prevenire l'emigrazione svolgendo programmi nei principali Paesi di provenienza e di transito dei flussi migratori verso la Svizzera. Il programma globale per la migrazione è un elemento integrante del contributo del DFAE alla politica svizzera di migrazione. In modo concreto e mirato, grazie a questi progetti si intendono creare nuove opportunità per i gruppi più poveri della popolazione (p. es. la formazione professionale o una gestione più efficiente dei trasferimenti di denaro all'estero). Si potrebbe prendere in 5608

considerazione anche un impegno per prevenire conflitti e per proteggere la popolazione negli Stati più vulnerabili. I risultati e gli insegnamenti tratti da tali attività costituiscono la base del dialogo bilaterale della Svizzera con i Paesi di provenienza e di transito dei migranti.

3.3.8.3

Modifiche nella divisione dei compiti e nel coordinamento degli aiuti allo sviluppo: potenziale per la Svizzera

Uno degli insegnamenti più importanti dell'attuale crisi finanziaria è il seguente: in un mondo sempre più multipolare, i problemi globali di interdipendenza vanno gestiti sempre più attraverso la cooperazione multilaterale e un equilibrio calibrato degli interessi. I Paesi in sviluppo o emergenti devono pertanto essere maggiormente coinvolti nelle tematiche che li concernono. Durante la seconda conferenza ONU sul finanziamento dello sviluppo, tenutasi nel dicembre 2008 a Doha, si è deciso che la questione della «global governance» non deve essere monopolizzata dal G20. Si potrebbe aumentare il peso della maggioranza dell'ONU nella riforma della struttura finanziaria internazionale. Nel consenso di Doha i Paesi industrializzati vengono invitati a fare ulteriori passi concreti per raggiungere l'obiettivo dello 0,7 per cento.

Sono necessari altre iniziative e strumenti di finanziamento per garantire i fondi indispensabili allo sviluppo. Il consenso di Doha conferma la necessità di portare avanti la riforma del sistema commerciale e finanziario mondiale e di favorire l'accesso dei Paesi in sviluppo all'Organizzazione mondiale del commercio. Un passo avanti rispetto al consenso di Monterrey consiste nel fatto che è stata stabilita una procedura che rende possibile il controllo dell'attuazione delle decisioni.

Di fronte al rapidissimo aumento dell'importanza di tutta una serie di Paesi in sviluppo si pone la questione di quali siano le linee normative che le democrazie occidentali vogliono seguire nel negoziare urgenti problemi regionali e globali. Per i Paesi trainanti emergenti che stanno acquistando sempre più peso nei negoziati (Cina, India, Brasile e Sudafrica), le questioni globali, la sicurezza alimentare, la protezione climatica internazionale, la riforma dell'ONU, l'arginamento del terrorismo transnazionale o la risoluzione di conflitti violenti sono connessi nel modo più stretto con questioni di politica di sviluppo che riguardano la crescita e il benessere.

Per presentarsi con successo ai Paesi in sviluppo è dunque necessario un convincente quadro di orientamento di politica di sviluppo riguardo al rapporto tra Stato, mercato e democrazia.

I centri di gravitazione del sistema internazionale dai quali ci si aspettano solidi piani di politica di sviluppo in grado di trovare un consenso
internazionale sono tre: uno di questi è il nuovo governo degli Stati Uniti sotto la guida del Presidente Barack Obama. Il «New Global Deal» che si sta delineando nella politica estera statunitense non introdurrà solo elementi dello stato sociale e di regolamentazione rigorosa nelle organizzazioni internazionali della politica di sviluppo, ma anche un interesse per forme di impegno multilaterale cooperative e dunque più vicine al compromesso. Un ulteriore impulso viene dalla Cina, con il suo enorme potenziale di strutturazione normativa: il rapidissimo sviluppo economico e la rilevanza internazionale permettono un nuovo approccio nella politica di sviluppo, il cosiddetto «modello di Pechino» per i Paesi in sviluppo. Nella misura in cui le enormi riserve di valuta estera vengono impiegate anche a livello internazionale per superare la 5609

crisi finanziaria, la Cina può vincolarne l'uso a condizioni di politica economica. La terza fonte di impulsi è l'UE.

L'opinione internazionale si domanda se e come i Paesi vincenti nella globalizzazione si assumeranno le responsabilità climatica, finanziaria e commerciale in misura proporzionale al peso economico e politico raggiunto. Questo aspetto non riguarda solo i rapporti diretti tra i Paesi industrializzati e i grandi e dinamici Paesi in sviluppo, come la Cina e l'India, ma sempre più anche il ruolo di importatori di materie prime e di investitori che questi ultimi assumono nei riguardi dei Paesi in sviluppo più poveri. Perché la globalizzazione apporti benefici, è necessaria la stretta collaborazione tra i Paesi industrializzati, quelli emergenti trainanti e quelli in sviluppo. Per risolvere problemi di dimensioni mondiali quali la stabilità finanziaria, la sicurezza alimentare e i cambiamenti climatici, ma anche il consolidamento di Stati o regioni deboli e la migrazione, è necessaria una stretta collaborazione con i Paesi in sviluppo. A causa dei nuovi equilibri di potere, la crisi finanziaria, quella alimentare ed energetica portano a crescenti divari nel gruppo di Paesi in sviluppo e a rapporti più intensi dei Paesi dell'OCSE con quelli in sviluppo: ­

crisi finanziaria e sicurezza: lo sviluppo di una nuova prassi mondiale di buon governo permetterà una migliore gestione delle crisi e porterà ad una maggiore stabilità internazionale?

­

crisi alimentare ed equità: la miseria dei più poveri è giustificata viste le cause della crisi? L'influenza dei mercati finanziari sui prezzi delle materie prime, l'uso di generi alimentari per scopi non nutrizionali, le lacune nell'approvvigionamento a causa di barriere doganali ecc.

­

crisi energetica e sostenibilità: l'uso delle risorse naturali nei Paesi industrializzati e in sviluppo tiene conto in modo sufficientemente rapido della loro limitata disponibilità e dei mutamenti sopravvenuti nella loro distribuzione?

Inoltre la crisi finanziaria evidenzia che i singoli Stati non riescono a tenere il passo con la dinamica della globalizzazione. L'impegno dei Paesi in sviluppo nella lotta contro la povertà può essere proficuo solo se le condizioni quadro globali li rendono partecipi della dinamica internazionale dello sviluppo.

La crisi attuale offre l'opportunità di rivalutare gli accordi economici globali, di sviluppare istituzioni e strumenti in grado di rafforzare la stabilità e l'equità del sistema globale finanziario. Le questioni di «global governance» restano prioritarie nell'agenda internazionale e modificano così i parametri della politica di sviluppo.

Dal punto di vista svizzero, in questo contesto di ristrutturazione si tratta di garantire ed estendere i margini di manovra della gestione internazionale. La Svizzera intende sfruttare le opportunità insite nell'attuale crisi per perseguire un nuovo ordine globale nelle relazioni tra l'OCSE e i Paesi in sviluppo. Le proposte per un nuovo ordinamento dei mercati finanziari dovrebbero essere accompagnate da iniziative contro le carestie e le crisi alimentari, con interventi nella politica commerciale e climatica al fine di porre le basi di un'economia mondiale imperniata su fonti energetiche non fossili. Nel limite dei mezzi di cui dispone, la Svizzera intende assumere un ruolo molto più visibile nelle agenzie multilaterali per lo sviluppo e precorrere con un piano d'azione che aiuti ad eliminare le ripercussioni della crisi finanziaria nei Paesi in sviluppo, riaffermando al contempo il rispetto degli obiettivi climatici.

5610

3.3.8.4

Le strategie della Confederazione nel settore dello sviluppo

Il messaggio sulla continuazione della cooperazione tecnica e dell'aiuto finanziario a favore dei Paesi in sviluppo58, approvato nella primavera del 2008 dal Consiglio federale e adottato nel dicembre dal Parlamento, presenta per la prima volta una strategia unitaria della Confederazione per la politica di sviluppo che, nonostante sia stata elaborata prima delle crisi di cui sopra, illustra come oggi la politica internazionale determina le opportunità dei Paesi in sviluppo in un mondo intercomunicante e quale contributo può fornire la Svizzera, arrivando a conclusioni corrette; inoltre il testo spiega come il nostro Paese si muove a livello internazionale per garantire i propri, legittimi interessi.

Limitare la politica di sviluppo alla lotta, in loco, contro la miseria non risponde adeguatamente ai problemi odierni nei rapporti tra i Paesi dell'OCSE e quelli in sviluppo. La politica di sviluppo oggi deve tener conto delle politiche estera, di sicurezza, commerciale, finanziaria, agricola e ambientale. La politica di sviluppo della Confederazione è attiva a tre livelli: 1.

insieme ad altri Stati la Svizzera si impegna per condizioni quadro globali che offrano opportunità ai Paesi in sviluppo e chiede uno sviluppo globale e sostenibile. Quest'ultimo è parte integrante della politica estera e particolarmente importante per i rapporti della Svizzera con l'estero.

2.

La Svizzera sostiene in particolar modo singoli Paesi nel loro impegno a trovare una soluzione per i problemi di sviluppo. A lungo termine tuttavia, solo i Paesi stessi sono in grado di creare sviluppo e benessere. I donatori e le organizzazioni multilaterali possono contribuire a questi progressi. Per questa ragione si rivelano estremamente importanti le misure della cooperazione allo sviluppo atte a promuovere lo Stato di diritto, la buona gestione governativa, i diritti umani e quelli fondamentali e le istituzioni democratiche.

3.

Continuano ad essere necessari programmi e progetti concreti che permettono ai gruppi svantaggiati di raggiungere i livelli minimi della scala sociale.

La cooperazione svizzera allo sviluppo (lo Stato, le organizzazioni della società civile) continuerà anche in futuro a sostenere direttamente i gruppi sfavoriti.

In che modo la cooperazione allo sviluppo può contribuire a sfruttare le interdipendenze tra lo sviluppo politico, quello economico, quello sociale e quello ecologico a vantaggio di un processo di riforme positivo? Com'è possibile sfruttare la globalizzazione a sostegno dello sviluppo? In un mondo globalizzato e strettamente interconnesso, la politica di sviluppo della Confederazione prevede tre priorità strategiche: 1.

58

il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio e la riduzione della povertà: la cooperazione allo sviluppo del nostro Paese vuole aiutare gli sforzi di riduzione della povertà di alcuni Paesi partner scelti e contribuire al conseguimento di Obiettivi di sviluppo del Millennio adeguati alla situazione nazionale di ciascuno di questi.

FF 2008 2451

5611

2.

La promozione della sicurezza umana e la riduzione dei rischi: la Svizzera contribuisce attivamente alla prevenzione e al contenimento delle ripercussioni delle crisi locali o regionali in Paesi confrontati con istituzioni deboli, problemi di sviluppo particolari, cambiamenti ambientali dovuti ai mutamenti climatici, emigrazione incontrollata a causa di sottosviluppo o conflitti.

3.

La partecipazione a un processo di globalizzazione in grado di incentivare lo sviluppo: la Svizzera contribuisce ad applicare e a concretizzare le regole di cooperazione per un processo di globalizzazione lungimirante, affinché i singoli Paesi che non sono in grado di proteggersi dalle crisi economiche, dalle epidemie, dalle catastrofi ecologiche e da fenomeni di violenza che esulano da contesti statali siano meno vulnerabili in tempi di crisi sociali ed ecologiche.

Questi tre elementi sono completati e rafforzati dagli aspetti interdisciplinari di gender e governance di cui è necessario tener conto in modo adeguato in tutte le attività.

Tutti gli operatori della cooperazione allo sviluppo, dunque oltre alla DSC anche la Segreteria di Stato dell'economia (SECO) nelle corrispondenti attività e gli altri enti federali, devono tener conto della strategia della Confederazione in ambito di politica di sviluppo. Il numero di Paesi prioritari viene ridotto e i fondi vengono concentrati sui Paesi restanti. Ne consegue una limitazione dell'odierna ampia varietà tematica delle attività. Viene rafforzata la concertazione con altri settori politici della Confederazione e viene ampliata la presenza e l'efficacia delle misure della DSC in loco. I contributi svizzeri devono risultare ben visibili. La Svizzera si deve impegnare nei settori in cui dispone di competenze approfondite e vantaggi comparativi, in modo da fornire prestazioni efficaci.

Settori di cooperazione della Cooperazione allo sviluppo All'interno di queste tre priorità strategiche, la Cooperazione svizzera allo sviluppo assume mansioni chiaramente definite in sei settori di cooperazione per i quali sono stabiliti i risultati da raggiungere.

1.

Sostegno a strategie di riduzione della povertà: la Cooperazione svizzera allo sviluppo svolge attività bilaterali e multilaterali in dodici Paesi prioritari, la metà dei quali si trova in Africa. Il reddito e l'occupazione, l'agricoltura e lo sviluppo rurale, la formazione, la sanità, le risorse idriche e quelle naturali, l'ambiente, la promozione della democrazia e dello Stato di diritto nonché dei diritti umani sono i settori di attività più importanti.

2.

Sostegno a regioni scelte caratterizzate da uno Stato debole, da conflitti e da rischi per la sicurezza: la Cooperazione svizzera allo sviluppo sostiene alcune regioni scelte caratterizzate da uno Stato debole, da conflitti e da rischi per la sicurezza con sei programmi speciali che prevedono soprattutto misure di prevenzione dei rischi, in particolare mediante il consolidamento delle istituzioni statali e il superamento di situazioni di conflitto e di crisi.

3.

Contributo all'elaborazione di modelli di globalizzazione atti a promuovere lo sviluppo: la Cooperazione svizzera allo sviluppo realizza tre programmi globali: sicurezza alimentare, cambiamenti climatici, migrazione.

5612

4.

Partecipazione finanziaria a organizzazioni multilaterali di sviluppo e contributo attivo ai relativi organi di gestione e controllo: la Svizzera versa contributi finanziari adeguati a istituzioni finanziarie internazionali e a fondi per lo sviluppo, a organizzazioni dell'ONU importanti per lo sviluppo, a fondi e reti di carattere globale nonché al Comitato di aiuto allo sviluppo dell'OCSE.

5.

Collaborazione con organi di assistenza e istituti di ricerca e con partner di diritto pubblico in Svizzera che si occupano di sviluppo: per realizzare sinergie, la DSC lavora con organi di assistenza svizzeri specializzati, con ditte attive nei Paesi in sviluppo e con centri di competenza di università e scuole universitarie svizzere.

6.

Coordinamento della politica di sviluppo nell'Amministrazione federale: la DSC coordina la politica di sviluppo e le misure della cooperazione allo sviluppo con tutte le unità organizzative interessate dell'Amministrazione federale.

Nella sessione invernale 2008 il Parlamento ha incaricato il Consiglio federale di sottoporgli un messaggio complementare su un aumento, entro il 2015, dell'aiuto pubblico allo sviluppo (APS) allo 0,5 per cento del reddito interno lordo (RIL). Il 20 maggio 2009 il Consiglio federale ha accolto questa richiesta presentando un rapporto. Quest'ultimo tiene conto dell'attuale situazione economica e in particolare del fatto che, come menzionato nel rapporto del 19 agosto 2009 sul piano finanziario 2011­2013, si dovrà fare i conti con un deficit di oltre 4 miliardi di franchi per ognuno degli anni oggetto del piano. In considerazione delle regole del freno all'indebitamento, ciò implica lavori di risanamento fino a 10 miliardi per il periodo in esame.

Aiuto umanitario Il mandato dell'Aiuto umanitario della Confederazione ha una portata mondiale.

Questo ente è in grado di salvare vite umane e alleviare sofferenze laddove la popolazione civile è direttamente colpita da crisi, conflitti e catastrofi. L'Aiuto umanitario offre sostegno in base alle norme del diritto internazionale umanitario e ai principi di umanità, indipendenza, imparzialità e neutralità. Diversamente da quanto avviene nella cooperazione allo sviluppo, l'Aiuto umanitario non sottostà a vincoli politici. Quale importante strumento a favore delle vittime di conflitti e catastrofi, è un'espressione significativa della solidarietà internazionale della Svizzera nei confronti dei Paesi, delle famiglie e delle persone coinvolte. L'Aiuto umanitario della Confederazione comprende quattro mansioni strategiche: (1) preparazione alle catastrofi naturali e prevenzione delle stesse; (2) aiuto immediato; (3) ricostruzione e (4) tutela giuridica. L'Aiuto umanitario della Confederazione aiuta e sostiene prima, durante e dopo le crisi o le catastrofi.

1.

Pericoli naturali: in numerose regioni nei Paesi in sviluppo le catastrofi naturali diventano sempre più frequenti. L'entità delle distruzioni sembra aumentare e causa situazioni di estrema emergenza rendendo ancora più difficili le condizioni di vita di una popolazione spesso già vulnerabile. Nel 2008 la maggior parte degli aiuti immediati messi a disposizione dalla DSC è stata impiegata per intervenire in regioni di questo tipo (ciclone nel Myanmar, terremoto in Cina, uragani nei Caraibi, inondazioni in Bolivia e Nepal, ondata di gelo in Asia centrale). È necessario un impegno maggiore 5613

nella riduzione dei rischi («disaster risk reduction») al fine di sostenere le autorità e la popolazione nei preparativi in vista della maggiore frequenza delle catastrofi naturali. L'intensa collaborazione tra i diversi settori della DSC è prioritaria soprattutto per la prevenzione di eventuali catastrofi naturali e nei lavori preparatori. Ad esempio, le misure di riduzione dei rischi di catastrofe naturale sono importanti sia per la protezione della popolazione sia per la sostenibilità dei progetti. La prevenzione è strettamente connessa al nuovo programma globale d'adeguamento ai cambiamenti climatici. Le iniziative comuni di adeguamento per affrontare il mutamento climatico e per proteggere da catastrofi naturali ad esempio in Perù o in Bangladesh fanno sperare in buoni risultati. Oltre ai cambiamenti climatici, anche gli altri programmi globali (sulla migrazione e sulla sicurezza alimentare) e l'impegno nel settore idrico offrono numerose opportunità di stretta collaborazione tra gli organi di cooperazione allo sviluppo e di aiuto umanitario.

Nel 2009 il ruolo del Corpo svizzero di aiuto umanitario (CSA) verrà ristrutturato per rispondere alle esigenze dei programmi globali.

2.

Rapid response: le procedure di «rapid response» per l'aiuto immediato e l'aiuto alla sopravvivenza dell'Aiuto umanitario della Confederazione hanno ricevuto la certificazione ISO 9001. Viene così garantita l'applicazione rapida ed efficiente delle misure di aiuto immediato. La Catena svizzera di salvataggio, un ulteriore, importante strumento di intervento, è stata omologata dall'ONU nel novembre 2008. Questo controllo della capacità di intervento svolto dall'Ufficio di coordinamento ONU degli affari umanitari (OCHA) designa in tutto il mondo le squadre di salvataggio che in situazioni difficili sono in grado di estrarre persone da cumuli di macerie. La Svizzera è tra le cinque squadre certificate migliori al mondo.

3.

Crisi e conflitti: crisi e conflitti mettono in pericolo la sicurezza umana e costringono le persone a lasciare le proprie case. In Colombia è soprattutto la popolazione civile rurale a fare le spese del crescente numero di gruppi armati in conflitto tra loro. L'acuirsi del conflitto nello Sri Lanka ha provocato un ulteriore peggioramento della situazione dei diritti umani e dell'accesso alle vittime dei conflitti. In Afghanistan e in Pakistan l'approvvigionamento di sfollati e rifugiati resta un problema preoccupante. La comunità internazionale è chiamata a rafforzare l'elemento della sicurezza negli interventi di aiuto alle vittime delle crisi e dei conflitti. L'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione dei profughi palestinesi nel Medio Oriente («United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East», UNRWA) è il maggiore fornitore di prestazioni ai rifugiati palestinesi. La Svizzera sostiene l'UNRWA e le vittime del conflitto mediorientale con versamenti al budget globale e ai relativi appelli (aiuto immediato nel territorio palestinese occupato, ricostruzione di Nahr al Bared nel Libano). Durante il conflitto in Ossezia del Sud la Svizzera ha assistito la popolazione georgiana con varie misure: rifornimento di materiale, invio di una delegazione presso l'Alto Commissariato ONU per i rifugiati, il Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia e il Programma alimentare mondiale PAM («World Food Programme», WFP), contributo finanziario al PAM e al Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR), «Cash for Winterization» nella Georgia occidentale (sostegno per mezzo di denaro contante).

5614

4.

Migrazione: nell'ambito della migrazione, in Marocco e in Libia sono state effettuate misure di aiuto immediato a favore di migranti che si sono fermati prima di raggiungere il Paese di destinazione e di rifugiati vulnerabili (alcuni detenuti, altri socialmente molto deboli). In primo luogo sono stati forniti beni di prima necessità e consulenza psicologica, è stata inoltre garantita l'assistenza medica fondamentale l'istruzione scolastica dei bambini ed è stata migliorata la situazione degli alloggi. Nello Yemen sono stati svolti programmi analoghi a favore di rifugiati e migranti e sono state avviate attività che concretizzano il piano «Protection in the region».

5.

Ricostruzione e transizione: la sfida rappresentata dalla ricostruzione sta nel gestire ancor meglio l'eventuale passaggio dall'aiuto umanitario all'aiuto allo sviluppo o viceversa. In Paesi con scarsa governabilità è decisivo che i due strumenti vengano impiegati in modo complementare per migliorare la situazione delle persone. Grazie al corpo di milizia CSA, l'Aiuto umanitario della Confederazione ha tra l'altro la possibilità di svolgere attività direttamente sul luogo. Questa formula, unica a livello mondiale, di applicazione diretta dei programmi da parte di un'organizzazione governativa deve essere estesa alla cooperazione allo sviluppo e alla cooperazione con gli Stati dell'Europa dell'Est, laddove necessario e finanziariamente opportuno.

Poiché crisi e catastrofi sono imprevedibili, i principali Paesi d'intervento non sono sempre anche i Paesi prioritari della cooperazione allo sviluppo o della cooperazione con gli Stati dell'Europa dell'Est. Tuttavia, quando queste categorie coincidono (p.

es. in Medio Oriente, in Afghanistan e nella regione dei Grandi Laghi), le attività e gli strumenti della DSC sono coordinati nell'interesse dei beneficiari per ottenere progressi duraturi e la maggiore efficacia possibile.

La cooperazione con gli Stati dell'Europa dell'Est La cooperazione con gli Stati dell'Europa dell'Est si basa su due mandati: (1) il sostegno alla transizione e (2) il contributo all'allargamento. Ambedue si fondano sulla legge federale del 24 marzo 200659 sulla cooperazione con gli Stati dell'Europa dell'Est. La riorganizzazione della cooperazione con gli Stati dell'Europa dell'Est attuata nel 2007 ha creato le necessarie premesse e strutture istituzionali per realizzare il contributo svizzero ai nuovi Paesi membri dell'UE allargata.

Il sostegno alla transizione contribuisce a gettare le basi di istituzioni democratiche e costituzionali e promuove un'economia di mercato sociale ed ecologica nell'Europa dell'Est e nella Comunità degli Stati Indipendenti (CSI). Non è ancora garantita una stabilità a lungo termine. I Paesi dell'Europa dell'Est e della CSI continuano infatti a dipendere dagli aiuti occidentali. Il sostegno della Svizzera è presente nei Paesi che hanno maggiormente bisogno di riforme politiche, economiche e sociali. La Svizzera, con i progetti sulla sicurezza, sul buon governo, sull'ambiente e sullo sviluppo economico e sociale, contribuisce tanto alle riforme democratiche ed economiche quanto a migliori condizioni di vita.

Per quanto riguarda le priorità in ambito di cooperazione, sono determinanti da una parte le strategie nazionali, dall'altra l'agenda di politica europea (processo di stabilizzazione e di associazione nei Balcani occidentali; politica europea di vicinato per la Moldavia e l'Ucraina). La creazione di strutture democratiche e costituzionali 59

RS 974.1

5615

e il consolidamento delle istituzioni decentrali, centrali e della società civile sostengono il processo di riforma. La cooperazione con i Paesi dell'Europa dell'Est intende raggiungere obiettivi ambiziosi: la stabilità, la sicurezza sociale, la riduzione del flusso migratorio, la sicurezza ecologica. Sul piano geografico prosegue il piano di raggruppamento con il passaggio della Macedonia, nel 2008, da programma prioritario a programma speciale.

La Svizzera trae profitto in vario modo dall'allargamento ad Est dell'UE, in particolare da uno sviluppo pacifico e stabile e da una crescita sociale e nel rispetto dell'ambiente nei Paesi che la circondano. Il contributo all'allargamento è uno strumento della politica europea svizzera e parte integrante dell'impegno bilaterale: da esso trae beneficio l'immagine della Svizzera quale partner affidabile e grazie ad esso viene approfondita la collaborazione politica e sono rafforzati i rapporti bilaterali. La concentrazione su pochi contenuti e aree geografiche rafforza l'efficacia dell'attuazione. Poiché la responsabilità dell'attuazione spetta ai Paesi partner, è stato elaborato un nuovo modello di esercizio e di delegazione avviato nel 2008.

3.3.8.5

Obiettivi del Consiglio federale per il 2009

Tra gli obiettivi del Consiglio federale per il 2009 spicca, in ambito di politica di sviluppo, l'obiettivo 17 «riduzione della povertà»60 che prevede l'applicazione di una strategia unitaria. Il Consiglio federale ha presentato il dossier al Parlamento.

Poiché le implicazioni strategiche sono state illustrate nei n. precedenti, ci limiteremo a citare l'aumento del tetto massimo dell'aiuto pubblico allo sviluppo. Il Consiglio federale si era attenuto all'obiettivo a lungo termine dello 0,4 per cento del reddito interno lordo. Di fronte ai netti aumenti dei budget europei a favore dello sviluppo, interventi parlamentari sostenuti da una petizione delle ONG svizzere hanno convinto il Parlamento a stabilire un nuovo limite dello 0,5 per cento del reddito interno lordo, da raggiungere entro il 2015. Il Parlamento ha incaricato il Consiglio federale di presentare nel 2009 un messaggio complementare concernente mezzi supplementari per la cooperazione con il Sud. Nel messaggio il Consiglio federale deve definire i nuclei geografici e tematici cui saranno destinati i mezzi supplementari. Il Consiglio federale richiama tuttavia l'attenzione sul fatto che, come già menzionato nel rapporto del 19 agosto 2009 sul piano finanziario 2011­ 2013, si dovrà fare i conti con un deficit di oltre 4 miliardi di franchi per ognuno degli anni oggetto del piano. In considerazione delle regole del freno all'indebitamento, ciò implica lavori di risanamento fino a 10 miliardi per il periodo in esame. L'aumento dei fondi federali necessari per raggiungere l'obiettivo dello 0,5 per cento avrebbe ripercussioni su altri settori di attività della Confederazione.

Nell'applicare la decisione presa, il Consiglio federale non potrà dunque limitarsi a prendere in considerazione solo la politica di sviluppo, ma dovrà tener conto anche di quella finanziaria. Il 20 maggio 2009 il Consiglio federale ha discusso la procedura di attuazione della decisione del Parlamento e ha incaricato il DFAE e il DFE di presentare, entro la fine di settembre 2009, un rapporto sulle conseguenze, a livello finanziario e di politica di sviluppo, che avrebbe un aumento dell'APS allo 0,5 per cento del reddito interno lordo, tenuto conto della situazione economica attuale. Il DFAE e il DFE sono incaricati anche di presentare al Consiglio federale, entro il 60

http://www.bk.admin.ch/dokumentation/publikationen/00290/00928/01284/ index.html?lang=it

5616

2010, un messaggio sulla partecipazione della Svizzera agli aumenti di capitale delle banche multilaterali di sviluppo.

L'introduzione delle tre priorità strategiche della politica di sviluppo negli obiettivi del 200961, decisa dal Consiglio federale verso la metà di novembre, è un chiaro segnale della maggiore integrazione tra politica estera e politica di sviluppo. Gli obiettivi della politica estera sono l'obiettivo 8 «Sostegno alle strategie di riduzione della povertà nei Paesi prioritari», l'obiettivo 9 «Sostegno a determinati Paesi o regioni che presentano scarsa governabilità, conflitti e rischi per la sicurezza», l'obiettivo 10 «Contributo della Svizzera all'elaborazione di modelli di globalizzazione atti a promuovere lo sviluppo». Inoltre vengono ripresi anche gli indicatori di verifica del conseguimento degli obiettivi stabiliti nel messaggio sull'aiuto al Sud.

Particolarmente importanti per la cooperazione allo sviluppo svizzera sono inoltre i tre obiettivi che ne definiscono lo statuto nell'Amministrazione federale: l'obiettivo 11 «Coordinamento della politica di sviluppo nell'Amministrazione federale», l'obiettivo 12 «Riorganizzazione del Dipartimento» e l'obiettivo 13 «Adeguamenti istituzionali riguardanti le esigenze del nuovo messaggio sull'aiuto al Sud e riorganizzazione della DSC».

3.3.8.6

Efficacia della cooperazione allo sviluppo

La pressione dovuta alla necessità di legittimarsi cui la cooperazione allo sviluppo è permanentemente sottoposta è notevolmente aumentata negli ultimi anni per le ragioni seguenti: ­

nonostante ampi investimenti della cooperazione allo sviluppo, in tutta una serie di Paesi i progressi restano insoddisfacenti;

­

a causa di difficoltà metodologiche, la cooperazione allo sviluppo non riesce a fornire prove sufficientemente convincenti dell'efficacia delle sue attività; le analisi trasversali a livello internazionale mostrano un'immagine piuttosto irregolare;

­

il sistema internazionale della cooperazione allo sviluppo diventa sempre più complesso e può nuocere all'efficacia e al rendimento delle attività;

­

le decisioni ambiziose della comunità internazionale costringono la cooperazione allo sviluppo a dimostrare di avere successo; gli effetti delle sue attività possono essere illustrati solo in maniera insufficiente.

La Cooperazione svizzera allo sviluppo ha impiegato del tempo a spiegare in maniera plausibile i pregi acquisiti nella collaborazione internazionale grazie a esperienze pluriennali e ad un apprendimento continuo. Decisivi per i buoni risultati raggiunti sono stati: la disponibilità al partenariato, la pianificazione oculata, la sensibilità nei confronti dei singoli contesti, la continuità dell'intervento, le soluzioni decentralizzate, un bagaglio di conoscenze apprese sul luogo grazie a un misto di competenze tecniche ed esperienza in fatto di soluzioni.

Nel giugno 2008 la DSC e la SECO hanno per la prima volta illustrato questi aspetti nel «Rapporto d'efficacia ­ La cooperazione allo sviluppo della Svizzera nel settore

61

http://www.bk.admin.ch/dokumentation/publikationen/00290/00928/index.html?lang=it

5617

idrico»62, che, fondandosi sui programmi idrici sostenuti in concreto dalla Svizzera, mostra i risultati diretti per le persone interessate e le conseguenze sulle condizioni quadro.

Il terzo forum di alto livello sull'efficacia della cooperazione allo sviluppo ha esaminato l'attuazione della Dichiarazione di Parigi del 2005. Nell'Accra Agenda for Action, al fine di rafforzare il senso di responsabilità dei Paesi in sviluppo, i rappresentanti governativi si impegnano ad avviare passi effettivi e rapidi verso una maggiore trasparenza e prevedibilità nelle attività di aiuto allo sviluppo nonché un migliore obbligo di render conto da parte dei governi. Inoltre sono stati stabiliti provvedimenti e obblighi con scadenze temporali per migliorare la prevedibilità dell'aiuto allo sviluppo. Le condizionalità politiche contro le quali si era impegnata in particolare la società civile sono state limitate nell'Agenda, ma non vi si è rinunciato del tutto. Inoltre i Paesi donatori possono continuare a offrire il proprio sostegno allo sviluppo per mezzo di strutture parallele esterne, venendo così incontro alla responsabilità dei Paesi in sviluppo. In futuro la funzione di controllo democratico espletata dai parlamenti deve assumere maggior peso. Nel complesso è stato possibile rafforzare la situazione della società civile.

Il successo della cooperazione allo sviluppo può essere valutato secondo un'unica misura di grandezza concreta: in fin dei conti si tratta di migliorare la vita e le opportunità di persone che vivono in condizioni difficili. Questa dimensione tuttavia non può essere quantificata con le unità di misura utilizzate nei dibattiti politici, cioè crescita, distribuzione del reddito, reddito pro capite ecc. Negli ultimi due anni la cooperazione internazionale allo sviluppo è stata criticata da chi deplorava la mancanza di modelli economici di costo/beneficio. Il criterio dell'efficacia è stato un argomento centrale anche nel dibattito internazionale sullo sviluppo.

Prospettive Grazie alla strategia di politica europea della Confederazione e alla riorganizzazione della DSC nel 2008 sono stati fatti passi decisivi nella precisazione dei compiti e della sfera di attività della cooperazione allo sviluppo. Ne conseguiranno aspettative realistiche nei confronti della cooperazione allo sviluppo. Quest'ultima
tuttavia è un processo faticoso e complicato. Di per sé, pianificazione e finanziamento non sono garanzia di sviluppo. La strada verso un miglioramento permanente delle condizioni di vita continuerà a passare da uno sviluppo economico e sociale, del quale i Paesi in sviluppo sono responsabili in prima persona. Anche in futuro la Svizzera continuerà ad attenersi al principio fondamentale della cooperazione allo sviluppo, cioè l'aiuto all'autosufficienza, e rimarrà invariato il rispetto nei confronti dei nostri partner nei Paesi del Sud e dell'Est. La politica e la collaborazione allo sviluppo servono alla Svizzera in definitiva a perseguire un proprio, legittimo interesse: migliorando le condizioni di vita di persone svantaggiate, infatti, miglioriamo anche le nostre opportunità.

La Svizzera trae enorme vantaggio dalla globalizzazione, perciò ha anche l'obbligo di fare in modo che questo processo si svolga in modo più equo e contribuisca a portare maggiore stabilità nel mondo. La politica di sviluppo rientra in questa logica.

Al di là della tradizionale lotta contro la povertà, il nostro Paese contribuisce a controllare le problematiche globali, sia mediante programmi bilaterali di collaborazione sia con contributi a fondi multilaterali.

62

www.deza.admin.ch/ressources/resource_it_168568.pdf

5618

3.4

Consolidamento del sistema multilaterale

3.4.1

L'ONU

3.4.1.1

Le Nazioni Unite in un contesto difficile

Un'organizzazione universale Con una rosa di 192 Stati membri le Nazioni Unite (ONU) sono l'unica organizzazione in cui è possibile dibattere una molteplicità di questioni di valenza globale, coinvolgendo tutti i Paesi e tutti i principali attori. L'ONU vanta un'universalità unica, sia per il ventaglio di temi che tratta, sia per la sua composizione, la partecipazione ai processi decisionali, il coinvolgimento attivo nell'elaborazione di norme e standard di respiro internazionale, come pure il raggio d'azione planetario. Fatte salve alcune manchevolezze, l'Organizzazione mondiale gode pertanto di una legittimità senza pari.

Per la Svizzera un impegno in seno all'ONU risulta indispensabile. Le attuali sfide in ambito di sicurezza e mantenimento della pace, lotta contro la povertà, diritti dell'uomo o tutela delle basi naturali della vita hanno uno spessore globale che l'ONU è in grado di interpretare. In seno alle Nazioni Unite la Svizzera ha la possibilità di collaborare alla risoluzione di problemi globali, assumendo altresì le proprie responsabilità per il benessere della collettività. Non va inoltre dimenticato che l'ONU rappresenta anche una piattaforma privilegiata per promuovere i nostri interessi nazionali.

Negli Anni Novanta l'ONU ha vissuto un periodo d'oro. Il venir meno dell'antagonismo tra Est ed Ovest ha conferito all'Organizzazione mondiale una rinnovata capacità di agire. Gli interventi dei caschi blu in Africa o nei Balcani hanno permesso all'ONU di interpretare il ruolo di massimo garante della pace, sebbene il quadro sia stato offuscato dai fallimenti registrati in Ruanda, Somalia e BosniaErzegovina. Durante tale periodo sono state tenute anche importanti conferenze mondiali su tematiche economiche, ambientali e sociali, nell'ambito delle quali l'ONU ha confermato il suo ruolo protagonista e il contributo fondamentale all'elaborazione di norme internazionali e alla regolamentazione di problemi di natura globale.

Nel paradigma temporale, gli attentanti terroristici dell'11 settembre 2001 e la successiva proclamazione della «lotta contro il terrorismo» hanno segnato un taglio netto. Il lungo contenzioso relativo all'intervento militare in Iraq ha sottoposto sia l'ONU che gli Stati membri a grandi tensioni, le cui onde d'urto hanno lasciato segni tuttora tangibili. Il Segretario
generale di allora, Kofi Annan, ha reagito alla crisi pubblicando il rapporto dal titolo originale «In Larger Freedom: towards development, security and human rights for all»63, che ha permesso di spianare la strada al Vertice mondiale delle Nazioni Unite, tenutosi nel settembre del 2005.

In tale occasione i Capi di Stato e di Governo hanno concordato un ampio ventaglio di riforme atte a permettere all'Organizzazione delle Nazioni Unite di rilevare con maggior incisività le sfide del XXI secolo: la sostituzione della Commissione dei diritti dell'uomo con il neocostituito Consiglio dei diritti dell'uomo, la creazione di una Commissione per il consolidamento della pace, la riaffermazione degli Obiettivi 63

N.d.t.: «In una più ampia libertà: verso lo sviluppo, la sicurezza e i diritti umani per tutti», non disponibile in italiano.

5619

di sviluppo del Millennio, la promozione del coordinamento e della coerenza delle attività operative dell'ONU sul terreno (nota anche con la denominazione di «One UN» oppure «Systemwide coherence»), il riconoscimento del principio della responsabilità di proteggere («responsibility to protect»), il rafforzamento delle istituzioni, degli strumenti e dei processi internazionali a salvaguardia dell'ambiente («international environmental governance»), come pure la riforma del Segretariato dell'ONU. Nondimeno, le intense trattative che hanno preceduto la stesura del documento finale e gli sforzi, in parte vani, in ambito di disarmo/non proliferazione delle armi di distruzione di massa, come pure di allargamento del Consiglio di sicurezza, hanno evidenziato divergenze d'opinione ragguardevoli, che nella prassi non hanno fatto che procrastinare la concretizzazione ed attuazione di diversi provvedimenti di riforma.

Da allora i processi di ristrutturazione varati in occasione del Vertice mondiale scandiscono l'agenda dell'ONU. Al momento della sua entrata in carica, il nuovo Segretario generale Ban Ki-moon si è ritrovato al timone di un'organizzazione in piena transizione, ma a tratti già meno incline alle riforme. Al tempo stesso, all'interno degli Stati membri delle Nazioni Unite si ravvisano numerose fratture: ­

in linea del tutto generale, tra i Paesi occidentali e quelli mussulmani circa le misure di lotta contro il terrorismo e la situazione nel Vicino Oriente;

­

tra i Paesi industrializzati da un lato e quelli in transizione e in via di sviluppo dall'altro, sull'approccio da adottare per debellare la povertà e frenare la progressiva distruzione dell'ambiente;

­

tra i membri del Consiglio di sicurezza e gli altri Stati membri dell'ONU in relazione all'interpretazione sensibilmente più allargata del concetto di «minaccia alla sicurezza e alla pace internazionale» e al conseguente ampliamento del raggio d'azione del Consiglio di sicurezza;

­

tra i membri permanenti occidentali e non occidentali del Consiglio di sicurezza, con riferimento ai conflitti e alle tensioni in Kosovo, Georgia, Darfur, Myanmar e Zimbabwe.

Le sfide La crisi alimentare, energetica e finanziaria come pure i cambiamenti climatici e la problematica legata ai flussi migratori hanno accentuato queste fratture, generando strappi ulteriori. Lacerazioni che, unite alla crescente virulenza dei focolai di tensione e dei conflitti regionali (Corno d'Africa, regione dei Grandi Laghi, Vicino Oriente, Sudan, Ciad, Iran, Iraq, Afghanistan, per citarne solo alcuni), pongono le Nazioni Unite dinanzi a grandi sfide.

­

Nel settore delle operazioni per la pace, l'ONU giunge al limite delle sue capacità. Il Dipartimento delle Operazioni di Mantenimento della Pace gestisce attualmente 16 missioni di caschi blu con un organico di 110 000 unità e un budget annuo di circa 7,3 miliardi di dollari. Il reclutamento di personale idoneo e la ricerca di materiale sufficiente per attuare i mandati conferiti dal Consiglio di sicurezza risultano sempre più difficili. Un dato di fatto che a sua volta sfocia in una perdita di fiducia, incrinando la legittimità dell'ONU e minando il rispetto delle decisioni del Consiglio di sicurezza.

­

Va sottolineato che, in linea generale, le condizioni quadro sul terreno sono diventate più difficili. Non di rado l'ONU viene considerato parte in causa,

5620

diventando così molto più vulnerabile agli attacchi terroristici. Un'ulteriore novità è rappresentata dalle condizioni restrittive poste da taluni Paesi ospite alle truppe dell'ONU circa la libertà di movimento e la composizione dei corpi di intervento. Fattori che, sommati, riducono sensibilmente l'efficacia delle operazioni, cagionando costi supplementari.

­

In seguito ai prezzi dei generi alimentari, tuttora fermi a livelli molto elevati nel raffronto di lungo periodo, il numero delle persone denutrite ha nuovamente raggiunto la soglia del miliardo. Parallelamente, l'aumento dei costi energetici e delle derrate alimentari mettono a dura prova i bilanci delle organizzazioni umanitarie.

­

D'altro canto, la crisi economica mondiale rischia di vanificare i progressi raggiunti nel quadro degli Obiettivi di sviluppo del Millennio. Rimane inoltre il dubbio che le promesse fatte dai Paesi beneficiari, ma soprattutto dagli Stati donatori, vengano disattese.

­

Sebbene si riconosca fondamentalmente che le progressive minacce ambientali come il cambiamento ambientale o la diminuzione della biodiversità costituiscono una minaccia per la sopravvivenza del genere umano e che l'attuale sistema ambientale non dispone della solidità necessaria per contrastare efficacemente il problema, sinora la comunità internazionale non è riuscita a trovare un'intesa su provvedimenti incisivi di rafforzamento della gestione internazionale dell'ambiente nel quadro dell'ONU.

­

La capacità del Segretariato generale dell'ONU di reagire rapidamente alle nuove sfide è limitata dalla complessità dei regolamenti del personale (pur tuttavia oggetto di revisione), dall'oneroso processo di allestimento del budget e dallo spazio di manovra assai contenuto riservato alla funzione che ricopre.

­

Particolarmente bersagliato dalle critiche è l'organo più potente dell'ONU, il Consiglio di sicurezza, che nella sua composizione rispecchia ancora la ripartizione del potere all'indomani della Seconda guerra mondiale e non tiene sufficientemente conto delle realtà geopolitiche dei nostri giorni.

Le nuove sfide di carattere generale menzionate nel n. 2 hanno rafforzato l'esigenza di adottare soluzione globali, affievolendo tuttavia la capacità dell'ONU di raggiungerle congiuntamente. Ciò che manca principalmente è un consenso di fondo sulla definizione del ruolo dell'ONU e dei suoi organi principali nel superamento delle diverse crisi. Alla luce dell'avanzata militare di Israele nella Striscia di Gaza all'inizio dell'anno si può presumere che qualsiasi tema in discussione alle Nazioni Unite, segnatamente quelli di natura umanitaria, sarà affrontato nell'ottica del conflitto arabo-israeliano, il che non facilita certo la ricerca dei punti d'incontro. Infine è quanto mai rimarchevole che tra le fratture appena esposte ­ e qui si sottolinea in particolare la formazione di un blocco tra i Paesi occidentali e non occidentali ­ parecchie si palesino con impeto all'interno del Consiglio dei diritti dell'uomo, proprio in ragione del fatto che, nella sua composizione, tale organo, a differenza ad esempio del Consiglio di sicurezza, riflette i rapporti di forza globali dei nostri giorni.

5621

3.4.1.2

L'internazionalità svizzera

3.4.1.2.1

Premesse

Sin dal momento della sua adesione all'ONU, la Svizzera si è distinta come membro attivo e innovativo. In poco tempo ha lasciato un'impronta in diversi settori, come ad esempio in occasione della costituzione del Consiglio dei diritti dell'uomo, della riforma del Consiglio di sicurezza, della politica ambientale internazionale o ancora della promozione dello stato di diritto in genere. Le sfide descritte nel n. precedente pongono tuttavia anche la Svizzera dinanzi a nuovi interrogativi: cosa ci aspettiamo dalla nostra appartenenza all'ONU? Di quali tematiche deve occuparsi questa organizzazione? In che maniera possiamo migliorarne la capacità d'intervento? La Svizzera come può difendere al meglio i propri interessi? Non è facile rispondere in maniera generalizzata a queste domande. Tuttavia, per un Paese come la Svizzera sarebbe tendenzialmente meglio se i temi di valenza globale venissero trattati in seno all'ONU, considerato che al suo interno gode di parità di diritti e che le deliberazioni delle Nazioni Unite vantano un grado elevato di universalità e legittimità.

Un'ulteriore sfaccettatura delle fratture descritte sopra è l'accresciuta formazione di gruppi, che a sua volta pone i Paesi affrancati da qualsivoglia vincolo di coesione nella posizione di poter avanzare la propria posizione in maniera diretta e più genuina, con maggior libertà di movimento, e di poter fungere all'occorrenza da intermediari. Il prezzo da pagare per tale autonomia è la mancanza di potere politico nei momenti decisivi. In passato la Svizzera, Paese altamente indipendente dalla citata logica di gruppo, ha saputo far buon uso del proprio spazio di manovra e ne saprà sfruttare le potenzialità anche in avvenire.

3.4.1.2.2

L'impegno in seno ai principali organi dell'ONU

La riforma del Consiglio di sicurezza Considerato che la discussione sull'ampliamento è attualmente in fase di stallo, la Svizzera si adopera in primis per una riforma dei metodi di lavoro.

L'iniziativa «Small Five» La Svizzera, unitamente al Costa Rica, alla Giordania, al Principato del Liechtenstein e a Singapore (da cui deriva la denominazione del cosiddetto gruppo «Small Five» o S-5), ha sottoposto una serie di proposte concrete per migliorare la trasparenza e l'obbligo di rendere conto del Consiglio di sicurezza, coinvolgere maggiormente gli Stati non membri nel processo decisionale e limitare il diritto di veto.

Proposte che hanno incontrato il favore della gran parte degli Stati membri, ma suscitato reazioni assai meno entusiaste da parte dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza, che si sono tuttavia visti costretti ad istituire un gruppo di lavoro interno incaricato di elaborare un catalogo di misure per il miglioramento dei metodi di lavoro, fra cui campeggiano anche alcune proposte dei «Small Five». Ricordiamo inoltre che su proposta di questo gruppo, nel mese di agosto 2008 il Consiglio di sicurezza ha tenuto un dibattito pubblico sull'argomento, il primo del genere da oltre 14 anni.

L'allargamento del Consiglio di sicurezza

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Nella discussione sull'allargamento la Svizzera adotta una posizione flessibile e tenta di promuovere una soluzione di compromesso incentrata su una nuova categoria di seggi non permanenti, ma con un mandato di maggior durata. L'introduzione di nuovi diritti di veto è respinta. In tal modo si mira a sciogliere l'annoso nodo tra i Paesi fautori di nuovi seggi permanenti in seno ad un Consiglio di sicurezza allargato e coloro che vi si oppongono con veemenza. Il 15 settembre 2008 l'Assemblea generale ha deciso di porre fine alle pluriennali e infruttuose discussioni del suo gruppo di lavoro e di avviare, al più tardi entro fine febbraio 2009, trattative concrete su una riforma del Consiglio di sicurezza. Alla luce di tale delibera, il processo che vede impegnata in modo costruttivo anche la Svizzera riceve nuovo slancio.

Il Consiglio dei diritti dell'uomo Grazie alla costituzione del Consiglio dei diritti dell'uomo, tali diritti hanno conquistato una maggior visibilità all'interno del sistema delle Nazioni Unite. Il Consiglio si riunisce tre volte all'anno in sessioni ordinarie ed ha altresì la possibilità di indire sessioni straordinarie, il che gli consente di poter reagire entro termini utili alle violazioni dei diritti dell'uomo. Dal 2007 al 2009 il Consiglio dei diritti dell'uomo ha convocato numerose assemblee straordinarie: sulla situazione in Myanmar (ottobre 2007), sulla situazione nei territori occupati palestinesi (gennaio 2008 e 2009), sulla crisi alimentare (maggio 2008), sulla situazione dei diritti dell'uomo nel NordKivu (dicembre 2008) e sulla crisi finanziaria (febbraio 2009). Meritano infine di essere segnalati i dialoghi interattivi con i relatori speciali, i cui resoconti, rispetto al passato, hanno guadagnato notevolmente sia in spessore sia in qualità.

L'esame periodico universale Grazie all'esame periodico universale («Universal Periodic Review», EPU) il Consiglio dei diritti dell'uomo dispone ora di uno strumento innovativo potenzialmente in grado di contribuire al miglioramento dei diritti dell'uomo in tutte le parti del mondo.

Nel 2008 sono stati sottoposti alle procedure d'esame 48 Stati. La valutazione svizzera di queste prime sessioni è sostanzialmente positiva, e nei suoi termini viene condivisa anche da molti altri Paesi, dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite
per i diritti dell'uomo e dalle ONG: la maggior parte degli Stati ha preso sul serio l'iniziativa e risposto alle numerose domande sull'attuazione a livello nazionale degli impegni presi. I primi risultati concreti saranno verosimilmente visibili a partire dal 2012, quando prenderà il via la seconda tornata di esami e i Paesi saranno tenuti a rendere conto dei progressi raggiunti nella realizzazione delle raccomandazioni precedentemente accettate.

La Svizzera ha presentato il suo rapporto nazionale in data 8 maggio 2008. Lo scopo prefisso era la stesura di un documento credibile e trasparente sulla situazione dei diritti dell'uomo, curando il costante dialogo con i rappresentanti della società civile.

Il rapporto e il dibattito organizzato alla presenza del capo del DFAE a Ginevra hanno incontrato i favori della altre delegazioni, dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti dell'uomo e delle ONG.

La Svizzera è ora tenuta ad applicare sul piano interno le raccomandazioni accolte dal Consiglio federale. Si tratta segnatamente di consolidare la collaborazione con la società civile e di coinvolgere maggiormente le autorità cantonali come organi effettivi di attuazione delle norme internazionali nel nostro Paese. La Svizzera si

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ripropone di dimostrare la propria credibilità nell'ambito della politica dei diritti dell'uomo sia a livello nazionale che internazionale.

Gli ulteriori impegni in seno al Consiglio dei diritti dell'uomo Va inoltre sottolineato che, all'interno del Consiglio dei diritti dell'uomo, la Svizzera ha già presentato due risoluzioni. Insieme al Marocco, nel settembre del 2007, ha avanzato una risoluzione per esigere l'elaborazione di una dichiarazione dell'ONU sull'istruzione e la formazione nel settore dei diritti dell'uomo. Questa iniziativa transregionale mira a cementare i diritti dell'uomo attraverso l'insegnamento scolastico e i cicli di formazione di diverse categorie professionali (in particolare il corpo di polizia, gli organi giudiziari, il personale incaricato dell'esecuzione delle pene, il personale ospedaliero, il corpo insegnanti), e sottolinea l'importanza di promuovere la diffusione dei diritti umani, al fine di poterne garantire l'osservanza.

La seconda risoluzione, presentata nel settembre 2008, verte sulla problematica della giustizia nei processi di transizione. Vi si incarica l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite di elaborare un rapporto sul tema dei diritti dell'uomo e della giustizia nei processi di transizione, comprensivo di un elenco di tutti gli aspetti rilevanti in ottica di diritti umani negli accordi di pace più recenti. Entrambe le risoluzioni sono state accolte dai membri del Consiglio.

Si ricorda inoltre che la Svizzera ha fornito un sostegno sostanziale all'operato di John Ruggie, consigliere speciale del Segretario generale dell'ONU per la questione dei diritti umani e delle imprese multinazionali. In particolare, ha promosso con successo il prolungamento e la concretizzazione del mandato e l'accettazione su vasta scala del concetto di responsabilizzazione sociale delle imprese. Con riferimento alla riconferma del mandato, il nostro Paese continuerà a impegnarsi per il miglioramento della prassi manageriale in ambito di rispetto dei diritti dell'uomo e per la responsabilità specifica delle imprese attive in regioni destabilizzate da conflitti.

Le sfide In virtù di quanto esposto il Consiglio dei diritti dell'uomo deve affrontare numerose sfide.

­

Le discussioni plenarie e le trattative sulle risoluzioni sono spesso offuscate dalla formazione di blocchi, in particolare tra i membri dell'Organizzazione della conferenza islamica e il Gruppo di Paesi africani su un fronte, ed Eurolandia e gli altri Stati occidentali sull'altro.

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I relatori speciali che si occupano dei diritti dell'uomo in relazione a taluni Paesi o tematiche devono viepiù attenersi a determinate prescrizioni comportamentali. Si registrano inoltre tentativi sporadici di limitare l'autonomia dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti dell'uomo.

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In passato si tendeva a riservare un'attenzione privilegiata alla situazione dei diritti dell'uomo nel contesto del conflitto arabo-israeliano rispetto ad altre aree in tumulto. La focalizzazione sul conflitto mediorientale ha varie ragioni (i risvolti emotivi e la durata del conflitto, gli sviluppi politici nella regione, la composizione del Consiglio dei diritti dell'uomo), ma potrebbe anche essere ricondotta al fatto che, nella fattispecie, il Consiglio di sicurezza non ha sinora dimostrato grandi capacità d'azione.

5624

­

A differenza dei mandati tematici (procedure speciali) che sinora non sono stati messi in discussione, i mandati nazionali registrano notevoli regressi.

In particolare sono stati revocati i mandati volti a monitorare la situazione nella Repubblica Democratica del Congo e in Liberia e sono stati limitati nel tempo i mandati relativi al Sudan e al Burundi. Ad argomentazione della loro tesi gli avversari dei mandati nazionali adducono spesso l'esame periodico universale in loco, cui tutti gli Stati sono tenuti a sottoporsi. Negli anni a venire ci si adopererà dunque per ristabilire un miglior equilibrio tra questi due strumenti, sottolineandone maggiormente la complementarità. Occorrerà inoltre valutare se il Consiglio dei diritti dell'uomo ­ oltre al varo di risoluzioni e alla presentazione di rendiconti ­ dovrà disporre di strumenti aggiuntivi per poter reagire ai focolai di tensione in taluni Paesi.

Alla luce di questa situazione la Svizzera riserverà anche in futuro un occhio di riguardo ai punti seguenti: primo, si adopererà per instaurare un dialogo oggettivo al di là dei vincoli di gruppo grazie ad una maggior collaborazione con gli Stati moderati. Secondo, a prescindere dalle lacune appena descritte, vanno menzionati e apprezzati anche gli aspetti positivi del Consiglio. Terzo, la Svizzera si impegnerà per il consolidamento e la credibilità dei principali strumenti come l'esame periodico universale e gli interventi dei relatori speciali. Quarto, si dovrà tutelare l'autonomia dell'Alto Commissariato per i diritti dell'uomo e badare a che il Consiglio dei diritti dell'uomo non venga trasformato nel suo organo direttivo. Quinto, andranno promossi gli sforzi per garantire una ripartizione adeguata dei compiti tra il Consiglio dei diritti dell'uomo e la Terza Commissione dell'Assemblea generale dell'ONU (per ulteriori delucidazioni sulla politica dei diritti dell'uomo, cfr. n. 3.3.7.1).

Il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC) In occasione del Vertice mondiale del 2005 sono stati varati alcuni provvedimenti per migliorare l'efficienza dell'ECOSOC. La Svizzera concentra i suoi sforzi nell'attuazione di due misure in particolare: la creazione di un forum per la cooperazione allo sviluppo nel segmento superiore del Consiglio e il consolidamento dei rapporti tra il Consiglio e la società civile.

Nel quadro di intense relazioni di partenariato con il Segretariato del Consiglio la Svizzera è riuscita a influenzare in maniera determinante l'ordine del giorno del primo Forum per la cooperazione allo sviluppo in programma nell'estate 2008, includendovi due tematiche ­ la semplificazione dell'architettura multilaterale dello sviluppo e l'efficacia delle condizionalità ­ che prima di allora non avevano avuto modo di essere dibattute in un contesto veramente universale. Il nostro Paese ha altresì sottoposto al Segretariato studi di approfondimento in merito, i cui contenuti sono stati ripresi nel rapporto del Segretario generale, che ha poi funto da documento di base per le consultazioni del forum. La prima sessione del forum è stata giudicata molto positivamente, sia per la partecipazione di numerose personalità influenti del settore della cooperazione allo sviluppo, sia per la
qualità delle discussioni. La Svizzera è pertanto intenzionata a proseguire e intensificare la sua collaborazione con il Segretariato in vista delle sessioni future.

La Svizzera ha inoltre affiancato la Conferenza delle organizzazioni non governative con status consultivo presso l'ECOSOC nei preparativi di una consultazione indetta tra i suoi 500 e oltre membri. La consultazione ha avuto luogo alcuni giorni prima dell'apertura della sessione annuale principale 2008 del Consiglio a Ginevra. I messaggi e le raccomandazioni della società civile dibattuti in sede consultiva sono 5625

successivamente stati trasmessi al Consiglio da una delegazione di rappresentanti delle organizzazioni non governative. L'iter verrà riproposto anche nel 2009 ed ottimizzato in base alle esperienze raccolte nel 2008.

3.4.1.2.3

L'impegno nelle questioni tematiche

Lo sviluppo In occasione del Vertice mondiale 2005 è stato dato il via libera a un processo di riforme nel settore della cooperazione allo sviluppo, nell'intento di arginare il frazionamento del sistema operativo dell'ONU, ravvisato in particolare sul piano nazionale. Il processo si era prefisso in primo luogo di migliorare la coerenza, l'efficienza e l'efficacia di tutti gli operatori ONU attivi in un determinato Paese. Le istituzioni delle Nazioni Unite coinvolte sono state incaricate di elaborare una proposta per coordinare meglio i corrispettivi interventi, garantendone nel contempo la complementarità («One UN»).

Al termine di intense trattative sotto la guida della Svizzera, nel mese di dicembre 2007 l'Assemblea generale ha approvato una risoluzione relativa all'«Esame triennale dettagliato delle attività operative per lo sviluppo del sistema delle Nazioni Unite». La risoluzione si estende al sistema operativo dell'ONU nel suo complesso e comprende raccomandazioni concrete.

La Svizzera vigilerà affinché tali raccomandazioni trovino applicazione e si prosegua nell'adozione di ulteriori riforme. Il nostro Paese s'impegna anche a favore della riduzione dei costi di transazione delle agenzie delle Nazioni Unite, in particolare grazie alla semplificazione e armonizzazione delle rispettive procedure operative.

Per centrare tale obiettivo, la Svizzera mette a frutto il proprio influsso nel corso delle trattative dell'Assemblea generale dell'ONU, come pure all'interno degli organi esecutivi delle principali agenzie delle Nazioni Unite, come ad esempio il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (PNUS), il Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia (UNICEF) e il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA).

Non va dimenticato che la Svizzera ha propugnato l'adozione da parte dei fondi e dei programmi onusiani di un quadro comune sull'obbligo di rendiconto, che al suo interno regolamenta le condizioni per l'accesso del pubblico ai rapporti di revisione e ad altre informazioni confidenziali in grado di fornire delucidazioni su eventuali manchevolezze o lacune dei programmi nazionali per lo sviluppo.

La violenza armata e lo sviluppo Lo scorso anno i lavori di revisione della Dichiarazione di Ginevra sulla «violenza armata e lo sviluppo» sono stati recepiti con successo dall'ONU. Nel mese
di novembre 2008 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione incentrata sull'interdipendenza tra violenza armata e sottosviluppo. Nel corso di quest'anno il Segretario generale delle Nazioni Unite redigerà un rapporto sul tema, che sottoporrà per consultazione ai membri dell'ONU. Al centro dell'attenzione verrà posta l'elaborazione di raccomandazioni concrete per arginare la violenza armata e contribuire in tal modo al raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio (cfr. n. 3.3.6).

5626

La difesa contro la pirateria Un esempio del circolo vizioso che invischia lotta armata e sottosviluppo è la minaccia dell'approvvigionamento alimentare in Somalia da parte della pirateria (per dettagli sulle sfide generali, cfr. n. 2.6). Nel maggio 2008 il Consiglio di sicurezza dell'ONU ha esortato gli Stati e le organizzazioni regionali ad adottare misure in difesa del traffico marittimo per la fornitura di aiuti umanitari alla Somalia (Risoluzione 1814). Quattro ulteriori decisioni del Consiglio di sicurezza sono altresì incentrate sulla lotta alla pirateria; fra queste annoveriamo la numero 1846 e la 1851, che appoggiano il decreto europeo di istruire, a partire dal dicembre 2008, operazioni di Marina a difesa delle navi in pericolo. L'Unione europea ha invitato anche la Svizzera e altri Stati non membri a sostenere la missione.

La Svizzera dispone di una propria flotta d'alto mare, forte di 35 navi mercantili.

Ogni mese da due a quattro di esse attraversano le pericolose acque del Golf di Aden. La flotta è incaricata di provvedere all'approvvigionamento del Paese in periodo di crisi e per tale ragione beneficia anche di fideiussioni federali. Un intervento di un corpo dell'esercito svizzero a salvaguardia della navigazione nel Corno d'Africa non avrebbe unicamente scopi umanitari, ma rientrerebbe anche negli interessi diretti della Confederazione e dell'economia svizzera. Anche le Forze speciali dell'esercito svizzero potrebbero trarre vantaggio da questa esperienza internazionale. Il 25 febbraio 2009 il Consiglio federale ha pertanto autorizzato la partecipazione di un contingente dell'esercito svizzero, limitato a 30 unità al massimo, nell'ambito dell'operazione dell'Unione europea «Atalanta», con riserva di approvazione da parte dell'Assemblea federale.

La lotta contro il terrorismo Gli attentati dell'11 settembre 2001 negli Stati Uniti hanno attribuito al terrorismo internazionale una dimensione inedita. Gli attacchi hanno permesso a tutti i Paesi di toccare con mano l'attualità e intensità della minaccia terroristica, risvegliando nei governi la consapevolezza di quanto sia cruciale collaborare a livello internazionale per debellare la piaga. La Svizzera svolge un ruolo attivo in tal senso. In ragione della sua vocazione internazionale e degli ideali di pace, libertà e tolleranza,
l'ONU rappresenta la piattaforma ideale per conferire una legittimità universale alla lotta contro il terrorismo.

Negli ultimi 40 anni le Nazioni Unite hanno varato 16 accordi e protocolli universali per la lotta contro forme specifiche di terrorismo. La Svizzera li ha ratificati in toto.

Dal 2000, un comitato dell'Assemblea generale dell'ONU sta lavorando a una convenzione globale contro il terrorismo internazionale. Essa dovrà colmare le lacune nella lotta contro il terrorismo; da qualche tempo, tuttavia, le trattative si sono arenate. La controversia riguarda la validità della convenzione per le forze armate statali e i movimenti di liberazione. La Svizzera auspica la ripresa dei lavori e sollecita l'approvazione della convenzione nel rispetto dei diritti dell'uomo e del diritto internazionale umanitario.

Nel settembre 2006 l'Assemblea generale dell'ONU ha approvato la strategia globale per la lotta al terrorismo. La strategia si caratterizza per l'approccio complessivo e si regge su quattro pilastri: ­

estirpare il terreno fertile che favorisce il terrorismo;

5627

­

adottare misure di lotta antiterroristica;

­

creare mezzi statali e rafforzare il sistema delle Nazioni Unite;

­

difendere i diritti dell'uomo e lo stato di diritto nella lotta antiterroristica.

Come contributo all'attuazione della strategia dell'ONU, nel novembre 2007 la Svizzera, insieme a Costa Rica, Giappone, Slovacchia e Turchia, ha avviato un «Processo internazionale sulla cooperazione globale nell'antiterrorismo». L'obiettivo del progetto è di sviluppare idee per un coordinamento più efficiente della lotta al terrorismo in seno all'ONU e di conferire maggiore legittimità e un effetto a lungo termine ai provvedimenti delle Nazioni Unite contro il terrorismo, tenendo conto in particolare del rispetto dei diritti dell'uomo. Il 21 e 22 gennaio 2008 si è svolto a Küsnacht (ZH) un primo workshop internazionale nell'ambito di questo processo, al quale hanno partecipato più di 50 esperti di alto livello provenienti da oltre 30 Stati e diverse organizzazioni e istituzioni internazionali. Altri workshop si sono svolti a Bratislava, Antalya, Tokyo e New York.

Il documento finale contiene 19 raccomandazioni indirizzate all'Assemblea generale dell'ONU; le raccomandazioni sono state tenute in linea di conto in occasione del primo esame formale della strategia globale per la lotta al terrorismo nel settembre 2008. Come misura collaterale la Svizzera, unitamente ad altri partner interessati e agli organi coinvolti delle Nazioni Unite, intende indire un incontro dei centri nazionali preposti alla lotta antiterroristica, nell'intento di migliorare gli sforzi di coordinamento tra gli interventi dei singoli Stati e la strategia globale dell'ONU.

Le sanzioni Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato tutta una serie di risoluzioni per la lotta contro il terrorismo, fra cui si annoverano anche sanzioni finanziarie e restrizioni di viaggio mirate, come pure un embargo sulle armi ai danni di persone fisiche e giuridiche sospettate di avere legami con Al-Qaïda o il regime dei Talebani.

La Svizzera applica tali sanzioni dal 3 ottobre 2000. Attualmente circa 500 persone fisiche e giuridiche figurano nell'elenco delle sanzioni dell'ONU. Per gli interessati non esiste tuttavia un meccanismo adeguato che consenta di sottoporre la loro iscrizione al controllo di un'istanza indipendente. Questa lacuna è stata alla base di numerosi procedimenti giudiziari anche in Europa, gettando lunghe ombre sulla legittimità del sistema sanzionistico dell'ONU.

Nel 2005 la Svizzera, insieme a Svezia e Germania,
ha avviato un'iniziativa volta a migliorare il sistema delle sanzioni al fine di salvaguardare i diritti umani. In tale contesto, nella primavera del 2006 ha sottoposto al Consiglio di sicurezza lo studio di un'università americana contenente proposte per una procedura trasparente ed equa. Nell'estate del 2008, facendo seguito alla suddetta iniziativa, la Svizzera, in collaborazione con Danimarca, Germania, Principato del Liechtenstein, Paesi Bassi e Svezia, ha trasmesso al Consiglio di sicurezza proposte concrete per l'istituzione di un gruppo indipendente di esperti avente la facoltà di raccomandare al pertinente Comitato per le sanzioni del Consiglio di sicurezza la cancellazione di un nome dall'elenco delle persone sanzionate («delisting»). Spetta ora al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite decidere sulle proposte di riforma. La Svizzera, dal canto suo, intende proseguire il suo impegno per un maggior rispetto dei diritti umani nel processo d'applicazione delle sanzioni dell'ONU assieme ai suoi partner.

5628

L'ambiente In seguito al Vertice mondiale del 2005 il Presidente dell'Assemblea generale ha incaricato i rappresentanti permanenti di Svizzera e Messico presso le Nazioni Unite a New York di condurre consultazioni informali al fine di migliorare la gestione internazionale dell'ambiente. Nonostante gli intesi sforzi profusi, nel quadro di queste consultazioni non è stato possibile trovare un'intesa su provvedimenti di maggior presa rispetto alle misure precedentemente adottate. Le consultazioni sono pertanto state interrotte con un rapporto indirizzato al Presidente dell'Assemblea generale e le discussioni sul tema sono state affidate al Consiglio di amministrazione del Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente, che ha in seguito incaricato un gruppo di ministri o alti rappresentanti di elaborare entro un anno nuove strategie per rafforzare il sistema ambientale internazionale.

La Conferenza mondiale di Durban contro il razzismo La Conferenza di revisione sul razzismo, tenutasi a Ginevra dal 20 al 24 aprile 2009, si è conclusa con una Dichiarazione finale approvata all'unanimità da 182 Stati.

Dal punto di vista della Svizzera il documento contiene elementi rilevanti. Da un lato pone l'accento sul ruolo centrale dell'accordo per debellare ogni forma di discriminazione razziale e, dall'altro, ribadisce l'importanza di applicare misure atte ad applicare le norme in essere. Uno dei fattori di centrale importanza citati nella lotta contro la discriminazione è la libertà di espressione, che alimenta la molteplicità di idee e di pensieri. La Dichiarazione finale ricorda tuttavia che in molti ambiti occorre adottare misure di più ampio respiro: nella discriminazione di donne e bambini, nelle forme plurime e aggravate di discriminazione come pure nel razzismo ai danni di migranti, richiedenti l'asilo e rifugiati.

Al termine di lunghe e laboriose trattative è infine stato deciso di non includere nel documento finale i temi contesi quali la situazione nel Vicino Oriente e la diffamazione religiosa come limite della libertà di espressione. Nel documento vi è però un riferimento all'Olocausto e si sottolinea l'importanza della libertà di opinione, della democrazia, della formazione nel settore dei diritti dell'uomo nonché dei sistemi giuridici competenti, autonomi e apolitici nella lotta contro il
razzismo. Rispetto alla dichiarazione e al programma di intervento di Durban del 2001 il testo comprende pure misure nuove e specifiche che promuovono l'osservanza dei diritti dell'uomo, segnatamente il principio della non discriminazione nel quadro della lotta contro il terrorismo.

La Svizzera ha rivestito un ruolo attivo nei lavori preparatori nell'intento di promuovere la propria visione della lotta contro il razzismo. In qualità di membro del gruppo di «amici del Presidente» ha sostenuto il suo impegno durante l'intera fase delle trattative. La Svizzera valuta in modo positivo l'esito della conferenza. La Dichiarazione finale rispetta le prescrizioni fissate nel maggio 2008 dal Consiglio federale.

Disponiamo in effetti di un documento dal tenore equilibrato, che pur trattando temi delicati è stato accettato all'unanimità. Le esternazioni a tratti riprovevoli, registrate al riguardo, sono rimaste senza seguito e non hanno distolto l'attenzione della Conferenza dal suo obiettivo.

L'Alleanza delle civiltà L'iniziativa lanciata nel 2005 dalla Spagna e sostenuta dalla Turchia per un'«Alleanza delle civiltà» punta a fornire un contributo per migliorare la compren5629

sione tra mondo islamico e Occidente. La Svizzera ritiene che l'iniziativa costituisca innanzitutto un tentativo di affrontare i problemi politici che causano o acuiscono conflitti di matrice religiosa e culturale. In passato il nostro Paese ha posto l'accento sulla condivisione in seno all'Alleanza delle proprie esperienze raccolte nell'ambito di progetti sul tema «Religione e politica».

La Svizzera è membro attivo del «Gruppo degli amici» dell'Alleanza sin dagli esordi e, dal 2007, ha un rappresentante all'interno del Comitato direttivo dell'«International Donor Working Group». Anche in occasione del secondo forum dell'Alleanza, tenutosi il 6 e 7 aprile 2009 a Istanbul, la Svizzera era presente con un rappresentante del Governo ed ha avanzato proposte per l'attuazione pratica dell'iniziativa.

Sostanzialmente, le proposte mirano a organizzare in sottogruppi il «Group of Friends», attualmente composto da oltre 80 Paesi, consentendo agli Stati interessati di collaborare alla realizzazione di temi e progetti concreti. L'impulso dato dal nostro Paese è stato accolto con favore e verrà ora tradotto in pratica.

La riforma della gestione La messa in atto della riforma del Segretariato e delle alte sfere lanciata in occasione del Vertice mondiale del 2005 avanza a ritmo meno sostenuto del previsto. Le ragioni vanno ricercate nella molteplicità e complessità delle tematiche e dei processi, nella politicizzazione delle questioni manageriali e nel fatto che la maggior parte delle riforme sollecitate cagiona costi supplementari. Un ulteriore elemento problematico, a detta della Svizzera, è che l'Assemblea generale tende a voler disciplinare direttamente le riforme sin nel minimo dettaglio anziché limitarsi a instradare il Segretario generale in una determinata direzione, accordandogli lo spazio di manovra necessario per attuare le misure. Alla luce di queste considerazioni, i progressi in parte ragguardevoli registrati nell'amministrazione della giustizia («administration of justice»), nella gestione del personale come pure nel miglioramento dei mezzi informatici e di telecomunicazione sono assolutamente rimarchevoli.

La Svizzera si adopererà anche in futuro per favorire il completamento dei processi di riforma in atto, volti a migliorare l'efficienza, l'efficacia, la responsabilità e l'obbligo di rendiconto
del Segretariato delle Nazioni Unite.

L'impegno in altri settori La Commissione per il consolidamento della pace In data 1° luglio 2009 la Svizzera ha assunto la presidenza della Riunione specifica sul Burundi della Commissione per il consolidamento della pace, carica che manterrà per la durata di un anno. La Commissione per il consolidamento della pace è incaricata di mobilitare l'attenzione e le risorse della comunità internazionale, di proporre strategie integrate per il consolidamento della pace e della ricostruzione dopo i conflitti. Il mandato si fonda sulla constatazione che la metà dei processi di pace fallisce nei cinque anni successivi al cessate il fuoco.

Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura (UNESCO) La Convenzione del 2005 sulla protezione e la promozione della diversità delle forme di espressione culturale e la Convenzione del 2003 per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale sono state ratificate dal Parlamento e sono entrate in vigore in Svizzera il 16 ottobre 2008. Dal canto suo la Svizzera ha recepito anche 5630

la Convenzione internazionale contro il doping nello sport, entrata in vigore il 1° dicembre 2008. La Svizzera ha preso parte in qualità di osservatrice alla 32a sessione del Comitato del Patrimonio mondiale dell'UNESCO, tenutasi a inizio luglio 2008 in Quebec, durante la quale sono stati iscritti nella Lista del Patrimonio mondiale i siti «Ferrovia retica nel paesaggio Albula/Bernina» e «Area tettonica Sardona». Nel corso dell'estate 2009 il Comitato del Patrimonio mondiale ha altresì deciso di aggiungere alla lista «La Chaux-de-Fonds/Le Locle, paesaggio urbano dell'industria orologiera». La 48a Conferenza internazionale sull'educazione del novembre 2008 ha dato la stura a una serie di incontri mondiali previsti dal 2008 al 2010 sulle diverse forme e i vari livelli di educazione (educazione allo sviluppo sostenibile, educazione degli adulti, educazione superiore, educazione dell'infanzia).

La Società dell'informazione e la gestione di Internet La Svizzera si impegna attivamente per la concretizzazione dell'obiettivo definito in occasione del Vertice mondiale sulla società dell'informazione («World Summit on the Information Society», WSIS), volto a creare una società dell'informazione al servizio dell'uomo e attenta allo sviluppo sostenibile. Dal 2006 il nostro Paese figura tra i membri della Commissione dell'ONU Scienza e Tecnologia per lo sviluppo, che si occupa in particolare di proseguire sulla strada tracciata dal WSIS. Dallo stesso anno, la Svizzera collabora pure, sia a livello finanziario che di contenuti, al buon funzionamento dell'«Internet Governance Forum» (IGF) dell'ONU, tenuto a battesimo dal WSIS. Attualmente l'IGF è l'unica piattaforma al mondo in grado di riunire allo stesso tavolo i principali attori dell'economia privata, degli enti governativi e della società civile per discutere delle sfide poste da Internet e dalla sua gestione.

La collaborazione con la società civile La Svizzera è persuasa del fatto che una società civile dinamica, attiva e partecipe rappresenti una conditio sine qua non per il buon funzionamento delle Nazioni Unite. Una partnership più solida con la società civile in genere e con le sue cerchie più dinamiche in particolare favorisce sia la qualità che la legittimità del lavoro dell'ONU.

La partnership con gli istituti universitari ha assunto forme
diverse. Da un lato sono stati approfonditi i rapporti con l'Istituto di alti studi internazionali e dello sviluppo (IHEID) di Ginevra, dall'altro è stata promossa la costituzione del network di ricerca Academia ONU, che ha proseguito il consolidamento delle proprie strutture e attività e organizzato, nel 2008, svariati eventi. In occasione della conferenza annuale del network è stato conferito l'«UNO Academia Award» a due studiosi, premiati per i loro lavori di ricerca sulle Nazioni Unite.

D'ora innanzi la Svizzera potrà contare sul preminente sostegno dell'Università delle Nazioni Unite. La nomina dello svizzero Konrad Osterwalder a rettore dell'Università con il titolo di Sottosegretario generale, subordinato direttamente a Ban Ki-moon, costituisce un'occasione unica e imperdibile per il nostro Paese. Nel 2008 la Svizzera ha coadiuvato le attività esterne del rettorato in vista del nuovo indirizzo e della ricollocazione dell'Università in seno al sistema delle Nazioni Unite.

A ragion del vero va ribadito che la partecipazione più visibile e dinamica della società civile svizzera nel 2008 va ascritta all'iniziativa dei giovani. Mai tanti gruppi, associazioni e singoli individui prima di allora si erano impegnati nell'organiz5631

zazione di conferenze, seminari e simposi sull'ONU. La rete svizzera dei giovani per l'ONU (JUNES), una vera e propria associazione mantello delle organizzazioni studentesche, ha avuto il pregio di far convergere le energie e ravvivare lo scambio tra i suoi membri.

I punti esposti nei numeri 3.4.1.2.2 e 3.4.1.2.3 sono solo una parte delle attività svolte dalla Svizzera in seno all'ONU. Dati ulteriori in merito sono riportati in altri capitoli del presente rapporto. L'elencazione precedente comprende sia iniziative nuove, sia attività legate a progetti in essere. Le ragioni di tale scelta sono le seguenti: in primo luogo, l'attuazione di riforme in seno all'ONU richiede tempi lunghi.

Secondariamente, la Svizzera può contribuire in maniera credibile soltanto nei settori in cui ha fatto tesoro, negli anni, di conoscenze pertinenti.

Per le proprie iniziative la Svizzera tesse una rete quanto mai fitta, collaborando fianco a fianco e a livello transregionale con altri Paesi. Laddove si riveli opportuno, la Svizzera è fermamente intenzionata ad approfondire i legami con la Francofonia.

Questa organizzazione riunisce al suo interno circa un terzo di tutti gli Stati membri dell'ONU e ­ oltre alla sua funzione di piattaforma per lo scambio di vedute ­ potrebbe fungere da trampolino di lancio per le iniziative e le rivendicazioni svizzere.

3.4.1.2.4

I contributi finanziari e a livello di personale della Svizzera

La posizione e l'influsso della Svizzera all'interno dell'ONU dipendono non soltanto dalle iniziative e dalle idee meritevoli, ma anche dai contributi forniti al sistema delle Nazioni Unite. In relazione ai contributi finanziari obbligatori la Svizzera si colloca al 14° posto. Per quanto attiene invece ai versamenti volontari e agli interventi personali, il nostro Paese ha perso leggermente terreno.

Il budget e i contributi obbligatori La Svizzera versa ogni anno all'ONU circa 150 milioni di franchi in contributi obbligatori. Con tale importo il nostro Paese entra di diritto nel novero dei principali sostenitori (14° posto, quota contributiva dell'1,216 %). Alla luce dei costanti aumenti dei budget la Svizzera, unitamente al gruppo dei maggiori contribuenti (Gruppo di Ginevra), si adopera per ottimizzare il processo di determinazione del budget delle Nazioni Unite, ancora troppo complesso e oneroso. Vizi che pregiudicano la guida strategica dell'Organizzazione da parte degli Stati membri. In aggiunta, a partire dall'autunno 2009 la Svizzera assumerà la presidenza della Quinta Commissione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, come pure il coordinamento delle trattative sulla nuova chiave di ripartizione dei contributi a favore dell'ONU.

I contributi a livello di personale nelle missioni di pace Nelle statistiche ufficiali delle Nazioni Unite, pubblicate in dicembre, con 31 unità (su un organico complessivo di 39 652) nell'anno di adesione il nostro Paese figurava al 56° posto per quanto concerne la messa a disposizione di truppe, osservatori militari e forze di polizia. In seguito al marcato aumento delle missioni di pace registrato negli ultimi anni, con 24 unità su un organico totale di 92 196 membri del personale in uniforme (marzo 2009), oggi la Svizzera occupa l'85° posto. Nelle 5632

statistiche non figurano i contingenti che la Svizzera mette a disposizione della NATO e dell'Unione europea; sebbene vengano approvati dal Consiglio di sicurezza dell'ONU, questi non rientrano infatti nei contributi diretti alle strutture delle Nazioni Unite. Il personale che la Svizzera mette a disposizione per le missioni di pace dell'ONU è, nel raffronto, modesto ed è per questa ragione che risulta alquanto difficile per uno Svizzero ricoprire le cariche più elevate nel settore del mantenimento della pace e nelle missioni di pace dell'ONU.

I contributi finanziari alle organizzazioni umanitarie Negli scorsi anni i budget destinati alle organizzazioni umanitarie multilaterali sono stati corretti al rialzo. L'aumento è riconducibile sia al maggior impegno assunto da parte dei contribuenti tradizionali, sia alla partecipazione di nuovi Paesi. La Svizzera riserva circa un terzo dei suoi aiuti umanitari alle organizzazioni dell'ONU. Ciononostante, nella media degli ultimi anni i contributi versati dal nostro Paese all'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), al Programma alimentare mondiale (PAM) o all'Ufficio per il coordinamento gli affari umanitari (OCHA) sono rimasti costanti a livello nominale. Di conseguenza, nella graduatoria dei principali finanziatori la Svizzera ha perso diverse posizioni (raffronto tra i dati del 2007 e del 1999): UNHCR dal 9° al 15° posto; PAM dal 13° al 17° posto; OCHA dall'8° al 13° posto. Questa evoluzione non è priva di insidie, dato che si discosta dalla nostra tradizionale vocazione all'aiuto umanitario; cela inoltre il pericolo che la nostra influenza sulle organizzazioni umanitarie, in particolare quelle con sede a Ginevra, venga incrinata.

Visto che, de facto, anche in seno all'ONU sono i Paesi maggiormente impegnati a livello finanziario e di personale a godere di maggior ascolto, sussiste in effetti un certo rischio che negli ambiti sopraccitati la Svizzera perda terreno. Nelle discussioni sulla posizione futura del nostro Paese occorrerà tenere in debita considerazione tale aspetto.

3.4.1.3

La Svizzera Paese ospite di organizzazioni internazionali

Una tradizione pluriennale in veste di Paese sede di organizzazioni internazionali La Svizzera vanta una tradizione pluriennale in quanto Paese ospite di organizzazioni internazionali. Tra le 25 organizzazioni con cui la Svizzera ha concluso un accordo di sede, 22 si sono stabilite a Ginevra (p. es. l'Organizzazione mondiale del commercio e il Comitato Internazionale della Croce Rossa), due a Berna (l'Unione postale universale e l'Organizzazione del traffico ferroviario internazionale) e una a Basilea (Banca dei regolamenti internazionali).

La Svizzera ha siglato accordi di natura fiscale con sette organizzazioni internazionali quasi intergovernative (conformemente all'art. 8 della legge sullo Stato ospite).

Vi si aggiunge una nutrita serie di enti come ad esempio i programmi o i segretariati di accordi internazionali e le organizzazioni internazionali non governative con sede in Svizzera.

Unitamente a New York, Ginevra, in qualità di principale sede europea delle Nazioni Unite, è considerata uno dei due più importanti centri per la collaborazione 5633

multilaterale. Il crescente numero di Stati che intrattiene almeno una missione permanente a Ginevra (161 Stati nel 2008), come pure la cifra record di circa 200 000 delegati ed esperti che nel 2007 hanno preso parte alle diverse migliaia di simposi e conferenze indette dalle organizzazioni internazionali e ONG a Ginevra64 attestano l'attrattiva della piazza internazionale ginevrina. Sul piano politico, l'internazionalità della città sul Lemano conferisce alla Svizzera la facoltà di influire sulle relazioni internazionali in una misura che eccede il peso politico del Paese, contribuendo alla realizzazione dei nostri obiettivi di politica estera. In aggiunta, la fitta presenza di organizzazioni intergovernative e non governative internazionali, come pure la densità delle attività conferenzistiche hanno effetti positivi apprezzabili per l'economia nazionale.

Nonostante questa invidiabile situazione, nel quadro dell'accoglienza di organizzazioni e conferenze internazionali la Svizzera deve rilevare una serie di sfide, in primis l'impatto finanziario causato dall'incalzante concorrenza da parte di altri Stati desiderosi di ricoprire tale ruolo, dalla crescente importanza delle questioni di sicurezza e dagli sforzi intrapresi per assicurarsi una rappresentanza universale in seno alla comunità degli Stati a Ginevra (cfr. al riguardo le considerazioni alla voce «Le sfide della politica d'accoglienza»).

Gli strumenti della politica svizzera d'accoglienza A livello tematico, la politica della Svizzera quale Stato ospite è incentrata sui cinque punti cardine riportati di seguito: 1)

pace, sicurezza e disarmo;

2)

affari umanitari e diritti umani;

3)

salute;

4)

lavoro, economia e scienza;

5)

sviluppo sostenibile e conservazione delle risorse naturali.

Sul suo territorio la Svizzera offre alle organizzazioni che vi si sono insediate condizioni di lavoro e di vita vantaggiose, dispositivi di sicurezza, nonché uffici e sale conferenza. La Confederazione e i Cantoni che ospitano organizzazioni internazionali collaborano intensamente al riguardo. La politica d'accoglienza della Svizzera poggia essenzialmente sugli strumenti illustrati nelle seguenti sezioni.

La Fondazione per gli immobili delle organizzazioni internazionali (FIPOI) Per la ricerca di superfici adeguate nell'area ginevrina le organizzazioni internazionali possono avvalersi del supporto della FIPOI, una fondazione di diritto privato istituita nel 1964 dalla Confederazione e dal Cantone di Ginevra. Per consentire alla FIPOI di portare avanti il proprio mandato, la Confederazione le accorda prestiti senza interesse rimborsabili nell'arco di 50 anni, mediante i quali la fondazione permette alle organizzazioni internazionali di acquistare, costruire o ristrutturare gli edifici necessari.

Al 31 dicembre 2008, i crediti correnti concessi alla FIPOI dalla Confederazione ammontavano a 349 milioni di franchi. Dal canto suo, il Cantone di Ginevra rinuncia 64

Cfr. «Résultats statistiques, Les organisations internationales à Genève, Résultats de l'enquête 2008, Office cantonal de la statistique ­ OCSTAT (2008)»; http://www.ge.ch/statistique/tel/publications/2008/resultats/dg-rs-2008-13.pdf

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a percepire i canoni dei diritti di superficie per i terreni messi a disposizione delle organizzazioni internazionali. Dopo una revisione dello Statuto approvata nel 2004, in casi singoli la FIPOI può estendere il suo raggio d'azione anche al territorio del Cantone di Vaud. Parallelamente, la FIPOI è autorizzata ad acquistare, costruire, porre in locazione e amministrare immobili in proprio. Nel portafoglio immobiliare della FIPOI figura anche il Centro Internazionale dei Congressi di Ginevra (CICG).

Nel quadro della politica federale d'accoglienza, ogni anno la Confederazione assume parte dei costi d'esercizio del CICG, che può così essere sfruttato a titolo gratuito da una categoria specifica di utenti.

Quadro giuridico modernizzato Il 1° gennaio 2008 è entrata in vigore la nuova legge federale sui privilegi, le immunità e le facilitazioni, nonché sugli aiuti finanziari accordati dalla Svizzera quale Stato ospite (Legge sullo Stato ospite, LSO; RS 192.12) e la relativa ordinanza sullo Stato ospite (RS 192.121). I due testi normativi hanno consolidato le basi giuridiche esistenti e codificato la prassi pluriennale nel settore della politica d'accoglienza.

Verrà inoltre facilitato il lavoro degli enti coinvolti (Confederazione, Cantoni, organizzazioni internazionali ecc.), che d'ora innanzi potranno avvalersi di una base unitaria e trasparente.

Conformemente alla legge sullo Stato ospite, le Camere federali autorizzano il Consiglio federale a emanare una normativa per il personale domestico privato dei membri delle organizzazioni internazionali, nella misura in cui il diritto internazionale lo permetta (art. 27 LSO). Come ribadito nel messaggio del Consiglio federale del 13 settembre 2006 concernente la legge sullo Stato ospite, dal 1987 sussiste una direttiva del DFAE sulle condizioni d'impiego del personale domestico privato da parte di membri di rappresentanze estere in Svizzera e funzionari internazionali, la cui ultima revisione risale al 1° maggio 2006. Ciononostante, i problemi tuttora irrisolti derivano in particolare dal fatto che le condizioni di lavoro si basano ancora sulle rispettive legislazioni cantonali (contratti collettivi di lavoro cantonali). Al riguardo è in fase di preparazione un'ordinanza del Consiglio federale che verterà, secondo quanto stabilito nella legge sullo
Stato ospite, su condizioni remunerative e di lavoro unitarie, valide sull'intero territorio nazionale e per tutto il personale domestico privato a cui si applica la citata direttiva del DFAE.

I provvedimenti a favore della sicurezza Negli ultimi anni il tema della sicurezza ha assunto un'importanza centrale per tutte le organizzazioni internazionali e propiziato ingenti investimenti in materia. Il finanziamento dei dispositivi di sicurezza installati negli edifici, sopra di essi nonché all'interno del perimetro esterno (recinzione compresa) è a carico delle organizzazioni e pertanto della globalità degli Stati membri. Conformemente alla prassi internazionale, lo Stato ospite è invece responsabile della sicurezza esterna all'edificio e alla sua recinzione. Visto che la Svizzera annette grande importanza alla sicurezza esterna degli edifici occupati dalle organizzazioni internazionali, nel giugno del 2006 le Camere federali hanno approvato un credito d'impegno di 10 milioni di franchi per installazioni di sicurezza nelle costruzioni.

I principali progetti immobiliari d'attualità nella Ginevra internazionale La soddisfazione delle esigenze di carattere immobiliare espresse dalle organizzazioni internazionali con sede in Svizzera è seguita con il massimo interesse nel 5635

quadro della politica d'accoglienza. La FIPOI sta attualmente coadiuvando o pianificando i seguenti progetti di costruzione nei Cantoni di Ginevra e di Vaud.

L'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) Al fine di poter raggruppare in un'unica struttura tutti i collaboratori dell'OMC, nel periodo tra il 2008 e la fine del 2012 sono previsti la ristrutturazione, il riattamento e l'ampliamento della sede dell'organizzazione di Ginevra. I costi complessivi del progetto ammontano a 130 milioni di franchi, 60 milioni dei quali saranno messi a disposizione sotto forma di crediti FIPOI e 70 milioni come contributi a fondo perso della Confederazione. Il 1° agosto 2008 il Consiglio federale ha stipulato con l'OMC un accordo sui punti cardine del progetto globale (ferma restando l'approvazione del quadro finanziario da parte del Parlamento). Nella sessione autunnale del 2008 le Camere federali hanno concesso un contributo a fondo perso di 45 milioni di franchi, destinato alle misure di ristrutturazione (la prima delle tre fasi previste). Per le due ulteriori tappe verrà presentato a tempo debito un messaggio separato al Parlamento.

L'Organizzazione europea per la ricerca nucleare (CERN) Con una spesa complessiva di 11,3 milioni di franchi, entro il 2010 il CERN costruirà a Ginevra un nuovo edificio per ospitare i collaboratori supplementari impegnati nell'ambito del nuovo acceleratore di particelle. Durante la sessione autunnale 2008 il Parlamento ha approvato un credito d'impegno per la concessione del relativo mutuo alla FIPOI.

Il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) Il CICR prevede di costruire un nuovo padiglione logistico a Ginevra con un investimento di circa 32 milioni di franchi, coperto nella misura di 26 milioni da un credito FIPOI. I costi di costruzione restanti saranno direttamente a carico del CICR.

Il 10 settembre 2008 il Consiglio federale ha varato il messaggio sulla concessione del mutuo FIPOI sottoponendolo all'esame delle Camere federali. Nella sessione invernale 2008, il messaggio è stato approvato dal Consiglio nazionale e nella sessione primaverile 2009 anche dal Consiglio degli Stati.

L'Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN) Nella sessione primaverile 2008 le Camere federali hanno concesso un credito d'impegno di 20 milioni di franchi per la
costruzione di un nuovo stabile amministrativo dell'IUCN (2008­2010) a Gland (VD). I mezzi finanziari vengono corrisposti all'IUCN sotto forma di un mutuo FIPOI. I lavori di costruzione dell'edificio proseguono come da progetto e dovrebbero concludersi entro il termine stabilito.

Le sfide della politica d'accoglienza Dalla fine della Guerra fredda la concorrenza internazionale per l'insediamento di organizzazioni e conferenze internazionali si è intensificata, tanto che la Svizzera incontra crescenti difficoltà nel trattenere a Ginevra le attuali organizzazioni internazionali o nell'attirarne di nuove. A partire dagli anni Novanta diversi Paesi e città d'Europa (segnatamente Vienna, L'Aia, Copenaghen, Bonn, ma anche Budapest come pure la Spagna) hanno potenziato la loro offerta nel settore dell'accoglienza (spazi per uffici, centri per conferenze, diverse prestazioni di sostegno gratuite,

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ecc.), ottenendo un discreto successo nell'insediamento di organizzazioni internazionali.

Negli ultimi anni, in questo stesso settore sono emersi nuovi attori provenienti dal Vicino ed Estremo Oriente (Singapore, Abu Dhabi, Dubai e, in una certa misura, anche il Qatar e la Corea del Sud). Questi ultimi puntano innanzitutto all'insediamento di agenzie regionali di organizzazioni internazionali. Tuttavia, molti dei Paesi elencati dispongono di credenziali in parte ottime (mezzi finanziari, politica caratterizzata da iter decisionali celeri, ambizioni globali) per assumere in futuro un importante ruolo quali Stati ospite di organizzazioni internazionali. L'esacerbazione della concorrenza internazionale ­ unita alle crescenti misure di sicurezza che gli Stati ospite devono adottare ­ si è tradotta in un aumento dei costi per la politica d'accoglienza della Svizzera.

Un altro tema importante cui è confrontato il nostro Paese sono i lavori di ristrutturazione e manutenzione degli edifici ospitanti le sedi delle organizzazioni insediate a Ginevra, tanto più che alcune di esse hanno trascurato tale aspetto e accantonato mezzi del tutto insufficienti a un risanamento globale. Il quadro appare critico, in particolare per alcune costruzioni di vecchia data come la sede dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) o il Palazzo delle Nazioni Unite. I costi stimati per gli impellenti interventi di risanamento ammontano a svariate centinaia di milioni di franchi, somma di cui le organizzazioni interessate al momento non dispongono.

La situazione assai tesa che contraddistingue il mercato immobiliare ginevrino riduce massicciamente le possibilità di allargare l'offerta della Ginevra internazionale e aggiunge un'ulteriore sfida alla politica svizzera d'accoglienza, tanto più che la domanda, da parte delle organizzazioni internazionali, di superfici supplementari da adibire a ufficio (possibilmente a basso costo) rimane elevata. La scarsità degli spazi abitativi e il livello elevato degli affitti gravano ulteriormente sui costi del personale delle organizzazioni internazionali con sede a Ginevra, visto che queste ultime devono aumentare le indennità all'alloggio dei loro dipendenti. Il fatto che 31 Stati non abbiano una missione a Ginevra costituisce un ulteriore problema, dato che in tal modo la città
sul Lemano, rispetto ad esempio a New York, non può ancora ambire allo statuto di rappresentanza universale della Comunità degli Stati.

Le prospettive della politica d'accoglienza Lo stato precario in cui versano alcuni edifici delle organizzazioni internazionali di Ginevra e la carenza di mezzi finanziari hanno aumentato le pressioni sulla Svizzera, inducendola, contrariamente alla prassi dello Stato ospite sinora adottata, a partecipare ai costi di ristrutturazione. In tale contesto la Svizzera viene giudicata alla stregua degli Stati ospite che assumono interamente (p. es. l'Austria per la sede dell'ONU a Vienna e l'Italia per le strutture della FAO a Roma) o perlomeno in parte (p. es. la Francia per l'UNESCO a Parigi) i costi di risanamento degli edifici occupati dalle organizzazioni internazionali. Le condizioni in tali Stati, tuttavia, non sono interamente paragonabili a quelle a Ginevra, tra le altre cose per via della presenza sovradimensionata di organizzazioni internazionali nell'area ginevrina e di modelli differenti di politica d'accoglienza in relazione al regime di proprietà degli edifici.

La Svizzera è altamente interessata a che le organizzazioni internazionali provvedano a una manutenzione regolare degli stabili occupati e mettano a disposizione dei dipendenti superfici lavorative funzionali e moderne. Gli edifici amministrativi in buono stato migliorano l'immagine e la reputazione dello Stato ospite tra i funzio5637

nari internazionali, accrescendo l'attrattiva della piazza internazionale di Ginevra.

D'altro canto, una certa regolarità negli interventi di rinnovo genera anche commesse per l'edilizia locale, aumentando l'importanza economica dell'indotto nella regione del lago Lemano. In ragione dell'ampio parco immobiliare a disposizione e dell'improbabilità di assistere nei prossimi anni a nuovi importanti insediamenti nella Ginevra internazionale, le esigenze in campo edile dovrebbero scostarsi dai nuovi edifici per abbracciare le ristrutturazioni e gli ampliamenti delle superfici esistenti.

In linea con la sua politica in materia, il Consiglio federale ritiene senza dubbio che spetti alle organizzazioni internazionali assumere i costi di manutenzione e ristrutturazione degli edifici. Ciononostante, data la prassi adottata in passato, è disposto a valutare l'opportunità di un contributo svizzero (coadiuvato da altri Stati membri) ai costi di ristrutturazione, per esempio per i lavori presso la sede dell'ONU a New York.

I servizi preposti del DFAE e del DFF seguono congiuntamente la situazione, accertandosi che la politica dello Stato ospite condotta dalla Svizzera sia sempre conforme alle esigenze della Ginevra internazionale.

3.4.1.4

La presenza della Svizzera nel sistema delle Nazioni Unite

Le candidature agli organi principali e alle rappresentanze Per difendere efficacemente il suo ruolo attivo in seno alle Nazioni Unite, la Svizzera deve rafforzare la propria presenza negli organi principali e rappresentativi delle organizzazioni ritenute prioritarie e disporre di personale elvetico a tutti i livelli gerarchici degli organi esecutivi.

Economia, socialità e sviluppo Le trattative per l'ottenimento di un seggio svizzero nel Consiglio economico e sociale (ECOSOC) in seno al Gruppo dei Paesi dell'Europa occidentale e altri (WEOG), che dispone di 13 seggi su una totalità di 54, sono state portate a termine con successo. La Svizzera è ora parte integrante del sistema di rotazione di questo Gruppo geografico e siederà per la prima volta nel Consiglio economico e sociale nel 2011. In qualità di organo principale dell'ONU, l'ECOSOC coordina le attività nei settori dell'economia, della socialità, della cultura, dell'ambiente, dello sviluppo e della salute. In aggiunta, il Consiglio costituisce un importante polo per l'elezione in numerosi organi sussidiari delle Nazioni Unite.

Attualmente la Svizzera è già rappresentata in seno a numerosi organi minori dell'ECOSOC. Dal 2005 è membro della Commissione per la popolazione e lo sviluppo. Il mandato giunge al termine nel 2009 e la Svizzera ha già inoltrato la sua richiesta di rinnovo per un'ulteriore legislatura.

Fino alla metà del 2009 il professor Robert Waldburger ha rappresentato la Svizzera in seno al gruppo di esperti per la collaborazione internazionale in campo fiscale. La carica è in seguito stata assunta da Jürg Giraudi, vicedirettore dell'Amministrazione federale delle contribuzioni.

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In aggiunta, dal 2008 la Svizzera è rappresentata nella Commissione degli stupefacenti e nella Commissione per lo sviluppo sostenibile. Dal 2010 al 2013 sarà anche membro della Commissione per lo sviluppo sociale.

Alla fine di aprile 2008 la Svizzera è inoltre stata eletta nella Commissione per la scienza e la tecnologia al servizio dello sviluppo per il periodo dal 2009 al 2012.

I diritti dell'uomo e il diritto internazionale La partecipazione della Svizzera al Consiglio dei diritti dell'uomo a Ginevra si estende sino a giugno 2009; il nostro Paese auspica il rinnovo del mandato triennale per il periodo dal 2010 al 2013. Questa candidatura riveste infatti grande importanza poiché, nel 2011, l'Assemblea generale procederà a un esame approfondito dello statuto del Consiglio dei diritti dell'uomo e la Svizzera, ottenendo la carica, potrebbe intervenire direttamente nel processo per difendere efficacemente i propri interessi.

Nel mese di marzo 2008 Jean Ziegler ha conquistato un seggio in qualità di esperto indipendente in seno al Comitato consultivo dei diritti dell'uomo. Il mandato è stato riconfermato alla fine di marzo 2009. Il primo periodo di carica di Jean Zermatten nel Comitato per i diritti del fanciullo si è concluso nel febbraio del 2009, ma già nel corso del mese di dicembre 2008 è stato rieletto per gli anni fino al 2013.

Nel maggio del 2008 Walter Kälin, professore di diritto internazionale, ha lasciato prematuramente l'incarico in seno al Comitato dei diritti dell'uomo dell'ONU per dedicarsi interamente al mandato di incaricato del Segretario generale dell'ONU per i diritti umani degli sfollati interni. Sino alla conclusione del mandato (fine 2010) la professoressa Helen Keller succede a Walter Kälin in qualità di esperta indipendente.

Nel dicembre del 2008 Monique Jametti Greiner è stata eletta con mandato quinquennale nel Consiglio di direzione dell'Istituto internazionale per l'unificazione del diritto privato.

Infine, la Svizzera è rappresentata in seno alla Commissione del diritto internazionale grazie al professor Lucius Caflisch. Il mandato del professor Caflisch si concluderà nel 2011.

Scienza, cultura e ambiente In ambito scientifico la Svizzera prende parte dal 1999 alle assemblee del Comitato delle Nazioni Unite sull'uso pacifico dello spazio extra-atmosferico, dapprima
in veste di osservatrice e, dal 1° gennaio 2008, come membro stesso del Comitato. Alla luce del marcato incremento nello scorso decennio degli attori attivi nel settore dello spazio e dei progressi nella tecnologia spaziale, un rafforzamento della posizione internazionale della Svizzera in tale settore appare indispensabile.

In ambito culturale, nell'autunno del 2009 sarà sottoposta una candidatura di rilievo: la Svizzera mira a far parte del Comitato del patrimonio mondiale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura (UNESCO) per il mandato dal 2010 al 2013. Il Comitato è responsabile dell'attuazione del trattato sulla tutela mondiale dei beni naturali e culturali.

Nel settore ambientale, nel settembre 2008 Thomas Stocker (professore di climatologia e fisica ambientale) è stato nominato copresidente di un gruppo di lavoro del Consiglio sul clima mondiale. Dal 2009 la Svizzera è anche membro del Comitato di esperti per il trasporto di merci pericolose. E per concludere, alla fine del 2009 il 5639

nostro Paese si candiderà per un seggio in seno al Consiglio di amministrazione del Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (PAM) per il periodo dal 2010 al 2013. Per il seggio nel Consiglio di amministrazione del PAM la Svizzera ha un accordo informale pluriennale di rotazione con l'Austria.

Excursus: possibile candidatura della Svizzera al Consiglio di sicurezza dell'ONU Al fine di rafforzare la posizione della Svizzera in seno all'ONU, nei rapporti sulle relazioni con l'ONU del 2007 e 2008 il Consiglio federale ha considerato l'eventualità, a medio termine, di inoltrare una candidatura svizzera al Consiglio di sicurezza.

Su invito di esponenti delle Camere federali, nel gennaio 2009 il DFAE ha trasmesso alle Commissioni di politica estera, previa presa di conoscenza da parte del Consiglio federale, informazioni complementari sulle ripercussioni di una simile candidatura.

Come ogni altro membro delle Nazioni Unite, anche la Svizzera ha sostanzialmente diritto a essere rappresentata in modo non permanente nel Consiglio di sicurezza.

Per il nostro Paese un seggio in seno al Consiglio di sicurezza equivarrebbe a uno strumento supplementare per tutelare i nostri interessi e centrare gli obiettivi di politica estera. La Svizzera ne uscirebbe rinvigorita a livello di visibilità internazionale e potrebbe approfondire i contatti che già intrattiene con i principali attori del mondo politico ed economico. Una rappresentanza in seno al Consiglio di sicurezza permetterebbe inoltre alla Svizzera di promuovere dall'interno gli sforzi di riforma di questo organo. Le decisioni del Consiglio di sicurezza, e in particolare le risoluzioni sulle operazioni di pace, hanno un influsso diretto sui contributi versati dagli Stati membri; essendo uno dei 15 maggiori contribuenti, il nostro Paese avrebbe quindi un interesse evidente ad influenzare direttamente i processi decisionali.

Orizzonte temporale e procedura Il gruppo dei Paesi dell'Europa occidentale ha diritto ogni due anni a due seggi nel Consiglio di sicurezza. Conformemente alla recente panoramica sulle candidature già note, gli anni 2018 e 2022 sembrerebbero offrire una buona base di partenza per aspirare a una rappresentanza della Svizzera. Per il 2018 è infatti stata inoltrata una sola candidatura a uno dei due seggi destinati ai Paesi dell'Europa
occidentale, mentre per il 2022 ancora nessuna. Le esperienze raccolte in Paesi analoghi, come ad esempio l'Austria, mostrano che una candidatura vincente ha un periodo di gestazione di circa un decennio (dal momento della presentazione sino alla nomina). Va pure ribadito che i posti liberi vengono occupati in fretta. Se si optasse quindi per un seggio nel 2018 o nel 2022 sarebbe opportuno che il Consiglio federale presentasse la candidatura ad una rappresentanza nel gruppo dei Paesi dell'Europa occidentale ancora nel corso dell'attuale legislatura. A seconda degli sviluppi del dibattito che occorrerà giocoforza approfondire sul piano interno, il Consiglio federale potrà confermare le sue intenzioni e lanciare una campagna elettorale oppure ritirare la candidatura. Il ritiro della candidatura è possibile in qualsiasi momento e questa possibilità viene frequentemente sfruttata.

Il successo di una campagna dipende da diversi fattori. Tra di essi si annoverano la credibilità dello Stato candidato all'ammissione in seno a un organo dell'ONU, il chiaro supporto politico della candidatura da parte dei decisori e non da ultimo un coordinamento ottimale.

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In vista di una rappresentanza nel Consiglio di sicurezza, la Svizzera dovrebbe definire degli ambiti d'intervento in linea con i suoi obiettivi primari di politica estera. Forte del suo profilo, in seno al Consiglio la Svizzera potrebbe emergere in particolare come mediatrice e intermediaria in questioni contese. In aggiunta, delineandosi l'eventualità concreta di un seggio, il nostro Paese dovrebbe potenziare le sue risorse di personale a New York e presso gli organi rilevanti a Berna.

Come già accennato in precedenza, la decisione su una candidatura della Svizzera al Consiglio di sicurezza non potrà prescindere da un approfondito dibattito politico interno. Le informazioni supplementari trasmesse all'inizio dell'anno alle Commissioni di politica estera, su loro stessa richiesta, come pure le discussioni che vi hanno fatto seguito costituiscono un primo passo in questa direzione.

La presenza di personale svizzero nel Segretariato e in altri organi esecutivi Oltre a difendere i propri interessi di politica estera grazie alla presenza negli organi principali e rappresentativi dell'ONU, la Svizzera si adopera anche per rafforzare ed estendere, nella misura del possibile, l'inquadramento di personale svizzero a tutti i livelli gerarchici degli organi esecutivi delle Nazioni Unite. Reclutando e promuovendo l'inserimento di forze lavorative qualificate elvetiche all'interno del servizio pubblico internazionale delle Nazioni Unite, la Svizzera consolida il proprio impegno nei settori a lei cari della politica estera, allargando nel contempo la propria visibilità. Il nostro Paese contribuisce in tal modo a soddisfare la richiesta del Segretariato e di altri organi esecutivi dell'ONU di candidati idonei.

Da quanto, nel 2008, si sono susseguite le dimissioni dell'ex consigliere federale Adolf Ogi da responsabile a rango di Sottosegretario generale dell'Ufficio del consigliere speciale del segretario generale dell'ONU per lo sport al servizio dello sviluppo e della pace, quelle (nel corso dell'estate) del professor Nicolas Michel da Sottosegretario generale per gli affari giuridici e consigliere giuridico del segretario generale dell'ONU, e quelle dell'ambasciatrice Carla del Ponte da procuratrice generale del Tribunale penale internazionale (TPI) per la ex Jugoslavia, la presenza della Svizzera ai
massimi livelli gerarchici dell'ONU ha subito una netta flessione.

Queste partenze sono in parte compensate dalla nomina di Nicolas Michel a consigliere speciale e mediatore nella disputa per i confini tra la Guinea equatoriale e il Gabon nonché di Konrad Osterwalder a rettore dell'Università delle Nazioni Unite.

Ricordiamo inoltre che l'ex presidente della Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), Walter Fust, è ora alla testa del consiglio intergovernativo del Programma internazionale per lo sviluppo della comunicazione dell'UNESCO.

La strategia di sostegno delle candidature svizzere fa leva sulle priorità peculiari ad ognuno dei tre livelli gerarchici (quadri medi e superiori, giovani leve). Nel caso dei quadri superiori la Svizzera si impegna in particolare per le candidature a posti inquadrati in uno dei settori rilevanti per la politica estera del nostro Paese. Per citare un esempio, nel settembre 2007 una nostra compatriota, Katharina Kummer Peiry, è stata nominata responsabile della Segreteria esecutiva della Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti oltre frontiera di rifiuti pericolosi e sulla loro eliminazione.

Per quanto riguarda i quadri medi, in una prima fase la Svizzera rende accessibile al pubblico la lista dei posti vacanti al fine di riunire un numero sufficiente di candidati qualificati per la procedura di reclutamento. In un secondo momento sostiene i

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dossier entrati a far parte della rosa finale e considerati idonei dal punto di vista del Paese.

Al livello gerarchico più basso, l'introduzione di personale svizzero nel sistema dell'ONU viene promossa soprattutto tramite il finanziamento di cosiddetti posti di «Junior Professional Officer».

Nel 2007 l'intero sistema delle Nazioni Unite occupava circa 84 000 persone. Con 902 unità, la quota di Svizzeri equivaleva all'1 per cento circa. In data 30 giugno 2008 il Segretariato dell'ONU contava circa 40 000 funzionari. All'interno del Segretariato si fa la distinzione tra posti vincolati a una determinata chiave di riparto geografica, e altri in cui dovrebbe piuttosto valere una ripartizione equilibrata tra i vari Stati. La prima categoria elencata rappresenta circa il 7 per cento degli impieghi totali offerti dal Segretariato. Per la Svizzera il coefficiente di occupazione di tali posti è dello 0,98 per cento. Nel 2007 non si è stati in grado di soddisfare la prescrizione. Grazie tuttavia a una promozione mirata delle giovani leve, la presenza di cittadini svizzeri in questa categoria è progredita entro la metà del 2008 superando leggermente l'1 per cento. Per ulteriori dettagli in merito rimandiamo alla tabella sottostante.

La presenza di personale svizzero nel sistema delle Nazioni Unite (2008) Personale in dotazione

Quota CH assoluta

%

Organizzazioni del sistema delle Nazioni Unite Personale complessivo*

84 137

902

1,07

Personale accademico*

36 885

400

1,08

Personale complessivo

39 503

300

0,76

Personale accademico

11 142

123

1,10

2 797

29

1,04

Segretariato dell'ONU**

Personale vincolato alla chiave di riparto geografica * **

Cifre per il 2007 Fonte: A/63/310

3.4.2

Le Istituzioni di Bretton Woods

Dal 1992 la Svizzera è membro delle Istituzioni di Bretton Woods e dispone di uno dei 24 seggi in seno ai Consigli esecutivi del Fondo monetario internazionale (FMI) e della Banca mondiale. Insieme alla Polonia, alla Serbia, all'Azerbaigian, al Kirghizistan, al Tagikistan, al Turkmenistan e all'Uzbekistan la Svizzera forma un gruppo di voto. Le Istituzioni di Bretton Woods si occupano da alcuni anni di due grandi sfide: la riforma della governanza (rappresentanza nel Consiglio esecutivo) e la risoluzione di diverse crisi (crisi delle materie prime, crisi finanziaria).

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Il primo pacchetto di riforme 2008 Da alcuni anni il sistema di rappresentanza in seno al FMI e alla Banca mondiale è oggetto di intense discussioni. La composizione dei consigli esecutivi ha radici storiche: cinque degli attuali 24 seggi permanenti sono attribuiti alle grandi potenze occidentali del dopoguerra (USA, Giappone, Francia, Germania e Gran Bretagna).

Gli Stati europei dispongono di otto direttori esecutivi, l'Asia di cinque e l'Africa di due. I Paesi emergenti e quelli in sviluppo ritengono che la composizione dei consigli esecutivi non rispecchi il loro peso nell'economia mondiale e lamentano pertanto una loro sottorappresentanza.

Il Fondo monetario internazionale Il dibattito sulla rappresentatività dei membri all'interno del FMI è sfociato infine nell'aprile 2008 in una Risoluzione sulla riforma del diritto di voto in seno al Consiglio dei governatori. La Risoluzione prevede di aumentare gli apporti di capitale (le cosiddette quote) dell'11,5 per cento per 54 Paesi sottorappresentati, di triplicare i voti di base come pure di accordare ad entrambi i seggi africani un direttore esecutivo aggiunto supplementare. Lo scopo prefisso è di adeguare le quote versate dagli Stati membri alla loro attuale collocazione in seno all'economia mondiale. Tale manovra permette in particolare di migliorare la posizione dei Paesi emergenti. La Svizzera sostiene l'impostazione di base della riforma, pur sottolineando che il nuovo metodo di calcolo delle quote nazionali presenta diverse lacune. La ponderazione del gruppo di voto cui aderisce la Svizzera in seno al FMI si attesta attualmente al 2,79 per cento (Svizzera 1,57 %, altri Paesi 1,22 %); dopo la riforma il gruppo si posizionerà al ventesimo di 24 posti in totale, rispetto all'attuale diciottesimo.

Parallelamente alla riforma del diritto di voto è stato sviluppato un nuovo modello di entrate per il FMI, atto a fronteggiare la flessione delle stesse. Il modello prevede di incrementare le entrate mediante una cospicua vendita delle riserve d'oro come pure una gestione più attiva delle riserve. Sino al 2010 sono stati decisi tagli alle spese nell'ordine del 10 per cento circa (oppure 100 milioni di dollari circa), che si tradurranno in una massiccia riduzione del personale.

La Banca mondiale Anche la Banca mondiale, lo scorso anno, si è occupata
intensamente della riforma denominata «Voice and Participation». Sulla scorta della riforma delle quote e dei diritti di voto del FMI, anche in seno al gruppo della Banca mondiale si punta a una maggior ponderazione dei Paesi emergenti e in sviluppo mediante un riassetto basato su tre pilastri. Un primo pacchetto concreto di misure atte a modernizzare le strutture direttive è stato varato nell'autunno del 2008; si prevede di raddoppiare i voti di base e di insediare un direttore esecutivo supplementare per l'Africa. La Svizzera ha preso parte in maniera ininterrotta a queste riforme, considerando basilare una ripartizione equa di tutti gli Stati per conferire legittimità ed efficacia all'istituzione. In tal senso, la quota di diritti di voto dei Paesi in sviluppo passa dal 42,6 al 44 per cento. La posizione del gruppo di voto cui fa parte la Svizzera è migliorata di un posto, passando dal diciassettesimo al sedicesimo rango, visto che l'adeguamento dei diritti di voto di base ha permesso di far guadagnare al gruppo nel suo insieme lo 0,03 per cento (dal 3,04 % al 3,07 %) e il seggio supplementare dell'Africa ha condotto alla creazione di gruppi di voto africani più piccoli. Tuttavia, la Svizzera ha dovuto incassare un leggero calo delle sue quote (dall'1,66 % all'1,63 %).

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Sfide future della riforma e interessi elvetici Le recenti sfide delineatesi sul piano politico, strategico e ideologico hanno inferto nuove spinte alla riforma governativa delle Istituzioni di Bretton Woods. La crisi finanziaria, in particolare, ha aumentato la pressione in vista di una quanto mai celere conclusione della riforma in atto. I Paesi più poveri e segnatamente le principali economie emergenti (BRICS, ovvero Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) alzano viepiù il tono affinché la loro rappresentanza negli organi esecutivi delle Istituzioni di Bretton Woods venga migliorata. Il G20 è assurto a partner indispensabile nella discussione sul ruolo e i compiti di tali Istituzioni ed esercita un notevole influsso sull'esito delle trattative (cfr. n. 3.3.1). La Svizzera è ancorata alla posizione secondo cui i temi di centrale importanza debbano essere discussi e deliberati in seno alle competenti commissioni direttive delle Istituzioni di Bretton Woods. Tali organi rappresentano tutti gli Stati membri, cosa che non può invece essere affermata per il G20.

Al vertice del G20 tenutosi il 2 aprile 2009 sono state prese importanti decisioni preliminari relative alle Istituzioni di Bretton Woods, poi accolte come raccomandazioni valide a fine aprile dal Comitato monetario e finanziario internazionale in occasione del convegno di primavera del FMI e della Banca mondiale. In sostanza, occorre garantire che il FMI disponga di mezzi sufficienti per poter assistere al meglio i suoi Stati membri nella risoluzione della crisi. Concretamente, i fondi del FMI vanno immediatamente incrementati di 250 miliardi di dollari tramite l'erogazione di crediti bilaterali. In seguito, grazie a un ampliamento della dotazione monetaria, confluiranno nel Fondo ulteriori 500 miliardi di dollari. In occasione del summit primaverile è inoltre stata discussa la riforma della governanza del FMI, da attuare in tempi brevi promuovendo la ratifica da parte degli Stati membri della riforma dei diritti di voto, già decisa nel 2008, anticipando al 2011 la prossima revisione generale delle quote e coinvolgendo maggiormente il Comitato monetario e finanziario internazionale nella conduzione strategica del FMI. Infine, in avvenire i direttori o presidenti amministrativi delle istituzioni finanziarie internazionali dovranno essere
designati secondo il principio del merito. È altresì stato deciso che la Banca mondiale e gli istituti regionali di sviluppo potranno sfruttare interamente il loro spazio di manovra finanziario al fine di sostenere i programmi di sviluppo di lungo respiro, che altrimenti subirebbero delle battute d'arresto a causa della crisi finanziaria e dei relativi disavanzi fiscali. Nel prossimo triennio la Banca mondiale concederà pertanto crediti nella misura di almeno 100 miliardi di dollari ed entro il prossimo anno verrà triplicato il capitale in dotazione della Banca asiatica di sviluppo. Tra le raccomandazioni rilasciate figura anche l'aumento di capitale della Banca africana di sviluppo e della Banca interamericana di sviluppo, da adottare prossimamente. La Banca mondiale appurerà l'effettiva necessità di procedere a un aumento di capitale, o quali vie alternative percorrere, per poter migliorare il suo sostegno ai Paesi poveri ed emergenti durante la crisi finanziaria.

La Svizzera è profondamente interessata a superare in tempi brevi la crisi e a rafforzare durevolmente il sistema finanziario internazionale. Il Consiglio federale ha pertanto deciso di partecipare all'apporto di capitale accordando al FMI una linea di credito temporanea sino a 10 miliardi di dollari (americani). Il contributo a lungo termine destinato alle risorse del FMI dovrà essere stabilito più avanti, in occasione dei negoziati concernenti i nuovi accordi di credito.

In seguito alle recenti discussioni sull'executive board, si sta delineando l'eventualità di una riduzione dei suoi membri. Nel corso degli anni, per ragioni politiche, 5644

nuovi seggi si sono aggiunti ai 20 originari (nel 1980 la Cina, nel 1986 l'Arabia Saudita, nel 1992 la Russia e il gruppo di voto cui aderisce la Svizzera). Oggi la tendenza punta invece piuttosto al ribasso: durante l'amministrazione Bush gli Stati Uniti propugnavano chiaramente un ritorno ai 20 seggi delle origini entro il 2012. Il nuovo Governo statunitense ha confermato tale posizione in occasione del convegno primaverile; la messa in atto, tuttavia, dipende dalla disponibilità degli Stati europei a consolidare i numerosi seggi di cui dispongono. Alla luce di quanto esposto l'incertezza sul numero di membri di un nuovo Consiglio esecutivo rimane elevata.

La seconda fase della riforma della Banca mondiale «Voice and Participation» è incentrata sull'esame dei principi e dei criteri volti a fissare il capitale azionario delle due principali agenzie della Banca mondiale, ossia la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (IBRD) e la Corporazione finanziaria internazionale (IFC). Sebbene nell'ottobre del 2008 sia stato deciso di aumentare da 24 a 25 i seggi in seno al Consiglio esecutivo per rappresentare meglio l'Africa, anche in questo ambito le discussioni vertono sulla riduzione del numero dei direttori esecutivi.

Questa seconda fase sarà oggetto dei lavori del convegno annuale delle Istituzioni di Bretton Woods previsto nell'ottobre 2009 a Istanbul e dovrebbe essere conclusa entro la primavera del 2010.

La comunità di Stati donatori è attualmente impegnata, tramite il gruppo della Banca mondiale e gli istituti regionali di sviluppo, nella rapida concessione di mezzi aggiuntivi per alleviare le ripercussioni della crisi sui Paesi in sviluppo. La Svizzera valuterà se e in che misura cooperare con le diverse istituzioni finanziatrici multilaterali all'alimentazione del fondo, tenendo in debita considerazione le implicazioni per la rappresentanza e l'influenza svizzere in seno ad esse. In quest'ottica va pure tenuto conto della decisione del Parlamento di limitare al 40 per cento al massimo le uscite destinate alle istituzioni multilaterali dell'undicesimo credito quadro.

A medio termine, queste due tendenze (riforma e maggior ponderazione dei Paesi in sviluppo come pure taglio dei mezzi finanziari da destinare all'impegno multilaterale della Svizzera), potrebbero avere ripercussioni
negative sull'influenza generale esercitata dalla Svizzera e sui suoi seggi. Sotto la guida del DFF, il DFAE, la SECO e la Banca nazionale svizzera si stanno occupando a fondo degli obiettivi della riforma e delle ricadute per la Svizzera.

Le risposte delle istituzioni di Bretton Woods alla crisi globale Lo scorso anno i lavori del FMI e della Banca mondiale sono stati ampiamente segnati dalle turbolenze della crisi finanziaria. La Svizzera condivide la concezione generale della comunità internazionale, secondo cui questa crisi potrà essere arginata unicamente con una soluzione coordinata, congiunta e orchestrata possibilmente all'interno di gremii e istituzioni esistenti come il «Financial Stability Board» (FSB), il FMI, la Banca mondiale e gli istituti regionali di sviluppo. Nel primo trimestre 2009 il FMI ha creato un nuovo strumento di finanziamento (la linea di credito flessibile o «Flexible Credit Line»), di natura assicurativa, per rispondere alle specifiche problematiche della crisi nei Paesi emergenti. Questo strumento equivale a una linea di credito a breve termine per i Paesi che sinora hanno potuto finanziarsi senza problemi sui mercati dei capitali e che vantano una politica economica e finanziaria consolidata. All'inizio del 2009 il Messico è stato il primo Paese a usufruirne.

Sullo sfondo dell'impennata dei prezzi del greggio e dei generi alimentari, nel settembre del 2008 è inoltre stato adeguato l'«Exogenous Shocks Facility». Questo 5645

strumento finanziario è stato introdotto nel 2005 dal Fondo monetario internazionale per assistere i Paesi a basso reddito, come il Malawi, il Senegal e il Kirghizistan, nell'affrontare problemi della bilancia dei pagamenti dovuti a shock causati da eventi esterni. Gli aggiustamenti più recenti dovrebbero consentire di emettere una prima tranche con maggior rapidità e meno condizioni. Nell'ambito dei suoi strumenti tradizionali il FMI ha concesso a Paesi come l'Ucraina, l'Ungheria, la Romania, la Lettonia, il Pakistan o l'Islanda mezzi finanziari considerevoli per superare gli impellenti problemi di bilancia dei pagamenti. Nel caso dell'Islanda l'intervento è particolarmente degno di nota, considerato che si tratta pur sempre di un Paese industrializzato a reddito elevato. L'Islanda ha siglato un accordo di assistenza per 2,1 miliardi di dollari, comprendente misure di stabilizzazione del corso di cambio, il consolidamento a medio termine del bilancio pubblico nonché una radicale riforma del settore finanziario.

Il FMI ha affinato le proprie competenze nella sorveglianza del settore finanziario e più precisamente della crescente interazione tra i sistemi finanziari e l'economia reale, come pure dell'interdipendenza internazionale tra i vari sistemi finanziari.

Coadiuvato dal FSB, il FMI ha inoltre deciso di rafforzare il monitoraggio e migliorarne il coordinamento. Per centrare l'obiettivo occorre lavorare a un minimo comun denominatore per la gestione delle competenze e allo sviluppo di un sistema di allarme rapido.

Nel quadro dei programmi denominati «Global Food Response», già agli inizi del 2008 la Banca mondiale era instancabilmente alla ricerca di soluzioni atte a risolvere il problema degli elevati prezzi dei generi alimentari e le ripercussioni negative dirette sui Paesi più poveri della Terra. Per quanto riguarda i provvedimenti relativi alla crisi finanziaria, la Banca mondiale si impegna attivamente negli Stati beneficiari di crediti IBRD e prevede di concedere prestiti per 100 miliardi di dollari (americani) tra il 2009 e il 2011 in modo da contenere almeno in parte l'impatto della crisi. Per il 2009 si prefigura pertanto un'erogazione complessiva di almeno 35 miliardi di dollari. Nei Paesi più poveri la Banca mondiale ha effettuato una dettagliata analisi dei danni potenziali e
migliorato l'operatività grazie alla messa a disposizione anticipata di mezzi di pagamento pari a 2 miliardi di dollari al massimo e al consolidamento dei programmi d'emergenza esistenti. Anche gli istituti regionali di sviluppo in Asia, Africa e America latina erogano prestiti supplementari nel quadro dei programmi coordinati a livello internazionale nell'intento di preservare le prospettive evolutive a lungo termine dei Paesi emergenti e in via di sviluppo nonostante il fardello della crisi e di lenirne gli effetti sui Paesi più poveri e sulle fasce più deboli della popolazione.

3.4.3

L'OMC

L'Organizzazione mondiale del commercio (OMC), fondata nel 1995 per subentrare al GATT, è l'unica organizzazione internazionale che regolamenta le relazioni d'affari transfrontaliere tra i vari Paesi a livello globale. L'OMC si prefigge l'abbattimento degli ostacoli al commercio e l'armonizzazione e il reciproco riconoscimento delle norme. L'OMC non è soltanto un forum negoziale che riunisce 153 Stati per dibattere pressanti tematiche commerciali, bensì pure un punto d'incontro per sviluppare normative commerciali in essere o dar vita a nuove regolamentazioni.

A intervalli regolari gli Stati membri mettono a confronto le rispettive politiche 5646

commerciali. Nel 2008 la Svizzera si è sottoposta per la quinta volta dal 1991 a un simile esame da parte degli Stati membri dell'OMC.

L'importanza dell'OMC per la Svizzera Il buon funzionamento dell'OMC è nel pieno interesse dei Paesi di piccole e medie dimensioni, che con essa dispongono di una piattaforma affidabile per strappare ad altri Paesi concessioni sull'accesso al mercato. L'intenso impegno della Svizzera si giustifica con l'interesse a che il commercio mondiale si basi su un sistema di regole e di discipline commerciali ampiamente riconosciute e consolidate da un'organizzazione forte. Per il nostro Paese la sicurezza del diritto offerta dall'OMC costituisce la protezione ideale per poter esportare beni e servizi negli altri Stati membri.

L'OMC dispone inoltre di un efficace meccanismo di risoluzione delle controversie in ambito commerciale.

Il Ciclo di Doha Nel 2001 è stato lanciato a Doha un nuovo ciclo di negoziati dell'OMC, soprannominato ufficiosamente «Doha Development Agenda». Qualora il Ciclo di Doha venisse concluso, il vantaggio reale che ne deriverebbe per i Paesi in sviluppo sarebbe la loro miglior integrazione e partecipazione al commercio mondiale sulla base delle liberalizzazioni accordate (p. es. l'eliminazione delle sovvenzioni all'esportazione nel settore agricolo entro il 2013, l'apertura del mercato nel settore agricolo e industriale). In ultima analisi il Ciclo di Doha dovrebbe quindi migliorare anche l'interscambio commerciale tra i vari Paesi in sviluppo.

Lo stato delle trattative Dopo sette anni di trattative, tuttavia, i lavori sono progrediti appena. I Paesi in sviluppo lamentano che le ambizioni del round di negoziati dovrebbero basarsi sui risultati ottenuti in campo agricolo. I Paesi industrializzati, tra cui la Svizzera, auspicano invece un esito più ampio con concessioni equilibrate in tutti i settori trattati (soprattutto in ambito di beni industriali, prestazioni, facilitazione degli scambi, proprietà intellettuale come pure commercio e ambiente).

La conferenza ministeriale informale, tenutasi a Ginevra alla fine di luglio 2008, doveva servire a gettare le basi per una liberalizzazione del settore agricolo e dei beni industriali. Dopo nove giorni, tuttavia, le trattative sono state interrotte per la mancanza di consenso. In precedenza sembrava esservi
uno spiraglio per concludere i negoziati grazie a soluzioni di compromesso ravvisate in tre punti principali. Dal settembre del 2008 il Ciclo di Doha prosegue intensamente in particolare sui dossier dei prodotti agricoli e industriali.

Accordi di libero scambio come valida alternativa?

Visto l'esito infruttuoso dei negoziati di Doha molti Paesi ­ tra cui la Svizzera ­ stipulano accordi di libero scambio per poter accedere indiscriminatamente ad altri mercati. A ragion del vero va tuttavia ribadito che gli accordi di libero scambio possono fungere al massimo da complemento al sistema multilaterale di negoziazione e regolamentazione dell'OMC, ma non sostituirlo, visto che tali contratti si basano sugli accordi dell'OMC. Per un Paese come la Svizzera, fortemente dipendente dall'apertura dei mercati, l'OMC appare indispensabile come forum negoziale multilaterale e istituzione garante della sicurezza del diritto. La Svizzera non sarebbe in grado di negoziare accordi bilaterali con tutti i membri dell'organizzazione per 5647

garantirsi l'accesso ai rispettivi mercati. Il nostro Paese continua pertanto a impegnarsi a fondo per una rapida e costruttiva conclusione del Ciclo di Doha.

L'importanza di portare rapidamente a buon fine il Ciclo di Doha Durante l'incontro ministeriale informale dell'OMC, tenutosi il 31 gennaio 2009 a Davos su invito dalla Svizzera, i ministri del commercio si sono espressi in modo unanime sull'importanza dei mercati aperti e del libero commercio per la ripresa congiunturale. La conclusione del ciclo di Doha costituirebbe uno stimolo eccezionale per l'economia mondiale e contribuirebbe a lottare contro il crescente protezionismo internazionale, incalzato dallo scoppio della crisi economico-finanziaria.

L'OMC è praticamente l'unica organizzazione multilaterale a fornire gli strumenti di controllo e limitazione, nonché allentamento delle misure di protezionismo commerciale. Sarebbe pertanto auspicabile che assumesse in modo più attivo la sua funzione di vigilanza in tale settore.

Un fallimento delle trattative di Doha minerebbe la credibilità dell'OMC. Facendo leva su ragioni di politica interna, i principali Paesi potrebbero essere maggiormente tentati di varare leggi protezionistiche a salvaguardia della propria economia. Un simile sviluppo non potrebbe che nuocere a un Paese come la Svizzera, altamente dipendente dalla sicurezza del diritto e dalla prevedibilità.

3.4.4

L'OCSE

La politica dell'apertura: allargamento e impegno rafforzato Nel quadro della politica di allargamento avviata nel maggio 2007, l'OCSE ha rivolto un invito ufficiale a Cile, Estonia, Israele, Federazione Russa e Slovenia ad avviare le negoziazioni in vista di un'adesione a medio termine all'Organizzazione.

Il secondo pilastro della politica di apertura, il cosiddetto maggior impegno, verte sull'avvicinamento a importanti Paesi e regioni, non disposti o poco interessati a un'adesione a medio termine. Tale programma ­ basato su una strategia elaborata nel 2008 dall'OCSE in stretta collaborazione con il nostro Paese - include il Sudafrica, l'India, la Cina, il Brasile, l'Indonesia e il Sud-Est asiatico.

Il punto di partenza dei colloqui di adesione è costituito da un memorandum, inoltrato dai Paesi candidati, nel quale è riassunta la loro posizione in merito agli strumenti giuridici dell'OCSE. In un secondo momento i comitati d'esperti elaborano una relazione tecnica sulla situazione e i progressi necessari nei Paesi candidati. Questa fase è tuttora in corso e dovrebbe concludersi entro il mese di giugno del 2009.

Disponendo dei pareri tecnici, spetta al Consiglio dell'OCSE decidere sull'adesione formale. Ad eccezione della Federazione Russa, tutti i candidati hanno inoltrato il memorandum nella seconda metà del 2008, istituito un punto di contatto e designato rappresentanti di alto rango per seguire il processo di adesione. La volontà e l'impegno politico degli Stati candidati sono molto incoraggianti. Attualmente le autorità russe hanno assunto un atteggiamento piuttosto attendista; l'adesione all'OMC costituisce una condizione sine qua non per l'ingresso nell'OCSE.

L'apertura dell'OCSE ha una dimensione politica non indifferente. Pur fondandosi in primo luogo sullo scambio di «buone pratiche» nel settore pubblico, la selezione dei Paesi cui l'OCSE propone l'adesione costituisce un segnale politico forte per la comunità internazionale: l'OCSE è intenzionata a coinvolgere più attivamente i 5648

nuovi colossi dell'economia mondiale, sia tenendo conto di un certo equilibrio geografico sia con occhio attento ai progressi interni e all'interesse dimostrato dai singoli candidati (Brasile, Russia, India, Indonesia, Cina e Sudafrica ­ i Paesi denominati BRIC). La Cina, il Brasile e l'India sono interessati a una collaborazione circoscritta a determinati settori, ma non hanno ancora dato segnali concreti precursori di un avvicinamento strutturale a lungo termine. Sussiste pertanto il rischio di una strumentalizzazione del processo di avvicinamento all'OCSE a favore della propria visibilità, ma senza impegno o controprestazione veri e propri. Pur considerando che l'OCSE è in primo luogo un'organizzazione volta a favorire la collaborazione economica, nei negoziati sull'adesione non si può fare completamente astrazione dai conflitti di natura politica, come le recenti crisi scoppiate in Russia o in Israele (Georgia e Gaza) e dalle loro conseguenze per l'osservanza del diritto internazionale e dei diritti dell'uomo.

La risposta dell'OCSE alla crisi economico-finanziaria e le pressioni esercitate sul segreto bancario svizzero Dalla fine del 2008 la crisi finanziaria è al centro di intensi dibattiti. L'OCSE ha elaborato un piano d'azione volto ad allocare le competenze ed esperienze di cui dispone per formulare una risposta ai singoli problemi scatenati dalla crisi. La «risposta strategica dell'OCSE alla crisi economico-finanziaria», i cui contenuti sono stati varati nel dicembre 2008, si articola in due punti: la regolamentazione dei mercati finanziari e la ripresa a lungo termine della crescita. L'OCSE raccomanda altresì di rafforzare l'economia, investendo in mercati con un potenziale di crescita basato su innovazioni in settori ad alto valore aggiunto. Nella sua «risposta strategica» l'OCSE si sofferma anche sull'opportunità di operare investimenti sistematici a favore di un'economia a bassa emissione di CO2 (economia «verde»).

Gli interventi messi in atto dai governi in risposta alla crisi finanziaria, tesi soprattutto a concentrare gli sforzi finanziari in singoli settori, gravano pesantemente sui bilanci pubblici, spingendo gli Stati a ricercare nuove fonti di finanziamento. Alla luce di questo scenario i principali partner commerciali della Svizzera esigono una maggior trasparenza e cooperazione
internazionale in ambito fiscale. Il 21 ottobre 2008 i governi di Germania e Francia hanno indetto un incontro informale a Parigi sulla lotta all'evasione e alla frode fiscale. I 17 Paesi partecipanti hanno raggiunto un'intesa sulla necessità di accelerare l'attuazione delle norme dell'OCSE in materia di trasparenza e scambio di informazioni e puntato risolutamente il dito contro la Svizzera, peraltro non presente alla riunione, esortandola a conformarsi agli standard dell'organizzazione. Alla conferenza stampa seguita all'incontro informale la Svizzera, dal canto suo, ha criticato con veemenza la partecipazione del Segretario generale dell'OCSE, il cui compito è rappresentare tutti i Paesi membri dell'Organizzazione.

La lotta all'evasione fiscale ha assunto una dinamica ancor più marcata quando il tema è stato trattato dal G20, riallacciatosi ai lavori portati avanti dall'OCSE. Su espresso desiderio di alcuni membri maggiori il Segretariato dell'OCSE ha stilato una lista, destinata al G20, di «oasi fiscali» e altri centri finanziari poco cooperativi.

Dopo diverse stesure preliminari, il 2 aprile 2009 l'OCSE ha infine presentato il «rapporto sui progressi», che suddivide i Paesi valutati dal forum fiscale dell'OCSE in quattro categorie. La Svizzera vi figura come centro finanziario che ha accolto gli standard dell'OCSE, ma non li ha ancora sufficientemente messi in atto. Il criterio di valutazione è la sottoscrizione di 12 convenzioni sullo scambio di informazioni; le 5649

convenzioni riprendono gli standard del modello di convenzione fiscale dell'OCSE.

La Svizzera ha criticato l'OCSE in particolare per aver agito al di fuori del suo quadro formale su espressa richiesta del G20. Per informazioni sulla nuova politica svizzera di assistenza amministrativa in materia fiscale si veda al n. 3.3.1 (sezione sulle sfide).

4

Affari consolari

4.1

Prestazioni consolari

Le rappresentanze svizzere all'estero offrono un'ampia gamma di prestazioni consolari. La scelta è notevole e continua ad ampliarsi in base a fattori su cui le rappresentanze non sono in grado di influire. La domanda determina l'offerta di prestazioni che, a loro volta, si fondano sulla Costituzione federale, sulle leggi federali o sulle ordinanze di esecuzione.

Le rappresentanze all'estero sono gli interlocutori dei cittadini svizzeri che hanno il proprio domicilio permanente in quel determinato Paese o che vi soggiornano temporaneamente. Assolvono compiti simili a quelli svolti dalle amministrazioni comunali in Svizzera. Mantengono il legame tra gli Svizzeri all'estero e la madre patria.

Contribuiscono a promuovere i rapporti degli Svizzeri all'estero tra di loro e con la Svizzera, come previsto dalla Costituzione federale. Adempiono inoltre a compiti inerenti alla protezione consolare e svolgono un ruolo importante nell'ambito della gestione delle crisi. Anche in questi settori i compiti si moltiplicano diventando sempre più complessi.

La nuova legge sugli stranieri65 prevede una collaborazione delle rappresentanze nella fase di attuazione delle disposizioni che riguardano la preparazione di matrimoni, unioni domestiche e ricongiungimenti familiari. Alle rappresentanze sono stati dunque affidati nuovi compiti, che questeassolvono su domanda delle autorità dello stato civile e sotto la sorveglianza dell'Ufficio federale dello stato civile.

Nel settore della migrazione le rappresentanze sono chiamate a elaborare richieste di visto e coadiuvano l'Ufficio federale della migrazione e i Cantoni nell'esecuzione dei rispettivi mandati. Un compito particolarmente importante e delicato delle rappresentanze, di cui si è già occupata più volte la Commissione della gestione del Consiglio nazionale, consiste nel rilasciare visti. Dopo che, il 17 aprile 2007, la CdG-N aveva presentato un rapporto sul rilascio di visti da parte delle rappresentanze svizzere all'estero, il Consiglio federale ha deciso, su raccomandazione della Commissione, di confermare definitivamente le risorse supplementari pari a 4,3 milioni di franchi, ricevuti dal DFAE nel 2007, finanziando in questo modo 30 ulteriori posti. Non è stato tuttavia possibile prendere in considerazione l'adesione della Svizzera allo spazio Schengen, le
cui ripercussioni finanziarie non erano ancora note al momento della decisione.

Prima dell'entrata in vigore operativa degli Accordi di associazione Schengen/ Dublino il 12 dicembre 2008, le rappresentanze svizzere all'estero non erano dotate di abbastanza personale consolare trasferibile, rispetto agli altri Paesi Schengen, come risultava dalla valutazione relativa al rilascio dei visti da parte delle rappresentanze. Occorreva potenziare il personale consolare per garantire un livello di con65

RS 142.20

5650

trollo adeguato alle responsabilità in modo da riuscire a svolgere compiti complessi, e in parte anche nuovi, e a garantire quindi l'idoneità degli strumenti e delle procedure operative secondo Schengen. Il Consiglio federale ha perciò deciso di aumentare di 5,2 milioni di franchi il tetto di spesa del DFAE a partire dal 2009 per consentire di potenziare l'organico consolare e, in particolare, quello svizzero di carriecarriera.

Grazie a queste misure è stato possibile assumere specialisti nel settore dei visti e ulteriore personale consolare; la loro formazione si è conclusa alla fine del 2008.

Queste assunzioni hanno consentito di rafforzare le rappresentanze che, in seguito alla forte pressione migratoria, si trovano a dover elaborare numerose, e spesso anche delicate, richieste di visti. Il DFAE segue con attenzione gli sviluppi. Nel 2010, su mandato del Consiglio federale, dovrà nuovamente analizzare, in base alle esperienze pratiche, il fabbisogno determinato dall'attuazione degli Accordi di associazione Schengen/Dublino.

Dal 12 dicembre 2008 la Svizzera applica gli Accordi di associazione Schengen/ Dublino. Per le rappresentanze all'estero ciò implica un nuovo approccio quando si tratta di rilasciare visti per soggiorni di breve durata (fino a tre mesi). Oramai le rappresentanze rilasciano visti che autorizzano i titolari a circolare liberamente in uno spazio che comprende 25 Stati. Occorre dunque essere particolarmente vigili in fase d'esame delle richieste di visto, segnatamente in considerazione di possibili richieste di chiarimenti da parte di altri Stati parte agli Accordi. L'attuazione degli Accordi di associazione Schengen/Dublino rende inoltre necessario apportare modifiche all'organizzazione e all'infrastruttura delle rappresentanze. Occorreva dunque adeguare alle nuove disposizioni l'attuale sistema di rilascio elettronico dei visti (EVA) sia a livello dell'applicazione che del software. Tutto il personale operativo nel settore dei visti è stato quindi istruito sulle nuove disposizioni nell'ambito di corsi specifici.

Un elemento importante, che sarà fondamentale nel 2009 e nel 2010 per tutte le rappresentanze svizzere all'estero, è costituito dall'introduzione della biometria nella procedura di rilascio dei visti. Non sarà facile realizzare questa novità: la registrazione dei
dati biometrici ­ tra cui l'impronta di tutte e dieci le dita delle mani e una fotografia digitale di ognuno dei circa 650 000 richiedenti (tanti sono stati i visti rilasciati dalle rappresentanze svizzere nel 2007) ­ sarà fattibile soltanto modificando a fondo la procedura di rilascio e adeguando ai nuovi requisiti l'infrastruttura di numerose rappresentanze.

La CE progetta di introdurre il sistema VIS - (sistema di informazione visti, VIS) che consente il rilascio di visti biometrici - a tappe e per aree geografiche, iniziando nel dicembre 2009 con le rappresentanze nell'Africa del Nord. La nuova procedura sarà poi introdotta negli Stati del Golfo, nel Vicino Oriente, nell'Africa centrale, occidentale e in Sudafrica e successivamente in America latina, negli Stati della CSI, in Asia centrale e nel Caucaso. Non appena la procedura verrà applicata, in questi Paesi non sarà più possibile rilasciare un visto Schengen al di fuori del sistema VIS.

Le rappresentanze degli Stati Schengen che, dal punto di vista tecnico, non sono ancora in grado di adempiere ai nuovi compiti dovranno farsi rappresentare da uno Stato che dispone dell'infrastruttura necessaria.

A quel punto anche la Svizzera porrà in esercizio il sistema di informazione visti, inclusa la realizzazione di visti biometrici, per garantire entro i propri confini un decorso parallelo a quello della CE. Per quanto riguarda lo strumento della rappre5651

sentanza previsto nelle disposizioni di Schengen, la Svizzera intensifica in questo modo i propri contatti con gli Stati Schengen, in particolare con l'Austria, con la quale la cooperazione consolare è stata rafforzata nel 2008 grazie a un progetto concreto: nei locali dell'ambasciata di Svizzera a Santo Domingo (Repubblica Dominicana) è stato aperto un ufficio austriaco diretto da un agente consolare austriaco. Un progetto analogo è previsto per il 2009: un agente consolare svizzero occuperà un ufficio nei locali di un'ambasciata austriaca.

4.2

Protezione consolare

La protezione consolare ­ ossia l'aiuto ai cittadini svizzeri in situazioni d'emergenza all'estero ­ è uno dei compiti classici del DFAE. Il numero dei casi che hanno richiesto un intervento si aggira intorno ai 2000 circa all'anno (2007: 1925, 2008: 1750), esclusi gli aiuti prestati in base alla legge federale del 21 marzo 197366 su prestazioni assistenziali agli Svizzeri all'estero, il rilascio di documenti di viaggio provvisori e casi d'importanza esigua.

A intervalli regolari singoli casi salgono agli onori della cronaca. È tuttavia poco noto che nell'ambito della protezione consolare ­ come pure in altri settori in cui si tratta di aiutare singole persone ­ lo Stato può generalmente agire soltanto in via sussidiaria, ossia quando l'iniziativa personale non è possibile né ragionevole.

Le situazioni d'emergenza serie più frequenti in cui incorre chi viaggia all'estero sono la malattia e l'infortunio. In questi casi gli attori principali sono, oltre al DFAE, gli assicuratori malattia e viaggi, la Rega e il TCS. Nei loro call center rispondono ogni anno a oltre 100 000 telefonate di turisti svizzeri e forniscono aiuto in quasi 10 000 emergenze sanitarie; l'80 per cento circa dei viaggiatori è assicurato.

Le rappresentanze all'estero del DFAE assistono i fornitori di prestazioni menzionati, in particolare nei Paesi in cui questi non hanno rappresentanti, nonché i viaggiatori non assicurati. In base alle disposizioni legali in vigore, queste prestazioni sono di norma soggette a emolumento. Un riesame dell'ordinanza sugli emolumenti in vigore consentirà di trovare soluzioni di pagamento adeguate al caso specifico. In collaborazione con l'Ufficio federale di giustizia, che dispone del credito relativo, le rappresentanze all'estero forniscono aiuto immediato e aiuto al ritorno in linea di massima rimborsabili.

Rientra nei compiti delle rappresentanze all'estero anche il sostegno a persone la cui integrità fisica, psichica o sessuale sia stata lesa all'estero da un atto di violenza.

Con l'entrata in vigore, il 1° gennaio 2009, della revisione della legge federale concernente l'aiuto alle vittime di reati67, la cerchia degli aventi diritto si amplia agli stranieri domiciliati in Svizzera.

Sono aumentati i casi di bambini portati a forza da un genitore privo dell'autorità parentale dalla Svizzera
in un altro Paese non firmatario della Convenzione dell'Aia sugli aspetti civili del rapimento internazionale dei minori68. In questi casi, particolarmente difficili sotto l'aspetto umano, il DFAE collabora con le autorità locali e le organizzazioni private di soccorso per trovare una soluzione amichevole tra i geni-

66 67 68

RS 852.1 RS 312.5 RS 0.211.230.02

5652

tori ­ spesso in tempi molto lunghi e con un notevole dispendio di energie, come dimostrano i 24 casi non ancora risolti alla fine del 2008.

In base alla Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari69, le rappresentanze all'estero assumono una particolare importanza nell'ambito dell'assistenza a cittadini svizzeri detenuti. Alla fine del 2008 si trovavano in questa condizione ben 195 persone, la metà delle quali doveva rispondere di reati legati alla droga. Questo numero, come quello degli arresti annunciati (2007: 148; 2008: 150), è già da anni più o meno stabile. Nei Paesi in cui le condizioni di detenzione sono difficili, l'assistenza si complica se le persone vengono condannate a pene lunghe o se si ammalano gravemente durante l'esecuzione della pena.

Una problematica ricorrente della protezione consolare consiste nel garantire aiuti rapidi ed efficaci in situazioni d'emergenza al di fuori degli orari di apertura delle rappresentanze all'estero. Rappresentanze di piccole e medie dimensioni si trovano divise tra i bisogni dei concittadini e la scarsità di personale a disposizione. In questo contesto il DFAE sta vagliando possibili soluzioni per continuare a migliorare il servizio pubblico.

4.3

Prevenzione e gestione delle crisi

Dopo la crisi del Libano nel 2006, che ha avuto come conseguenza la più grande operazione di evacuazione che la storia svizzera ricordi, anche negli ultimi due anni si sono registrate in numerosi Paesi crisi che hanno messo in pericolo la sicurezza dei cittadini svizzeri ivi residenti (attacchi terroristici, disordini o guerre). Con 14 crisi, nelle quali è entrata in azione la cellula specifica del DFAE, il 2008 è stato un anno record. È stato necessario più volte inviare squadre d'intervento, in parte in diversi Paesi contemporaneamente, per assistere in loco gli Svizzeri e preparare eventuali evacuazioni. In un unico caso l'evacuazione è stata effettivamente inevitabile: nel Ciad, nel gennaio­febbraio 2008, con l'aiuto della Francia, 91 Svizzeri sono stati evacuati o hanno ricevuto sostegno nei preparativi per la partenza. Recentemente sono stati soprattutto la crisi con la Libia, gli attentati terroristici a Mumbai, il blocco degli scali aerei di Bangkok e i rapimenti nelle Filippine e nel Mali a mettere a dura prova il DFAE.

Le trattative per risolvere le tensioni tra la Svizzera e la Libia si prospettano alquanto difficili e non si sono ancora concluse. Uno dei problemi principali consiste nel fatto che la Libia non svela le sue vere rivendicazioni. Allo stesso tempo tentenna di fronte alla richiesta del nostro Paese di lasciar partire immediatamente, a trattative concluse, i due cittadini elvetici trattenuti in Libia. Un gran numero di collaboratori del DFAE è quindi mobilitato per condurre le trattative e garantire l'assistenza ai due Svizzeri in Libia. Il DFAE continua a fare tutti gli sforzi possibili per trovare quanto prima una soluzione.

Dopo il rapimento di una coppia svizzera nel Mali, il 22 gennaio 2009, la Svizzera, assieme a Germania, Gran Bretagna e Canada ­ anch'esse inizialmente coinvolte nella vicenda ­ ha allestito un ampio dispositivo a livello politico, diplomatico, di polizia e di servizio informazioni perché gli ostaggi venissero liberati in modo sicuro e senza condizioni. Sotto la direzione del DFAE ha iniziato a lavorare una cellula di 69

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crisi interdipartimentale composta da rappresentanti dell'Ufficio federale di polizia (fedpol), del Servizio informazioni strategico (SIS) e della polizia cantonale di Zurigo. Il DFAE ha nominato un emissario speciale che, assieme a rappresentanti di altri servizi federali, coordina a Bamako le operazioni volte a ottenere il rilascio.

Durante la presa di ostaggi, il fedpol era rappresentato da esperti anche a Berlino e a Londra. Nel frattempo sono stati liberati entrambi gli ostaggi svizzeri.

Circa 90 000 Svizzeri hanno il loro domicilio in Paesi emergenti o in sviluppo nei quali la prevenzione statale delle pandemie è insufficiente. Dal 2005 il DFAE, in collaborazione con l'Ufficio federale della sanità pubblica, ha ripetutamente esortato i connazionali ivi residenti a prepararsi in vista di una possibile pandemia e soprattutto ad acquistare privatamente il Tamiflu® in via preventiva. Per gli Svizzeri all'estero residenti in Paesi in cui il Tamiflu® non era in vendita, è stata approntata una riserva di medicinali. Dopo che il 29 aprile 2009 l'Organizzazione mondiale della sanità ha aumentato il grado d'allarme della pandemia, il DFAE ha spedito 7500 confezioni del farmaco alle rappresentanze all'estero nei Paesi menzionati. La consegna avviene soltanto in caso di evento reale, sotto controllo medico e unicamente a persone già ammalate. Allo stesso tempo sono state ripetute anche le raccomandazioni relative alla misure individuali di prevenzione della pandemia.

Nel periodo in esame sono proseguiti gli sforzi compiuti dal DFAE per professionalizzare la gestione delle crisi che occorrono all'estero e interessano cittadini svizzeri.

La preparazione alle situazioni di crisi rappresenta per le rappresentanze all'estero un compito oltremodo complesso. Dopo il maremoto nel Sud-Est asiatico, il DFAE ha sottoposto a revisione la pertinente istruzione e ha messo a disposizione delle rappresentanze un modello di dispositivo di crisi. La validità degli oltre 200 dispositivi di crisi allestiti dalle rappresentanze all'estero è controllata e monitorata a intervalli regolari dalla centrale del DFAE, se necessario ottimizzata e adeguata alle condizioni contingenti.

Non è tuttavia possibile sorvegliare tutto da Berna. Per questa ragione sono state allestite missioni di prevenzione delle crisi, il cui compito
è sostenere in modo mirato le rappresentanze in Paesi particolarmente a rischio, preparandole ad affrontare possibili crisi. Sulla base di un'analisi circostanziata dei rischi vengono preparati e implementati cataloghi di misure concernenti la collaborazione con partner, i centri di raccolta, la pianificazione dell'evacuazione, la comunicazione di crisi ecc.

Nel periodo in esame gruppi di esperti del DFAE e del DDPS hanno effettuato 11 missioni di questo genere.

Una misura centrale per rafforzare la gestione delle crisi si è rivelata la creazione di pool d'intervento in caso di crisi, da impiegare per il lasso di tempo necessario presso le rappresentanze interessate. Nel periodo in esame la misura è stata ampliata e la formazione sistematizzata. Gli ormai 200 membri del pool sparsi in tutto il mondo sono collaboratori del DFAE con curriculum professionali di varia natura, che hanno offerto la loro disponibilità a svolgere questo compito supplementare. Di questi, un centinaio ha seguito, entro il mese di gennaio del 2009, una formazione speciale della durata di tre giorni, durante la quale ha appreso la metodologia di gestione delle crisi, soffermandosi anche sugli aspetti psicologici. Gli altri membri del pool saranno formati nel corso di quest'anno. In futuro, cosiddetti «hub di crisi» regionali, provvisti di dotazioni speciali, garantiranno interventi rapidi.

Anche i capi di missione, di posto e di cancelleria ricevono una formazione della durata di tre giorni sulla gestione delle crisi. Il corso fa parte delle misure di svi5654

luppo obbligatorie del DFAE e si tiene due volte all'anno. È completato da una formazione interna di due giorni destinata agli assistenti, da formazioni per tirocinanti diplomatici e consolari e da corsi specifici per collaboratori trasferibili che sono in vacanza in patria. Obiettivo: entro la fine del 2011, l'80 per cento di tutti i collaboratori del DFAE avrà frequentato un modulo di formazione in gestione delle crisi.

In caso di crisi, l'hotline del DFAE è il primo punto di contatto a cui si rivolgono i famigliari preoccupati ed è a loro disposizione 24 ore su 24. L'infrastruttura dell'hotline del DFAE è continuamente ampliata e ottimizzata: nell'immediato futuro sarà apprestata una nuova versione del software per registrare ed elaborare le chiamate di ricerca e di riscontro. In situazioni di crisi che coinvolgono un gran numero di cittadini svizzeri all'estero, l'hotline del DFAE è coadiuvata da un pool di operatori. Il pool comprende attualmente circa 100 collaboratori volontari della centrale del DFAE, che vengono formati in ambito psicosociale grazie a corsi regolari di base, di perfezionamento e di ripetizione e preparati al delicato lavoro dell'hotline con simulazioni basate su scenari realistici.

Il progetto informatico in corso EDAssist+ raggrupperà le attuali applicazioni della gestione delle crisi e sarà completato da ulteriori moduli, tra cui alcuni per una migliore elaborazione di evacuazioni e per la registrazione online di cittadini svizzeri in transito.

È stata intensificata la cooperazione interdipartimentale (DFAE, DDPS, DFGP): la sicurezza dei cittadini svizzeri è analizzata durante incontri di lavoro a scadenza mensile, nei quali si decidono anche le misure necessarie.

I consigli di viaggio, con cui dal 1998 il DFAE richiama l'attenzione su possibili difficoltà e pericoli presenti nei Paesi di destinazione, fanno parte degli strumenti più importanti e più seguiti di prevenzione delle crisi. I consigli sono pubblicati nelle tre lingue ufficiali per 150 Paesi e vengono aggiornati costantemente, nel giro di poche ore, con gli eventi più rilevanti in termini di sicurezza. Se il DFAE sconsiglia di recarsi in un determinato Paese o in una determinata area geografica, tutti i maggiori operatori turistici e la maggior parte dei turisti individuali si attengono per lo più alla
raccomandazione. In caso di eventi rilevanti sotto il profilo della sicurezza, accade sempre più spesso che gli Svizzeri all'estero siano informati anche per SMS.

La crisi economica mondiale e le sue ripercussioni condurranno probabilmente a un ulteriore aumento delle crisi. Anche per questa ragione si stanno approntando numerose altre misure volte a ottimizzarne la prevenzione e la gestione. A questo scopo il preventivo 2009 è stato incrementato a 300 000 franchi, pur tenendo sempre presente che, se dovessero insorgere crisi di notevole entità, saranno necessari crediti aggiuntivi.

4.4

Svizzeri all'estero

In questi ultimi due anni il numero degli Svizzeri all'estero immatricolati è continuato a salire: alla fine del mese di dicembre 2008 vivevano all'estero 676 176 cittadini svizzeri, ossia 31 166 persone in più rispetto al dicembre 2006 (+4,8 %).

Negli anni precedenti l'aumento annuo oscillava tra l'1,2 e il 2,3 per cento. Questa crescita superiore alla media va ricondotta principalmente all'immatricolazione di persone domiciliate all'estero già da tempo il cui passaporto modello 83, prorogabi5655

le, giungeva alla scadenza definitiva. Il consistente aumento delle comunità di Svizzeri all'estero dipende anche dal recente afflusso di persone in Paesi caratterizzati da una forte crescita, come gli Emirati Arabi Uniti (+50 %), Singapore (+35 %) e la Cina (+18 %).

Nel solo decennio 1999­2008, l'86 per cento delle 113 363 persone che si sono aggiunte alla popolazione degli Svizzeri all'estero possiede la doppia cittadinanza.

Si tratta spesso di figli della seconda o terza generazione che non conoscono più alcuna lingua nazionale svizzera. Le rappresentanze all'estero si trovano perciò sempre più spesso nella situazione di dover comunicare in più lingue con la comunità degli Svizzeri all'estero e di ricorrere quindi a personale locale per i contatti diretti.

L'interesse degli Svizzeri all'estero per la politica nazionale ha registrato un'impennata durante le elezioni federali del 2007. Alla fine del 2008 erano registrate nei cataloghi elettorali svizzeri 124 299 persone, ossia il 24 per cento degli aventi diritto di voto. L'aumentato interesse politico ha causato tuttavia anche una certa frustrazione per il materiale di voto pervenuto troppo tardi in alcuni Paesi. In casi simili sarà di grande aiuto il voto elettronico, per la cui introduzione il DFAE si sta impegnando in collaborazione con la Cancelleria federale, organo responsabile in materia. Il 1° giugno 2008 gli Svizzeri residenti all'estero sono stati coinvolti per la prima volta in un progetto pilota del Cantone di Neuchâtel, esperimento conclusosi con successo.

In adempimento di interventi parlamentari in sospeso, il Consiglio federale intende impegnarsi affinché gli Svizzeri all'estero abbiano la possibilità di candidarsi in tutti i Cantoni alle elezioni del Consiglio degli Stati e vuole studiare il modo migliore di difendere i loro interessi specifici in Parlamento.

Il «Fondo di solidarietà degli Svizzeri all'estero» (Soliswiss), che offre ai propri membri un'assicurazione contro rischi di natura politica, dispone di una garanzia sussidiaria della Confederazione ai sensi del decreto federale del 22 giugno 196270.

Nel 2007 oneri imposti dalla Commissione federale delle banche costrinsero il Fondo a bloccare i conti di risparmio dei propri membri esenti dall'imposta preventiva. Il numero di membri ­ sensibilmente diminuito non da
ultimo a causa di questo fatto ­ nel frattempo si è stabilizzato: alla fine del 2008 Soliswiss contava 5565 iscritti. Nuove problematiche si profilano tuttavia in seguito alla crisi finanziaria che ha colpito duramente il patrimonio del Fondo.

In base alla legge federale su prestazioni assistenziali agli Svizzeri all'estero, le rappresentanze all'estero del DFAE, su mandato del settore specifico Aiuto sociale agli Svizzeri all'estero (SAS) dell'Ufficio federale di giustizia, sostengono gli Svizzeri all'estero bisognosi con un importo che va dai cinque ai sette milioni di franchi, circa metà dei quali è tuttavia destinata a chi rientra in patria. Nel periodo in esame sono state erogate complessivamente 141 (2007) e 154 (2008) prestazioni di aiuto al ritorno. In, rispettivamente 518 e 457 casi le prestazioni di aiuto sociale sono state rimborsate ai Cantoni per i primi tre mesi, mentre sono stati autorizzati in totale 441 (2007) e 437 (2008) sostegni finanziari nell'ambito dell'aiuto sociale all'estero.

La rivista «Gazzetta svizzera», che tutte le famiglie svizzere all'estero ricevono gratuitamente, inizierà a essere inviata per posta elettronica e il suo sito Internet sarà modernizzato e adeguato alle mutate abitudini dei lettori. In questo senso il DFAE 70

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sta allestendo un sistema di gestione on line degli indirizzi basato che in futuro renderà più semplice e veloce anche la comunicazione tra le rappresentanze svizzere e gli Svizzeri all'estero, fungendo pure da piattaforma per soluzioni di governo elettronico.

Il DFAE ha ampliato ulteriormente in Internet l'offerta di promemoria su argomenti di varia natura importanti per gli Svizzeri all'estero. La «Guida per gli Svizzeri all'estero», aggiornata negli ultimi anni soltanto in Internet, è stata completamente rielaborata grazie a una collaborazione interdipartimentale e verrà ripubblicata quest'anno. Il DFAE ne approfitta per rispondere a numerose quesiti posti dagli Svizzeri all'estero.

5

Riorganizzazione del DFAE

5.1

Punti forti della riorganizzazione

Con il trascorrere del tempo il ruolo dello Stato in seno alla società evolve, così come cambiano le aspettative dei cittadini nei confronti dello Stato. Per l'Amministrazione ciò si traduce nella necessità di adeguamento delle strutture per far fronte ai nuovi compiti e ai nuovi obiettivi e per essere all'altezza delle sfide future. Oggi, dall'Amministrazione e dai suoi collaboratori ci si attende di più: devono essere non solo efficaci, ma anche efficienti. In altre parole, non basta che una prestazione sia eseguita in maniera da soddisfare l'utente, occorre anche, nell'interesse del contribuente, che i mezzi impiegati siano proporzionali al risultato. Data la limitatezza dei mezzi, le considerazioni sul loro impiego ottimale acquistano sempre maggior peso.

Il DFAE si trova a dover soddisfare le mutate attese dei cittadini e ad adeguarsi nel contempo ai cambiamenti sul piano internazionale e alle nuove sfide che ne derivano. Nuove questioni insorgono o acquistano maggiore rilevanza, come ad esempio le cosiddette sfide globali ­ i cambiamenti climatici, i flussi migratori o la sicurezza alimentare ­ mentre altre passano in secondo piano. Nel 2008 si è quindi intrapresa nella Centrale una riorganizzazione completa del DFAE, per far sì che il Dipartimento sia meglio preparato alle sfide future e meglio armato per attuare le strategia di sviluppo del Consiglio federale. Anche altre direzioni sotto soggette a processi riorganizzativi (cfr. n. 5.2) volti a produrre cambiamenti che, in fin dei conti, giovino all'intero Dipartimento. La rete delle rappresentanze all'estero è sottoposta a una valutazione che deve assicurare che la ripartizione delle risorse corrisponda alle priorità e agli interessi attuali della politica estera svizzera (cfr. n. 5.3). Nel 2009 i lavori in tutti questi settori proseguiranno.

Le riorganizzazioni devono garantire che, in materia di politica estera, la Svizzera disponga di un'organizzazione per quanto possibile efficiente. Oltre ai mutamenti strutturali, il DFAE attribuisce grande importanza all'aggiornamento degli strumenti di gestione. Le attività devono fondarsi su strategie globali chiaramente ispirate ai risultati e le unità organizzative e i loro collaboratori devono godere di una più grande autonomia, il che tuttavia comporta anche maggiore responsabilità e
l'introduzione di verifiche. Si tratta, in particolare, di fare in modo che compiti, competenze e responsabilità siano in sintonia e siano integrati laddove sono disponibili le conoscenze pertinenti.

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5.2

Riorganizzazione della Centrale

Riorganizzazione della Direzione dello sviluppo e della cooperazione Presso la Centrale, l'entrata in vigore della nuova struttura della Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) è stata uno degli eventi più significati del 2008, segnando la prima tappa di una vasta riorganizzazione.

Determinazione degli obiettivi La riorganizzazione del DFAE è stata intrapresa per attuare una strategia unitaria, per integrare i punti sollevati dalla Commissione della gestione del Consiglio degli Stati e affrontare le nuove sfide globali.

Gli obiettivi perseguiti con la riorganizzazione sono quattro: ­

migliorare l'efficacia delle attività della DSC e l'armonizzazione tra i diversi settori (multilaterale, bilaterale e tematico);

­

rinnovare le strutture e i metodi di lavoro della DSC e preparare le sfide future, che si tratti di sfide globali o di nuove forme di cooperazione;

­

intensificare la collaborazione della DSC con gli altri uffici del DFAE e con l'Amministrazione federale; tale collaborazione deve consolidare la coerenza della politica internazionale svizzera;

­

intensificare la presenza svizzera a livello locale, negli uffici della cooperazione e presso le organizzazioni partner per accrescere la visibilità della Svizzera e assicurare l'attuazione del messaggio del 14 marzo 2008 sulla continuazione della cooperazione tecnica e dell'aiuto finanziario a favore dei Paesi in sviluppo71.

La riorganizzazione del DFAE non implica quindi necessariamente una riduzione dei costi o degli effettivi, ma piuttosto un'impostazione più efficace del lavoro.

Metodo La riorganizzazione consta di quattro fasi. Nella fase preparatoria è stato annunciato il blocco delle assunzioni per impedire che venissero assegnati i posti vacanti nella struttura esistente, ostacolando così il nuovo orientamento.

1.

La fase 0 è stata dedicata alla preparazione e alla definizione della riforma.

2.

Nella fase 1 si è proceduto alla riorganizzazione della Centrale.

3.

Nella fase 2, in corso, si stanno trasferendo competenze locali, il che comporta una completa ristrutturazione delle competenze e delle risorse degli uffici di cooperazione.

4.

Nella fase 3 si assisterà al raggruppamento dei settori della cooperazione regionale e della cooperazione con i Paesi dell'Est.

Fase preparatoria La riorganizzazione è stata avviata nel maggio 2008 con la creazione di una task force - di cui facevano parte il nuovo direttore del DFAE e tre membri della direzione - avente il compito di elaborare un progetto nel giro di un mese. La task force 71

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è stata affiancata, durante tutto il processo di riorganizzazione, da 19 gruppi di lavoro istituiti all'inizio di giugno. Questi ultimi dovevano stabilire gli elementi necessari per il passaggio alla nuova forma organizzativa.

Parallelamente ai lavori relativi alla riorganizzazione dovevano essere evasi gli affari in corso, per non parlare del supporto ai dibattiti parlamentari concernenti il messaggio sulla continuazione della cooperazione tecnica e dell'aiuto finanziario a favore dei Paesi in sviluppo. Dirigere il processo di riforma sbrigando contemporaneamente il lavoro quotidiano è stata una delle più ardue sfide del processo di ristrutturazione.

Il progetto di riorganizzazione presentato ai primi di giugno 2008 dalla responsabile del Dipartimento e dal direttore della DSC contemplava una determinazione vincolante dei principi fondamentali della nuova struttura organizzativa della DSC dall'ottobre 2008. La task force è stata trasformata in organo direttivo, con il compito di coordinare lavori di ingente volume.

Fase 1 Dal 1° ottobre 2008 la DSC opera nell'ambito di una nuova struttura. Il numero dei membri della direzione è stato ridotto da 11 a 7. Sono stati istituiti due nuovi settori (Cooperazione regionale e Cooperazione globale). Sono stati aboliti i settori Temi e conoscenze specialistiche e Cooperazione multilaterale, i cui collaboratori sono stati integrati nei settori operativi Cooperazione globale, Cooperazione regionale e Cooperazione con i Paesi dell'Est. Il lavoro tematico, ormai, è al servizio delle attività operative e dell'efficacia dei programmi.

Organigramma al 30 settembre 2008 Direzione dello sviluppo e della cooperazione - DSC Audit interno Media e comunicazione Personale Valutazione + controlling promozione delle pari opportunità Settore M Cooperazione multilaterale

Settore E Cooperazione bilaterale

Settore H Aiuto umanitario

Settore O Cooperazione con l'Europa dell'Est e i paesi della CSI

Settore F Temi e nozioni tecniche

Settore A Servizi generali

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Organigramma dal 1° ottobre 2008 Direzione dello sviluppo e della cooperazione - DSC Stato maggiore di direzione

Divisione Partenariati istituzionali Divisione del Personale

Cooperazione globale

Cooperazione regionale

Cooperazione con l'Europa dell'Est

Aiuto umanitario e CSA

Supporto

Il settore Cooperazione globale determina la politica di tutti gli altri settori. Formula le modalità della collaborazione con le istituzioni multilaterali internazionali, come per esempio la Banca mondiale e le organizzazioni delle Nazioni Unite, e si occupa di tre programmi globali (sicurezza alimentare, cambiamenti climatici e migrazioni).

Nel settore è stata integrata anche la divisione Conoscenze e processi di apprendimento. Nuovi metodi di lavoro e forme organizzative assicurano lo scambio di conoscenze.

Il settore Cooperazione regionale attende all'attuazione delle strategie di lotta contro la povertà nei Paesi prioritari dell'Africa, dell'America latina e dell'Asia e formula le modalità della collaborazione con organizzazioni regionali (p. es. le banche regionali di sviluppo). Sostiene inoltre singole regioni nelle quali le strutture statali sono indebolite o che devono fare i conti con conflitti e rischi in materia di sicurezza. Il ricorso mirato a strumenti bilaterali e multilaterali è volto a incrementare l'efficacia della cooperazione svizzera allo sviluppo.

Nel settore Aiuto umanitario sono intervenuti pochi cambiamenti. Ora le regioni operative sono tre (Asia e America, Africa, Europa e Mediterraneo). La direzione strategica può quindi essere meglio armonizzata con gli altri settori. Per le questioni di politica umanitaria è ormai responsabile il settore Cooperazione globale.

Il settore Cooperazione con i Paesi dell'Est fornisce aiuti alla transizione e contributi all'allargamento. Le basi della cooperazione con i Paesi dell'Est sono la nuova legge federale del 24 marzo 200672 sulla cooperazione con gli Stati dell'Europa dell'Est e i due crediti quadro approvati dal Parlamento nel 2007. In questo settore, riorganizzato nel 2006, si sono apportati scarsi cambiamenti (compiti tematici interdisciplinari, metodi di lavoro).

Nella prima fase si è riusciti a migliorare i sistemi di coordinamento e a creare collegamenti trasversali in seno alla Centrale. L'introduzione del nuovo organigramma ha visto il trasferimento di 700 progetti di sviluppo in altre unità organizzative della DSC; 340 persone hanno cambiato posto di lavoro. Tutto questo è accaduto nello spazio di quattro mesi scarsi.

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Nel processo di riorganizzazione la comunicazione ha avuto un ruolo particolarmente importante. Dall'inizio del mese di giugno 2008 i membri della task force e numerosi responsabili hanno fornito informazioni costanti sul procedere dei lavori.

L'informazione, decisiva per i collaboratori, è stata trasmessa nell'ambito di numerose riunioni e tramite circolari, come pure in occasione di discussioni individuali o di gruppo. Sono stati inoltre tenuti al corrente il Parlamento, il Consiglio federale, gli uffici dell'Amministrazione federale, le organizzazioni partner, le associazioni del personale e infine, attraverso i media, l'opinione pubblica.

Fase 2 La DSC si sta apprestando all'attuazione della seconda fase riorganizzativa. Oltre a rafforzare la presenza della Svizzera a livello locale, è necessario conferire agli uffici di cooperazione le competenze corrispondenti alle loro responsabilità. Questa tappa prevede in primo luogo il trasferimento di collaboratori all'estero, negli uffici di cooperazione o presso le organizzazioni partner. Seguirà quindi una chiara ripartizione dei compiti e dei ruoli tra la centrale e gli uffici locali. Le competenze finanziarie e amministrative sono trasferite dalla Centrale ai collaboratori sul posto.

Sono altresì introdotti nuovi standard di misurazione dei risultati di programmi e progetti finanziati dalla DSC al fine di accrescere l'efficacia e l'efficienza delle sue attività. Questa tappa si concluderà nella seconda metà del 2010.

I trasferimenti, la ripartizione dei compiti e dei ruoli e gli standard sono preparati in seno a gruppi di lavoro. Gli standard riguardano direttive per gli strumenti di pianificazione, di indizione e di esecuzione di progetti e programmi nonché di misurazione dei risultati. Il loro numero e quindi l'onere dell'allestimento sarà ridotto mediante progetti e programmi di più ampio respiro. Saranno inoltre riveduti strumenti volti a consentire ai responsabili una più efficace gestione degli uffici di cooperazione.

Successivamente, l'introduzione degli standard comprenderà la formazione e il perfezionamento professionale dei collaboratori. Come nella fase 1, grande importanza è conferita alla comunicazione.

Fase 3 Nel 2010 comincerà la terza e ultima fase della riorganizzazione, nel corso della quale saranno riuniti i settori
Cooperazione regionale e Cooperazione con i Paesi dell'Est.

Per quanto concerne il trasferimento di unità organizzative della DSC nella Direzione delle risorse e della rete esterna (DRE) e nella Segreteria generale è previsto quanto segue: nell'ottica della trasformazione della DRE in centro di prestazioni per l'intero DFAE (cfr. sotto), la riorganizzazione della DSC deve servire anche a eliminare doppioni con altre strutture del Dipartimento. Per questo, il 1° ottobre 2008 i servizi Revisione interna, Valutazione esterna, Informazione e Pari opportunità (tra i sessi e le comunità linguistiche) sono stati integrati nella Segreteria generale del DFAE, mentre la Sezione telematica e i Servizi linguistici sono stati incorporati nella DRE.

Riorganizzazione della Segreteria generale La riorganizzazione consolida il ruolo strategico della Segreteria generale, che si concentra ancora più che in passato sulle sue competenze chiave, ossia pianificazione, coordinamento e controllo degli affari del Dipartimento, ispezione (Revisione interna e Valutazione esterna compresi), informazione e politica gender (politica 5661

delle pari opportunità). Finora le funzioni di ispezione, informazione e quelle legate alle pari opportunità erano svolte tanto dalla Segreteria generale quanto dalla DSC.

In futuro sarà la Segreteria generale ad occuparsene per l'insieme del DFAE.

Ispettorato Tenuto conto del fatto che il DFAE mira al rafforzamento della conduzione orientata ai risultati, che si accompagna a un più ampio margine di manovra e a maggiori responsabilità delle unità amministrative e dei collaboratori, l'Ispettorato non può che crescere d'importanza. Lo sfoltimento delle direttive interne e di inutili controlli burocratici va di pari passo con una verifica a posteriori dell'impiego dei mezzi messi a disposizione. L'Ispettorato DFAE sorveglia la gestione delle rappresentanze svizzere nei settori Diplomazia, Consolati, Finanze e visti, nonché la gestione finanziaria di tutte le unità della Centrale, compresa la DSC. D'ora in poi le raccomandazioni dell'Ispettorato rivestono il carattere di istruzioni e devono essere applicate.

Si stanno creando i presupposti di un'ispezione integrata dal 2009. L'Ispettorato vero e proprio deve essere arricchito di un nuovo centro di competenze del Dipartimento per valutazioni indipendenti esterne. Il centro svolgerà le analisi tematiche dei programmi e in primo luogo di quelli della DSC e della Divisione politica IV, che amministrano mezzi finanziari provenienti dai crediti quadro.

Informazione Integrato nel settore Informazione, l'omonimo Servizio della Segreteria generale è responsabile dell'attuazione della politica di informazione e relazioni con i media dell'intero Dipartimento, DSC compresa. Il Servizio è nato dalla fusione tra il Servizio informazione del DFAE, incorporato nella Segreteria generale, e quella che fu, in passato, la sezione Media e comunicazione della DSC. Il Servizio così costituito raggruppa le risorse disponibili e coordina i lavori con le direzioni del DFAE in base ad accordi di prestazioni. Tali accordi devono definire in maniera chiara e trasparente le prestazioni che le direzioni si attendono dal Settore Informazione del DFAE e garantire che tali aspettative siano soddisfatte con i mezzi disponibili. Il Servizio Informazione DFAE si compone di quattro team. Il «team Media» si occupa delle relazioni con la stampa e i media per quanto concerne le tematiche
di attualità. Il «team Comunicazione» è responsabile della comunicazione di eventi prevedibili e tematiche puntuali, nell'ottica di una sensibilizzazione dell'opinione pubblica sulle questioni di politica estera (p. es. mediante pubblicazioni o sostegno a manifestazioni come le conferenze annuali organizzate da alcune direzioni del DFAE). Il «team Web» si occupa del lavoro di comunicazione in rete. Il «team Amministrazione e logistica», infine, fornisce assistenza di segretariato e logistica e possiede anche competenze in materia di impostazione grafica.

Presenza Svizzera Dal 1° gennaio 2009 Presenza Svizzera è integrata nella Segreteria generale del DFAE. Così il Consiglio federale dispone di uno strumento per la tutela degli interessi della Svizzera attraverso una comunicazione che promuove l'immagine del nostro Paese all'estero. Il Consiglio federale stabilisce la strategia della comunicazione dell'immagine nazionale attuata da Presenza Svizzera. La decisione del Consiglio federale di sciogliere la commissione extraparlamentare Presenza Svizzera, di integrare Presenza Svizzera in seno al DFAE e di porre la comunicazione

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dell'immagine nazionale generale al servizio della politica estera della Svizzera ha richiesto un emendamento della legge federale del 24 marzo 200073 concernente la promozione dell'immagine della Svizzera all'estero; la modifica è stata adottata dal Parlamento nel marzo 2008. Successivamente sono state modificate anche l'ordinanza del 12 dicembre 200874 concernente la promozione dell'immagine della Svizzera all'estero e l'ordinanza del 29 marzo 200075 sull'organizzazione del DFAE (decisione del Consiglio federale del 12 dicembre 2008). Di conseguenza i compiti relativi alla comunicazione dell'immagine nazionale sono ormai svolti in seno alla Segreteria generale del DFAE. Secondo l'ordinanza concernente la promozione dell'immagine della Svizzera all'estero, fanno parte dei compiti permanenti della comunicazione dell'immagine nazionale: promuovere la visibilità della Svizzera all'estero, illustrare all'opinione pubblica internazionale le posizioni e gli interessi politici della Svizzera e creare e promuovere una rete di relazioni tra la Svizzera e chi, all'estero, ha un ruolo decisionale o contribuisce alla formazione dell'opinione.

L'ordinanza è completata dalla nuova definizione dei compiti del DFAE fissati dal Consiglio federale il 3 settembre 2008 in caso di peggioramento dell'immagine nazionale o di crisi. L'ordinanza prevede che, in situazioni straordinarie, il Consiglio federale decida le strategie di comunicazione. Così, per esempio, il Consiglio federale, su richiesta della giunta del Consiglio federale composta da DFI, DFAE e DFGP, ha adottato strategie di comunicazione per gli Stati Uniti e la Germania a sostegno del superamento politico delle sfide attuali poste alla piazza finanziaria svizzera e ha incaricato il DFAE dell'attuazione. In seguito a questo sviluppo, il DFAE rinforza il monitoraggio e l'analisi della percezione attuale della Svizzera e dei temi di rilevanza nazionale all'estero.

La strategia della comunicazione dell'immagine nazionale approvata dal Consiglio federale il 12 dicembre 2008 per il periodo 2010-11 prevede i seguenti assi prioritari: ­

rendere maggiormente comprensibile alle classi politiche e ai giornalisti stranieri il sistema politico della Svizzera e gli approcci politici riguardanti la piazza finanziaria, la politica fiscale o i trasporti;

­

rendere maggiormente comprensibile alle classi politiche e ai giornalisti stranieri la via bilaterale adottata dalla Svizzera con l'UE;

­

accrescere il grado di notorietà della Svizzera quale Paese di riferimento per una politica moderna dei trasporti e dell'ambiente nonché polo d'eccellenza nei settori ambientale, energetico e dei trasporti;

­

accrescere la conoscenza della Svizzera presso la gioventù europea.

Centro di competenze per la politica estera culturale Oltre a Presenza Svizzera deve essere integrato nella Segreteria generale del DFAE anche il Centro di competenze per la politica estera culturale (CCC). I suoi compiti comprendono in particolare il sostegno alle rappresentanze svizzere all'estero nella realizzazione di progetti culturali che corrispondono agli obiettivi di politica estera della Svizzera e mansioni di natura concettuale, che spaziano dall'analisi politica alla partecipazione al processo legislativo nel settore della cultura.

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RS 194.1 RS 194.11 RS 172.211.1

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Sono così riuniti sotto uno stesso tetto la promozione dell'immagine della Svizzera (Presenza Svizzera), il sostegno ai progetti culturali delle rappresentanze svizzere all'estero (CCC) e le attività del DFAE nel settore dell'informazione e della comunicazione (Informazione DFAE).

Politica delle pari opportunità La Segreteria generale ha inoltre il compito di determinare la politica delle pari opportunità del DFAE, che si incentra sia sull'uguaglianza tra donne e uomini sia sulla promozione del multilinguismo. Come avviene per l'ispezione e l'informazione, il centro di competenze della Segreteria generale addetto alle pari opportunità svolge la sua funzione per l'insieme del Dipartimento.

Altri aspetti La Segreteria generale funge anche da servizio di ricorso del DFAE.

Perché la Segreteria generale possa espletare il suo ruolo strategico con la debita attenzione, è stata sollevata da funzioni di sostegno (come la telematica o i servizi linguistici) che con tale ruolo non hanno nulla a che fare. Tali funzioni, che fino al 1° ottobre 2008 erano svolte parallelamente anche dalla DSC, sono ormai di competenza esclusiva della DRE.

Riorganizzazione della Direzione delle risorse e della rete esterna La trasformazione della Direzione delle risorse e della rete esterna (DRE) in centro di prestazioni corrisponde all'indirizzo strategico della riorganizzazione interna, finalizzata a raggruppare le competenze in modo che ne derivi un miglioramento per il Dipartimento nel suo insieme. Perché gli effetti di sinergia esistenti possano essere pienamente sfruttati, è necessario concertare tra di loro compiti, competenze e responsabilità. Si tratta di forgiare una visione per l'intero Dipartimento, per accrescerne la coerenza e l'interoperabilità.

Trasformazione in centro di competenze Attualmente la DRE riveste una forma mista. Funge, in particolare, da centro di prestazioni, in parte a disposizione dell'intero Dipartimento, in parte solo delle singole direzioni. Le prestazioni fornite sono per la maggior parte interne e assicurano il funzionamento senza intoppi del Dipartimento (finanze, personale, logistica, servizi generali, diritto e sicurezza). Dipende per altro dalla DRE anche una parte dei servizi consolari destinati a clienti esterni al Dipartimento. Per non parlare di una serie di altre mansioni che
difficilmente rientrano nella logica delle prestazioni (compiti strategici, autorizzazioni, conciliazioni e controlli).

Gli sforzi di fare della DRE un centro di prestazioni per l'intero Dipartimento poggiano su insegnamenti scaturiti dalla riforma dell'Amministrazione federale (in particolare dalle raccomandazioni del delegato del Consiglio federale per la riforma dell'Amministrazione Ulrich Fässler in merito alle strutture di supporto della direzione dei dipartimenti). Tengono quindi conto dei principi di base sviluppati nell'ambito del progetto di conduzione orientata ai risultati (Progetto VEKTOR), come pure delle conoscenze acquisite nel corso di altri processi riorganizzativi interni.

5664

Nuova ripartizione dei ruoli Sotto il profilo organizzativo, con la trasformazione in centro di prestazioni si perseguono una più chiara ripartizione di ruoli e competenze, la separazione tra compiti strategici, compiti direttivi e funzioni di supporto, nonché maggiori coerenza e interoperabilità. In quest'ottica, i servizi linguistici e la telematica, precedentemente subordinati a più direzioni, sono già stati integrati nella DRE. Un'approfondita analisi degli altri servizi permetterà di stabilire se debbano essere centralizzati presso la DRE o altrove, in modo da poter essere a disposizione di tutto il Dipartimento.

Contemporaneamente, le attività che esulano dalla fornitura di servizi (p. es. pianificazione e gestione delle risorse, autorizzazioni e controlli) saranno trasferite man mano dalle altre direzioni ­ ovvero le responsabili in linea gerarchica. Per assolvere pienamente la propria responsabilità direttiva, i vertici gerarchici devono essere in condizione di concentrarsi totalmente sull'attuazione del loro mandato e quindi poter contare sul fatto che tutte le attività di sostegno sono predisposte dal centro di prestazioni. Esprimendo i propri bisogni, devono altresì poter influire sulle prestazioni richieste. E devono, infine, avere la possibilità di lasciarsi consigliare e ricevere raccomandazioni dal centro di prestazioni nella misura in cui questo sia anche un centro di competenze con esperti in materia di risorse.

Risultati attesi A seconda dei settori, l'attuazione della riorganizzazione può durare alcuni anni.

Deve sfociare in una gestione più imprenditoriale e più efficiente sotto il profilo delle risorse in particolare grazie a economie di scala, al raggruppamento e al miglioramento dei processi e all'utilizzazione condivisa di piattaforme elettroniche.

Di conseguenza ne deve derivare anche un miglioramento della qualità delle prestazioni e della soddisfazione degli utenti. L'introduzione di una visione che abbracci l'intero Dipartimento libererà sinergie che consentiranno di eliminare i doppioni.

Grazie ai risparmi conseguiti il Dipartimento potrà meglio adempire la propria missione. Inoltre l'armonizzazione delle buone pratiche adottate dalle unità organizzative interessate migliorerà la qualità delle prestazioni.

In linea di massima, la trasformazione della DRE in centro
di prestazioni deve condurre a un più pronunciato e coerente orientamento alla fornitura dei servizi interni. Quelli consolari menzionati sopra (cfr. n. 4.1) seguono una logica diversa e sono destinati a una clientela esterna al Dipartimento. Questo settore non è affatto escluso dalla riforma, perché anche nelle attività consolari si è riscontrato un notevole potenziale di miglioramento del servizio pubblico. Tuttavia, data la situazione particolare del settore, il nuovo assetto dei servizi consolari porterà probabilmente a cambiamenti strutturali e non avverrà quindi in relazione con la trasformazione della DRE in centro di prestazioni. Con il nuovo assetto si incrementerà la trasparenza delle prestazioni fornite, si migliorerà la qualità del servizio pubblico e si garantirà una migliore armonizzazione tra compiti e risorse.

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5.3

Riorganizzazione della rete esterna

Progetto VEKTOR ­ conduzione e gestione delle rappresentanze svizzere all'estero Nell'ambito della riforma dell'Amministrazione federale il DFAE ha portato a termine con successo il progetto pilota VEKTOR, volto a una più efficiente gestione delle rappresentanze svizzere all'estero. L'obiettivo di VEKTOR è la sensibilizzazione alle questioni concernenti le risorse, lo spirito imprenditoriale e una conduzione orientata ai risultati.

Con VEKTOR si è introdotto un nuovo modello di conduzione e di gestione basato sulla definizione di un portafoglio di prestazioni, sul passaggio alla gestione dei processi e sul miglioramento del controllo della gestione. Le rappresentanze svizzere all'estero hanno ormai accesso a un sistema d'informazione in linea, che comporta processi standardizzati. Dispongono inoltre di un margine di manovra più ampio sul piano finanziario. Attualmente amministrano oltre 140 milioni di franchi in maniera autonoma. In tutti i settori in cui si sono trasferiti i crediti alle rappresentanze la gestione è notevolmente migliorata, liberando risorse che sono di grande importanza per far fronte all'aumentare dei compiti.

Il modello VEKTOR consente di gestire le risorse in maniera più imprenditoriale e di semplificare gli oneri amministrativi. Il progetto si è concluso con successo alla fine del 2007. Nel 2008 il DFAE ne ha concretizzato i risultati e ha avviato un'ulteriore tappa nell'attuazione del nuovo modello di gestione, introducendo nella Centrale i principi fondamentali di VEKTOR: da un lato chiarezza di obiettivi, direttive, compiti, competenze e responsabilità, dall'altro maggiore autonomia e responsabilizzazione, più consapevolezza delle risorse e rafforzamento di una conduzione imprenditoriale. Con la gestione decentrata dei crediti globali e del budget delle rappresentanze all'estero si sono fatte ottime esperienze sia sotto il profilo dei risultati, sia sotto quello dell'economicità. Idealmente, la gestione finanziaria delle rete esterna dovrebbe avvenire tramite mandato di prestazioni con relativo credito globale conferito al DFAE per la gestione della rete esterna. Il credito globale potrebbe quindi essere ripartito tra le rappresentanze, accrescendone l'autonomia a livello di pianificazione e di impiego delle risorse. Un meccanismo analogo sarebbe concepibile anche per
i costi di gestione della Centrale. In tal modo il potenziale concettuale di VEKTOR sarebbe pienamente sfruttato.

VEKTOR consente un rispetto più rigoroso del principio secondo cui compiti, competenze e responsabilità devono essere concentrati sotto una sola egida. Si sono per giunta potute eliminare ridondanze di gestione e procedure di autorizzazione inopportune. Le rappresentanze estere dispongono di un sufficiente margine di manovra per agire con maggiore efficienza ed efficacia e potersi concentrare sulle prestazioni e i risultati. In tal modo sono in grado di rispondere alle attese di cui sono oggetto. Tali attese, riassumibili con le parole chiave qualità, efficienza, economicità e trasparenza, possono essere soddisfatte con una organizzazione orientata ai processi come, appunto, quella scelta con VEKTOR. La crescente complessità dei compiti, le esigenze qualitative sempre più elevate da parte del pubblico e le limitate risorse di personale pongono i collaboratori delle rappresentanze di fronte a sfide importanti. In queste circostanze l'orientamento ai processi è necessario ma insufficiente. VEKTOR apporta cambiamenti nei metodi di lavoro e nelle strutture ma anche nelle mentalità: si tratta di superare concetti come gerarchia, status e vie burocratiche per lavorare in maniera molto più focalizzata sulle prestazioni e sui 5666

risultati. Da un siffatto processo nasce un'amministrazione pubblica moderna ed efficiente. Anche le altre riorganizzazioni del Dipartimento citate si sono largamente ispirare a questi principi.

Politica del personale Grazie alla riorganizzazione la politica estera della Svizzera sarà dotata di un'organizzazione efficiente. Quest'ultima si impone non soltanto in ragione della messa a disposizione e dell'impiego delle risorse esistenti, bensì anche sotto il profilo della politica del personale. Al pari degli altri datori di lavoro, anche la Confederazione in futuro avvertirà una più viva concorrenza all'atto di reclutare e fidelizzare elementi di talento per l'attuazione della politica estera svizzera. Il personale, con le sue competenze e il suo know-how, costituisce il più prezioso dei capitali quando si tratta di rappresentare gli interessi nazionali. Ciò vale non solo per gli effettivi del DFAE, ma anche per quelli degli altri dipartimenti. La formulazione di una politica del personale moderna e ambiziosa avrà effetti positivi anche sulle prestazioni della politica estera. Una siffatta politica del personale è necessaria anche per reagire in maniera adeguata alle sfide del XXI secolo. Il DFAE si adopera per definire una politica del personale efficace e al passo con i tempi, atta a consentire ai collaboratori di sviluppare le proprie competenze, in sintonia con l'evoluzione della società e le attese dei nostri concittadini. Il Dipartimento deve essere un datore di lavoro attraente, offrire modelli di carriera flessibili e diverse soluzioni lavorative (tempo parziale, jobsharing, career for both e via dicendo). In seno al DFAE i collaboratori devono trovare opportunità di perfezionarsi, in modo da poter esercitare per tutta la loro carriera una professione che li soddisfi.

Al fine di rispondere alle esigenze sociali e demografiche dei giorni nostri, il DFAE ha fissato per questa nuova politica del personale cinque obiettivi: 1)

una politica uniforme per tutto il Dipartimento;

2)

una politica al passo con i tempi, che rispetti i collaboratori e sia l'espressione della responsabilità sociale del datore di lavoro;

3)

una politica che tenga conto delle pari opportunità;

4)

una politica che consenta maggiore permeabilità e flessibilità;

5)

una politica capace di attirare e fidelizzare i collaboratori di talento grazie a una più celere prassi di promozione professionale.

L'attrattiva del DFAE come datore di lavoro si misura con la capacità di attirare «talenti» corrispondenti alle più elevate esigenze dei suoi diversi profili professionali e di creare un clima in cui possano sviluppare e realizzare le loro capacità. Oggi il Dipartimento dispone di diversi strumenti che rispondono a queste esigenze. Il reclutamento e la formazione professionale promuovono non soltanto il sentimento di appartenenza e l'adesione a valori comuni, ma anche la costituzione e il mantenimento di reti di contatti, particolarmente importanti nel nostro lavoro. Aggiornamenti e innovazioni sono tuttavia necessari per l'attuazione di una visione della politica del personale basata sulle competenze e sul potenziale.

Sarà così introdotto per tutti un sistema salariale funzionale, di modo che i collaboratori del DFAE in avvenire siano remunerati in funzione dei loro compiti, delle loro competenze e delle loro responsabilità. L'introduzione di questo sistema prevede altresì l'applicazione delle stesse condizioni di diritto del personale per tutti, in osservanza del principio «a lavoro uguale salario uguale». L'ammodernamento del 5667

sistema deve consentire, oltre alle consuete carriere lineari, anche percorsi professionali più aperti e discontinui, che evolvano con il tempo. Il DFAE assicurerà una maggiore permeabilità, di modo che i collaboratori possano entrare o rientrare nel Dipartimento in funzione dell'interesse del servizio e delle competenze e qualifiche conseguite. Infine il DFAE allenterà il regime dei trasferimenti, uno strumento ormai poco utilizzato perché, in determinate circostanze, può causare una demotivazione del personale. Sarà invece mantenuto l'ormai collaudato modello di rotazione.

Ridistribuzione delle risorse Negli ultimi anni i costi della rete esterna sono rimasti stabili. Per meglio corrispondere, di volta in volta, alle priorità e agli interessi della politica estera svizzera, le risorse sono state ridistribuite. Mezzi finora destinati all'Europa occidentale e all'America settentrionale sono ora impiegati in Asia, Africa e nel Medio Oriente.

Questa tendenza è illustrata in quanto segue.

In Europa la Svizzera è ben rappresentata. Vi lavora circa la metà dei collaboratori trasferibili, il che rispecchia gli interessi politici ed economici del Paese.

Nell'ambito delle relazioni bilaterali e con l'ampliamento dell'UE («comunitarizzazione», ossia trasferimento di settori a Bruxelles) il ruolo delle capitali è mutato con il passare degli anni, in parte a beneficio delle istituzioni europee. Al tempo stesso le relazioni con l'UE si sono nettamente intensificate. La tutela degli interessi svizzeri richiede ormai una vasta attività di lobbying non solo nelle capitali, ma anche presso il seggio delle istituzioni comunitarie.

Indiscutibilmente, l'asse prioritario degli interessi economici del nostro Paese, come pure di buona parte della comunità degli Svizzeri all'estero, è l'Europa occidentale.

Qui, tuttavia, dal momento che gli ordinamenti giuridici, le istituzioni e le culture europee ci sono familiari, la rappresentanza delle imprese svizzere e degli Svizzeri richiede meno impegno che in altre regioni del mondo. Le autorità svizzere, le imprese e i cittadini, in genere, sono in condizione di difendere da soli i loro interessi. Lo stesso vale per l'America settentrionale. In Asia, Africa e Medio Oriente, così come in America centrale e meridionale, invece, le nostre rappresentanze devono far fronte
a compiti ed esigenze sempre più ardui. È da queste regioni che provengono i maggiori flussi migratori. Qui si concentrano la cooperazione allo sviluppo e l'aiuto umanitario, come pure le attività di promozione della pace e di tutela dei diritti dell'uomo. Qui, inoltre, i cittadini svizzeri hanno maggiormente bisogno di sostegno, sia nell'ambito della protezione consolare che nel caso di catastrofi naturali o in situazioni di crisi. Qui anche le imprese svizzere ricorrono spesso ai servizi delle nostre rappresentanze.

Lo spostamento delle risorse a Est e a Sud si ripercuote sulla nuova classificazione delle rappresentanze, esaminata in funzione dell'evoluzione dei compiti e delle esigenze, senza tenere alcun conto di questioni di prestigio. Questa nuova classificazione delle rappresentanze prende in considerazione il profilo dei singoli posti e delle competenze e responsabilità ad essi connesse in funzione dell'importanza del Paese nel contesto internazionale e per la tutela degli interessi svizzeri, delle sfide poste a livello di direzione e di gestione, delle pratiche consolari e in particolare del settore dei visti e della migrazione.

Mutamenti nella rete delle rappresentanze Nel confronto internazionale la rete diplomatica e consolare svizzera appare densa e ciò per tre motivi: 5668

1)

in ragione della sua neutralità e indipendenza, la Svizzera si adopera ad allacciare e mantenere buone relazioni con tutti i Paesi del mondo (principio dell'universalità);

2)

l'economia svizzera è largamente integrata in quella mondiale e quindi fortemente dipendente dalle esportazioni (un franco su due proviene da proventi esteri);

3)

la Svizzera difende da sola i propri interessi, senza l'appoggio di alleanze e organizzazioni sopranazionali. Ciò si applica tanto agli interessi politici quanto alla protezione diplomatica e consolare.

Data la densità della rete, le rappresentanze dispongono di effettivi limitati. Quattro quinti dei posti bilaterali non contano più di sei collaboratori trasferibili (carriera diplomatica e consolare come pure servizi specialistici) e coprono anche Paesi limitrofi.

Le sfide geopolitiche ­ e di conseguenza gli interessi della Svizzera ­ sono soggette a costanti mutamenti. All'interno della rete, la ripartizione delle risorse è quindi regolarmente adattata ai cambiamenti. A tal fine sono disponibili diversi strumenti: ricerca di sinergie tra diverse tipologie di rappresentanze, risparmi che possono andare fino alla chiusura di posti e, infine, adeguamento delle prestazioni. I maggiori cambiamenti nel periodo di riferimento sono descritti qui appresso.

­

Il Consiglio federale ha approvato l'apertura di due ambasciate a Katmandu (Nepal) e Luanda (Angola), che inizieranno la loro attività nel corso del 2009.

­

Tra il 2006 e il 2008 sono stati chiusi i consolati di Manchester, Houston, Las Palmas, Dresda, Melbourne, Napoli, Osaka e Bordeaux e nel 2009 è prevista la chiusura del consolato generale della Svizzera ad Amburgo. I compiti consolari saranno assunti da altre rappresentanze nei Paesi interessati.

­

In alcune capitali, sedi di carriera che finora non ne avevano il rango sono state elevate ad ambasciate. Ciò valorizza le relazioni bilaterali e facilita notevolmente l'accesso alle autorità, consentendo altresì alle rappresentanze di meglio adempiere il loro compito. Le ambasciate in questione sono quelle di Asunción, Baku, Khartum, Port-au-Prince, Santo Domingo e Yaoundé.

L'apertura di un'ambasciata ad Astana (Kazakistan) è dettata dalla stessa logica: contemporaneamente è stato chiuso il consolato di Almaty. Finanziariamente le ripercussioni di questi provvedimenti sono relativamente modeste. Nello stesso periodo sono stati aperti consolati generali a San Pietroburgo e Guangzhou. Nel 2009 è prevista l'apertura di un consolato generale a Bangalore, a cui sarà annessa anche uno Swissnex destinato agli scambi scientifici e tecnologici, in collaborazione con la Segreteria di Stato per l'educazione e la ricerca.

Valutazione sistematica e principi dei futuri cambiamenti Occorre garantire che l'attribuzione delle risorse corrisponda alle priorità e agli interessi della politica estera svizzera. Perciò il DFAE intraprenderà una valutazione sistematica degli interessi svizzeri, per essere all'altezza delle sfide future. In primo luogo si procederà, per ciascuna rappresentanza, a una valutazione dettagliata degli interessi della Svizzera. Saranno esaminati i principali settori di attività in base a 5669

criteri oggettivi: aspetti politici (Paesi limitrofi, membri dell'UE o dell'AELS, membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'ONU, membri del G20, potenze regionali e così via), economici (in particolare volume degli scambi commerciali ed entità degli investimenti reciproci), di cooperazione allo sviluppo, di aiuto alla transizione e di promozione della pace; per quanto riguarda gli affari consolari, si terrà conto, in particolare, delle prestazioni agli Svizzeri.

La ripartizione delle risorse avviene in base ai risultati della valutazione dettagliata secondo i seguenti principi: ­

conservare una buona copertura geografica (principio dell'universalità);

­

conservare la qualità del servizio pubblico;

­

tenere conto degli sviluppi geopolitici che conducono ai seguenti adeguamenti regionali: tendenza alla riduzione delle risorse per l'Europa e l'America settentrionale; stabilizzazione al livello attuale delle risorse per l'America latina e l'Oceania; tendenza all'aumento delle risorse per l'Asia e lieve aumento delle risorse per l'Africa a il Medio Oriente. La diminuzione delle risorse in Europa e in America settentrionale può avvenire in diversi modi ­ in alternanza o in maniera cumulativa: soppressioni nelle maggiori ambasciate, riduzioni fino a una presenza minima con servizio limitato, chiusura di rappresentanze in favore di «hub» regionali. L'attuazione di queste misure porterà a un riesame della classifica delle sedi sulla base dei criteri summenzionati, ossia le necessarie competenze ed esperienze, come pure le esigente poste ai capi missione, senza considerazioni di prestigio.

Finora le rappresentanze di carriera svolgevano l'intera gamma dei servizi diplomatici e consolari: rappresentavano gli interessi politici, economici e legali della Svizzera nel Paese ospite e in consessi internazionali (coordinamento, risoluzione dei conflitti bilaterali, osservazione e informazione, monitoraggio dei processi politici globali); marcavano la presenza della Svizzera e ne promuovevano l'immagine; vegliavano sul mantenimento della vasta rete di relazioni; assistevano i cittadini e le imprese svizzere e offrivano ai cittadini svizzeri e stranieri tutti i servizi consolari.

L'esame dettagliato dei diversi intereressi permetterà una differenziazione. In primo luogo occorre stabilire un elenco delle prestazioni attese da ciascuna rappresentanza, elenco che può variare tanto dal punto di vista del tipo di prestazioni richieste come da quello della loro intensità. In secondo luogo, va determinato il tipo di presenza che, tenuto conto di tutte le circostanze, è la più idonea a rispondere alla richiesta di prestazioni. Cioè, secondo i casi, un'ambasciata, un ufficio di cooperazione, un consolato o un consolato onorario.

Per determinare la forma di presenza più idonea, non si considererà soltanto il tipo di rappresentanza (ambasciata, consolato, ufficio di cooperazione ecc.), ma anche tutte le possibili combinazioni dei diversi tipi di rappresentanza.

La forma di rappresentanza più opportuna sarà determinata sulla base dei principi seguenti: ­

la tipologia della rappresentanza deve corrispondere alle esigenze della sede in questione e all'elenco delle prestazioni attese;

­

non si richiederà più in futuro che ciascun posto effettui tutte le mansioni della rete esterna. Saranno definiti elenchi degli obblighi limitati in funzione delle risorse disponibili;

5670

­

si incoraggerà la collaborazione degli attori locali. Allorché sia possibile e opportuno, questi attori saranno riuniti sotto uno stesso tetto.

Una ripartizione ottimale delle risorse, che tenga conto delle priorità e degli interessi della politica estera svizzera, nonché un impiego efficiente, efficace ed economico delle risorse sono indispensabili alla tutela degli interessi della Svizzera. Il Consiglio federale si occupa regolarmente della questione delle risorse destinate alla politica estera, soprattutto nel quadro del preventivo e del piano finanziario. In questo senso, il Consiglio federale conduce una constante riflessione sulla posizione della Svizzera e sulle modalità più opportune per preservare gli interessi del Paese.

6

Conclusioni: «Coerenza e impegno: una politica estera forte in un mondo in continua evoluzione»

6.1

Un contesto internazionale mutato

Nuovi equilibri geostrategici Venti anni or sono, al confine austro-ungarico, si sono prodotte le prime lacerazioni nella cortina di ferro. Sembrava allora che un'unica superpotenza, in futuro, avrebbe determinato le sorti del mondo e che ciò avrebbe condotto ad una situazione di stabilità geopolitica. Invece non si è assistito né all'avvento della Pax americana né ad un ritorno al familiare bipolarismo mondiale. Ci troviamo oggi in una situazione geopolitica ben più complessa. E' contraddistinta, da un lato, da disparità politiche ed economiche, dall'altro dall'intensificarsi delle relazioni internazionali che si fanno sempre più strette tra i singoli Paesi. Nessuno Stato può imporre da solo i propri interessi. Anche i diversi settori della politica sono sempre più fortemente collegati sotto il profilo tematico. Queste trasformazioni si ripercuotono sulle organizzazioni e sulle strutture internazionali e cambiano la natura della tradizionale rappresentanza degli interessi. Ciò a sua volta causa un proliferare di accordi, regole, norme e meccanismi di cooperazione. Anche gli attori economici e sociali sono ormai sempre più attivi a livello regionale e globale, partecipano a processi decisionali politici che esulano dai confini nazionali e contribuiscono così all'evoluzione del sistema internazionale.

Gli spostamenti degli equilibri di potere nella politica internazionale si ripercuotono anche sulla politica estera svizzera: ­

la Cina e l'India sono assurte negli ultimi anni a locomotive della crescita economica globale. Secondo le previsioni, entro il 2020 figureranno fra le maggiori potenze economiche. A parità di potere d'acquisto, Brasile, Russia, India e Cina (i cosiddetti Paesi BRIC) rappresentano già oggi più di un quarto delle prestazioni economiche mondiali. Dagli inizi degli anni Ottanta la quota dell'Asia nell'economia mondiale è triplicata passando dal 14 al 46 per cento. Anche politicamente ciò produce un nuovo intreccio di relazioni tra un numero crescente di centri di potere. Questa evoluzione va di pari passo con la consapevolezza che questi Stati, un tempo considerati Paesi emergenti, hanno maturato nelle proprie potenzialità;

­

oltre ai Paesi BRIC, si osserva anche l'ascesa di altre potenze regionali. Fra queste figurano l'Egitto, l'Arabia Saudita e l'Iran nel Vicino e Medio Oriente; in Asia, l'Indonesia, la Thailandia e la Malaysia; in Africa, la Nige5671

ria, la Libia e il Sudafrica e infine, in America latina, il Messico e l'Argentina. Si tratta di Paesi che, in ragione della loro importanza regionale, delle loro capacità negoziali e del loro potenziale in termini di prestazioni, sono in grado di lanciare iniziative in determinati campi della politica internazionale, di formare alleanze o di bloccare proposte delle grandi potenze; ­

l'UE è diventata la forza dominante sul continente europeo e si è affermata nel mondo come portavoce dell'Europa. Si adopera affinché il diritto comunitario diventi la norma anche nelle relazioni con gli Stati terzi. Si osservano tre tendenze che si rafforzano reciprocamente e che sono significative per la Svizzera in quanto Stato non membro. Da un lato, rispetto ad altre regioni, si constata una relativa perdita d'importanza dell'Europa. Dall'altro, in seno all'Unione europea, le forze integrative si consolidano. E infine, attraverso le sue relazioni estere, l'UE determina in maniera preponderante i rapporti tra l'Europa e le altre regioni del mondo;

­

nuovi attori si fanno strada anche laddove esistono risorse naturali d'importanza strategica per l'economia globale. Il petrolio è l'esempio più ovvio, ma anche la presenza di uranio, metalli preziosi e diamanti possono dare un'importanza strategica a determinati Paesi e regioni. Dati gli ingenti introiti derivanti dall'esportazione di petrolio e la crescente dipendenza dell'economia mondiale, dovremo fare i conti, in avvenire, con Paesi esportatori di energia e materie prime più consapevoli della propria importanza e desiderosi di accrescere la loro influenza non solo a livello economico ma anche politico. La lotta per le risorse naturali inasprisce i conflitti e complica la ricerca di soluzioni negoziate.

Pressione sulle istituzioni internazionali perché si adattino («governance») All'alba del XXI secolo, il regime internazionale degli Stati era contrassegnato dalla frammentarietà del sistema dell'ONU, dal crescente unilateralismo degli Stati Uniti e dalla scarsa coesione degli Stati emergenti del Sud. Le odierne istituzioni multilaterali sono, in sostanza, figlie del dopoguerra e non rispecchiano più i rapporti di forza attuali. Lo sviluppo di questi ultimi ha rafforzato l'ambizione delle potenze regionali di essere adeguatamente rappresentate nelle organizzazioni internazionali.

La crisi economica e finanziaria mondiale ha confermato la necessità di riformare l'architettura finanziaria internazionale. I Paesi emergenti e i Paesi in sviluppo sono dell'avviso che l'Occidente, e soprattutto l'Europa, siano tendenzialmente sovrarappresentati nelle istituzioni internazionali, e rivendicano pertanto una rappresentanza più equilibrata tanto nel Fondo monetario internazionale (FMI) come nella Banca mondiale. Questa è una sfida per la Svizzera, ma anche per altri Paesi europei. Si tratta di tener conto, nel sistema internazionale, dei nuovi equilibri e, contemporaneamente, di essere in grado di continuare a tutelare adeguatamente i propri interessi. Il fatto che il G20 si ponga come un'importante piattaforma per gli sforzi di riforma del sistema di Bretton Woods costituisce per la Svizzera ­ che non ne è membro ­ una sfida supplementare. I tre dipartimenti interessati redigeranno un'analisi in merito, della quale il Consiglio federale potrà servirsi come base di discussione.

Ciò che la crisi finanziaria ed economica ha evidenziato nell'architettura delle istituzioni finanziarie internazionali si manifesta da anni in seno al Consiglio di sicurezza dell'ONU. Tra la questione dell'allargamento della schiera dei membri e la preoccupazione per l'efficacia del sistema si inserisce la problematica delle relazioni di 5672

forza tra attori «vecchi» e «nuovi». Anche il Consiglio di sicurezza, nucleo centrale dell'architettura internazionale della sicurezza, è criticato per la sua scarsa rappresentatività ed è quindi soggetto alla pressione di un allargamento e di una riforma.

In generale, le istituzioni multilaterali create nella seconda metà del XX secolo faticano a reagire di fronte a tematiche sempre più complesse. Sono inoltre confrontate alla necessità di integrare forze economiche, sociali e politiche nei processi decisionali e nella ricerca di soluzioni e di formare nuovi partenariati. Cercano nuove forme organizzative, più flessibili, ma hanno difficoltà a realizzarle, benché diversi esempi ne attestino la fattibilità. L'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), per esempio, ha dato prova di efficienza e di efficacia nel caso della pandemia di nuova influenza. Il Gruppo intergovernativo di esperti dei cambiamenti climatici («Intergovernmental Panel on Climate Change», IPCC), nonostante la forte opposizione di certi Stati, si è conquistato una solida posizione tra le istituzioni impegnate nella lotta contro il cambiamento climatico. Anche l'ONU ha creato organi capaci di reagire in maniera più adeguata ai nuovi conflitti e di meglio esprimere e attuare priorità strategiche. Ne è un esempio la Commissione dell'ONU per il consolidamento della pace («UN-Peacebuilding Commission»), nata nel 2005.

Gli spostamenti degli equilibri di potere nella politica internazionale modificano sia le organizzazioni internazionali sia i processi politici da esse determinati. Lo si osserva, in particolare, in ambiti come il clima, la sanità, i diritti umani e la sicurezza. Basti osservare il Consiglio dei diritti dell'uomo che, rispecchiando i nuovi equilibri globali, risponde all'esigenza di una rappresentanza equilibrata sotto il profilo geostrategico. Le discussioni sul peso dei singoli gruppi e regioni in seno al Consiglio dei diritti dell'uomo illustrano i mutamenti fondamentali nel sistema internazionale, tanto per quanto concerne le relazioni Nord-Sud come per quelle Sud-Sud.

Lo sviluppo di una governance cooperativa basata su un multilateralismo effettivo richiede un grande impegno politico. Per fronteggiare sfide globali sono indispensabili strategie elaborate nell'ambito di partenariati paritari. Anche i nuovi attori
del Sud devono essere coinvolti nella responsabilità e contribuire a raccogliere queste sfide.

Il crescente divario tra le esigenze da un lato e le limitate capacità del sistema internazionale di prendere decisioni tempestive ed attuarle dall'altro, è risentito sempre più fortemente come crisi della governance internazionale: laddove è difficile una riforma delle istituzioni tradizionali, si costituiscono reti più flessibili e strutture come il G20 oppure raggruppamenti attorno a tematiche specifiche. Spesso, accanto a singoli Stati, ne fanno parte anche organizzazioni non governative o grandi imprese. Anche questo aspetto accentua la pressione per una riforma delle istituzioni e delle strutture decisionali.

Un'interdipendenza crescente tra ambiti politici, sistemi giuridici e istituzioni Come illustrato sopra, l'instabilità dei mercati finanziari internazionali, il cambiamento climatico, le epidemie, la polarizzazione sociale e la pressione migratoria dalle regioni più povere hanno ripercussioni a livello planetario. Proprio i cambiamenti dell'ambiente naturale, tuttavia, non costituiscono un semplice «problema supplementare», bensì richiedono adeguamenti sostanziali. Il cambiamento climatico, per esempio, impone una radicale trasformazione dei comportamenti dei produttori e dei consumatori e rimette quindi in questione anche i principi dell'ordine 5673

economico internazionale. Il passaggio dell'economia mondiale ad una «economia verde» è appena agli albori. Intanto i grandi problemi che hanno dominato il XX secolo ­ povertà, sottosviluppo e conflitti violenti ­ rimangono tuttora irrisolti in numerose regioni, nonostante i progressi.

Le crisi finanziarie ed economiche regionali hanno conseguenze per l'economia mondiale e possono far scivolare rapidamente alcuni Stati nell'insolvenza. I conflitti locali si ripercuotono sugli Stati limitrofi, provocando flussi di rifugiati che non si fermano neppure ai nostri confini. I movimenti migratori interregionali e intercontinentali sono sempre più spesso assimilati a minacce per la sicurezza interna. In tempi di crisi sociale e ambientale, all'interdipendenza si accompagna la vulnerabilità, perché tutti i Paesi del mondo fanno parte di un unico ecosistema.

Oltre a quelli geografici, ci sono anche legami temporali. Ciò che si trascura oggi nei diversi ambiti politici avrà effetti sul prossimo e lontano avvenire. La gestione di queste relazioni oltrepassa la portata della politica nazionale e richiede dagli Stati e dagli attori interessati una cooperazione adeguata alle condizioni della globalizzazione.

I settori della politica non sono i soli ad essere sempre più imbricati; anche le istituzioni globali e regionali e gli ordinamenti giuridici occupano un posto di crescente importanza nella politica estera dei vari Paesi. L'aumentare delle interconnessioni fa sì che sistemi giuridici diversi e diverse normative si sovrappongono e che è quindi necessario fare chiarezza sulle disposizioni da applicare nei singoli casi.

Ciò significa che un Paese può imporre i propri interessi soltanto se nella sua politica estera tiene conto dell'intreccio di tematiche, istituzioni e normative e se adotta una linea in grado di adeguarsi a queste nuove forme di cooperazione. I legami fra gli Stati ­ sempre più intensi -relativizzano anche i tradizionali rapporti di grandezza. Ciò vale tanto per le grandi potenze come per i Paesi di piccole e medie dimensioni. Oggi più che mai non c'è Paese in grado di risolvere da solo i problemi citati. Gli interessi nazionali possono essere tutelati in maniera durevole solo di concerto con altri attori. Ciò è determinante anche per la politica estera della Svizzera, che deve quindi impiegare
al meglio gli strumenti a sua disposizione.

Sulla scia della globalizzazione, obiettivi nazionali come lo sviluppo sostenibile, la sicurezza, la sanità, l'istruzione e lo Stato di diritto diventano, in un certo senso, beni pubblici globali. Investire nei beni pubblici è di grande importanza anche per la stabilità dell'economia mondiale, per la risoluzione pacifica delle divergenze e per il superamento delle crisi ambientali. Dato che i beni pubblici globali non sono sufficientemente disponibili mediante transazioni di mercato, solo la cooperazione internazionale permette di ottenerli. La ricorrenza, nel 2010, del decimo anniversario della Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite rappresenta la prossima occasione di affrontare le problematiche della governance globale ed esplorare nuove strade.

5674

6.2

Conseguenze per la politica estera svizzera

L'obiettivo tradizionale della politica estera è garantire la sovranità, l'indipendenza e quindi anche la libertà d'azione. Tale è la definizione sancita dall'articolo 54 della Costituzione federale76. La domanda che ci si pone per la Svizzera è come meglio adempiere questo compito in un contesto mutato.

Sempre più spesso si constata che in molti settori gli interessi nazionali possono essere salvaguardati solo sulla base della cooperazione internazionale e di approcci comuni per la soluzione dei problemi. La sicurezza e il benessere della Svizzera dipendono fortemente dalla forza normativa del sistema internazionale, cioè dalla sua capacità a emanare regole legittime, contenere i conflitti, stabilizzare i sistemi sociali e rafforzare le istituzioni statali.

Gli interessi della Svizzera presentano molti aspetti, in parte indissociabili. Non è possibile scindere la rappresentanza degli interessi in ambito bilaterale da quella in ambito multilaterale così come non è possibile sciogliere il nesso tra numerosi ambiti politici (per es. ambiente e sicurezza, sicurezza e sanità, sanità e clima).

Aumentano di conseguenza le esigenze per una tutela coerente e coordinata di questi interessi, tra i settori politici, ma anche nei confronti di istituzioni, sistemi giuridici e Paesi. La difesa degli interessi settoriali deve essere coordinata con gli interessi specifici di politica estera (nei confronti di uno Stato o di una organizzazione multilaterale).

Aderire all'UE?

Nonostante la modifica dei rapporti di forza internazionali, l'UE è più che mai un punto di riferimento per la politica estera svizzera. Il nostro benessere e la nostra sicurezza dipendono in primo luogo dagli sviluppi in Europa. La Svizzera condivide i valori fondamentali europei e, in ambito internazionale, continua a perseguire obiettivi in larga misura affini. Oggi le principali decisioni sullo sviluppo futuro dell'Europa sono prese in seno all'UE. Non essendone membro, la Svizzera non può esercitare la propria influenza nelle istituzioni europee. Va inoltre considerato che l'UE si considera sempre più largamente legittimata a intervenire sul piano normativo anche in settori che tradizionalmente rientrano nelle competenze fondamentali di altre organizzazioni come l'OCSE o il Consiglio d'Europa, delle quali la Svizzera è membro a parte
intera. Nelle sue relazioni con l'UE, la Svizzera deve quindi fare in modo di assicurarsi diritti di partecipazione il più ampi possibili e usarli attivamente.

Tenendo conto di un contesto internazionale in evoluzione, si pone inoltre la domanda di come foggiare in futuro il rapporto con l'Unione europea. Ci si deve interrogare sulle opportunità e i rischi dell'adesione e della non adesione, sulla concordanza di obiettivi e politiche e sugli adeguamenti necessari in vista dell'adesione, sull'assetto concreto di diritti e doveri, sulle opportunità e possibilità di influenzare in futuro i processi decisionali, sui vantaggi e sui costi e, naturalmente, sulle ripercussioni istituzionali di un'adesione . Al momento non c'è una chiara risposta politica a questi interrogativi.

76

Art. 54 cpv. 2: «La Confederazione si adopera per salvaguardare l'indipendenza e il benessere del Paese; contribuisce in particolare ad aiutare le popolazioni nel bisogno e a lottare contro la povertà nel mondo, contribuisce a far rispettare i diritti umani e a promuovere la democrazia, ad assicurare la convivenza pacifica dei popoli nonché a salvaguardare le basi naturali della vita».

5675

Fino ad oggi la via bilaterale ha consentito alla Svizzera di raggiungere in larga misura gli obiettivi che si era prefissa. In futuro, tuttavia, la questione europea si porrà in modo pressante. A maggior ragione è quindi importante domandarsi se la Svizzera, in fin dei conti, possa meglio salvaguardare i propri interessi fuori dall'UE o nel suo seno. A questo proposito, solo un dibattito condotto seriamente e senza preconcetti permetterà di prendere le decisioni che si impongono nell'interesse del Paese. A questo proposito il Consiglio federale incaricherà l'Ufficio dell'integrazione di redigere uno studio destinato a fungere da base di discussione.

Ciò che comunque si può affermare fin d'ora è che, nell'UE o fuori dall'UE, la promozione degli interessi svizzeri è possibile solo a condizione che il nostro Paese partecipi ancora più attivamente alla soluzione dei problemi globali. Se la Svizzera rimane fuori dall'UE deve impegnarsi più che mai per tutelare i propri interessi in maniera autonoma. Se invece un giorno volesse diventare membro dell'UE, potrà far valere i propri interessi in seno all'Unione europea in primo luogo grazie alle sue competenze tradizionali, alle sue prestazioni e idee e al suo impegno per la soluzione di problematiche globali.

Impegno globale e potenziamento delle relazioni con gli attori principali Nonostante le relazioni e gli interessi svizzeri si concentrino sull'Europa, in quanto non membro dell'UE la Svizzera può e deve consacrare sforzi particolari alle relazioni extra-europee. Quale Paese europeo con forti legami globali, è importante per la Svizzera consolidare le relazioni con tutti gli attori della politica mondiale ed estenderle a nuovi settori della cooperazione. Tali attori sono partner di rilievo, sia per potenziare i legami economici, sia per rafforzare l'ambito di manovra multilaterale e i sistemi internazionali. Tuttavia, dal momento che i Paesi del Sud si esprimono in maniera sempre meno univoca, la politica estera svizzera deve tenere conto anche della crescente differenziazione di interessi. La strategia d'intensificazione delle relazioni con i Paesi emergenti, definita dal Consiglio federale nel 2005, deve quindi continuare anche in futuro.

Temi prioritari In considerazione della crescente connessione delle sfide globali di cui sopra, per la politica
estera svizzera è vitale non soltanto concentrarsi su determinati Paesi ma anche su determinati settori politici, istituzioni e ordinamenti rilevanti a livello mondiale. Il sistema finanziario internazionale e quello del commercio mondiale, il disarmo e la non proliferazione, le questioni della sicurezza internazionale (compresa la criminalità transnazionale), la prevenzione dei conflitti e la promozione della pace, l'aiuto umanitario e la cooperazione allo sviluppo, i diritti dell'uomo, la migrazione, il clima, la politica energetica e la protezione dell'ambiente sono una serie di settori politici comunicanti nei quali la Svizzera deve far valere in maniera mirata i propri interessi.

Ciò può riuscire attraverso l'impiego oculato di tutti gli strumenti della politica estera svizzera. Gli strumenti esistenti ­ cooperazione allo sviluppo, aiuto umanitario, promozione della pace e dei diritti umani ­ hanno dato buoni risultati e devono essere ulteriormente potenziati anche in futuro. Nel settore del disarmo e della non proliferazione l'impegno deve essere rafforzato.

Nonostante questi sforzi, negli ultimi anni la partecipazione della Svizzera alla ripartizione internazionale degli oneri («burden sharing») è tendenzialmente diminuita. A lungo andare, la Svizzera non potrà preservare influenza e reputazione in 5676

seno alla comunità internazionale senza partecipare più attivamente alla soluzione dei problemi esistenti e contribuire agli sforzi di stabilizzazione. La partecipazione tuttavia non deve necessariamente avvenire sotto forma di pagamenti più elevati in favore dei Paesi più poveri o di problematiche globali. Come dimostra la politica climatica, i meccanismi fiscali e di mercato possono generare le risorse necessarie; in determinate situazioni l'apertura del mercato ai prodotti agricoli e soluzioni innovative in materia di protezione dei brevetti possono rivelarsi i migliori strumenti per risolvere problemi internazionali. Data la grande importanza di queste tematiche, il Consiglio federale in futuro si occuperà viepiù della posizione della Svizzera nel «burden sharing» internazionale ed esaminerà una serie di misure e di possibili opzioni di finanziamento che possano avere riflessi positivi sull'influenza e la posizione elvetiche. Il DFAE informerà regolarmente circa gli sviluppi.

Diplomazia multilaterale e bilaterale: partenariati e dialogo Sulla scia della globalizzazione, i partenariati con attori chiave dell'economia, della scienza e della società civile acquistano, per un Paese come la Svizzera, un significato particolare. Si tratta di concretizzare l'idea di «soft power» nella migliore accezione del termine: le cognizioni e le soluzioni innovative non scaturiscono da prescrizioni statali. La Svizzera può contribuire in maggior misura a discussioni oggettive e concrete incoraggiando le reti di esperti e gli scambi di sapere e alimentando con nuovi approcci i processi decisionali internazionali.

Le divergenze di interessi possono essere sanate in maniera pacifica solo mediante negoziati strutturati e trattative diplomatiche e ciò a beneficio di tutti. In materia di politica estera, la Svizzera non può isolarsi e considerare secondaria la cooperazione internazionale senza perdere libertà d'azione, sicurezza e benessere. In effetti, anche nelle situazioni più difficili e con i partner più ostici, il dialogo è una missione costante della politica estera svizzera. In vista dell'obiettivo della prevenzione e della risoluzione dei conflitti, il realismo e la ricerca pragmatica di soluzioni sono approcci fondamentali.

Non facendo parte di nessuna alleanza politica o regionale fissa, la Svizzera deve
operare quanto più è possibile nell'ambito di partenariati flessibili, variabili e transregionali. Si tratta di consolidare queste reti e di perseguire, di concerto con i partner, interessi e valori comuni. Ciò richiede da parte della Svizzera il mantenimento di una rete di relazioni il più possibile vasta e completa per poter formare partenariati con altri Stati e organizzazioni in Europa e nel mondo. Si ricordi a titolo di esempio la piattaforma degli «Small Five» (S5) istituita su iniziativa svizzera per la riforma del Consiglio di sicurezza dell'ONU.

In questo contesto la Ginevra internazionale rappresenta una grande opportunità per la Svizzera, poiché le permette di svolgere un ruolo particolare in determinati settori.

Si pensi ai negoziati internazionali sul disarmo, ma anche alla politica umanitaria o all'Organizzazione mondiale del commercio. Né va sottovalutato il semplice fatto che i protagonisti del sistema internazionale si rechino regolarmente a Ginevra. La straordinaria concentrazione d'istituzioni multilaterali, seconda solo a New York, implica anche la responsabilità e l'impegno di continuare a rispondere alle crescenti esigenze poste alla Svizzera in quanto Stato ospite. Occorre garantirne l'attrattiva anche in avvenire, in una situazione di sempre più viva concorrenza.

5677

Stato di diritto e lotta contro la discriminazione Il coinvolgimento diretto o indiretto della Svizzera negli sviluppi internazionali in tutti gli ambiti politici, dall'economia e la finanza alla sanità e alla migrazione passando per l'ambiente e l'energia, significa che siamo chiamati a partecipare all'elaborazione di migliori condizioni quadro internazionali a livello regionale come a livello mondiale.

Allorché il diritto prevale sulla politica del più forte, è possibile risolvere i problemi globali e le divergenze di interessi con regole eque e di validità generale. Il miglior mezzo per evitare ogni discriminazione nei confronti della Svizzera, dei suoi cittadini o delle sue imprese in un clima di concorrenza internazionale è di negoziare disposizioni comuni, applicabili a livello di diritto internazionale e vincolanti per tutti in eguale misura.

Per la Svizzera è fuori dubbio che l'impiego delle forze armate per la soluzione dei conflitti può essere solo una misura di «ultima ratio» e anche in tal caso deve essere legittimata dall'ONU. Ne consegue l'obbligo di un impegno coerente per l'uniformazione del diritto a livello internazionale e per lo sviluppo di nuove normative.

Questo approccio presuppone la disponibilità di praticare nuove strade e di condividere un consenso internazionale anche in questioni nelle quali, per lo meno a breve termine, gli interessi svizzeri divergono.

Organizzazione della politica estera svizzera La Svizzera può espletare con successo la sua politica estera soltanto conciliando tra loro gli interessi spesso divergenti della società, dell'economia e dell'organizzazione statale per promuoverli efficacemente all'estero. In questo senso, la politica estera è una prestazione di servizio di cui i diversi attori si avvalgono per coordinare le rispettive posizioni, sviluppare strategie e trovare accordi tattici. La coerenza non è un obiettivo fine a se stesso, bensì il modo per essere più efficaci e ottenere un più efficiente impiego dei mezzi nel tempo. Senza un impegno di coerenza non c'è politica estera forte. Inoltre la coerenza garantisce l'ancoraggio democratico della politica estera all'interno del Paese e ne aumenta la credibilità e la sua influenza all'esterno.

Il DFAE svolge il proprio mandato ­ di concerto con gli specialisti di politica estera che lavorano
presso gli altri dipartimenti ­ facendo capo al Consiglio federale. Da sola la Svizzera non ha peso sufficiente per influire in maniera determinante sui maggiori sviluppi e sull'agenda internazionale.

Tuttavia, la parziale relativizzazione dell'equazione tradizionale tra grandezza e capacità d'imporsi a livello internazionale offre al nostro paese nuove possibilità di partecipare all'elaborazione di soluzioni mondiali. In questo contesto, la Svizzera può far valere diversi atout: un'economia fortemente orientata verso i mercati mondiali, grazie alla quale dispone di grandi competenze e di un tessuto di relazioni a livello internazionale; una solida posizione in materia scientifica e di ricerca, come pure di innovazione tecnologica ed economica; una tradizionale stabilità politica.

Nesso tra politica estera e politica interna Un'altra conseguenza delle sempre maggiori connessioni tra Paesi e problematiche a livello internazionale è che oggi la politica estera e quella interna dipendono più che mai l'una dall'altra. Questa tendenza comporta due conseguenze maggiori: da un lato la politica interna non può mancare di considerare come un criterio importante 5678

le ripercussioni delle decisioni legislative o di altro genere sulle relazioni con l'estero, e ciò anche nei settori in cui, sostanzialmente, la Svizzera ha facoltà di decidere liberamente e in maniera autonoma. Inversamente, gli orientamenti di politica estera devono avere vasto sostegno all'interno, il che presuppone un dialogo costante con il Parlamento, i Cantoni e l'opinione pubblica nell'ambito del processo democratico di formazione dell'opinione. Sotto questo aspetto, il sistema della democrazia diretta, particolarmente ben sviluppato anche nel settore degli affari esteri, crea i necessari presupposti istituzionali.

Per concludere, si può affermare che la Svizzera deve disporre di strumenti di politica estera diversi e adeguati, se vuole realizzare gli obiettivi fissati nell'art. 54 della Costituzione federale. E che deve metterli in atto in modo coerente e coordinato. In altre parole: l'indipendenza implica una politica estera forte e impegnata.

5679

Allegato

Informazioni supplementari concernenti il Consiglio d'Europa Premessa Per quanto concerne il Consiglio d'Europa, le principali sfide e attività della Svizzera sono trattate al n. 3.2.2.3.2. L'allegato contiene informazioni supplementari sulle principali attività della Svizzera nei singoli settori di competenza del Consiglio d'Europa. Di conseguenza, nel presente rapporto figurano le informazioni di base che finora erano contenute nei rapporti annuali sulle attività della Svizzera nel Consiglio d'Europa.

1

Comitato dei ministri

La 118a Sessione del Comitato dei ministri si è svolta il 7 maggio 2008 a Strasburgo.

Durante la parte informale della sessione i ministri degli esteri presenti hanno discusso la situazione nell'Europa sud-orientale e le tensioni nel Caucaso meridionale.

Nel corso della parte ufficiale, la mancata ratifica da parte della Russia del Protocollo n. 14 (riforma della Corte europea dei diritti dell'uomo) è stata al centro dell'attenzione. Un altro aspetto prioritario era costituito dal dialogo interculturale, che ha portato all'adozione di un libro bianco. Sono stati adottati e aperti alla firma anche due nuovi strumenti di diritto internazionale del Consiglio d'Europa: la Convenzione europea sull'adozione di minori (emendata) e il Protocollo aggiuntivo alla Convenzione sui diritti dell'uomo e la biomedicina relativo ai test genetici a scopi medici.

Su invito della presidenza svedese, il 24 settembre 2008, parallelamente all'Assemblea generale delle Nazioni Unite, si è inoltre tenuta a New York una sessione informale straordinaria del Comitato dei ministri sulla crisi in Georgia.

2 2.1

Coesione democratica Diritti dell'uomo

Anche nell'anno di riferimento, le attività del Comitato direttivo per i diritti dell'uomo (CDDU) e del Comitato d'esperti per il miglioramento delle procedure dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo (Corte EDU) ad esso subordinato si sono incentrate sulle discussioni in merito alla riforma del sistema di controllo della CEDU e, in relazione con quest'ultima, sugli sforzi per rafforzare l'attuazione della CEDU e delle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo negli Stati membri.

La discussione sulla riforma della Corte EDU è in una fase di stallo, dato che la Russia blocca l'entrata in vigore del Protocollo 14 alla CEDU. L'incertezza sulla sorte del Protocollo grava anche sulle discussioni concernenti le misure che vanno oltre il Protocollo stesso. Nell'anno del rapporto tali discussioni non sono ancora state formalmente avviate nel plenum del Comitato direttivo per i diritti dell'uomo, 5680

ma sono state condotte in un gruppo di lavoro ad hoc, in cui è rappresentata anche la Svizzera. Il gruppo di lavoro è incaricato di esaminare le proposte di riforma contenute nel rapporto del Gruppo dei saggi del novembre 2006 e di analizzare in primo luogo le misure attuabili senza modifiche della Convenzione e successivamente quelle che richiederebbero una modifica ovvero un altro Protocollo aggiuntivo77. Il gruppo può inoltre affrontare tematiche che non figurano tra le proposte del Rapporto del Gruppo dei saggi.

Accanto alle discussioni sulla riforma, il CDDU ha seguito le attività dei suoi sottocomitati e dei gruppi di lavoro da essi costituiti. Fra i lavori più importanti segnaliamo in particolare i diritti dell'uomo in una società multiculturale, i diritti dell'uomo nella procedura d'asilo accelerata e l'elaborazione di un progetto di convenzione sull'accesso ai documenti pubblici. Il Comitato direttivo per i diritti dell'uomo ha altresì adottato il progetto di parere sulla Raccomandazione 1824 (2008) ­ «Listes noires du Conseil de sécurité des Nations Unies et de l'Union européenne».

A fine marzo 2008 il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti ha trasmesso alle autorità svizzere il rapporto sulla visita effettuata in Svizzera dal 24 settembre al 5 ottobre 2007. Il rapporto tratta, in particolare, delle garanzie di protezione dai maltrattamenti delle persone arrestate e di quelle incarcerate in applicazione della legge del 16 dicembre 200578 sugli stranieri. In materia di istituti di pena l'attenzione del Comitato è andata alle persone internati, a quelle nei cui confronti sono stati ordinati provvedimenti terapeutici e alle condizioni di detenzione nei bracci di massima sicurezza. Infine viene esaminata dettagliatamente la condizione dei minori e dei giovani adulti negli istituti di rieducazione.

Il 19 novembre 2008 il Comitato dei ministri ha adottato la seconda risoluzione sull'attuazione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali da parte svizzera.

Il Comitato d'esperti sulle questioni relative alla protezione delle minoranze nazionali, subordinato al Comitato direttivo per i diritti dell'uomo ha tenuto le sue due riunioni annuali nei mesi di marzo e ottobre 2008. Ha esaminato in particolare la
questione di nuove linee guida sulle procedure per lo sviluppo di relazioni tra uno Stato e le sue minoranze residenti in un altro Stato («kin-minorities»).

Nel maggio 2008 il Comitato dei ministri ha adottato il Protocollo aggiuntivo alla Convenzione sui diritti dell'uomo e la biomedicina relativo ai test genetici a scopi medici. Il nuovo protocollo aggiuntivo definisce i principi qualitativi in materia di esami genetici, l'informazione e il consenso preliminare; stabilisce regole generali sull'esecuzione di test genetici e tratta per la prima volta a livello internazionale i test genetici direttamente accessibili, la cui commercializzazione potrebbe prosperare in futuro; precisa le condizione da soddisfare nel caso di test genetici praticati su persone incapaci di consenso; comprende infine la protezione della sfera privata e il diritto alle informazioni collezionate mediante test genetici. Rimangono esclusi dal campo di applicazione del Protocollo aggiuntivo gli esami genetici a scopi di ricerca.

77 78

Cfr. in proposito anche il rapporto annuo del Consiglio federale sulle attività della Svizzera nel Consiglio d'Europa nel 2007, FF 2008 3877.

RS 142.20

5681

La Convenzione sui diritti dell'uomo e la biomedicina e il Protocollo aggiuntivo sul divieto di clonazione di esseri umani sono entrati in vigore per la Svizzera il 1° novembre 2008.

2.2

La Svizzera davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo

Durante l'anno in esame, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha pronunciato quattro sentenze riguardanti la Svizzera.

Nel caso Hadri-Vionnet (sentenza del 14 febbraio 2008) la ricorrente, una richiedente asilo ospitata presso un centro di registrazione, ha dato alla luce un neonato nato morto. Sia la madre che il padre del bambino hanno dichiarato di non voler vedere la salma, per cui l'impiegata di stato civile del Comune interessato ha disposto un funerale senza cerimonia e non ne ha informato la ricorrente. La bara con la salma del bambino è stata portata al cimitero comunale in un furgone e seppellita nella fossa dei nati morti. La procedura penale successivamente avviata è stata archiviata per mancanza d'intenzione ed errore giudiziario. La Corte ha stabilito che gli Stati parte sono obbligati a organizzare e a formare i loro collaboratori in modo da evitare violazioni della convenzione. In un ambito tanto intimo e delicato come la morte di un prossimo, gli Stati devono agire con particolare cura e prudenza. Su questa base la Corte ha accertato un'intromissione nella vita privata e familiare. La violazione dell'articolo 8 CEDU è motivata dal fatto che l'intromissione è avvenuta senza basi legali. Il modo di procedere del Comune era contrario al regolamento comunale dell'inumazione e del cimitero come pure all'ordinanza sulle norme della circolazione stradale (trasporto di cadaveri).

Il caso Meloni (sentenza del 10 aprile 2008) riguardava un'inchiesta penale per criminalità economica. Il ricorrente ha esposto alla Corte di Strasburgo diverse censure in relazione alla sua detenzione preventiva ed ha in particolare fatto valere che, per la continuazione della stessa, mancava, temporaneamente, un mandato di cattura valido (art. 5 cpv. 1 CEDU). La Corte ha parzialmente accolto il ricorso, vale a dire per determinati periodi della detenzione. A motivazione della sentenza si è considerato che la rinuncia iniziale del ricorrente al controllo d'ufficio della legittimità della detenzione non esimeva le autorità dal prolungare tempestivamente la detenzione prima del termine della durata inizialmente prevista, come stabilito per legge. L'esito negativo di una domanda di scarcerazione non poteva sostituire un nuovo ordine di detenzione, tanto più che nel caso in questione la decisione sulla domanda
di scarcerazione non comportava un nuovo termine di detenzione. La Corte ha quindi riconosciuto una violazione dell'articolo 5 CEDU.

Nel caso Emre (sentenza del 22 maggio 2008) la Corte ha accertato una violazione dell'articolo 8 CEDU (diritto al rispetto della vita privata e familiare). Il ricorrente, immigrato in Svizzera in giovane età, era incorso in diverse condanne a pene detentive, per un totale di 18 mesi e mezzo e, di conseguenza, espulso. Rifacendosi alla giurisprudenza costante, la Corte europea per i diritti dell'uomo ha argomentato che l'espulsione non era «necessaria in una società democratica» Sono stati determinanti, oltre ai disturbi psichici di cui soffriva il ricorrente, la limitata gravità dei reati, i suoi legami praticamente inesistenti con il Paese d'origine e la durata illimitata dell'espulsione.

5682

Il caso Carlson (sentenza del 6 novembre 2008) riguardava la procedura di una domanda di rinvio nell'ambito di un rapimento internazionale di minore. La Corte ha constatato vizi procedurali e omissioni che erano in contraddizione con la Convenzione dell'Aia sugli aspetti di diritto civile dei rapimenti internazionali di minori e che hanno causato ritardi inammissibili nella procedura di rimpatrio; ha quindi accertato una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU).

2.3

Pari opportunità

La campagna del Consiglio d'Europa per combattere la violenza nei confronti delle donne, compresa la violenza domestica, si è conclusa nel giugno 2008. In occasione dell'incontro dei centri di contatto nazionali, tenutosi il 21 e 22 aprile 2008 a Strasburgo, la Svizzera ha presentato il proprio rapporto finale sulle azioni intraprese. Il rapporto offre una panoramica sulle recenti disposizioni legali per la lotta contro la violenza domestica a livello cantonale e federale. Cita altresì uno studio pubblicato dall'Ufficio federale per l'uguaglianza tra donne e uomini dal titolo «Consulenze e programmi contro la violenza per autori e autrici di violenza domestica in Svizzera» (2008).

2.4

Lotta contro il razzismo e la xenofobia

Dal 15 al 19 settembre 2008 la Commissione europea contro il razzismo e l'intolleranza (ECRI) ha visitato la Svizzera per la quarta volta. Il programma comprendeva discussioni con organizzazioni governative e non governative nei Cantoni di Zurigo e di Vaud, e un incontro con la Commissione federale contro il razzismo. Nelle sue domande e nella scelta delle organizzazioni non governative da consultare l'ECRI è stata assistita anche dalla Commissione federale contro il razzismo. L'ECRI ha potuto inoltre trasmettere il proprio rapporto sullo stato attuale della lotta contro il razzismo in Svizzera. La delegazione è rimasta impressionata dal grado di apertura e dal carattere informativo dei colloqui.

2.5

Cooperazione giuridica e questioni di diritto penale

Le attività del Comitato d'esperti sul funzionamento delle Convenzioni europee nel settore penale si sono incentrate sull'elaborazione del progetto di terzo protocollo aggiuntivo alla Convenzione sulla cooperazione giudiziaria internazionale. Il nuovo strumento dovrebbe facilitare e accelerare l'estradizione in caso di consenso della persona interessata.

Dalla metà del 2006, la Svizzera è membro del Gruppo di Stati contro la corruzione e, come tale, ha dovuto sottoporsi alla valutazione combinata dei Paesi (fasi I e II). Il rapporto sulla Svizzera è stato adottato nel corso della sessione plenaria, tenutasi dal 31 marzo al 4 aprile 2008 a Strasburgo e pubblicato il 2 giugno 2008. Nel documento si riconosce il fatto che, dal 2000, la Svizzera ha compiuto notevoli sforzi per la prevenzione e la repressione della corruzione; si rileva per altro la necessità di migliorare i coordinamento interno dei provvedimenti. Per quanto concerne la prevenzione della corruzione nell'amministrazione si esigono regole più chiare in 5683

materia di divieto di accettare doni e di conflitto di interessi come pure l'obbligo di comunicazione degli impiegati della Confederazione in caso di sospetto di corruzione (compresa la protezione dei «whistleblowers»). Il rapporto contiene 13 raccomandazioni alla Svizzera79.

2.6

Media

Il 20 febbraio 2008 il Comitato dei ministri ha adottato una dichiarazione sulla protezione della dignità, della sicurezza e della sfera privata dei bambini in Internet; nel documento si esortano gli Stati membri a esaminare le modalità per cancellare rapidamente le attività dei bambini in Internet e le tracce lasciate, affinché non abbiano effetti pregiudizievoli.

Il 20 febbraio 2008 il Comitato ministeriale ha approvato la dichiarazione in materia assegnazione e gestione del «dividendo digitale» e in nome dell'interesse generale, che invita a considerare pubblico lo spettro delle frequenze di radiodiffusione liberatesi in seguito al passaggio dall'analogico al digitale e a utilizzarle nell'interesse generale.

Il 26 marzo 2008 il Comitato dei ministri ha adottato una raccomandazione sulle misure atte a promuovere il rispetto della libertà di espressione e di informazione quanto ai filtri Internet. I filtri Internet devono essere utilizzati in modo da garantire l'equilibrio tra la libertà di espressione e di informazione da un lato e la protezione dei minori da siti Web dai contenuti dannosi dall'altro.

Nella sua dichiarazione del 26 marzo 2008 sull'indipendenza e sulle funzioni delle autorità di regolamentazione nel settore della radiodiffusione, il Comitato dei ministri esorta gli Stati membri ad attuare una precedente raccomandazione con la quale si devono garantire non solo l'indipendenza delle autorità di regolamentazione ma anche la loro efficienza, trasparenza e responsabilità.

Il 3 ottobre 2008 l'Assemblea parlamentare ha adottato una risoluzione e una raccomandazione sugli indicatori per i media in una democrazia.

Inoltre, in collaborazione con l'ISFE («Interactive Software Federation of Europe»), il Consiglio d'Europa ha approvato linee direttrici volte a aiutare concretamente i fornitori di giochi online a comprendere e a osservare i diritti dell'uomo e le libertà fondamentali nella società dell'informazione, con particolare riguardo all'articolo 10 CEDU. Le linee direttrici invitano i fornitori a proteggere la sfera privata, la sicurezza e la libertà di opinione degli internauti che inviano messaggi elettronici o partecipano a chat, blog o giochi in linea.

Parimenti, in collaborazione con l'Associazione europea di Internet Service Provider, sono state elaborate linee direttrici
pratiche per aiutare i fornitori di servizi Internet a comprendere e a osservare i diritti dell'uomo e le libertà fondamentali nella società dell'informazione, con particolare riguardo all'articolo 10 CEDU. La Svizzera è rappresentata ad personam in tre gruppi di esperti del Comitato direttore per i media e i nuovi servizi di comunicazione come pure in due gruppi di lavoro ad hoc.

79

Il rapporto svizzero è pianificato per la prima volta nell'autunno 2009.

5684

Il gruppo di esperti per la pluralità dei media ha continuato a elaborare una procedura di sorveglianza grazie alla quale possono essere misurati gli effetti della concentrazione dei media sul pluralismo e sulla varietà dei contenuti.

Il gruppo di esperti dei media pubblici nella società dell'informazione ha esaminato strategie grazie alle quali i media pubblici possono promuovere la partecipazione democratica delle popolazioni e ha redatto un rapporto corredato da raccomandazioni pratiche.

In seno al gruppo di specialisti sui diritti dell'uomo nella società dell'informazione il rappresentante della Svizzera, che lo presiede, è stato co-promotore del Dialogo europeo sul governo di Internet (EuroDig) a Strasburgo e ha partecipato all'elaborazione del contributo del Consiglio d'Europa al Forum delle Nazioni Unite sulla gestione di Internet tenutosi a Hyderabad.

Nell'ambito del comitato ad hoc che deve prendere posizione sui diritti di protezione affini delle organizzazioni di radiodiffusione, la Svizzera ha proposto di elaborare una convenzione europea.

La Svizzera fa parte del comitato di redazione ad hoc del Comitato permanente sulla televisione transfrontaliera, incaricato di formulare proposte di emendamenti della Convenzione europea sulla televisione transfrontaliera. Il Comitato permanente ha mantenuto l'articolo sui messaggi pubblicitari e i programmi di teleshopping rivolti specificamente a una singola Parte. Questa disposizione è volta a proteggere gli Stati contraenti, fra cui la Svizzera, dall'elusione delle prescrizioni nazionali sulla pubblicità80.

Durante cinque sedute il Comitato direttivo di Eurimages si è occupato dei contributi a favore delle coproduzioni, dei distributori di film e delle sale cinematografiche. La Svizzera ha partecipato a sei coproduzioni; in un progetto la partecipazione svizzera era maggioritaria. Ai produttori svizzeri sono stati attribuiti 420 000 euro. I distributori svizzeri beneficiano di un sussidio per la distribuzione di documentari e di film per bambini; nel 2008 un'impresa di distribuzione ha ricevuto 4000 euro.

2.7

Comuni e regioni, cooperazione transfrontaliera 15a

La sessione plenaria del Congresso dei poteri locali e regionali del Consiglio d'Europa (CPLRE) si è svolta dal 17 al 29 maggio 2008 a Strasburgo. La delegazione svizzera, diretta da Ulrich Stöckling (consigliere di Stato del Cantone di San Gallo), ha attivamente partecipato ai dibattiti durante tutto l'anno in seno alla Commissione permanente e alle quattro commissioni statutarie (Commissione istituzionale, Commissione della cultura e dell'educazione, Commissione dello sviluppo sostenibile, Commissione della coesione sociale).

L'elaborazione di uno strumento giuridico concernente lo statuto degli organismi di cooperazione transfrontaliera è stata affidata al nuovo Comitato direttivo sulle istituzioni delle collettività locali e regionali, che ha ripreso le attività del Comitato d'esperti sulla cooperazione transfrontaliera. Il testo in esame ha il sostegno delle autorità svizzere a livello federale e cantonale. Si tratta del terzo protocollo alla 80

Il Comitato permanente per la televisione transfrontaliera ha approvato il testo definitivo della Convenzione europea sui servizi dei media audiovisivi transfrontalieri e il rapporto esplicativo nel giugno 2009.

5685

Convenzione quadro europea sulla cooperazione transfrontaliera delle collettività e autorità territoriali (STE 106)81.

3 3.1

Coesione sociale e qualità di vita Migrazioni

In occasione della riunione del 2008, il Comitato europeo sulle migrazioni (CDMG) ha adottato una raccomandazione per migliorare l'accesso all'occupazione di migranti e di persone con un passato di migrazione; la raccomandazione, alla cui elaborazione ha partecipato anche la Svizzera, è stata licenziata dal Comitato dei ministri il 10 luglio 200882. In collaborazione con il Paese ospite, l'Ucraina, il Comitato europeo sulle migrazioni si è occupato, in particolare, dei preparativi e della realizzazione dell'ottava Conferenza dei ministri europei responsabili delle migrazioni83. La Conferenza verteva sulle migrazioni economiche; se ne sono analizzati i legami con la gestione delle migrazioni, lo sviluppo e la coesione sociale. Scopo dichiarato della riunione era un approccio integrato che riunisse questi tre aspetti e comprendesse Paesi di provenienza, di transito e di destinazione in maniera proficua per ciascuna delle parti interessate. Nella dichiarazione finale e in particolare nel piano d'azione che ne è scaturito, i ministri hanno invitato il Consiglio d'Europa a elaborare questo approccio integrato e a sostenere in seguito gli Stati membri nell'attuazione. Il piano d'azione costituisce la base del programma di lavoro del Comitato europeo sulle migrazioni per i prossimi anni.

3.2

Cooperazione in materia di pianificazione del territorio

Si sono tenuti due seminari: il primo all'inizio del 2008 sul tema «Challenges & Strategies for Metropolises» e il secondo nell'ottobre 2008 sul tema «Spatial Planning and Human Rights».

3.3

Politica sociale

Il Comitato europeo per la coesione sociale (CDCS) è incaricato di garantire l'attuazione delle raccomandazioni formulate nel novembre 2007 dai vertici della task force sulla coesione sociale nel rapporto «Verso un'Europa attiva, giusta e coesa sul piano sociale». In questo contesto, il Comitato prepara la prima conferenza del Consiglio d'Europa, che riunirà i ministri responsabili della coesione sociale.

81

82 83

Il testo tuttavia non ha potuto essere terminato nell'anno in esame. Alcuni Stati hanno chiesto informazioni complementari sulla portata e chiarimenti sulla relazione del protocollo con un atto normativo dell'UE sullo stesso soggetto: Regolamento (CE) n.

1082/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo a un gruppo europeo di cooperazione territoriale (GECT), GU L 210 del 31.7.2006, pag. 19.

CM/Rec(2008)10 La conferenza si è tenuta a Kiev il 4 e 5 settembre 2008.

5686

Il Comitato di esperti delle politiche sociali per le famiglie e i figli, in cui è rappresentata la Svizzera, concluderà prossimamente la propria attività. Si occupa principalmente dell'elaborazione di linee direttrici sulle politiche familiari e di dare seguito alla raccomandazione Rec(2006)19 relativa alle politiche intese a sostenere la genitorialità positiva, assistendo gli Stati membri nell'applicazione sul piano nazionale.

Nell'anno del rapporto, ha iniziato l'attività il Forum europeo di coordinamento per il Piano d'azione del Consiglio d'Europa per le persone disabili (CAHPAH). In seno al Forum sono coordinate le attività del Consiglio d'Europa per la riabilitazione e l'integrazione delle persone disabili, che finora venivano considerate solo nel quadro di un accordo parziale nel settore questioni sociali e sanità. II compito principale del Forum di coordinamento è assistere gli Stati membri nell'attuazione del piano d'azione del Consiglio d'Europa per le persone disabili. A tal fine à stato adottato nell'anno di riferimento, con la partecipazione attiva della Svizzera, un questionario che deve permettere agli Stati membri e al Consiglio d'Europa di illustrare e misurare i progressi compiuti verso la parità delle persone diversamente abili.

3.4

Sanità

Il Comitato europeo della sanità (CDSP) ha tenuto la sua 61a riunione a Strasburgo dall'11 al 13 giugno 2008; il 15 ottobre 2008 i delegati dei ministri ne hanno approvato il mandato per i prossimi due anni, con l'obiettivo di concentrare le attività sui gruppi della popolazione particolarmente vulnerabili84. Il futuro del Comitato europeo della sanità è incerto a causa della mancanza di personale del segretariato e degli scarsi mezzi finanziari. In considerazione della situazione precaria e del previsto nuovo orientamento delle attività del Consiglio d'Europa, la Svizzera è contraria al proseguimento dei lavori del Comitato, che potrebbero essere ripresi da altri organi del Consiglio d'Europa o da altre organizzazioni internazionali.

Il 6 febbraio 2008 i delegati dei ministri, in composizione limitata alle Parti all'accordo parziale nel settore delle questione sociali e della pubblica sanità, hanno approvato il mandato del Comitato per la protezione sanitaria dei consumatori, che subentra al Comitato della pubblica sanità. Il Comitato per la protezione sanitaria dei consumatori si è riunito per la prima volta a Strasburgo il 12 giugno 2008; alla riunione ha partecipato anche la Svizzera. I delegati dei ministri hanno inoltre adottato il 20 febbraio 2008 la risoluzione ResAP (2008) 1 sui requisiti e criteri per la valutazione della sicurezza dei tatuaggi e del trucco permanente, elaborata sotto la direzione del Comitato per la protezione sanitaria dei consumatori, alla cui stesura ha partecipato attivamente anche la Svizzera. Il 2 luglio 2008, i delegati dei ministri hanno accettato la proposta di scioglimento dell'accordo parziale a fine 2008. Le attività in relazione con i cosmetici e con materie previste per il contatto con i generi alimentari saranno trasferite alla Direzione europea della qualità dei medicinali e cura della salute (DEQM). La Svizzera ha appoggiato questa proposta che garantisce il proseguimento delle attività nelle migliori condizioni.

84

Bambini, anziani e migranti.

5687

La Farmacopea europea85 è un testo giuridicamente vincolante per i 37 Stati firmatari della Convenzione relativa all'elaborazione di una Farmacopea europea (UE compresa). Nell'anno del rapporto sono stati pubblicati dal Consiglio d'Europa la 6a edizione della Farmacopea europea e i supplementi 6.1 e 6.2.

Nell'elaborazione della Farmacopea europea sono inoltre stati coinvolti come osservatori altri 22 Stati86. Nel 2008 la Svizzera era rappresentata nei consessi della Farmacopea europea con 73 mandati affidati a 61 esperti provenienti dall'industria, dalle università e dalle autorità. Complessivamente i nostri esperti hanno effettuato l'equivalente di sei anni-persona di lavoro altamente specialistico per la Farmacopea europea. Ciò illustra chiaramente l'importanza della Farmacopea e il know-how del nostro Paese in questo settore. Essendo tra i primi Paesi al mondo per l'industria farmaceutica, la Svizzera può apportare contributi essenziali agli sforzi di regolamentazione del settore dei medicinali, in continua evoluzione.

Secondo lo stato della tecnica e della scienza, è assicurato un controllo adeguato delle materie prime e dei preparati nel mercato globale e/o sono individuate le contraffazioni per lottare contro questo fenomeno: nell'anno di riferimento le operazioni di controllo hanno acquistato un significato particolare dopo che si sono scoperte nell'eparina, un anticoagulante utilizzato in tutto il mondo, pericolose impurità che erano sfuggite alle verifiche della Farmacopea europea. Gli esperti della Farmacopea europea hanno reagito in brevissimo tempo con prescrizioni di controllo rivedute che consentono di riconoscere queste sostanze. L'entrata in vigore delle prescrizioni è avvenuta con procedura accelerata.

La standardizzazione qualitativa acquista sempre maggiore importanza non soltanto nei settori innovativi e nelle nuove tecnologie come le terapie cellulari e genetiche ma anche per i medicinali classici e complementari (omeopatia e medicina tradizionale cinese), come dimostra l'aumento delle norme in questi ambiti.

Il «Groupe Pompidou», gruppo di cooperazione del Consiglio d'Europa in materia di lotta contro l'abuso e il traffico illegale di stupefacenti, coordina le questioni legate alla politica della droga fra gli Stati membri e intende stabilire un nesso fra politica, scienza
e lavoro in questo settore.87 Nel campo della ricerca, nell'anno di riferimento la Svizzera ha praticato con impegno la «politica coerente delle dipendenze» avviata l'anno precedente, facendo valere le proprie posizioni. Partecipa anche alle piattaforme «prevenzione», «trattamento» e «etica» e ha quindi la possibilità di condividere le proprie esperienze in questi ambiti con altri Paesi e di profittare delle loro.

Verso la metà del nuovo programma di lavoro, la presidenza polacca ha organizzato una conferenza «mid-term» sull'efficienza del «Groupe Pompidou» nell'adempiere le esigenze politiche. La Svizzera ha preso parte alla conferenza e ha potuto esprimere il proprio parere, in particolare riguardo alla conclusione dei lavori di revisione della legge del 30ottobre 195188 sugli stupefacenti.

85 86 87 88

La Farmacopea europea prevede prescrizioni sulla qualità dei medicinali, degli eccipienti farmaceutici e di singoli agenti terapeutici.

Le esigenze qualitative hanno così effetto sulla qualità dei medicinali e delle sostanze medicamentose utilizzate nel mondo intero.

Fanno parte del «Groupe Pompidou» 35 Stati e la Commissione europea.

RS 812.121

5688

3.5

Protezione degli animali

Nell'ambito della protezione degli animali il Consiglio d'Europa non soddisfa più gli obblighi che gli incombono in virtù delle Convenzioni europee sulla protezione degli animali nel trasporto internazionale (riveduta) (STE 193) e sulla protezione degli animali vertebrati utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici (STE 123).

A causa di restrizioni budgetarie non è stato possibile elaborare in seno al Consiglio nemmeno le note esplicative sulle diverse raccomandazioni (allegato B) della Convenzione europea sulla protezione degli animali vertebrati utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici (STE 123).

Nell'anno in esame il Comitato permanente della Convenzione europea sulla protezione degli animali negli allevamenti (STE 087) e il suo Ufficio hanno potuto riprendere la loro attività come in passato grazie all'intervento di diversi Paesi membri e del presidente del Comitato presso il segretario generale T. Davis. In occasione della sessione plenaria del novembre 2009 dovrebbero essere adottate raccomandazioni sull'allevamento dei conigli e di diverse specie ittiche.

3.6

Ambiente e protezione della natura

Il Consiglio per la Strategia paneuropea per la diversità biologica e paesaggistica ha tenuto una riunione dell'Ufficio per discutere il futuro della Strategia paneuropea stessa e del segretariato congiunto Consiglio d'Europa/PNUE Europa; inoltre ha preparato la prossima conferenza sulla biodiversità in Europa. Il Consiglio per la Strategia paneuropea per la diversità biologica e paesaggistica è presieduto dalla Svizzera.

Il Comitato permanente della Convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e dell'ambiente naturale in Europa (Convenzione di Berna; STE 104) riprende alcuni compiti del Comitato direttivo per le attività del Consiglio d'Europa in materia di diversità biologica e paesaggistica, dato che quest'ultimo è stato soppresso.

Un rappresentante svizzero (dell'Ufficio federale dell'ambiente) ha partecipato ai lavori del Gruppo d'esperti per l'istituzione della Rete Smeraldo delle zone di interesse speciale per la conservazione e al Comitato d'esperti per la costituzione della Rete ecologica paneuropea, che si sono riuniti a Strasburgo nell'ottobre 2008.

La Svizzera ha partecipato anche alla riunione dedicata al Diploma europeo degli spazi protetti svoltasi a Strasburgo il 17 e 18 marzo 2008. Il rappresentante svizzero ha assunto la presidenza di questo gruppo di specialisti.

Le parti contraenti alla Convenzione sulla conservazione della vita selvatica e dell'ambiente naturale in Europa (Convenzione di Berna, STE 104) si sono riunite dal 24 al 27 novembre 2008. Hanno proseguito in particolare i lavori relativi alla protezione di diversi gruppi di specie (funghi, piante, vertebrati, anfibi, rettili, uccelli minacciati) e alla Strategia europea sulle specie esotiche invasive.

La Convenzione europea del paesaggio (STE 176), entrata in vigore nel 2004, si prefigge di proteggere, gestire e pianificare i paesaggi urbani, periurbani, culturali e naturali, di integrare i paesaggi nelle politiche settoriali e di rivalutare i paesaggi 5689

degradati. La Svizzera ha firmato la Convenzione, ma non l'ha ancora ratificata. Sul piano tecnico, la Slovenia ha ospitato il 23/24 aprile 2008 la settima riunione dei workshop per l'attuazione della Convenzione, dedicata al «Paesaggio come tema di politica di pianificazione del territorio e governance: verso una pianificazione integrata», a cui hanno partecipato circa 300 rappresentanti governativi ed esperti provenienti da più di 30 Stati. In seguito alla ristrutturazione del segretariato del Consiglio d'Europa, la Convenzione europea del paesaggio è stata subordinata al nuovo Comitato direttivo per il patrimonio culturale, che ha eletto il rappresentante svizzero vicepresidente per il 2008 e 2009.

3.7

Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa (CEB)

Dopo l'utile di 93 milioni di euro conseguito nell'anno precedente, gli affari della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa hanno mantenuto un andamento stabile anche nel 2008 ­ nonostante la crisi finanziaria mondiale89. Il Piano di sviluppo 2005­2009, che ne determina gli orientamenti strategici, prevede un costante aumento degli investimenti nell'Europa centrale e sudorientale. Nel 2008 il Dialogo sull'impegno della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa in Georgia ha assunto connotazioni politicamente delicate. In considerazione di una maggiore concentrazione tematica e geografica, nonché in vista di un miglioramento della governance e di un incremento dell'efficienza, la Banca si è sottoposta nell'anno di riferimento a un'analisi approfondita. L'attuazione delle raccomandazioni comincia nel 2009.

3.8

Centro Nord-Sud

Dopo il ritiro della Francia e quello di Malta, annunciato per il 2009, l'accordo parziale del Consiglio d'Europa comprende ancora 18 Stati. La situazione budgetaria provvisoriamente tesa sembra stabilizzarsi grazie ai 400 000 euro stanziati dalla Commissione europea. L'ex consigliere nazionale Claude Frey ha proseguito il proprio mandato di presidente del Consiglio esecutivo ­ già più volte prolungato ­ fino a marzo 2009. Il programma di attività è incentrato sui giovani, sul dialogo interculturale e sull'universalità dei diritti dell'uomo.

4 4.1

Coesione culturale e pluralismo delle culture Cultura e patrimonio culturale

Il 2 e 3 dicembre 2008 si è tenuta a Baku (Azerbaigian) una conferenza ministeriale sul «Dialogo interculturale come base della stabilità e dello sviluppo sostenibile in Europa e nelle regioni limitrofe». La Svizzera era rappresentata dal suo ambasciatore a Baku.

Nell'anno in rassegna la Svizzera è rimasta attiva in seno al Comitato direttivo della cultura, che prosegue la strategia di consolidamento e di focalizzazione delle sue attività sui compiti chiave del Consiglio d'Europa. Il progetto «Culture Watch Europe» è finalizzato a rafforzare il ruolo del Consiglio d'Europa di osservatorio 89

Rating AAA.

5690

delle politiche culturali mediante l'integrazione delle risorse esistenti in un quadro coerente.

Nel settore del patrimonio culturale la Svizzera era rappresentata in seno al Comitato direttivo del patrimonio culturale e del paesaggio. Finora il Comitato direttivo si occupava esclusivamente della protezione dei monumenti, ma dall'aprile 2008 i suoi compiti sono stati estesi alla tutela dei paesaggi culturali. La Svizzera continua a svolgere un ruolo importante nello sviluppo della «Rete europea del patrimonio» (European Heritage Net).

4.2

Educazione e insegnamento superiore

Le attività della Divisione delle politiche linguistiche del Consiglio d'Europa sono di grande importanza per la Svizzera. Nell'ambito dell'indizione del terzo programma di lavoro del Centro europeo per le lingue vive 2008­2011 sono stati presentati anche progetti svizzeri. Molti docenti, provenienti principalmente dal settore delle alte scuole pedagogiche, hanno inoltre partecipato a seminari presso il Centro europeo per le lingue vive di Graz.

Nell'ambito del Portafoglio europeo delle lingue, all'inizio del 2008 l'ultima versione del Portafoglio svizzero delle lingue ha superato con successo la procedura di validazione del Consiglio d'Europa. Dopo il Portafoglio svizzero delle lingue III (15 anni e oltre ) nel 2001, il Portafoglio svizzero delle lingue II (11­15 anni, scuola obbligatoria) nel 2004, sarà introdotto ora anche il Portafoglio svizzero delle lingue I (7­11 anni) insieme a un «Portfolino» (a livello prescolastico). Dal 14 giugno 2007 i Portafogli delle lingue della scuola obbligatoria hanno una base legale nel concordato HarmoS (Accordo intercantonale sull'armonizzazione della scuola obbligatoria), il che contribuirà a un'attuazione più rapida e incisiva.

Inoltre la Conferenza svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazione (CDPE) ha partecipato nel novembre 2008 a un seminario dei Ministri dell'educazione dei Paesi membri del Consiglio d'Europa, organizzato dalla Germania, a Norimberga, sul tema della memoria dell'Olocausto.

Il Comitato direttivo dell'insegnamento superiore della ricerca (CDESR) ha tenuto nel 2008 la settima seduta plenaria e ha deciso di partecipare alle riflessioni sul ruolo delle scuole universitarie nel consolidamento della cultura democratica e del dialogo interculturale con il progetto «Università tra umanesimo e mercato». Nel periodo 2009­2011 saranno intraprese le relative attività, destinate a sfociare in raccomandazioni finali.

Il ruolo essenziale del comitato nello sviluppo del processo di Bologna si esprime attraverso attività intergovernative, bilaterali e regionali e mediante contributi attivi alla problematica del riconoscimento delle qualifiche e della responsabilità dei poteri pubblici per l'insegnamento superiore e la ricerca. Vanno menzionate anche le attività nell'ambito del coordinamento e dello scambio di esperienze in vista
dell'allestimento dei quadri nazionali di qualificazione, conformemente al quadro globale di qualificazione per lo spazio europeo. In questo ambito il CDESR prosegue anche la riflessione sul proprio ruolo nello sviluppo del processo di Bologna oltre il 2010.

5691

4.3

Giovani

I ministri della gioventù si sono riuniti il 10/11 ottobre 2008 a Kiev. La Delegazione svizzera era guidata dalla consigliera di Stato Rosmarie Widmer Gysel (Sciaffusa), rappresentante della Conferenza svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazione. I ministri hanno potuto discutere con rappresentanti del mondo giovanile problematiche concrete, come l'accesso alla formazione, constatando così la sincera preoccupazione dei giovani di partecipare al processo decisionale. Hanno inoltre concordato tre assi prioritari della politica per la gioventù del Consiglio d'Europa: diritti dell'uomo e democrazia, coesistenza in una società pluralistica e integrazione sociale dei giovani. È stata approvata un'Agenda sulla politica del Consiglio d'Europa fino al 2020. L'Agenda definisce le priorità della futura politica del Consiglio d'Europa in funzione di questi tre assi prioritari e propone misure di attuazione.

I ministri si impegnano a ispirarsi a questa dichiarazione nelle rispettive politiche nazionali.

4.4

Sport

Il 21 settembre 2007 il Consiglio federale ha deciso l'adesione della Svizzera, dal 1° gennaio 2008, all'Accordo parziale allargato sullo sport (EPAS) del Consiglio d'Europa90. Durante il primo anno di esistenza dell'EPAS si sono tenute numerose riunioni del «Comité de Direction» (responsabile dell'attuazione dei programmi dell'Accordo parziale allargato sullo sport) e del «Comité exécutif» (responsabile del budget) al fine di consolidare il ruolo e lo statuto dell'Accordo stesso. Si sono inoltre definite le priorità per il 2009, ossia l'autonomia e l'etica dello sport. Gli stessi temi sono stati trattati prioritariamente, insieme alla questione del doping, in occasione dell'undicesima Conferenza dei ministri dello sport, svoltasi ad Atene dal 10 al 12 dicembre 2008.

Il Comitato permanente incaricato dell'attuazione della Convenzione europea del 19 agosto 1985 sulla violenza e i disordini degli spettatori durante le manifestazioni sportive, ha concentrato le proprie attività sulla sicurezza durante il campionato d'Europa di calcio 2008, che si è svolto in Svizzera e in Austria. Nell'anno del rapporto, infatti, la sicurezza del campionato di calcio EURO 2008 in Svizzera e in Austria era al centro dell'attenzione. In occasione di questa manifestazione il Comitato permanente ha trattato questioni fondamentali di sicurezza e di cooperazione nei due Paesi, riunendosi nel 2007 a Zurigo e nel 2008 a Soletta. Entrambe le riunioni sono state organizzate dalla Svizzera. Con l'entrata in vigore nel 2007 delle basi legali delle misure di lotta contro la violenza in occasione di manifestazioni sportive, la Svizzera adempie le esigenze dell'accordo citato e, pur non essendo membro dell'UE, si situa al più alto livello europeo per quanto concerne la legislazione sulla lotta contro la violenza durante le manifestazioni sportive.

90

Alla fine del 2008 avevano aderito all'«Accordo parziale allargato sullo sport» (APAS) 27 Stati.

5692

Nell'ambito dei differenti gruppi di lavoro, la Svizzera ha contribuito allo sviluppo del «World Anti-Doping Programme». Gli standard elaborati dall'Agenzia mondiale anti-doping per i controlli, le eccezioni a scopo terapeutico e la protezione dei dati personali sono stati accolti in maniera critica da numerosi Paesi europei. Grazie ai lavori in seno al Consiglio d'Europa si sono potute sviluppare idee e proposte per migliorarli. La Svizzera intende intensificare il proprio impegno per la Convenzione europea contro il doping: specialisti della fondazione «Antidoping Schweiz», creata il 1° luglio 2008, rafforzeranno la rappresentanza della Confederazione nei gruppi di accompagnamento e nei diversi gruppi di lavoro.

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