08.060 Messaggio relativo all'iniziativa popolare «per il divieto di esportare materiale bellico» del 27 agosto 2008

Onorevoli presidenti e consiglieri con il presente messaggio vi sottoponiamo l'iniziativa popolare federale «per il divieto di esportare materiale bellico», invitandovi a sottoporla al voto di Popolo e Cantoni con la raccomandazione di respingerla.

Gradite, onorevoli presidenti e consiglieri, l'espressione della nostra alta considerazione.

27 agosto 2008

In nome del Consiglio federale svizzero: Il presidente della Confederazione, Pascal Couchepin La cancelliera della Confederazione, Corina Casanova

2006-2315

6609

Compendio Il 21 settembre 2007 il comitato di iniziativa «Bündnis gegen KriegsmaterialExporte» ha depositato l'iniziativa popolare federale «per il divieto di esportare materiale bellico» corredata di 109 224 firme valide.

L'iniziativa mira a vietare l'esportazione e il transito di materiale bellico, di beni militari speciali e dei pertinenti beni immateriali nonché la mediazione e il commercio degli stessi se il destinatario ha sede o domicilio all'estero. Una deroga a tale divieto è tuttavia sancita per le armi da sport e da caccia, per gli apparecchi destinati allo sminamento umanitario e per i beni che le autorità svizzere esportano solo temporaneamente. A titolo di disposizione transitoria, l'iniziativa prevede inoltre che durante un periodo massimo di dieci anni la Confederazione sostenga le regioni e gli impiegati colpiti dalle conseguenze di tali divieti. I promotori dell'iniziativa chiedono, infine, che la Confederazione sostenga e promuova gli sforzi internazionali nel settore del disarmo e del controllo degli armamenti.

La politica svizzera in materia di controllo delle esportazioni dei beni d'armamento, e in particolare del materiale bellico, è sempre stata oggetto di accesi dibattiti poiché vi è chi auspica un'ampia liberalizzazione delle esportazioni e chi invece il loro assoluto divieto. Vista l'eterogeneità degli interessi coinvolti, qualsiasi regolamentazione rappresenta dunque un esercizio di equilibrismo.

Il Consiglio federale è convinto che l'attuale politica di controllo delle esportazioni, decisamente restrittiva rispetto ad altri Stati, rappresenti una buona soluzione di compromesso. Le decisioni in materia di autorizzazioni sono prese tenendo conto, da un lato, degli obiettivi della politica estera elvetica, che sono la promozione della sicurezza e della pace nel mondo, la protezione dei diritti umani e la promozione del benessere e, dall'altro, degli interessi della sicurezza nazionale e dell'economia.

Accettare l'iniziativa popolare significherebbe precludere all'industria nazionale della difesa l'accesso ai mercati internazionali e dunque privarla della base vitale.

La chiusura delle imprese del settore metterebbe in discussione la stessa difesa nazionale. Per equipaggiarsi, l'esercito svizzero dipenderebbe da altri Stati per i quali, in una situazione di crisi,
le esigenze di uno Stato neutrale non sarebbero certo prioritarie. Se l'iniziativa popolare venisse accettata, le conseguenze economiche su scala nazionale sarebbero contenute, ma a livello regionale sarebbero pesanti vista la concentrazione delle imprese di tale settore in alcune aree. Particolarmente colpiti sarebbero l'Oberland bernese, le regioni di Emmen, Stans e Kreuzlingen e la stessa città di Zurigo. Le conseguenze occupazionali riguarderebbero 5100 persone in tutta la Svizzera, ma se si considerano le ripercussioni dei divieti sulla produzione e sul commercio di beni utilizzati a scopi civili, il loro numero potrebbe raddoppiare.

6610

Sostenere per un periodo di dieci anni i lavoratori colpiti dalle conseguenze dei divieti ­ così come chiesto nell'iniziativa ­ e nel contempo mettere in conto la diminuzione delle entrate fiscali e dei contributi versati alle assicurazioni sociali, significherebbe per la Confederazione farsi carico di costi per un importo di oltre mezzo miliardo di franchi. L'aiuto ai lavoratori, inoltre, non potrebbe essere immediato poiché nella fase decisiva successiva all'entrata in vigore dei divieti mancherebbe la necessaria base legale.

6611

Messaggio 1

Aspetti formali e validità dell'iniziativa

1.1

Testo dell'iniziativa

L'iniziativa popolare «per il divieto di esportare materiale bellico» ha il tenore seguente: I La Costituzione federale del 18 aprile 1999 è modificata come segue: Art. 107 cpv. 3 (nuovo) (La Confederazione) Sostiene e promuove gli sforzi internazionali nel settore del disarmo e del controllo degli armamenti.

3

Art. 107a (nuovo) Esportazione di materiale bellico e di beni militari speciali 1

Sono vietati l'esportazione e il transito dei beni seguenti: a.

materiale bellico, comprese le armi leggere e di piccolo calibro e le relative munizioni;

b.

beni militari speciali;

c.

beni immateriali, comprese le tecnologie, di importanza fondamentale per lo sviluppo, la produzione o l'utilizzazione di beni di cui alle lettere a e b, salvo che siano accessibili al pubblico o servano alla ricerca scientifica fondamentale.

Sono esclusi dal divieto di esportazione e di transito gli apparecchi per lo sminamento umanitario nonché le armi da sport e le armi da caccia incontestabilmente riconoscibili come tali e che in quella versione non siano anche armi da combattimento, e le relative munizioni.

2

È esclusa dal divieto l'esportazione di beni di cui al capoverso 1 da parte di autorità federali, cantonali o comunali sempre che i beni restino di loro proprietà e siano utilizzati da chi presta servizio per loro conto, e vengano successivamente reimportati.

3

4 La mediazione e il commercio di beni di cui ai capoversi 1 e 2 sono vietati se il destinatario ha sede o domicilio all'estero.

6612

II Le disposizioni transitorie della Costituzione federale sono modificate come segue: Art. 197 n. 8 (nuovo) 8. Disposizione transitoria dell'art. 107a (Esportazione di materiale bellico e di beni militari speciali) 1 La Confederazione sostiene, durante dieci anni dopo l'accettazione dell'iniziativa popolare federale «per il divieto di esportare materiale bellico» da parte del Popolo e dei Cantoni, le regioni e gli impiegati colpiti dalle conseguenze dei divieti di cui all'articolo 107a.

Dopo l'accettazione degli articoli 107 capoverso 3 e 107a da parte del Popolo e dei Cantoni non sono più rilasciate nuove autorizzazioni per le attività di cui all'articolo 107a.

2

1.2

Riuscita formale e termini di trattazione

L'iniziativa popolare « per il divieto di esportare materiale bellico» è stata sottoposta all'esame preliminare della Cancelleria federale il 13 giugno 20061. Il 21 settembre 2007 è stata depositata corredata delle firme necessarie.

Con decisione del 5 ottobre 2007 la Cancelleria federale ha accertato la riuscita formale dell'iniziativa con 109 224 firme valide2.

L'iniziativa è presentata sotto forma di progetto elaborato. Il nostro Consiglio non le oppone alcun controprogetto. Conformemente all'articolo 97 capoverso 1 lettera a della legge federale del 13 dicembre 20023 sull'Assemblea federale (LParl), il Consiglio federale è tenuto a presentare all'Assemblea federale un disegno di decreto federale con relativo messaggio entro il 21 settembre 2008. Conformemente all'articolo 100 LParl, l'Assemblea federale ha tempo fino al 21 marzo 2010 per decidere se raccomandare al Popolo e ai Cantoni di accettarla o di respingerla.

1.3

Validità

L'iniziativa soddisfa le condizioni di validità previste dall'articolo 139 capoverso 2 della Costituzione federale4 se:

1 2 3 4

a.

è formulata sotto forma di progetto elaborato e soddisfa le esigenze di unità della forma;

b.

tra i singoli elementi dell'iniziativa esiste un nesso materiale e pertanto soddisfa le esigenze di unità della materia;

FF 2006 5127 FF 2007 6565 RS 171.10 RS 101

6613

c.

non viola alcuna disposizione cogente del diritto internazionale e pertanto rispetta le esigenze di compatibilità con il diritto internazionale.

L'iniziativa va pertanto dichiarata valida.

2

Situazione iniziale

2.1

Origine dell'iniziativa

Il 14 febbraio 2006, dopo la pubblicazione da parte della Segreteria di Stato dell'economia (SECO) della statistica sulle esportazioni di materiale bellico nel 2005, il Gruppo per una Svizzera senza esercito (GSsE) ha ribadito pubblicamente la necessità di intervenire per introdurre il divieto generalizzato di esportare armi. Stando al GSsE, la statistica dimostra che la Svizzera fornisce armi a una moltitudine di Paesi impegnati nella cosiddetta «guerra contro il terrorismo», che le imprese elvetiche di armamento traggono vantaggio dal conflitto nel Vicino Oriente e che persino Paesi debolmente sviluppati sono destinatari delle forniture elvetiche.

È quindi stato costituito il comitato di iniziativa «Bündnis gegen KriegsmaterialExporte» che ha lanciato la presente iniziativa popolare.

2.2

Diritto vigente

Le attività oggetto dell'iniziativa riguardano due categorie di beni disciplinate da atti normativi diversi: il materiale bellico, al quale si applicano le disposizioni della legislazione sul materiale bellico, e i beni militari speciali, disciplinati dalla legislazione sul controllo dei beni a duplice impiego. L'entrata in vigore dell'acquis di Schengen, prevista per il 2008, avrà l'effetto di estendere il campo d'applicazione dell'iniziativa alla legislazione sulle armi. Per l'esportazione di determinate armi da fuoco e di parti essenziali delle stesse in uno Stato vincolato da un accordo di associazione alla normativa di Schengen, sarà necessaria una bolletta di scorta conformemente alla legislazione sulle armi. Tuttavia, se l'iniziativa venisse accettata, il documento in questione sarebbe necessario solo per determinate armi da caccia e da sport, in quanto per tutte le altri armi da fuoco contemplate dalla legge sulle armi5 farebbe stato il divieto di esportazione e di transito sancito nel testo dell'iniziativa.

2.2.1

Legislazione sul materiale bellico

2.2.1.1

Genesi e scopo

Una delle due categorie oggetto dell'iniziativa è quella del materiale bellico, disciplinata, come detto, dalla legge sul materiale bellico (LMB)6. Per materiale bellico si intendono armi, sistemi d'arma, munizioni ed esplosivi militari nonché attrezzature concepite o modificate specificatamente per il combattimento o per l'istruzione al combattimento e che di regola non vengono utilizzate per scopi civili. Sono conside-

5 6

RS 514.54 RS 514.51

6614

rati materiale bellico anche le componenti e gli assemblaggi. Nell'allegato 1 all'ordinanza sul materiale bellico (OMB)7 figura un elenco esaustivo di tale materiale.

La LMB è entrata in vigore il 1° aprile 1998, in risposta a due postulati approvati dal Consiglio nazionale nel 1990, con i quali il nostro Collegio era stato invitato a vagliare l'opportunità di estendere il campo d'applicazione della legge del 1972.

Dopo il deposito dell'iniziativa popolare «per un divieto di esportazione di materiale bellico» il 24 settembre 1992, il nostro Consiglio ha presentato la revisione totale delle legge come controprogetto indiretto all'iniziativa. In occasione della votazione popolare del 1997, il 77,5% dei votanti e tutti i Cantoni hanno bocciato l'iniziativa.

La LMB si prefigge di tutelare gli obblighi internazionali nonché i principi di politica estera della Svizzera mediante il controllo della fabbricazione e del trasferimento di materiale bellico e della relativa tecnologia e, nel medesimo tempo, di garantire il mantenimento di una capacità industriale adeguata alle esigenze della difesa nazionale (art. 1 LMB).

2.2.1.2

Autorizzazioni

Per raggiungere lo scopo sancito nella legge, il legislatore ha previsto l'obbligo di due autorizzazioni. La prima è un'autorizzazione di principio per la fabbricazione, il commercio e la mediazione di materiale bellico per destinatari all'estero ed ha lo scopo di garantire che queste attività non ledano gli interessi del Paese. La seconda è un'autorizzazione specifica per l'importazione, l'esportazione, il transito, la mediazione o il commercio di materiale bellico destinato all'estero. Un'autorizzazione è necessaria anche per la stipulazione di contratti relativi al trasferimento di beni immateriali, compreso il «know-how», o per il conferimento di diritti su tali beni.

Nei confronti degli Stati di cui all'allegato 2 OMB sono previste agevolazioni. Per la mediazione, il commercio e il trasferimento di tecnologie verso questi Paesi non è necessaria alcuna autorizzazione specifica. Viceversa, quest'ultima è sempre necessaria per l'esportazione di materiale bellico. Insieme alla Svizzera, i Paesi in questione hanno aderito ai quattro regimi internazionali di controllo delle esportazioni di beni sensibili sotto il profilo strategico: il Gruppo di fornitori di articoli nucleari (NSG), il Gruppo Australia (beni biologici e chimici), il Regime di controllo della tecnologia relativa ai missili (MTCR) e il Regime Wassenaar (per beni d'armamento convenzionali e beni che servono alla loro produzione). Nell'ambito di questi regimi di controllo, vincolanti solo sotto il profilo politico, gli Stati aderenti discutono e coordinano le rispettive prassi e si accordano sui beni da controllare.

La fabbricazione, le attività di mediazione, l'esportazione e il transito di materiale bellico per destinatari all'estero sono permessi se non violano il diritto internazionale pubblico, non ledono i principi della politica estera svizzera e gli impegni internazionali da essa contratti (art. 22 LMB). Inoltre non possono essere autorizzate esportazioni, se sono state ordinate misure coercitive conformemente alla legge sugli embarghi8. La decisione di rilasciare o meno un'autorizzazione per affari con l'estero, deve tenere conto, in eguale misura, dei criteri e degli interessi seguenti (art. 5 OMB):

7 8

RS 514.511 RS 946.231

6615

­

il mantenimento della pace, la sicurezza internazionale e la stabilità regionale;

­

la situazione all'interno del Paese destinatario, il rispetto dei diritti umani e la rinuncia all'impiego di bambini-soldato;

­

gli sforzi della Svizzera nell'ambito della cooperazione allo sviluppo;

­

il comportamento del Paese destinatario rispetto alla comunità internazionale, in particolare in relazione all'osservanza del diritto internazionale;

­

la posizione dei Paesi che partecipano con la Svizzera a regimi internazionali di controllo delle esportazioni.

La SECO decide delle domande di autorizzazione di principio, dopo aver sentito l'Ufficio federale di polizia. In merito alle domande di autorizzazione specifica, ad esempio per le esportazioni, decide d'intesa con il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), nonché, a dipendenza del contenuto della domanda, con il Dipartimento federale della difesa, della protezione della popolazione e dello sport (DDPS) o con l'Ufficio federale dell'energia. Se i servizi interessati non possono accordarsi sulla trattazione di una domanda, questa è sottoposta alla decisione del Consiglio federale. Quest'ultimo decide anche in merito a domande che sia in termini di politica estera che di politica di sicurezza hanno un certo peso.

Un'autorizzazione d'esportazione può essere rilasciata per forniture a un Governo estero o a un'azienda che agisce per suo conto, unicamente a condizione che tale Governo si impegni a non riesportare il materiale bellico mediante una dichiarazione di non riesportazione. Le forniture a servizi esteri non governativi possono essere autorizzate solo se il Paese destinatario finale ha autorizzato l'importazione o attesta che l'autorizzazione in questione non è necessaria.

A titolo di prestazione di servizio ­ non prevista dalla legge ­, l'Amministrazione esamina le richieste di parere preliminare presentate dalle imprese per determinare se sono conformi ai criteri di cui all'articolo 5 OMB. Le imprese hanno dunque modo di sondare le reali possibilità di vedere accolta una domanda, sebbene la risposta dell'autorità non sia giuridicamente vincolante.

2.2.2

Legislazione sul controllo dei beni a duplice impiego

I beni militari speciali, oggetto dell'iniziativa popolare insieme al materiale bellico propriamente detto, sono disciplinati nella legge sul controllo dei beni a duplice impiego (LBDI)9. Per beni militari speciali si intendono beni concepiti o modificati a fini militari, pur non essendo armi, munizioni, esplosivi, altri oggetti da combattimento o per l'istruzione al combattimento, come pure velivoli d'esercitazione con punti d'aggancio. Nell'allegato 3 all'ordinanza sul controllo dei beni a duplice impiego (OBDI)10 figura una lista esaustiva di tali beni. La legislazione sul controllo dei beni a duplice impiego si applica soltanto laddove non sia applicabile la legge sul materiale bellico e disciplina quindi unicamente i beni che non rientrano nella 9 10

Legge federale sul controllo dei beni utilizzabili a fini civili e militari e sui beni militari speciali (Legge sul controllo dei beni a duplice impiego, LBDI, RS 946.202).

Ordinanza sull'esportazione, l'importazione e il transito dei beni utilizzabili a fini civili e militari e dei beni militari speciali (Ordinanza sul controllo dei beni a duplice impiego, OBDI, RS 946.202.1).

6616

categoria «materiale bellico». Ne sono un esempio i velivoli d'esercitazione, i simulatori militari, i visori notturni, gli apparecchi di ripresa termica, le apparecchiature di crittografia e i velivoli teleguidati per la ricognizione. Alcuni beni militari speciali, ad esempio i visori notturni e le apparecchiature di crittografia, non sono destinati unicamente all'esercito, bensì sono utilizzati anche dalle forze di polizia, dal personale delle dogane o dai servizi di salvataggio privati.

Obiettivo della LBDI, in vigore dal 1° ottobre 1997, è consentire il controllo dei beni a duplice impiego e dei beni militari speciali rendendo possibile l'attuazione di accordi e di provvedimenti internazionali, in particolare delle decisioni adottate in virtù della Convenzione sulle armi chimiche e dei quattro regimi internazionali di controllo delle esportazioni, nonché di eventuali misure di embargo. I beni militari speciali sono quelli che figurano nell'elenco delle munizioni (Munitions List) del Regime Wassenaar, fatta eccezione per i beni che la Svizzera considera materiale bellico.

L'esportazione di beni militari speciali è soggetta ad autorizzazione. L'autorizzazione è rifiutata se (art. 6 LBDI): ­

l'attività prevista contravviene ad accordi internazionali o a misure di controllo internazionali non obbligatorie dal profilo del diritto internazionale ma sostenute dalla Svizzera;

­

sono state ordinate misure coercitive conformemente alla legge sugli embarghi;

­

vi è motivo di ritenere che l'attività prevista è destinata a sostenere cerchie terroristiche o il crimine organizzato;

­

le Nazioni Unite o Stati che con la Svizzera partecipano a misure internazionali di controllo delle esportazioni, come pure i principali partner commerciali della Svizzera, vietano l'esportazione di tali beni.

Questi criteri sono concretizzati nell'articolo 6 OBDI.

Sulle domande di esportazione di importanza fondamentale, in particolare dal profilo politico, decide la SECO d'intesa con i servizi competenti del DFAE, del DDPS e del Dipartimento federale dell'ambiente, dei trasporti, dell'energia e delle comunicazioni (DATEC), dopo aver sentito il Dipartimento federale di giustizia e polizia (DFGP). Se non è possibile giungere a un accordo, cosa che fino ad oggi non si è mai verificata, decide il Consiglio federale su proposta del Dipartimento federale dell'economia (DFE).

2.3

Interventi parlamentari e progetti in corso

Dall'entrata in vigore della LMB sono stati depositati diversi interventi parlamentari favorevoli ad una normativa più rigida sul materiale bellico. Nella primavera del 2007, il Consiglio nazionale ha deciso di non dare seguito a due iniziative parlamentari sull'argomento11. In passato l'autorizzazione di singole domande d'esportazione ha condotto a più riprese alla presentazione di interventi parlamentari con i quali si 11

05.433 Iv. Pa. Gruppo dei Verdi del 22 settembre 2005: Inasprimento della legge federale sul materiale bellico e 05.434 Iv. Pa. Gruppo socialista del 28 settembre 2005: Rafforzamento della legge sul materiale bellico e dell'ordinanza sul materiale bellico.

6617

chiedeva di vietare l'esportazione di materiale bellico verso determinati Paesi e, in alcuni casi, di introdurre un divieto generale di esportazione12.

La prassi seguita dal nostro Consiglio è stata criticata in particolare dopo le decisioni del 29 giugno 2005 riguardanti le esportazioni di materiale bellico verso l'Iraq, l'India, il Pakistan e la Corea del Sud. Ne è seguita la richiesta all'indirizzo della Commissione della gestione del Consiglio nazionale di verificare la legittimità delle decisioni che avevano fatto tanto discutere. Nel rapporto del 7 novembre 200613 la Commissione è giunta alla conclusione che il nostro Collegio non ha violato alcuna disposizione legale, ma ha applicato in modo non equo i vari elementi di valutazione. Siamo dunque stati invitati, tra l'altro, a precisare i criteri per il rilascio delle autorizzazioni di esportazione e a riservare maggiore attenzione alla situazione dei diritti dell'uomo nel Paese esaminato.

Se confrontata a quella dei Paesi membri dell'UE, la prassi del nostro Paese in materia di rispetto della situazione dei diritti umani può definirsi equilibrata. Per questo, nel parere del 21 febbraio 200714 il nostro Collegio l'ha difesa ed ha ribadito la propria volontà di continuare ad applicarla. Nel contempo, in vista della revisione dell'OMB, avevamo preannunciato l'istituzione di un gruppo di lavoro interdipartimentale incaricato di precisare i criteri per il rilascio delle autorizzazioni. Il 20 febbraio 2008, preso atto del rapporto stilato dal gruppo di lavoro, abbiamo incaricato il DFE di elaborare un progetto per la precisazione dell'articolo 5 OMB. La precisazione in questione può consistere nella definizione di criteri di esclusione nonché nella determinazione, a complemento delle disposizioni in vigore, dei casi in cui il rilascio di un'autorizzazione non è mai possibile. In questo caso le autorità non avrebbero alcun potere decisionale in merito alle conseguenze giuridiche.

Altro tema molto sentito anche dal Parlamento e dall'opinione pubblica, soprattutto dopo quanto avvenuto in Ciad, è quello dei beni militari speciali. Un aereo militare d'esercitazione, esportato dalla Svizzera in Ciad nel 2006, era stato utilizzato per operazioni militari, in aperta violazione della dichiarazione di utilizzazione finale sottoscritta dal Governo di quel
Paese. A seguito di questa violazione, il nostro Collegio ha deciso, nell'aprile del 2008, di adottare sanzioni nei confronti dei rappresentanti di quel Governo. Inoltre, per impedire il ripetersi di tali abusi, ha deciso di sottoporre alle vostre Camere un disegno di modifica dei criteri di autorizzazione sanciti nella LBDI.

12

13 14

Ad esempio: 06.3881 Mo. Müller Geri del 20 dicembre 2006: Fermare immediatamente le esportazioni di materiale bellico in Arabia Saudita, Pakistan e India; 05.3877 Mo.

Gysin Remo del 16 dicembre 2005: Nessuna esportazione di materiale bellico verso gli Stati Uniti; 05.3513 Mo. Gruppo socialista del 28 settembre 2005; Sospendere le esportazioni di materiale bellico verso il Vicino Oriente.

FF 2007 1937 FF 2007 1957

6618

3

Scopi e tenore dell'iniziativa

3.1

Scopi dell'iniziativa

Con la presente iniziativa il comitato che l'ha promossa intende porre fine a quello che definisce «il commercio della morte». Vietando le esportazioni di armi, la Svizzera ridarebbe credibilità al proprio impegno umanitario e trasmetterebbe contemporaneamente un segnale forte a favore della pace nel mondo.

Il comitato d'iniziativa sostiene infine che l'economia svizzera non è dipendente dalle esportazioni di armi e che occorre pertanto incentivare la riconversione dell'industria degli armamenti.

3.2

Contenuto della normativa proposta

L'iniziativa persegue i quattro obiettivi seguenti: ­

promuovere gli sforzi internazionali nel settore del disarmo e del controllo degli armamenti;

­

vietare l'esportazione e il transito di materiale bellico, di beni militari speciali e dei pertinenti beni immateriali;

­

vietare la mediazione e il commercio di beni con destinatari aventi sede o domicilio all'estero;

­

obbligare la Confederazione a sostenere durante dieci anni le regioni e gli impiegati colpiti dalle conseguenze dei divieti.

3.3

Commento al testo dell'iniziativa

3.3.1

Promozione degli sforzi internazionali nel settore del disarmo e del controllo degli armamenti

I promotori dell'iniziativa chiedono che la Confederazione sostenga e promuova gli sforzi internazionali nel settore del disarmo e del controllo degli armamenti.

Il comitato d'iniziativa sottolinea il tenore positivo dell'articolo proposto il quale non persegue in alcun modo obiettivi isolazionistici bensì mira a riorientare la politica estera svizzera nel senso di un maggiore impegno a favore della pace.

La richiesta rivolta alla Confederazione è formulata in termini generici tanto che né le modalità né la misura del sostegno e della promozione chiesti sono definite in dettaglio. L'impegno che si chiede alla Confederazione corrisponde in sostanza a uno degli obiettivi di politica estera che la Svizzera persegue da sempre (cfr. Rapporto sulla politica estera, 200715, in particolare n. 3.5).

15

FF 2007 5087

6619

3.3.2

Divieto di esportazione e di transito di materiale bellico, beni militari speciali e pertinenti beni immateriali

Con l'iniziativa si chiede un divieto generale di esportare e lasciar transitare materiale bellico, beni militari speciali e pertinenti beni immateriali.

Il comitato d'iniziativa ritiene che solamente un divieto totale di esportare beni militari possa impedire che armi svizzere siano impiegate in un conflitto bellico.

Una prassi più restrittiva non è sufficiente a garantire che le esportazioni non abbiano risvolti problematici.

Dal divieto sono esclusi gli apparecchi per lo sminamento umanitario affinché ­ come spiegano i promotori dell'iniziativa ­ l'impegno svizzero in questo ambito non sia ostacolato, come pure le armi da caccia e da sport incontestabilmente riconoscibili come tali e che in quella versione non siano anche armi da combattimento, e le relative munizioni. Il divieto non riguarda neppure le esportazioni temporanee da parte di autorità federali, cantonali o comunali sempreché le armi restino di loro proprietà e siano utilizzate da chi presta servizio per loro conto.

Se l'iniziativa venisse accettata, il divieto entrerebbe immediatamente in vigore poiché si tratta di una disposizione applicabile direttamente. Ciò emerge anche dalla disposizione transitoria proposta secondo cui, dopo l'accettazione dell'iniziativa, non verrebbero più rilasciate nuove autorizzazioni.

3.3.3

Divieto di mediazione e di commercio di beni con destinatari aventi sede o domicilio all'estero

Oltre all'esportazione e al transito di materiale bellico, l'iniziativa chiede di vietare anche la mediazione e il commercio di tale materiale e di beni militari speciali se il destinatario ha sede o domicilio all'estero.

Per mediazione si intende ai sensi della LMB e della LBDI la creazione delle condizioni necessarie alla conclusione di contratti o la conclusione di contratti qualora le prestazioni siano fornite da terzi.

Anche questo divieto entrerebbe immediatamente in vigore se l'iniziativa venisse accettata, poiché si tratta di una disposizione applicabile direttamente.

3.3.4

Obbligo di sostegno da parte della Confederazione

L'iniziativa chiede l'introduzione di una disposizione transitoria che obblighi la Confederazione a sostenere durante dieci anni le regioni e gli impiegati colpiti dalle conseguenze dei divieti. Scopo di questa misura collaterale a tempo determinato è di compensare le conseguenze economiche ed occupazionali dei divieti.

Il testo dell'iniziativa non precisa tuttavia quale forma debba assumere questo sostegno. Verosimilmente dovrebbe trattarsi innanzitutto di un aiuto finanziario. La disposizione non è direttamente applicabile bensì richiede un intervento legislativo.

6620

4

Valutazione dell'iniziativa

4.1

Oggetto dell'iniziativa

4.1.1

Il contributo svizzero al disarmo e al controllo degli armamenti

Il rafforzamento dei controlli internazionali nel settore degli armamenti è uno dei pilastri centrali dell'attuale politica svizzera di sicurezza la quale persegue l'obiettivo della sicurezza nazionale e internazionale al livello più basso possibile di armamento. Il nostro Paese promuove regimi per il controllo degli armamenti e per il disarmo non discriminatori e verificabili, ratifica gli accordi multilaterali aperti alla sua firma, partecipa al Regime Wassenaar, ovvero all'intesa informale sul trasferimento di beni d'armamento e di beni a duplice impiego, e collabora attivamente con l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) all'elaborazione di misure volte a rafforzare la fiducia e la sicurezza.

In linea con il suo impegno umanitario, la Svizzera si adopera per il divieto totale delle mine antiuomo. Nel 1998 è stata uno dei primi Stati a ratificare la Convenzione sul divieto dell'impiego, del deposito, della fabbricazione e del trasferimento delle mine antiuomo e sulla loro distruzione (Convenzione di Ottawa del 1997) ed è anche uno dei primi Paesi ad aver partecipato al processo internazionale per il bando delle munizioni a grappolo (Dichiarazione di Oslo del 2007). Nel maggio 2008 a Dublino ha contribuito attivamente all'elaborazione di un accordo in materia.

La Svizzera è altresì uno dei Paesi più attivi nella lotta contro il commercio illegale delle armi di piccolo calibro. Sin dall'inizio, si è adoperata per richiamare l'attenzione sui pericoli per la sicurezza umana di una diffusione incontrollata di tali armi e per arrivare alla creazione di uno strumento delle Nazioni Unite in grado di garantirne l'identificazione e la tracciabilità. A tal fine, l'Assemblea generale dell'ONU ha deciso, nel 2003, di istituire un gruppo di lavoro. Guidati da una direzione svizzera, gli esperti hanno elaborato uno strumento internazionale per l'identificazione e la tracciabilità delle armi leggere e di piccolo calibro illegali (noto anche come Marking und Tracing Instrument), adottato dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite l'8 dicembre 2005.

Il 12 maggio 2006 la Svizzera ha ratificato il Protocollo relativo ai residuati bellici esplosivi, approvato alla fine del 2003, ovvero il Protocollo V allegato alla Convenzione del 10 ottobre 1980 sul divieto o la limitazione dell'impiego
di talune armi classiche che possono essere ritenute capaci di causare effetti traumatici eccessivi o di colpire in modo indiscriminato. Affinché al termine di un conflitto, la sicurezza della popolazione civile e la ricostruzione di un Paese non siano compromesse dalla presenza sul territorio di munizioni sparate ma non esplose, il Protocollo prevede tutta una serie di obblighi fra cui quello di bonifica.

Nel giugno del 2006, il governo svizzero ha organizzato a Ginevra, in collaborazione con il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP), una conferenza ministeriale sulla violenza armata e lo sviluppo. Al termine, 42 Stati hanno accolto la Geneva Declaration on Armed Violence and Development e si sono impegnati ad adottare misure per contrastare la violenza armata, il cui impatto sullo sviluppo economico e umano di molti Paesi risulta drammatico. Quest'estate (2008) i Paesi firmatari della Convenzione erano già una novantina e ad essi dovrebbero presto aggiungersene degli altri. La Svizzera coordina altresì il gruppo incaricato di elaborare le misure concrete per l'attuazione della Dichiarazione. La messa a punto del 6621

piano d'azione si è conclusa nel giugno del 2007. Sono inoltre stati organizzati incontri regionali per dare voce ai problemi di altri Paesi e per incoraggiarli ad impegnarsi attivamente. I risultati raggiunti sul fronte dell'attuazione della Dichiarazione di Ginevra e delle dichiarazioni regionali sulla violenza armata e lo sviluppo saranno analizzati nel corso del prossimo vertice ministeriale che si terrà a Ginevra in settembre (2008). Per il momento, la Dichiarazione di Ginevra è l'accordo multilaterale più completo per quanto pertiene ai nessi tra violenza armata e sviluppo umano.

Anche per la Svizzera è importante che il commercio internazionale di armi convenzionali sia sottoposto a controlli più severi e che, a tal fine, siano emanate e applicate direttive vincolanti per tutti gli Stati. Per questa ragione, il nostro Paese si impegna per un accordo internazionale sul commercio di armi (Arms Trade Treaty, ATT) il quale, nel fissare regole vincolanti, introduca controlli più severi del commercio mondiale di armi convenzionali. La proposta, originariamente britannica, è stata approvata dall'Assemblea generale dell'ONU nell'autunno 2006 sotto forma di risoluzione (Towards an Arms Trade Treaty) con 139 voti a favore, 1 contrario e 24 astensioni. Nel corso di tre sessioni protrattesi sino all'estate 2008, un gruppo di esperti governativi ONU, costituito da rappresentati di 28 Paesi fra cui anche la Svizzera, ha analizzato la fattibilità, i parametri e il campo d'applicazione di un tale accordo e presenterà all'Assemblea generale un rapporto entro la fine del 2008.

Tutto ciò dimostra come la Svizzera sia molto attiva a livello regionale e internazionale nel settore del disarmo e del controllo degli armamenti. È sua intenzione continuare in questa direzione imperniando la propria politica estera sugli obiettivi illustrati.

4.1.2

Divieto di esportazione e di transito di beni d'armamento

4.1.2.1

Politica e prassi svizzera in materia di controllo delle esportazioni

Le situazioni prodottesi nel passato hanno dimostrato la capacità del Consiglio federale e dell'Amministrazione di reagire in modo flessibile agli eventi ma anche la loro determinazione nell'incoraggiare e potenziare con misure e strumenti vari i controlli riguardanti in particolare le esportazioni di materiale bellico. Ne è scaturita, nel tempo, una prassi che va ben al di là degli obiettivi minimi sanciti nelle disposizioni legali.

Un esempio è dato dall'inasprimento delle condizioni riguardanti le dichiarazioni di non riesportazione deciso dopo aver avuto notizia, nel 2005, della riesportazione verso il Marocco e senza il consenso del nostro Paese, di obici blindati (materiale bellico in esubero dell'esercito svizzero), originariamente esportati negli Emirati Arabi Uniti. Il 10 marzo 2006 il nostro Collegio ha stabilito la procedura da seguire per il materiale bellico in esubero ed ha precisato la prassi da seguire per le dichiarazioni di non riesportazione.

Nei casi di una certa importanza, le dichiarazioni anzidette devono essere accompagnate da una nota del Governo del Paese destinatario. Se sussistono dubbi riguardanti il rispetto della dichiarazione, è fatto salvo il diritto di procedere ad ispezioni nel luogo di destinazione (post-shipment inspections).

6622

Nel 2005, dopo la distensione nel conflitto del Kashmir, la Svizzera è stata uno degli ultimi Paesi europei ad autorizzare nuovamente l'esportazione di materiale bellico verso l'India e il Pakistan. Tuttavia, le sole esportazioni autorizzate dalla Svizzera verso il Pakistan riguardano i sistemi di difesa antiaerea, ovvero armi difensive che non possono essere impiegate contro la popolazione civile. Alla fine del 2007, a fronte del peggioramento della situazione politica interna pakistana, abbiamo decretato la sospensione delle autorizzazioni d'esportazione. Oltre a congelare le domande presentate, la Svizzera è stata l'unico Paese europeo a sospendere anche le autorizzazioni già rilasciate. A nostro avviso, dopo la dichiarazione dello stato d'emergenza da parte del presidente dello Stato a inizio novembre 2007, la sospensione della Costituzione, la destituzione del presidente della Corte suprema e l'interruzione delle trasmissioni dei canali televisivi privati, il funzionamento di importanti strumenti di controllo propri di uno Stato di diritto non era più garantito.

Il rischio che la situazione potesse degenerare e le violazioni dei diritti umani aumentare era concreto. Solo dopo le elezioni nel febbraio di quest'anno (2008), la formazione del nuovo governo a inizio marzo e la successiva distensione della situazione, il nostro Consiglio ha deciso, il 2 aprile, di ripristinare le autorizzazioni.

A differenza di numerosi altri Paesi europei la Svizzera è piuttosto restia, ad esempio, anche ad autorizzare affari riguardanti materiale bellico con la Turchia. Le autorizzazioni riguardano unicamente la fornitura di sistemi di difesa antiaerea o di armi individuali a diplomatici. Una prassi analoga è applicata ad alcuni Stati sudamericani nei confronti dei quali il nostro Paese non autorizza nessuna esportazione, visto il rischio relativamente elevato di una ridistribuzione incontrollata delle armi a destinatari indesiderati.

Alle forniture verso i Paesi del Vicino Oriente la Svizzera applica una prassi sostanzialmente restrittiva. Le esportazioni di materiale bellico verso Israele non sono autorizzate, salvo se si tratta di esportazioni temporanee per il trattamento intermedio. Nessuna autorizzazione d'esportazione è rilasciata per l'Iraq. Tuttavia, non è possibile escludere che beni d'armamento
svizzeri siano utilizzati da Stati impegnati in una missione in territorio iracheno. Impieghi di questo tipo non violano le disposizioni riguardanti le dichiarazioni di non riesportazione che escludono qualunque trasferimento a terzi. Non vi è inoltre alcuna possibilità di impedire a eserciti stranieri di impiegare all'estero beni d'armamento svizzeri. Negli ultimi anni il nostro Paese ha autorizzato diverse esportazioni di materiale bellico verso Stati che ne hanno fatto uso nell'ambito di missioni decise mediante risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU. Basti ricordare, a titolo d'esempio, le missioni in Afghanistan e, per l'appunto, in Iraq.

4.1.2.2

Dati statistici

Nel 2007 la Svizzera ha esportato materiale bellico per un totale di 464,5 milioni di franchi. Si tratta di una quota pari allo 0,24 per cento del totale delle merci svizzere esportate. Nello stesso arco di tempo, sono state presentate 2462 domande d'autorizzazione per esportazioni; 2457 sono state approvate (per un valore di 1,8 miliardi di franchi), 5 respinte. Il numero relativamente contenuto di domande respinte è dovuto al fatto che le imprese conoscono la prassi elvetica in materia di autorizzazioni e che, grazie a contatti informali o a richieste di parere preliminare, hanno modo di sondare le possibilità concrete che la loro domanda venga accolta. Nel 2007 la 6623

SECO ha ricevuto 49 richieste di parere preliminare. Sedici di queste, riguardanti esportazioni verso 15 Stati diversi, hanno ottenuto parere negativo. Nella maggior parte dei casi il parere negativo è determinato dalle violazioni dei diritti umani che si registrano nei Paesi destinatari.

Per i beni militari speciali, che sottostanno a una prassi di controllo delle esportazioni meno restrittiva, non disponiamo di dati completi e ufficiali né per quanto attiene alle esportazioni effettive né ai valori indicati nelle autorizzazioni. Alla dogana le esportazioni di questi beni non sono registrate sulla base di una chiave statistica, ragione per cui non è possibile elaborare una statistica specifica. Inoltre, per alcuni Stati destinatari è possibile chiedere il rilascio di un permesso generale d'esportazione ordinario che vale per le esportazioni verso tali Paesi durante un certo periodo di tempo. Da alcuni anni, i dati riguardanti le esportazioni delle imprese che hanno ottenuto un permesso di questo tipo sono raccolti sulla base di indagini presso tali imprese. I dati disponibili sono dunque, da un lato, il valore delle merci per le quali sono stati rilasciati permessi individuali e, dall'altro, il valore delle esportazioni effettuate grazie ai permessi generali d'esportazione. Nel 2007 sono stati rilasciati permessi individuali d'esportazione per circa 388 milioni di franchi e, grazie a permessi generali d'esportazione, sono stati esportati beni militari speciali per circa 105 milioni.

L'esperienza nel settore del materiale bellico dimostra che sulla base dei permessi individuali rilasciati non è possibile quantificare esattamente le esportazioni effettuate. Spesso, infatti, un permesso d'esportazione è chiesto già nella fase di negoziazione contrattuale, senza alcuna garanzia che l'affare venga effettivamente concluso.

Accade anche che i beni per i quali è stato ottenuto il permesso d'esportazione varchino il confine solo l'anno successivo. I confronti statistici riportati qui di seguito si riferiscono pertanto prevalentemente al settore del materiale bellico.

Di norma, le statistiche comparative internazionali pubblicate da istituti specializzati forniscono poche indicazioni significative. Da un lato, le categorie di armi prese in considerazione non sono sempre identiche; dall'altro, le stime,
la metodologia e i parametri comparativi applicati possono variare notevolmente. Indicazioni quantitative sulle esportazioni mondiali di armamenti figurano nelle pubblicazioni dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI). Si tratta di stime che possono essere reputate valide in quanto le esportazioni svizzere, che vi figurano esplicitamente, sono sottoposte allo stesso metodo di valutazione applicato alle esportazioni mondiali.

La quota degli armamenti esportati dal nostro Paese rappresenta meno dell'1 per cento degli scambi mondiali.

La Svizzera nel raffronto internazionale (in milioni di dollari)

Esportazioni globali di armamenti Esportazioni svizzere di armamenti Quota svizzera in %

2002

2003

2004

2005

37 716

43 037

39 704

45 628

308

345

214

317

0,82

0,81

0,54

0,70

Fonte: SIPRI Yearbook 2008, Table 7B.1., pag. 327

6624

Un'altra fonte di dati è rappresentata dai rapporti pubblicati dallo statunitense Congressional Research Service (CRS). Il CRS stima pari a 27 miliardi di dollari il totale delle esportazioni mondiali di armi nel 200616. La quota svizzera non vi figura poiché il nostro Paese non è fra gli undici più importanti esportatori d'armi al mondo. Risulta pertanto difficile determinare la proporzione delle esportazioni svizzere sul volume mondiale complessivo. Interessanti invece sono le considerazioni del CRS sul volume delle forniture internazionali di armi convenzionali ai Paesi in sviluppo («developing nations»). Secondo la definizione del CRS, sono da ritenersi in sviluppo tutti i Paesi tranne la Russia, il Giappone, l'Australia, la Nuova Zelanda, il Canada, gli Stati Uniti e gli Stati europei.

Quota delle esportazioni di armi convenzionali verso i Paesi in sviluppo (in per cento)

Esportazioni globali1 Esportazioni svizzere2

2003

2004

2005

2006

59,1 22,2

64,6 28,2

69,9 12,7

73,6 15,0

Fonti: 1 CRS Report for Congress, Conventional Arms Transfers to Developing Nations 2 Segreteria di Stato dell'economia SECO

Negli anni 2003­2006 oltre la metà delle esportazioni globali di armi convenzionali era destinata a Paesi in sviluppo. La quota svizzera invece è molto più bassa. Nel 2006 ammontava al 15 per cento delle esportazioni nazionali di materiale bellico. I dati riportati potrebbero tuttavia indurre a pensare che la Svizzera destini buona parte delle proprie esportazioni ai Paesi in sviluppo. Questa impressione distorta deriva dalla definizione molto ampia che la CRS dà di Paese in sviluppo e che ingloba persino Stati quali Singapore e gli Emirati Arabi Uniti. Il quadro cambia infatti completamente se si applica alla statistica svizzera delle esportazioni di materiale bellico la classificazione degli Stati della Banca mondiale del luglio 200817 che distingue tra Paesi a reddito basso, medio basso, medio alto o alto (Low income, Lower middle income, Upper middle income e High income).

Esportazioni svizzere di materiale bellico suddivise secondo le categorie di reddito dei Paesi destinatari (in per cento)

Reddito basso Reddito medio basso Reddito medio alto Reddito alto

2004

2005

2006

2007

0,00 1,25 18,91 79,84

0,02 1,18 8,43 90,37

0,01 1,63 11,62 86,74

8,04 0,72 6,94 84,30

Fonte: Segreteria di Stato dell'economia SECO

16 17

CRS Report for Congress, Conventional Arms Transfers to Developing Nations 1999­2006, pag. 4.

World Bank list of economies (July 2008), www.worldbank.org.

6625

La maggior parte dei Paesi della categoria «a reddito basso» figura anche nell'elenco dei Paesi considerati meno avanzati (Least Developed Countries, LDC) in base a una serie di criteri sanciti dall'ONU. La quota relativamente elevata delle esportazioni del 2007 verso Paesi appartenenti a questa categoria è riconducibile alla fornitura di sistemi di difesa antiaerea al Pakistan (cfr. n. 4.1.2.1), Paese che, tuttavia, non rientra nella categoria dei Paesi meno avanzati.

Il principale mercato d'esportazione dell'industria degli armamenti svizzera è l'Europa. La percentuale di esportazioni verso Paesi a reddito alto è dunque piuttosto elevata. Circa tre quarti del valore complessivo delle esportazioni di materiale bellico è destinato a Paesi europei. Ai Paesi meno sviluppati del mondo, invece, la Svizzera non fornisce, di norma, materiale bellico. Eccezioni sono tuttavia possibili per singole armi a uso personale o sportivo. Ne sono un esempio le autorizzazioni per imprese o privati per armi da destinare alla protezione personale.

La prassi svizzera in materia di autorizzazioni nei confronti di determinati Paesi è comparabile a quella dei Paesi membri dell'Unione europea poiché anch'essi procedono ai controlli delle esportazioni basandosi sulla Munitions list del Regime Wassenaar. Ad un confronto significativo si prestano, ad esempio, le cifre riguardanti quei Paesi destinatari che, negli ultimi anni, hanno suscitato in Svizzera accesi dibattiti e per i quali è stata necessaria una decisione di autorizzazione ad hoc del Consiglio federale. Tali decisioni sono regolarmente oggetto di interventi parlamentari.

Esportazioni di armamenti autorizzate dalla Svizzera nel 2006 verso alcuni Paesi, rapportate al valore delle autorizzazioni d'esportazione rilasciate da alcuni Paesi membri dell'UE Svizzera Germania in milioni, arrotondati

India Pakistan Corea del Sud* Turchia* Israele Egitto Arabia Saudita Emirati Arabi Uniti *

Austria

Francia

Italia

Belgio

Paesi Bassi

Svezia

CHF

EUR

EUR

EUR

EUR

EUR

EUR

EUR

6,1 151,3 <0,1 4,3 0,3 2,5 10,8 128,5

107,9 134,7 161,8 311,7 19,6 16,3 56,9 93,9

0,5 5,1 0,4 0,4 0,5 <0,1 5,1 1,4

407,4 217,9 628,9 255,9 89,1 164,1 936,4 2010,5

27,0 22,9 73,6 17,9 1,0 4,3 0,6 338,2

6,4 9,7 1,4 10,0 0,5 <0,1 173,6 18,5

5,3 5,8 3,9 43,7 0,4 0,3 <0,1 1,9

23,8 902,7 3,3 ­ ­ 1,3 0,4 4,6

Le cifre svizzere comprendono il valore delle esportazioni di materiale bellico autorizzate e le esportazioni effettive di beni militari speciali (per i quali è prevista la possibilità di un permesso generale d'esportazione).

Fonti: Svizzera: Paesi dell'UE:

Segreteria di Stato dell'economia SECO Gazzetta ufficiale dell'Unione europea C 253 del 26.10.2007

I valori riguardanti la Svizzera includono sia le autorizzazioni d'esportazione per materiale bellico sia i permessi individuali per l'esportazione di beni militari speciali. Un confronto appare sensato con i valori dei Paesi che hanno un'industria degli 6626

armamenti simile alla nostra, ovvero con il Belgio e i Paesi Bassi. Il caso della Svezia è interessante soprattutto perché anch'essa non ha aderito ad alcuna alleanza militare. Il suo esercito è piuttosto grande se paragonato alla superficie territoriale del Paese, ed ha bisogno di risorse materiali importanti per garantire la sicurezza nazionale. Ciò spiega un'industria nazionale degli armamenti molto forte e, di conseguenza, la percentuale molto elevata di esportazioni. Anche la Svizzera vanta un'industria degli armamenti piuttosto importante se si considerano le dimensioni del Paese o la si paragona per esempio all'Austria. Il portafoglio dei suoi prodotti, tuttavia, è piuttosto limitato. Ciò ha però aumentato il livello di specializzazione delle singole imprese i cui prodotti oggi sono richiesti in tutto il mondo.

4.2

Ripercussioni in caso di accettazione

La politica svizzera in materia di controllo delle esportazioni dei beni d'armamento e in particolare del materiale bellico è sempre stata oggetto di accesi dibattiti poiché vi è chi auspica un'ampia liberalizzazione delle esportazioni e chi invece il loro assoluto divieto. Qualsiasi regolamentazione rappresenta dunque un esercizio di equilibrismo vista l'eterogeneità degli interessi coinvolti. In base a considerazioni di carattere etico e umanitario, le esportazioni di beni d'armamento andrebbero notevolmente limitate, poiché nessun meccanismo di controllo, per quanto efficace, può garantire che essi non vengano utilizzati nell'ambito di un conflitto. La politica estera svizzera si prefigge di promuovere la sicurezza e la pace nel mondo, di proteggere i diritti umani e di promuovere il benessere, e di questi obiettivi la politica svizzera in materia di esportazione dei beni d'armamento deve tenere debitamente conto. Tuttavia, non si possono ignorare le necessità legate alla difesa nazionale e dunque alla nostra sicurezza e queste richiedono un minimo di armamenti. Non vanno altresì dimenticati gli interessi della nostra economia: le imprese d'armamento offrono impieghi, sviluppano esperienze e conoscenze nel settore delle tecnologie di punta e partecipano alla ricerca. Ogni soluzione deve tener conto di questi aspetti e fornire un compromesso fra tutti gli interessi coinvolti. A nostro avviso, la LMB e la LBDI tengono conto in modo equilibrato di questi interessi a volte divergenti.

4.2.1

Ripercussioni sulla sicurezza nazionale

L'esistenza di un'industria nazionale della difesa è importante per la sicurezza interna. Nel caso di gravi crisi politico-militari o addirittura di una guerra ­ ovvero di situazioni in cui è essenziale che l'esercito sia ben armato ed equipaggiato ­ le forniture di beni d'armamento dall'estero non sarebbero più garantite. Le imprese d'armamento estere dovrebbero soddisfare innanzitutto le esigenze nazionali e dei Paesi alleati e, comprensibilmente, metterebbero in secondo piano le necessità di uno Stato neutrale.

Questa constatazione indurrebbe a proporre come soluzione del problema l'autarchia militare. Piccoli Stati come la Svizzera l'hanno tuttavia sempre scartata poiché il mercato interno è troppo piccolo per una produzione redditizia. Nel frattempo, quasi tutti gli Stati vi hanno rinunciato. Anche dunque senza ambire a tale obiettivo, un'industria militare autoctona permette di rafforzare la sicurezza nazionale.

6627

Maggiore è il grado di autosufficienza, minore, in una situazione di crisi, è il grado di dipendenza di un Paese dalle imprese estere. L'esistenza di un'industria nazionale della difesa, inoltre, aumenta la libertà d'azione poiché, in una certa misura, sostituisce una dipendenza unilaterale con una dipendenza plurilaterale.

Proprio su queste considerazioni si basa il passaggio dell'articolo 1 LMB secondo cui in Svizzera deve poter essere mantenuta una capacità industriale adeguata alle esigenze della difesa nazionale.

Queste riflessioni assumono un'importanza ancora maggiore a fronte del passaggio al «concetto di potenziamento» reso necessario dallo stato delle risorse e divenuto possibile grazie alla buona situazione della sicurezza. Secondo il nuovo concetto, elaborato per il caso in cui la Svizzera debba difendersi da un attacco militare e introdotto ufficialmente con Esercito XXI, sebbene in parte già utilizzato in alcuni settori, l'esercito non deve più garantire in qualunque momento la piena capacità reattiva a un attacco militare, bensì è sufficiente che possegga e sviluppi le conoscenze e le competenze necessarie a tal fine. Tuttavia, nel caso di una minaccia militare, deve essere in grado di colmare rapidamente le lacune. Per questo, un'industria nazionale della difesa è essenziale.

Essa è altresì importante per ragioni che esulano dalle situazioni di crisi. Conoscenze e competenze approfondite nel settore della tecnica degli armamenti consentono di valutare meglio l'importanza e l'utilità di nuove tecnologie per garantire la sicurezza del Paese. L'esistenza di un'industria nazionale della difesa consente inoltre di mantenere all'interno dei confini nazionali le conoscenze sistemiche acquisite, essenziali durante tutto il periodo di utilizzazione del materiale militare (particolarmente lungo nel nostro Paese) e importanti ai fini dello sviluppo di programmi per il mantenimento e il miglioramento dell'efficienza bellica dei sistemi d'arma. La perdita di conoscenze e competenze tecniche si ripercuoterebbe altresì sui progetti d'acquisto di armamenti, sulla formazione, sulla fornitura e sulla manutenzione di materiale d'armamento, tanto da rendere necessario il ricorso frequente a esperti esteri.

Il divieto di esportare armamenti renderebbe impossibile mantenere in Svizzera la produzione
di beni militari per la difesa nazionale perché le esigenze dell'esercito svizzero non sono sufficienti a garantire la redditività del settore. Privare le imprese svizzere d'armamento dell'accesso ai mercati esteri significherebbe obbligare diverse imprese ad abbandonare l'attività o a trasferire all'estero la produzione. In situazioni di crisi o di guerra, la Svizzera dipenderebbe totalmente e unilateralmente da altri Stati. Lo stesso «concetto di potenziamento» andrebbe rivisto o abbandonato.

4.2.2

Ripercussioni sull'economia

Nel 2007, le esportazioni di materiale bellico rappresentavano lo 0,24 per cento del totale delle esportazioni svizzere. Se al materiale bellico si aggiungono i beni militari speciali, la quota aumenta leggermente. Come indicato, gli uffici doganali non dispongono di statistiche riguardanti quest'ultima categoria di beni. Sulla base dunque dei valori indicati nei permessi di esportazione e dei risultati dei sondaggi, il valore complessivo delle esportazioni di materiale bellico e di beni militari speciali non dovrebbe superare lo 0,49 per cento del totale delle esportazioni svizzere. Il peso e dunque i risvolti macroeconomici dell'accettazione dell'iniziativa potrebbero 6628

apparire moderati. In realtà, alcune regioni verrebbero colpite duramente soprattutto dal previsto divieto di esportazione.

L'industria degli armamenti svizzera è un ramo industriale eterogeneo. Il settore d'attività di buona parte delle imprese d'armamento è la costruzione di macchine nonché la fabbricazione di armi e munizioni. Seguono il settore della costruzione aeronautica e, in misura più contenuta, l'elettrotecnica, la chimica e il commercio.

Oltre a produrre beni d'armamento, molte imprese fabbricano o commerciano prodotti utilizzati a scopo civile e spesso basano la propria attività su forniture provenienti dalla Svizzera e dall'estero. La complessità delle interrelazioni che dominano questo settore illustra quanto sia difficile valutare le ripercussioni macroeconomiche dell'iniziativa. Per questa ragione e con lo scopo precipuo di quantificare il peso economico della produzione dei beni d'armamento destinanti all'esportazione è stato commissionato uno studio all'Istituto BAK Basel Economics, il quale ha analizzato i dati raccolti dalla SECO mediante un'indagine presso le principali imprese d'armamento. Le cifre riportate qui di seguito sono tratte dallo studio condotto dall'Istituto e vanno intese come valore minimo dell'impatto calcolato.

Innanzitutto è possibile distinguere tra effetti diretti e indiretti dell'iniziativa. Gli effetti diretti quantificano le conseguenze in termini di valore aggiunto lordo, di occupazione e di reddito prodotti dalle imprese d'armamento nonché in termini di introiti fiscali derivanti dai redditi diretti. Agli effetti diretti si sommano quelli indiretti che scaturiscono dalle interrelazioni industriali, poiché anche le imprese fornitrici producono valore aggiunto lordo, occupazione e reddito.

Il valore aggiunto lordo corrisponde al saldo tra il valore dei beni e dei servizi prodotti (valore della produzione) e i consumi intermedi dei fornitori. Questa differenza serve a remunerare i fattori di produzione lavoro e capitale. I calcoli sulla base dei dati relativi al 2007 indicano per i beni d'armamento esportati un valore aggiunto lordo pari a 485 milioni di franchi, due terzi del quale prodotti direttamente dalle imprese d'armamento e un terzo dai fornitori.

Nel 2007 sono stati 5132 i lavoratori coinvolti, direttamente o indirettamente, nella produzione
dei beni d'armamento esportati. Il 65 per cento circa ­ ovvero 3335 persone ­ è impiegato nell'industria degli armamenti vera e propria. Altre 1797 sono attive in settori legati indirettamente a queste esportazioni. Le cifre indicate inglobano anche numerosi posti di formazione.

Gli effetti in termini di reddito prodotti dalle esportazioni di armamenti ammontavano, nel 2007, a 307 milioni di franchi. A loro volta, i redditi da lavoro dipendente e gli utili realizzati dalle aziende si sono tradotti in introiti fiscali per la Confederazione, i Cantoni e i Comuni pari a 44 milioni di franchi.

In termini geografici, l'industria d'esportazione degli armamenti si concentra principalmente nei Cantoni di Nidvaldo, Zurigo, Turgovia, Berna e Lucerna. L'86 per cento delle esportazioni di armamenti fa capo infatti a imprese con sede in uno di questi Cantoni. È lì che è prodotta buona parte del valore aggiunto e sono dunque le imprese che vi hanno sede e i loro dipendenti che risentirebbero maggiormente delle conseguenze dei divieti chiesti con l'iniziativa. I Cantoni citati impiegano 2886 dei 3335 dipendenti del settore e realizzano 282 dei 318 milioni di franchi di valore aggiunto lordo prodotto direttamente. Gli effetti più marcati sull'occupazione si avrebbero nel Cantone di Zurigo che impiega nel settore 944 persone. Nel Cantone di Nidvaldo i tagli riguarderebbero 457 dipendenti. Questo Cantone, che nel 2007 contava mediamente 246 disoccupati registrati (per un tasso di disoccupazione 6629

dell'1,2 per cento)18 vedrebbe triplicato, a breve termine, il numero dei senza lavoro.

Nel Cantone di Turgovia l'aumento dei disoccupati registrati sarebbe superiore al 25 per cento. Nel caso in cui l'iniziativa venisse accettata, alcuni Cantoni dovrebbero fare i conti con conseguenze economiche pesanti perché l'industria degli armamenti svizzera si concentra in singole regioni.

Come indicato, le cifre riportate sono da considerare stime estremamente ottimistiche. Per svariate ragioni, i risvolti macroeconomici potrebbero essere di gran lunga superiori a quelli scaturiti dai modelli di calcolo del BAK Basel Economics. La sussistenza di molte imprese d'armamento dipende, infatti, dalle esportazioni. In assenza di mercati di sbocco esteri, esse potrebbero essere costrette ad avviare ristrutturazioni o, nella peggiore delle ipotesi, ad abbandonare l'attività, poiché non sarebbero più in grado di realizzare i necessari rendimenti di scala o di coprire i costi di produzione. Ciò potrebbe ripercuotersi anche sulla produzione di beni utilizzabili a scopo civile o di beni a duplice impiego tanto da rendere necessarie ristrutturazioni o chiusure anche in questo settore, con conseguenze negative pure sulle imprese coinvolte indirettamente (fornitori). Infine, se venisse meno la fiducia dei committenti nei confronti delle aziende elvetiche, anche le commesse alle imprese del settore civile potrebbero subire i contraccolpi dell'iniziativa.

Tenuto conto degli effetti collaterali, l'associazione di settore Swissmem ritiene che, se l'iniziativa venisse accettata, sarebbero circa 11 000 i lavoratori colpiti. Un terzo circa delle imprese che ha partecipato all'indagine della SECO ha affermato che sarebbe costretta ad abbandonare l'attività. Da un'indagine simile, ma più ampia, condotta da Swissmem presso le imprese d'armamento nonché presso i fornitori è emerso che, complessivamente, metà delle aziende dovrebbe ridurre la produzione di beni o la fornitura di servizi, mentre il 10 per cento dovrebbe interromperla del tutto. Ciò dimostra anche che le possibilità di una riconversione alla produzione civile sono considerate praticamente nulle e comunque non in grado di compensare le perdite.

Non va inoltre dimenticato che, dal punto di vista tecnologico, le commesse per beni d'armamento sono fra le più interessanti
per un'impresa industriale poiché consentono di sviluppare nuove conoscenze e competenze utili anche in ambito civile.

Diverse conquiste, di cui oggi sarebbe impensabile fare a meno, hanno avuto origine proprio nel settore militare (ad esempio, i sistemi di navigazione satellitari GPS).

L'accettazione dell'iniziativa potrebbe quindi produrre una perdita di know-how di proporzioni difficilmente quantificabili che non si limiterebbe al solo settore militare.

4.2.3

Ripercussioni per la Confederazione

4.2.3.1

Ripercussioni sulle finanze

Obbligo di sostegno da parte della Confederazione (Disposizione transitoria art. 197 n. 8 cpv. 1 Cost.)

L'obbligo di sostegno a carico della Confederazione, sollecitato con l'iniziativa, può essere introdotto solo mediante una norma di legge. L'entità delle conseguenze

18

Segreteria di Stato dell'economia SECO, Situazione sul mercato del lavoro.

6630

finanziare per la Confederazione dipende dal modo in cui il legislatore intende concretizzare tale obbligo.

Secondo la disposizione transitoria proposta, la Confederazione dovrebbe sostenere, durante dieci anni dopo l'accettazione dell'iniziativa, le regioni e gli impiegati colpiti dalle conseguenze dei divieti. Spetterebbe al legislatore determinare le modalità e l'entità di tale sostegno.

La Confederazione potrebbe compensare ad esempio: ­

le perdite fiscali dei Comuni e dei Cantoni,

­

l'aumento dei costi per l'assistenza sociale,

­

le perdite salariali delle persone colpite (differenza tra il salario e le prestazioni dell'assicurazione contro la disoccupazione o dell'assistenza sociale),

­

le risorse complementari necessarie per le misure di riconversione professionale.

Nel quadro dello studio condotto nel 2007 per determinare gli effetti economici di un divieto d'esportazione dei beni d'armamento, il BAK Basel Economics ha stimato approssimativamente i costi delle compensazioni summenzionate.

Nell'arco di dieci anni i Cantoni e i Comuni dovrebbero misurarsi con perdite fiscali di circa 103 milioni di franchi, di cui 21 nel primo anno. Per garantire la compensazione totale delle perdite salariali dei lavoratori licenziati dalle imprese d'armamento, la Confederazione dovrebbe coprire innanzitutto la differenza tra il salario e le prestazioni dell'assicurazione contro la disoccupazione, ovvero, a seconda dell'indennità giornaliera, il 20 o il 30 per cento del guadagno assicurato. Complessivamente, i costi ammonterebbero a circa 60 milioni di franchi. L'importo per compensare l'incremento dei costi dell'assistenza sociale ammonterebbe a 65 milioni.

Altri 19 milioni occorrerebbero per finanziare le misure di riconversione professionale.

Tenuto conto delle cifre indicate, il costo potenziale del sostegno chiesto alla Confederazione ammonterebbe a 247 milioni di franchi.

Potrebbe inoltre rivelarsi necessario erogare ulteriori prestazioni alle regioni periferiche più colpite, nelle quali vi è il rischio che la disoccupazione duri più a lungo, nonché sostenere progetti tesi a favorire l'insediamento di nuove imprese. Per le imprese costrette a chiudere, in particolare a causa del divieto di esportazione, si porrebbe poi la questione del finanziamento dei costi legati all'abbandono dell'attività. Per le imprese d'armamento che producono polvere da sparo, materie esplosive e altri prodotti pirotecnici, ad esempio, i lavori di decontaminazione comporterebbero costi molto elevati.

Perdite fiscali dirette per la Confederazione Basandosi sul calcolo degli effetti economici diretti che deriverebbero dal divieto d'esportare beni d'armamento, il BAK Basel Economics ha valutato le probabili perdite fiscali della Confederazione. Stando ai dati del 2007, il gettito fiscale complessivo (Confederazione, Cantoni e Comuni) delle esportazioni di armamenti ammonta a 44 milioni di franchi, 15 dei quali per la Confederazione. Tale importo ingloba gli introiti delle imposte sul reddito dei lavoratori impegnati nel processo di creazione di valore aggiunto, delle imposte sulle imprese, dell'imposizione dei frontalieri (imposta alla fonte) e dell'imposta sul valore aggiunto che, per effetto di 6631

un'esenzione fittizia (tassa occulta), grava sui consumi intermedi. Rapportata su un periodo di dieci anni, la perdita fiscale dovrebbe aggirarsi sui 94 milioni di franchi.

Ripercussioni sulle assicurazioni sociali I contribuiti prelevati sui redditi dei lavoratori che partecipano al processo di creazione di valore aggiunto dell'industria dei beni d'armamento destinati all'esportazione alimentano le assicurazioni sociali. Quantomeno a breve e a medio termine, l'assicurazione per la vecchiaia e per i superstiti (AVS), l'assicurazione per l'invalidità (AI), l'assicurazione contro la disoccupazione (ADI) e le indennità per perdita di guadagno (IPG) dovrebbero farsi carico delle conseguenze dovute al calo dell'occupazione. Per l'ADI l'effetto sarebbe duplice poiché diminuirebbero le entrate (sotto forma di contributi sui redditi) e aumenterebbero le uscite per l'incremento del numero dei disoccupati. Stando al BAK Basel Economics, il primo anno il calo delle entrate sarebbe di 19,5 milioni di franchi per poi ridursi gradualmente negli anni successivi grazie alla reintegrazione dei disoccupati nel mondo del lavoro. Nell'arco di dieci anni, il totale dei contributi riscossi dalle assicurazioni sociali diminuirebbe, rispetto ad oggi, di 55 milioni di franchi.

Alla diminuzione delle entrate si sommerebbe l'aumento delle uscite dell'ADI.

Tenendo conto dell'età media dei beneficiari di tale assicurazione e della durata media del periodo durante il quale riscuotono le prestazioni, le uscite ammonterebbero a 118 milioni di franchi il primo anno e a 17 milioni il secondo.

Nei primi dieci anni, dunque, l'onere complessivo a carico delle assicurazioni sociali potrebbe ammontare a 190 milioni di franchi.

Costi più elevati per l'esercito svizzero I prezzi dei beni d'armamento prodotti in Svizzera aumenterebbero poiché il divieto di esportare all'estero renderebbe impossibile garantire una produzione redditizia.

Per l'esercito svizzero ciò significherebbe prezzi d'acquisto ma anche costi d'esercizio più elevati.

Se l'iniziativa venisse accettata, si porrebbe inoltre la questione del materiale bellico in esubero. Secondo quanto deciso dal Consiglio federale il 10 marzo 2006, il materiale bellico in esubero va, come prima opzione, rivenduto al Paese di origine o riconsegnato gratuitamente. Come seconda opzione
e con l'accordo del Paese di origine, il materiale bellico è venduto, su presentazione di una dichiarazione di non riesportazione, agli Stati enumerati nell'allegato 2 dell'OMB. Altrimenti, il materiale bellico è immagazzinato in Svizzera o riciclato. Nel caso in cui l'iniziativa venisse accettata, una liquidazione conformemente alla decisione del Consiglio federale non sarebbe più possibile, in quanto non si potrebbe né rivendere il materiale al Paese d'origine né venderlo agli Stati di cui all'allegato 2 OMB. Non resterebbe che la rottamazione in Svizzera la quale, tuttavia, comporterebbe per l'esercito spese ingenti o una riduzione cospicua delle entrate.

4.2.3.2

Ripercussioni sul personale

L'autorità preposta al rilascio delle autorizzazioni per i beni in questione è la SECO.

Se l'iniziativa venisse accettata, occorrerebbe sopprimere sei impieghi a tempo pieno. Questa cifra tiene già conto del personale che continuerebbe ad essere neces6632

sario per l'espletamento delle procedure applicabili a beni che esulano dal campo d'applicazione dell'iniziativa, in particolare per le armi da caccia e da sport.

Diminuirebbero i costi salariali, ma diminuirebbero anche gli introiti realizzati con gli emolumenti riscossi per coprire le spese amministrative. I permessi previsti dalla LBDI per beni militari speciali sono rilasciati gratuitamente, mentre le autorizzazioni per il materiale bellico sono soggette a emolumenti stabiliti in funzione del valore dei beni. Negli anni passati, sono stati riscossi annualmente circa 1­1,2 milioni di franchi.

4.2.4

Ripercussioni per i Cantoni e i Comuni

Nell'ambito dello studio commissionatogli, il BAK Basel Economics ha analizzato la ripartizione regionale del gettito fiscale derivante direttamente dall'industria degli armamenti. L'86 per cento delle imposte cantonali e comunali è riscosso dai Cantoni di Zurigo, Nidvaldo, Berna, Turgovia e Lucerna. La riduzione del gettito fiscale che risulterebbe dall'accettazione dell'iniziativa colpirebbe quindi pesantemente questi cinque Cantoni e i loro Comuni. Complessivamente, la perdita fiscale ammonterebbe a 21 milioni nel primo anno e a 103 milioni nell'arco di dieci anni.

Le autorità comunali dovrebbero inoltre misurarsi con l'aumento delle spese legate all'assistenza sociale. Esaurito il diritto alle indennità di disoccupazione, molti lavoratori dovrebbero infatti ricorrere a tale aiuto. Considerando un importo medio di 15 000 franchi pro capite all'anno e tenuto conto del fatto che una parte dei senza lavoro ritroverebbe un impiego, i costi ammonterebbero nell'arco dei primi dieci anni a 65 milioni di franchi. Si tratta tuttavia di costi che non ricadrebbero equamente su tutto il Paese bensì colpirebbero i Comuni dei Cantoni anzidetti (Nidvaldo, Zurigo, Turgovia, Berna e Lucerna) nei quali vive la maggior parte delle persone impiegate nell'industria degli armamenti.

Sarebbe ipotizzabile impostare l'obbligo di sostegno a carico della Confederazione in modo tale che quest'ultima sia tenuta a compensare sia le perdite fiscali sia le maggiori spese a carico dell'assistenza sociale cantonale e comunale. Se questa fosse la decisione del legislatore (cfr. n. 3.3.4) i Comuni e i Cantoni non subirebbero, a breve termine, alcuna conseguenza negativa dei divieti previsti dall'iniziativa.

Tuttavia, se grosse imprese fossero costrette a smantellare o a ridimensionare gli impieghi, l'attrattiva di alcune piazze economiche ne risentirebbe notevolmente.

Sarebbe dunque necessario adottare misure affinché, a lungo termine, altre imprese decidano di stabilirsi in tali regioni e si scongiuri l'esodo di personale altamente qualificato verso i grandi poli economici.

4.3

Pregi e difetti dell'iniziativa

Il comitato d'iniziativa intende innanzitutto impedire che beni d'armamento svizzeri vengano impiegati nell'ambito di conflitti armati, obiettivo questo che gli strumenti proposti con il testo dell'iniziativa (divieto di esportazione, di transito, di mediazione e di commercio) dovrebbero, in linea di principio, consentire di raggiungere. Un tale provvedimento potrebbe inoltre contribuire a rafforzare la credibilità dell'impegno umanitario svizzero. Rispetto alla legislazione in vigore, tuttavia, questa

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soluzione non tiene equamente conto di tutti gli interessi coinvolti e in particolare di quelli della sicurezza nazionale e dell'industria.

Tallone d'Achille dell'iniziativa è l'obbligo di sostegno chiesto alla Confederazione, per la cui applicazione è necessaria una base legale. Le conseguenze dei divieti saranno particolarmente acute per le imprese e per i lavoratori nella fase immediatamente successiva all'accettazione dell'iniziativa, ossia proprio nella fase in cui la Confederazione, priva della necessaria base legale, non sarà in condizione di aiutarli.

Le conseguenze dell'accettazione dell'iniziativa, inoltre, non potrebbero essere compensate unicamente con misure di sostegno finanziario. Provvedimenti di politica strutturale si renderebbero necessari per compensare l'assenza nelle regioni colpite di impieghi interessanti nell'industria e nel settore terziario a forte valore aggiunto. L'accettazione dell'iniziativa e dunque la chiusura delle imprese potrebbe produrre l'esodo di personale giovane ed altamente qualificato verso i poli economici e accelerare i mutamenti strutturali nelle regioni colpite. L'esperienza insegna che misure di durata limitata volte ad attenuare gli effetti di collassi strutturali servono a poco. Le perdite che non è possibile compensare nell'ambito dei mutamenti normali sono incolmabili. Per quanto riguarda le persone impiegate nell'industria degli armamenti, è difficile dire quanto tempo sarà loro necessario per trovare un nuovo impiego e se le qualifiche richieste saranno le stesse.

5

Conclusioni

Visto quanto precede, il nostro Collegio giunge alla conclusione seguente: ­

per garantire la sicurezza nazionale in situazioni di crisi o di guerra, la Svizzera potrebbe fare affidamento unicamente sulle forniture provenienti dall'estero. Ciò significherebbe compromettere la sicurezza nazionale poiché, in genere, le esigenze di uno Stato neutrale non sono considerate prioritarie.

­

Vista la concentrazione geografica dell'industria degli armamenti, alcune regioni e località, in particolare l'Oberland bernese, Stans, Zurigo, Kreuzlingen ed Emmen, sarebbero duramente colpite. Perderebbero infatti posti di lavoro interessanti e un prezioso bagaglio di conoscenze ed esperienze.

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Nei primi dieci anni dopo l'accettazione dell'iniziativa, la Confederazione dovrebbe fare i conti con un aumento dei costi pari a 382 milioni di franchi e una riduzione delle entrate di 149 milioni (obbligo di sostegno, riduzione del gettito fiscale, costi delle assicurazioni sociali). L'importo effettivo dipenderebbe tuttavia dalla forma che il legislatore deciderebbe di dare al sostegno cui sarebbe tenuta la Confederazione. Non è escluso che i costi possano essere anche più elevati.

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La legislazione attualmente in vigore garantisce un controllo efficace delle esportazioni dei beni d'armamento, in grado altresì di tenere debitamente conto degli interessi e dell'economia del Paese e dell'impegno globale e regionale della Svizzera nei settori del disarmo e del controllo degli armamenti.

Chiediamo pertanto alle Camere federali di sottoporre l'iniziativa popolare «per il divieto di esportare materiale bellico» al Popolo e ai Cantoni con la raccomandazione di respingerla.

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