07.400 Iniziativa parlamentare Diritto parlamentare. Diverse modifiche Rapporto della Commissione delle istituzioni politiche del Consiglio nazionale del 21 febbraio 2008

Onorevoli colleghi, con il presente rapporto vi sottoponiamo i progetti di modifica della legge sul Parlamento e del regolamento del Consiglio nazionale, che trasmettiamo nel contempo per parere al Consiglio federale.

La Commissione vi propone di approvare i progetti allegati.

Nel contempo vi proponiamo di togliere di ruolo le seguenti iniziative parlamentari: 05.437

Iv. Pa.

Hochreutener. Consiglieri federali incapaci di svolgere le proprie funzioni

06.416

Iv. Pa.

Hämmerle. Trattamento prioritario degli interventi delle commissioni

06.467

Iv. Pa.

Abate. Modifica legge sul Parlamento. Competenze della Commissione delle finanze

06.479

Iv. Pa..

Ufficio CN. Stralcio di interventi parlamentari

i seguenti interventi: 2005

M

05.3077 Accelerare la trattazione delle mozioni in Parlamento (N 17.6.2005, Kunz)

2007

M

06.3872 Esame della sostenibilità per le future generazioni (N 4.6.2007, S 27.9.2007, Markwalder Bär)

21 febbraio 2008

In nome della Commissione: Il presidente, Gerhard Pfister

2008-0637

1593

Compendio Attualmente sono in cantiere, sotto forma di iniziative parlamentari o mozioni, diverse proposte di modifica del diritto parlamentare, che si prevede di attuare mediante un progetto unico, cui la Commissione ha apportato alcuni miglioramenti.

L'obiettivo dei principali miglioramenti è rivalutare lo strumento della mozione e del postulato nella procedura del Consiglio nazionale. Grazie a una regolamentazione efficace, si potrà dedicare più tempo alla trattazione degli interventi personali nel Consiglio nazionale. Gli interventi in grado di ottenere il consenso di una maggioranza, in particolare quelli dell'altra Camera o di una commissione, saranno trattati sistematicamente con priorità. Gli interventi non ancora trattati dalla Camera due anni dopo la presentazione, invece, non potranno essere tolti dal ruolo, ma saranno oggetto di una votazione senza discussione.

Per disporre di più tempo per trattare gli interventi, si amplia leggermente l'orario delle sedute del Consiglio nazionale (con una seduta serale il lunedì della seconda e della terza settimana della sessione e una sessione speciale obbligatoria nel corso del 2o trimestre) e si trattano con maggior efficacia gli altri oggetti in deliberazione (creando una nuova forma di discussione con tempo di parola ridotto nel dibattito di entrata in materia e svolgendo un dibattito organizzato se la deliberazione di dettaglio è molto complessa).

Oltre a queste proposte, che riguardano solo il Consiglio nazionale, sono previste altre disposizioni, applicabili alle due Camere, volte a: a.

accelerare l'appianamento delle divergenze nell'ambito dell'esame preliminare delle iniziative parlamentari;

b.

abbreviare la trattazione delle mozioni di commissione di ugual tenore depositate nelle due Camere;

c.

rinunciare a consultare obbligatoriamente le Commissioni delle finanze nell'ambito dell'esame preliminare di progetti che hanno conseguenze finanziarie;

d.

regolare la procedura in caso di accertamento dell'incapacità di un membro del Consiglio federale o del cancelliere della Confederazione di esercitare la carica;

e.

completare l'elenco dei temi da trattare nei messaggi con un esame delle ripercussioni di un atto normativo sulle future generazioni;

f.

regolare la questione della responsabilità dei membri dell'Assemblea federale;

g.

regolare la procedura applicabile alla trattazione delle petizioni.

1594

Indice Compendio

1594

1 Genesi 1.1 La legge del 13 dicembre 2002 sul Parlamento 1.2 Trattazione degli interventi parlamentari nel Consiglio nazionale (05.3077 Mozione Kunz. Accelerare la trattazione delle mozioni in Parlamento; 06.479 Iv. Pa. Ufficio CN. Stralcio di interventi parlamentari) 1.3 05.437 Iv. Pa. Hochreutener. Consiglieri federali incapaci di svolgere le proprie funzioni 1.4 06.416 Iv. Pa. Hämmerle. Trattamento prioritario degli interventi delle commissioni 1.5 06.467 Iv. Pa. Abate. Modifica legge sul Parlamento. Competenze della Commissione delle finanze 1.6 06.3872 Mozione Markwalder Bär. Esame della sostenibilità per le future generazioni

1596 1596

2 Punti essenziali del progetto

1599

3 Commento ai singoli articoli 3.1 Modifica della legge sul Parlamento 3.2 Modifica del regolamento del Consiglio nazionale (RCN)

1600 1600 1613

4 Ripercussioni finanziarie e sull'effettivo del personale

1626

5 Basi legali

1627

A Legge federale sull'Assemblea federale (Legge sul Parlamento, LParl) (Diritto parlamentare. Diverse modifiche) (Progetto)

1629

B Regolamento del Consiglio nazionale (RCN) (Diritto parlamentare.

Diverse modifiche) (Progetto)

1635

1596 1597 1598 1598 1599

1595

Rapporto 1

Genesi

1.1

La legge del 13 dicembre 2002 sul Parlamento

Con il rapporto del 1o marzo 2001 (01.401), la Commissione delle istituzioni politiche del Consiglio nazionale (CIP-N) aveva presentato un disegno di legge sull'Assemblea federale (Legge sul Parlamento, LParl, RS 171.10) destinato a sostituire la legge del 23 marzo 1962 sui rapporti fra i Consigli (LRC). Mediante la revisione si perseguivano tre obiettivi: 1.

concretamento delle nuove opportunità previste dalla Costituzione federale del 18 aprile 1999 nel settore del diritto parlamentare;

2.

attuazione delle necessarie riforme del diritto parlamentare;

3.

riassunto sistematico e rappresentazione chiara del diritto parlamentare e rielaborazione dal profilo redazionale delle disposizioni linguisticamente obsolete.

Dopo essere stata adottata dalle due Camere nella votazione finale del 13 dicembre 2002, la nuova legge è entrata in vigore il 1o dicembre 2003, cioè all'inizio della 47a legislatura, assieme ai regolamenti riveduti dei Consigli.

Benché la profonda riforma abbia permesso di raggiungere gli obiettivi summenzionati, è parso chiaro sin dall'inizio che il diritto parlamentare non sarebbe stato scolpito nel marmo per i decenni a venire. La varietà degli oggetti in deliberazione, il grande numero di diritti individuali dei parlamentari e la complessità del sistema bicamerale continuano a sollevare domande che richiedono costantemente l'adozione di nuove norme. La prima modifica della LParl ha avuto luogo il giorno stesso della sua adozione (aggiunta delle disposizioni concernenti la Commissione giudiziaria). Da allora, sono già entrate in vigore nove modifiche minori e sono in preparazione altre modifiche.

1.2

Trattazione degli interventi parlamentari nel Consiglio nazionale (05.3077 Mozione Kunz.

Accelerare la trattazione delle mozioni in Parlamento; 06.479 Iv. Pa. Ufficio CN. Stralcio di interventi parlamentari)

Con la mozione depositata il 15 marzo 2005 il consigliere nazionale Josef Kunz (UDC, LU) chiede «che le mozioni siano iscritte all'ordine del giorno e trattate dalla Camera il più tardi un anno dopo la risposta scritta del Consiglio federale» (05.3077 Mozione Kunz. Accelerare la trattazione delle mozioni in Parlamento).

Il Consiglio nazionale ha adottato questa mozione il 17 giugno 2005, con 118 voti contro 58, nonostante l'Ufficio avesse proposto di respingerla nel rapporto del 30 maggio 2005. Conformemente all'articolo 121 capoverso 3 LParl, la mozione non è stata trasmessa al Consiglio degli Stati dopo la sua adozione definitiva da parte del Consiglio nazionale perché ritenuta concernere unicamente la procedura del Consiglio nazionale.

1596

L'adozione di una mozione non implica che le eventuali nuove disposizioni sono già entrate in vigore, ma unicamente che un organo ­ di regola, il Consiglio federale e, nel nostro caso, l'Ufficio del Consiglio nazionale ­ è incaricato di attuare la mozione. Le disposizioni richieste nella mozione Kunz costituiscono norme di diritto ai sensi dell'articolo 22 capoverso 4 LParl; devono pertanto essere inserite nella LParl o, conformemente alla delega generale di cui all'articolo 36 LParl, nel RCN. La mozione può pertanto essere tolta dal ruolo; se la mozione non è adempiuta o è adempiuta solo parzialmente, la proposta di stralcio deve essere motivata di conseguenza (art. 122 cpv. 2 LParl).

Nella seduta del 31 agosto 2006, l'Ufficio del Consiglio nazionale ha deciso di elaborare un progetto di modifica della LParl che introducesse nuovamente lo stralcio automatico degli interventi non trattati entro due anni dalla loro presentazione (06.479 Iv. Pa. Ufficio CN. Stralcio di interventi parlamentari). L'Ufficio del Consiglio degli Stati ha confermato questa decisione nella seduta del 4 dicembre 2006.

Il 12 gennaio 2007, la CIP del Consiglio nazionale ha preso atto di questa iniziativa dell'Ufficio e dei lavori preparatori della sua segreteria relativi a modifiche minori della legge sul Parlamento (attuazione dell'Iv. Pa. 06.413 Lustenberger. Effetto vincolante della mozione; attuazione dell'Iv. Pa. 06.416 Hämmerle. Trattamento prioritario degli interventi delle commissioni; altre piccole modifiche). La Commissione ha quindi deciso di dare la priorità all'attuazione dell'Iv. Pa. 06.413 Lustenberger (cfr. rapporto della Commissione del 12 gennaio 2007, FF 2007 1359; LF del 5 ottobre 2007, FF 2007 6299) e di preparare un secondo progetto comprendente diverse modifiche del diritto parlamentare, con il quale ci si prefiggeva soprattutto di esaminare e rivedere in un contesto più vasto la procedura di trattazione degli interventi parlamentari. A tal fine, la CIP ha deciso di istituire una sottocommissione (presidente: Lustenberger; altri membri: Amstutz, Beck, Heim, Weyeneth).

Nonostante le azioni intraprese dalla CIP, il 16 febbraio 2007 l'Ufficio ha proposto alla Camera di introdurre nuovamente lo stralcio automatico degli interventi non trattati entro due anni dalla loro presentazione (FF 2007 2957). Il 4
giugno 2007 il Consiglio nazionale ha tuttavia approvato, con 129 voti contro 33, la proposta della CIP di rinviare il progetto all'Ufficio con l'incarico «di riesaminare la questione nel contesto più vasto del progetto di riforma della procedura applicabile alla trattazione degli interventi parlamentari preparato dalla CIP».

Tra aprile e settembre 2007, la sottocommissione della CIP si è riunita quattro volte per elaborare un progetto preliminare contenente i diversi miglioramenti della procedura di trattazione degli interventi parlamentari e altre misure destinate ad aumentarne l'efficacia (si tratta, essenzialmente, delle modifiche del RCN contenute nel presente rapporto).

1.3

05.437 Iv. Pa. Hochreutener. Consiglieri federali incapaci di svolgere le proprie funzioni

Il 5 ottobre 2005, il consigliere nazionale Norbert Hochreutener (PPD, BE) ha presentato un'iniziativa parlamentare secondo la quale «occorre adottare un disciplinamento per il caso in cui: a.

un membro del Consiglio federale non sia in grado né di svolgere gli obblighi previsti dal suo mandato né di potersi ritirare; 1597

b.

vi sono grandi probabilità che una simile situazione perduri nel tempo; e

c. non è prevedibile un miglioramento della situazione.

Al riguardo occorre trovare una soluzione che consenta di rioccupare la carica».

Il 4 luglio 2006, la Commissione delle istituzioni politiche del Consiglio nazionale (CIP-N) ha deciso con 15 voti contro 6 di dare seguito all'iniziativa. Il 28 agosto 2006, la Commissione delle istituzioni politiche del Consiglio degli Stati (CIP-S) ha approvato la decisione con 10 voti contro 1.

Il 19 aprile 2007, la CIP-N ha discusso un progetto preliminare relativo alle modifiche della legge sul Parlamento necessarie per attuare l'iniziativa. Ha quindi deciso di non sottoporre le modifiche singolarmente alla Camera, ma di integrarle in un atto unico contenente diverse altre modifiche del diritto parlamentare.

1.4

06.416 Iv. Pa. Hämmerle. Trattamento prioritario degli interventi delle commissioni

L'iniziativa depositata il 24 marzo 2006 dal consigliere nazionale Andrea Hämmerle (PS, GR) mira a modificare la LParl in modo che una mozione di commissione o una mozione accolta nell'altra Camera sia trattata dalla Camera al più tardi nella seconda sessione dopo il suo deposito o la sua approvazione da parte dell'altra Camera» e che «un postulato di commissione sia trattato dalla Camera al più tardi nella seconda sessione dopo il suo deposito».

La CIP-N ha dato seguito all'iniziativa il 14 settembre 2006 con 19 voti contro 4 e 1 astensione. Il 30 ottobre 2006, la CIP-S ha approvato questa decisione all'unanimità.

Il 12 gennaio 2007, la CIP-N ha deciso di attuare l'iniziativa nell'ambito del presente progetto.

1.5

06.467 Iv. Pa. Abate. Modifica legge sul Parlamento.

Competenze della Commissione delle finanze

L'iniziativa parlamentare del consigliere nazionale Fabio Abate (RL, TI) chiede la modifica delle disposizioni in base alle quali le Commissioni delle finanze sono imperativamente chiamate «a prendere posizione su questioni con considerevoli o notevoli conseguenze finanziarie».

Il 19 aprile 2007 la CIP del Consiglio nazionale ha dato seguito all'iniziativa, con 14 voti contro 6, e deciso di attuarla nell'ambito del presente progetto. Il 21 maggio 2007, anche la CIP del Consiglio degli Stati ha approvato l'iniziativa con 5 voti contro 4.

1598

1.6

06.3872 Mozione Markwalder Bär. Esame della sostenibilità per le future generazioni

Depositata il 20 dicembre 2006, la mozione chiede che «la legge sul Parlamento sia completata con una disposizione che obblighi il Consiglio federale a illustrare, nei suoi messaggi, anche le ripercussioni sulle future generazioni di ogni atto normativo».

Il 19 aprile 2007, la CIP-N ha proposto al Consiglio nazionale, con 13 voti contro 7, di accogliere la mozione e deciso di attuarla nell'ambito del presente progetto. Il Consiglio nazionale ha adottato la mozione il 4 giugno 2007, senza che venisse depositata un'altra proposta. Il Consiglio degli Stati ha fatto la stessa cosa il 27 settembre 2007.

2

Punti essenziali del progetto

Oltre ai diversi miglioramenti della procedura di trattazione delle mozioni e dei postulati nel Consiglio nazionale, il progetto include anche le modifiche del diritto parlamentare descritte al punto n. 3 del presente rapporto («Commento ai singoli articoli»).

Per quanto riguarda i miglioramenti menzionati, la Commissione propone di eliminare tre grandi difetti nella procedura di trattazione delle mozioni e dei postulati, e più precisamente: a.

il Consiglio nazionale non ha abbastanza tempo per trattare gli interventi parlamentari. La disposizione secondo cui due mezze giornate della sessione sono dedicate a tal fine viene disattesa in modo sistematico. La Commissione propone una regolamentazione più precisa e più efficace: la definizione vaga del tempo dedicato alla trattazione degli interventi («due mezze giornate») è sostituita con «otto ore» (art. 28 RCN). L'impiego di questo tempo deve essere rigorosamente controllato; se, eccezionalmente, si possono dedicare meno di otto ore, il tempo è recuperato nella sessione successiva. Alla trattazione degli interventi sono riservati in primo luogo il pomeriggio e la sera del lunedì della seconda e della terza settimana. Inoltre, sarà possibile dedicare più tempo alla trattazione degli interventi parlamentari grazie al trattamento più celere di alcuni altri oggetti in deliberazione (creazione di una nuova forma di discussione che accorda un tempo di parola ridotto nel dibattito di entrata in materia [art. 46 cpv. 1 e 48 cpv. 1 RCN], svolgimento di un dibattito organizzato quando la deliberazione di dettaglio è assai complessa [art. 47 RCN]) e grazie a un lieve prolungamento dell'orario delle sedute (sedute serali il lunedì della seconda e della terza settimana della sessione [art. 34 RCN], sessione speciale obbligatoria nel corso del 2o trimestre [art. 33d RCN]);

b.

la nuova disposizione entrata in vigore quattro anni fa per le mozioni e i postulati non ancora trattati dalla Camera entro due anni dalla presentazione non ha dato i frutti sperati. Né il Consiglio nazionale né il suo Ufficio sono in grado di decidere, mediante una procedura qualitativamente soddisfacente ed efficace, se gli interventi devono essere tolti dal ruolo o mantenuti (art. 119 cpv. 4 LParl). La Commissione si oppone a un ritorno alla procedura precedente, secondo la quale tutti gli interventi non trattati dalla Camera 1599

erano tolti dal ruolo, perché viola e pregiudica in generale il diritto di intervento. D'altra parte, non è neppure soddisfacente lasciare interventi pendenti per oltre due anni. La soluzione migliore ­ o meno peggiore ­ consiste nel trattare questi interventi dopo due anni senza discussione (art. 28a cpv. 2 RCN); c.

le mozioni e i postulati in grado di ottenere il consenso di una maggioranza devono poter essere trattati prima degli altri interventi. La procedura di selezione di questi interventi non è, però, ancora soddisfacente. Gli interventi delle commissioni e le mozioni dell'altra Camera devono essere trattati non soltanto prima degli altri interventi, come finora (art. 121 cpv. 2 LParl), ma anche entro un termine relativamente breve (art. 28a cpv. 1 RCN). Per una minoranza della sottocommissione, il sistema qualitativamente migliore per selezionare gli interventi in grado di raccogliere una maggioranza consisterebbe nell'attribuirli a una commissione per esame preliminare. Tuttavia, la Commissione respinge questa proposta a causa dell'enorme sovraccarico di lavoro che ne risulterebbe per le commissioni.

La Commissione ha anche valutato se fosse il caso di limitare il diritto di presentare interventi. La proposta più frequente, cioè quella di contingentare il numero degli interventi autorizzato per parlamentare, è stata respinta. Se la si esamina approfonditamente, questa soluzione è infatti pressoché impraticabile. Per evitare che vengano presentate solo mozioni si dovrebbe fissare un contingente per ogni tipo di intervento. Nella 47a legislatura ogni parlamentare ha presentato all'anno in media circa 1,5 mozioni, il genere di intervento più frequente. Per ridurre in modo considerevole tale cifra, si dovrebbe fissare il contingente per parlamentare a una mozione all'anno (cioè quattro mozioni per legislatura). Per i postulati e le interpellanze dovrebbero inoltre essere previsti contingenti numericamente inferiori. Questa situazione rappresenterebbe una severa restrizione dei diritti dei deputati. Inoltre, una volta esaurito il contingente, ai deputati sarà proibito reagire, ad esempio, a situazioni particolarmente importanti per loro o il loro elettorato. Il principio dei contingenti può anche avere un effetto controproducente in quanto induce a esaurire il contingente anche i deputati che non presenterebbero nessun intervento o un numero inferiore a quello previsto. La Commissione respinge anche la proposta di subordinare la presentazione di un intervento a un numero minimo di firme di deputati. La misura non permetterebbe certamente di ottenere una riduzione considerevole degli interventi, perché i membri dei gruppi più grandi ­ che rappresentano la grande maggioranza dei deputati ­ non avrebbero difficoltà a raccogliere cinque, dieci o venti firme. Ne subirebbero le conseguenze solo i membri dei piccoli gruppi o i deputati senza gruppo, il che costituirebbe una violazione del principio della parità di trattamento dei deputati.

3

Commento ai singoli articoli

3.1

Modifica della legge sul Parlamento

Art. 21a (nuovo): Responsabilità per danni Secondo l'articolo 146 Cost., la Confederazione «risponde dei danni illecitamente causati dai suoi organi nell'esercizio delle attività ufficiali». Per «organi» si intendono tutte le persone nominate dalla Confederazione o al servizio della Confederazione elencate all'articolo 1 della legge del 14 marzo 1958 sulla responsabilità 1600

(LResp). Fino all'entrata in vigore della LParl, nel 2003, la LResp si applicava anche ai parlamentari. Nell'ambito dei lavori relativi alla LParl, è stato deciso di integrare nella nuova legge le disposizioni relative all'immunità parlamentare e di sopprimere il riferimento ai membri dell'Assemblea federale nella LResp (cfr. art. 1 cpv. 1 lett. a LResp).

Secondo un'interpretazione sistematica, la legge sulla responsabilità non si applica dunque più ai membri dell'Assemblea federale. Ne consegue che, pur esistendo una responsabilità della Confederazione per i danni causati dai parlamentari secondo l'articolo 146 Cost., il combinato disposto degli articoli 2 capoverso 1, 7 e 8 LResp (regresso della Confederazione e responsabilità per i danni direttamente cagionati) non si applica più ai membri dell'Assemblea federale.

Tuttavia, dall'esame dei lavori preparatori non risulta che, sopprimendo l'articolo 1 capoverso 1 lettera a LResp, il legislatore avesse l'intenzione di introdurre una modifica materiale delle disposizioni relative alla responsabilità. Questo effetto collaterale sembrerebbe piuttosto dovuto a una svista del legislatore. La responsabilità del parlamentare deve pertanto essere desunta mediante un'interpretazione teleologica, imperniata sul senso e lo scopo della legge. Per evitare complessi processi interpretativi nell'applicazione della legge, è pertanto opportuno disciplinare nella LParl la questione della responsabilità dello Stato per i danni cagionati da un parlamentare.

Dal punto di vista sistematico, la nuova disposizione deve essere introdotta nel titolo secondo («Membri dell'Assemblea federale»), dato che la responsabilità dello Stato disciplina lo statuto giuridico dei parlamentari nei confronti della Confederazione.

La disposizione sulla responsabilità per danni è inserita nel nuovo capitolo 4, che segue il capitolo sulla responsabilità penale.

Il capoverso 1 rinvia alla legge sulla responsabilità, colmando la lacuna menzionata.

La legge sulla responsabilità si applica al parlamentare che, nell'esercizio delle sue funzioni, cagiona illecitamente un danno alla Confederazione o a terzi.

Il capoverso 2 concerne la ripartizione delle competenze nell'Assemblea federale.

La Delegazione amministrativa è competente per tutti gli affari amministrativi dell'Assemblea federale
(cfr. art. 20 cpv. 1 lett. f dell'ordinanza dell'Assemblea federale relativa alla legge sul Parlamento e all'amministrazione parlamentare, Oparl). In questa funzione, stipula ad esempio assicurazioni speciali per i parlamentari. La Delegazione amministrativa è inoltre competete per l'elaborazione del preventivo dell'Assemblea federale.

Secondo il capoverso 3, il parlamentare può impugnare direttamente dinanzi al Tribunale federale la decisione della Delegazione amministrativa. Questo diritto di ricorso deve essere previsto per garantire la tutela giurisdizionale dei parlamentari.

Corrisponde sostanzialmente alla procedura prevista all'articolo 10 capoverso 2 LResp, secondo la quale il Tribunale federale giudica su azione in istanza unica le pretese litigiose di risarcimento concernenti i magistrati. Non pare opportuno istituire una via di ricorso all'interno dell'Assemblea federale, dato che si tratta di questioni giuridiche inerenti alla responsabilità. Non sarebbe neppure appropriato consentire di ricorrere al Tribunale amministrativo federale (TAF): data la sua posizione gerarchica inferiore, il TAF non è l'autorità più idonea a dirimere controversie in materia di responsabilità tra un parlamentare e la Delegazione amministrativa.

1601

Art. 49 cpv. 5 e art. 50 cpv. 2

Rinunciare a consultare obbligatoriamente le Commissioni delle finanze nell'ambito dell'esame preliminare di progetti che hanno conseguenze finanziarie (attuazione dell'Iv. Pa.

Abate)

Secondo l'attuale articolo 49 capoverso 5, una Commissione deve interpellare la Commissione delle finanze della Camera se un suo disegno di atto normativo o sue proposte di modifica di un disegno del Consiglio federale hanno considerevoli conseguenze finanziarie. Questa disposizione si fonda su un corapporto del 17 gennaio 2002 della Commissione delle finanze del Consiglio degli Stati alla CIP, in cui si affermava che la rivalutazione della procedura di corapporto doveva assicurare una maggiore attenzione agli aspetti di politica finanziaria e rendere più fluido il sistema delle commissioni.

L'articolo 50 capoverso 2 obbliga gli uffici dei Consigli a sottoporre alle Commissioni delle finanze per corapporto i disegni di atti legislativi che hanno notevoli ripercussioni finanziarie. Tali disegni di atti legislativi possono essere attribuiti alle Commissioni delle finanze anche per esame preliminare. I corapporti devono essere trasmessi alle commissioni incaricate dell'esame preliminare. Di conseguenza, se un disegno del Consiglio federale ha ripercussioni finanziarie notevoli, le commissioni legislative sono invitate dagli uffici a tenere conto delle competenze delle Commissioni delle finanze in materia di politica finanziaria.

L'iniziativa parlamentare del consigliere nazionale Fabio Abate chiede la modifica di queste disposizioni (cfr. n. 1.5). Nella motivazione, Fabio Abate rileva un problema di calendario: spesso è difficile per le Commissioni delle finanze «riuscire a licenziare tempestivamente un rapporto che rispetti le esigenze della Commissione interessata chiamata ad affrontare nel merito l'atto legislativo in questione». Inoltre, sostiene che «risulta oggettivamente difficile analizzare unicamente le conseguenze finanziarie di progetti che riguardano materie estremamente complesse, senza preventivamente studiarne tutte le particolarità». Un dibattito politico di fondo sul progetto è anche necessario per poter valutare le conseguenze sulla politica finanziaria. Tuttavia, chiedere alle Commissioni delle finanze di effettuare un'analisi approfondita del contenuto del progetto equivarrebbe a ripetere inutilmente il lavoro delle commissioni legislative. Per questo motivo Fabio Abate propone di attenuare il carattere imperativo delle disposizioni interessate. Secondo lui, «si potrebbe ipotizzare
un'esplicita responsabilizzazione della commissione legislativa nell'analisi delle conseguenze finanziarie di un progetto, con facoltà di interpellare la Commissione delle finanze in presenza di particolari aspetti finanziari».

La CIP condivide il punto di vista dell'autore dell'iniziativa, sia a livello di analisi che di conclusioni.

L'articolo 49 capoverso 5 deve essere soppresso. Come avviene da sempre nella prassi, ogni Commissione ha l'ovvio compito di analizzare le conseguenze finanziarie di un progetto da essa elaborato o delle proposte di modifica di un disegno del Consiglio federale. Se, nell'ambito di questa analisi, intende avvalersi delle competenze particolari delle Commissioni delle finanze, la Commissione può farlo chiedendo il parere della Commissione delle finanze della sua Camera.

I diritti delle Commissioni delle finanze non sono limitati dalla rinuncia al capoverso 5. Secondo l'articolo 49 capoverso 4, le commissioni, se lo ritengono utile, pos1602

sono presentare in qualsiasi momento, di propria iniziativa, un rapporto alla Commissione incaricata dell'esame preliminare. Le Commissioni delle finanze hanno anche il diritto di presentare una proposta concreta alla Commissione incaricata dell'esame preliminare; quest'ultima è tenuta ad esaminare la proposta e a pronunciarsi in merito (cfr. art. 76 cpv. 1). Proponendo la soppressione dell'articolo 49 capoverso 5 la CIP riprende la corrispondente proposta formulata dalla Commissione delle finanze nel parere del 5 febbraio 2008.

All'articolo 50 capoverso 2, una disposizione potestativa sostituisce l'obbligo degli uffici di sottoporre alle Commissioni delle finanze per corapporto i disegni di atti legislativi che hanno conseguenze finanziarie considerevoli: gli uffici possono dunque presentare alle Commissioni delle finanze per corapporto o attribuire per esame preliminare i disegni di atti legislativi che rivestono importanza sotto il profilo della politica finanziaria. Non si fa qui riferimento soltanto alle conseguenze finanziarie di un atto, ma anche ad altre questioni di politica finanziaria, come le modalità di finanziamento di un progetto o la regolamentazione delle procedure in materia di politica finanziaria. È stato del tutto naturale, ad esempio, che le Commissioni delle finanze abbiano espresso la propria opinione mediante un corapporto riguardo all'introduzione di un referendum finanziario a livello federale. Altrettanto normale è stato attribuire alle Commissioni delle finanze per esame preliminare il progetto di revisione totale della legge sulle finanze della Confederazione. Secondo il parere del 5 febbraio 2008 la Commissione delle finanze vorrebbe mantenere l'obbligo dell'Ufficio e completare la disposizione come segue: «le Commissioni delle finanze decidono quale seguito intendono dare a queste proposte». La CIP non può riprendere questa aggiunta perché la considera superflua. La proposta è basata sull'idea sbagliata secondo cui la Commissione alla quale l'Ufficio sottopone un oggetto è tenuta a redigere un corapporto. L'attribuzione per corapporto non può tuttavia tradursi in un obbligo. Anche senza la precisazione summenzionata, la Commissione delle finanze è libera, come ogni altra commissione, di presentare un corapporto o meno.

Inoltre la Commissione delle finanze ha proposto
un articolo 50 capoverso 3, che prevede di fissare nella legge il diritto delle Commissioni delle finanze di presentare il loro parere in seduta plenaria. La CIP rifiuta anche questa proposta perché non occorre menzionare nella legge un diritto già esistente. Conformemente all'articolo 45 capoverso 1 lettera a LParl, ogni Commissione ha infatti il diritto di presentare proposte alla Camera. Chi presenta una proposta è libero di motivarla. Nella prassi può anche capitare che presentino proposte commissioni non incaricate di procedere all'esame preliminare di un oggetto.

Art. 95 lett. g e art. 109 cpv. 3, quarto periodo (nuovo):

Accelerare l'appianamento delle divergenze nell'ambito dell'esame preliminare delle iniziative parlamentari

La vecchia LRC (in vigore sino al 2003) incaricava dell'esame preliminare solo la Camera in cui le iniziative parlamentari venivano presentate. Dal 2003, tuttavia, conformemente all'articolo 109 capoverso 3 LParl, le iniziative parlamentari sono sottoposte all'esame preliminare delle due Camere; di conseguenza si è dovuto disciplinare anche la procedura di appianamento delle divergenze. Nell'ambito dell'elaborazione della LParl, le Camere hanno scelto di applicare alle iniziative parlamentari la stessa procedura prevista per le iniziative cantonali. L'analogia 1603

creata tra questi due tipi di iniziative nella procedura di appianamento delle divergenze non è tuttavia giustificata. L'iniziativa cantonale è destinata infatti alle due Camere, quella parlamentare, invece, è destinata solo alla Camera in cui è stata depositata. Per quanto riguarda l'esame preliminare dell'iniziativa cantonale, è assolutamente necessario che la Camera prioritaria abbia la possibilità di ritornare sulla sua decisione iniziale di non dare seguito all'iniziativa: altrimenti, infatti, l'esame preliminare al quale procede la seconda Camera e la sua eventuale decisione di dare seguito all'iniziativa perdono ogni ragione di essere. Per quanto riguarda l'esame preliminare dell'iniziativa parlamentare, invece, la seconda Camera procede all'esame preliminare solo nella misura in cui la Commissione della Camera prioritaria (o la Camera stessa, se non segue la proposta della Commissione di non darle seguito) ha dato seguito all'iniziativa: la decisione della Commissione (o della Camera, se contraddice il parere negativo della Commissione) di darle seguito richiede infatti l'approvazione della Commissione dell'altra Camera (o della seconda Camera stessa, se la Commissione propone di non darle seguito). La procedura applicabile all'esame preliminare delle iniziative parlamentari è dunque analoga a quella applicabile alla trattazione delle mozioni. Attualmente, una mozione adottata dalla Camera prioritaria, ma respinta dalla seconda Camera, è considerata respinta definitivamente: secondo il presente progetto, per analogia, le iniziative parlamentari alle quali la Camera prioritaria ha dato seguito sono definitivamente respinte se la seconda Camera non si allinea alla decisione della Camera prioritaria. Ricordiamo infine che l'esame preliminare di un'iniziativa parlamentare consiste nel rispondere a una semplice domanda di principio: riproporla alle Camere, in genere, non fa trasparire nessun elemento nuovo e non modifica la decisione iniziale.

Art. 109 cpv. 5 (nuovo)

Sorte di un'iniziativa parlamentare se l'autore non fa più parte della Camera

Le disposizioni concernenti gli interventi (cfr. articolo 119 cpv. 5 LParl) si applicheranno anche alle iniziative parlamentari: se l'autore dell'iniziativa lascia la Camera e nessun altro parlamentare la riprende nella prima settimana della sessione successiva, l'iniziativa è tolta dal ruolo senza decisione della Camera. Sinora alcune di queste iniziative dovevano essere ancora esaminate dalla Commissione e dalla Camera, anche se non le difendeva più nessuno: un compito minimo, certo, ma pur sempre inutile e evitabile. Se la Commissione le ha già dato seguito, l'iniziativa non è più soltanto di competenza del suo autore, ma anche della Commissione. In tal caso, non si procede allo stralcio dell'iniziativa, in analogia alla disposizione secondo la quale un'iniziativa non può più essere ritirata dopo che una Commissione ha deciso di darle seguito (art. 73 cpv. 2 LParl).

Art. 119 cpv. 4

Abrogazione dello stralcio senza decisione del Consiglio degli interventi non trattati entro due anni

Poiché lede il diritto procedurale fondamentale dei parlamentari di presentare interventi (art. 6 cpv. 1 LParl), lo stralcio di un intervento senza decisione del Consiglio necessiterebbe di una base legale. Nella nuova procedura proposta (cfr. art. 28a RCN), vi si rinuncia in quanto si vota su ogni mozione e postulato; la limitazione del diritto di chiedere la parola poggia invece già su una base legale (art. 6 cpv. 3 LParl).

Dato che la nuova regolamentazione non esige nessuna base legale, l'articolo 119 capoverso 4 LParl può essere abrogato. Essendo questa disposizione applicata solo 1604

in seno al Consiglio nazionale, è sufficiente modificare il regolamento del Consiglio nazionale (cfr. il commento relativo all'art. 28a cpv. 2 RCN).

Art. 121

Trattazione delle mozioni nelle Camere

Le tre modifiche di fondo apportate permettono di strutturare questo articolo in modo più sistematico.

Secondo l'attuale capoverso 1, il Consiglio federale propone di accogliere o di respingere la mozione «di norma» entro la sessione successiva alla presentazione.

Può dunque eccezionalmente rispondervi dopo lo scadere di questo termine, ma deve informarne l'Ufficio e l'autore dell'intervento, indicando il motivo del ritardo (art. 27 RCN). In attuazione dell'iniziativa parlamentare Hämmerle, la Commissione desidera fissare un termine e propone pertanto che una mozione di commissione sia trattata definitivamente al più tardi nella seconda sessione ordinaria dopo la sua presentazione (cfr. art. 28a cpv. 1 RCN). Tuttavia questo termine non è compatibile con il diritto del Consiglio federale di presentare eccezionalmente la sua proposta più tardi. Di conseguenza, si deve cancellare la possibilità di un differimento da parte del Consiglio federale. Si deve anche tenere conto del fatto che le mozioni di commissione sono presentate di norma tra le sessioni, talvolta soltanto una o due settimane prima della sessione successiva. In questi casi è assai improbabile che il Consiglio federale risponda entro la « sessione successiva». Per questo motivo, per il Consiglio federale si è ora previsto un termine di tre mesi.

La Commissione ha constatato che da qualche tempo il Consiglio federale osserva solo in misura limitata il termine di risposta agli interventi e che le cause del ritardo, quando sono indicate (cosa che non è sempre il caso), sono insufficienti. Il Consiglio federale, per esempio, ha risposto solo a 29 delle 61 mozioni presentate nella sessione estiva 2004 rispettando il termine legale (la sessione successiva alla presentazione). Delle restanti mozioni, 18 erano pronte a essere trattate dalla Camera nella seconda sessione dopo la presentazione, 11 nella terza e 3, rispettivamente, nella settima, ottava e decima. La prassi del Consiglio federale è totalmente differente nei confronti delle mozioni presentate al Consiglio degli Stati, dove è eccezionale che le risposte non siano fornite entro i termini: ciò prova che è possibile rispettare il termine. Per quanto riguarda la mancata indicazione delle cause del ritardo, la Commissione ha preso atto del fatto che, il 12 marzo 2007, la cancelliera
della Confederazione ha assicurato a una sottocommissione dell'Ufficio del Consiglio nazionale che in futuro l'articolo 27 secondo periodo RCN sarebbe stato applicato in modo corretto.

Il capoverso 2 disciplina la trattazione prioritaria delle mozioni di commissione o approvate dall'altra Camera. L'iniziativa parlamentare Hämmerle (cfr. n. 1.4) mira a privilegiare ancora di più la trattazione di queste mozioni. La disposizione concerne solo il Consiglio nazionale, perché, nel Consiglio degli Stati, tutte le mozioni possono di norma essere trattate nella sessione in cui gli sono sottoposte. Dato che mediante il presente progetto si possono regolare anche altri problemi specifici del Consiglio nazionale e relativi alla trattazione degli interventi integrando le corrispondenti disposizioni nel regolamento del Consiglio nazionale, si può abrogare questa disposizione della legge sul Parlamento e integrarla nel regolamento (cfr.

commento all'articolo 28a cpv. 1 RCN).

Il capoverso 2 del progetto corrisponde alla prima parte del capoverso 3 della legge vigente. La procedura speciale applicabile alla trattazione delle mozioni per quanto 1605

riguarda l'organizzazione o il funzionamento di una singola Camera figura nel nuovo capoverso 6, con una nuova eccezione.

Il capoverso 3 del progetto corrisponde al capoverso 4 primo periodo della legge vigente. Le diverse opzioni di cui dispone la seconda Camera sono così raggruppate nello stesso capoverso.

Il capoverso 4 disciplina la trattazione di una mozione nella Camera prioritaria dopo che è stata modificata nella seconda Camera; corrisponde al capoverso 4 secondo periodo della legge vigente.

Il capoverso 5 prevede due eccezioni alla trattazione di una mozione da parte delle due Camere. Il capoverso 5 lettera a corrisponde all'ultima parte del capoverso 3 secondo periodo della legge in vigore. La nuova procedura che regola la trattazione delle mozioni di commissione di ugual tenore è fissata alla lett. b: prima dell'entrata in vigore della LParl, una mozione era considerata accolta definitivamente e non era pertanto trasmessa all'altra Camera, quando una mozione di ugual tenore era stata accolta dall'altra Camera. Non si è potuto continuare questa prassi dopo l'entrata in vigore della LParl, dato che quest'ultima introduceva la possibilità di modificare la mozione nella seconda Camera su proposta della Commissione di esame preliminare o del Consiglio federale. Facciamo un esempio: nel 2004, la consigliera nazionale Brigitte Häberli e il consigliere agli Stati Philipp Stähelin hanno depositato una mozione di ugual tenore volta a riformare le strutture amministrative della Confederazione (oggetti 04.3803 e 04.3702). Il Consiglio federale ha proposto di accogliere le mozioni, riservandosi espressamente il diritto di presentare una proposta di modifica alla seconda Camera. Se, conformemente alla prassi applicata prima dell'entrata in vigore della LParl, le mozioni non fossero state trasmesse alla seconda Camera dopo la loro adozione nel Consiglio prioritario, il Consiglio federale non avrebbe potuto proporre la modifica: l'esempio dimostra l'utilità dell'obbligo di trasmettere all'altra Camera una mozione, anche se è stata depositata davanti a ciascuna Camera una mozione di ugual tenore e può sembrare una perdita di tempo esaminare lo stesso testo una seconda volta. Per risolvere il problema, non resta che un'opzione: raccomandare ai parlamentari di non presentare mozioni di ugual tenore
nelle due Camere, in quanto tale prassi si è rivelata controproducente.

Il presente progetto offre tuttavia un'eccezione alla regola della doppia trattazione per le mozioni di commissione. Prevede infatti di non trasmetterle alla seconda Camera dopo la loro adozione nel Consiglio prioritario e di considerarle come adottate definitivamente se la seconda Camera ha già adottato una mozione di commissione di ugual tenore. In tal modo il Consiglio federale perde il diritto di modificare la mozione nella seconda Camera; tuttavia, dato che in genere assiste personalmente o per il tramite di un rappresentante dell'amministrazione alla trattazione delle mozioni nella commissione, può fare le proposte di modifica direttamente nella commissione. Diversamente dalle mozioni depositate da un parlamentare a titolo individuale, che presentano talvolta imperfezioni per quanto riguarda la forma materiale o giuridica, le mozioni di commissione hanno meno bisogno di essere ritoccate dato che diversi parlamentari, l'amministrazione e la segreteria della Commissione partecipano alla loro elaborazione. Prevedendo un'eccezione per le mozioni di commissione di ugual tenore, il presente progetto permetterà dunque alle Commissioni delle due Camere di impartire rapidamente, con un'azione coordinata, un mandato al Consiglio federale.

1606

Art. 124 cpv. 1

Trattazione dei postulati nelle Camere

Si rinvia qui al commento alla modifica dell'articolo 121 capoverso 1.

Art. 126­128

Procedura applicabile alla trattazione delle petizioni

Il 23 marzo 2007, il consigliere nazionale Luzi Stamm (V, AG) ha presentato l'iniziativa parlamentare «Modifica della legge sul Parlamento. Trattazione delle petizioni» (07.423) per rimediare a un aspetto dell'articolo 126 LParl che riteneva insoddisfacente. Secondo il tenore di questo articolo vi sono solo due possibilità: se condivide quanto chiesto nella petizione, la Commissione sottopone alla Camera da cui dipende una pertinente iniziativa parlamentare o un pertinente intervento; se respinge la petizione, la Commissione propone alla Camera di prenderne atto senza darle seguito. Questa alternativa non tiene conto di una situazione che tuttavia capita spesso: la Commissione condivide quanto chiesto nella petizione, ma non deve fare niente, ad esempio, perché le richieste degli autori della petizione sono in massima parte già state soddisfatte, l'amministrazione o il Parlamento è già intervenuto o si stanno già elaborando atti normativi corrispondenti. In tal caso, l'unica possibilità consiste nel non dare seguito alla petizione; ciò suggerisce tuttavia che l'oggetto stesso della petizione sia respinto, benché tale non sia il caso. Per questo motivo Luzi Stamm chiede che la Commissione possa proporre alla propria Camera «di prendere favorevolmente atto della petizione».

Pur ritenendo giustificata la richiesta dell'iniziativa 07.423, la Commissione vorrebbe risolvere la questione in un altro modo. Prima dell'entrata in vigore della LParl (il 1o dicembre 2003), la procedura applicabile alla trattazione delle petizioni era relativamente flessibile. La forma della decisione presa in merito a una petizione contribuiva spesso a suscitare nell'autore l'impressione che la richiesta avesse ricevuto un'accoglienza favorevole anche se, in realtà, la trattazione della petizione non aveva prodotto alcun risultato concreto. Il ruolo dell'articolo 126 LParl consiste proprio nel chiarire questa situazione: o la petizione produce un effetto ­ e le viene dunque veramente «dato seguito», in quanto la richiesta è presa in considerazione mediante un'iniziativa parlamentare o un intervento ­; oppure la petizione non produce nessuna azione parlamentare e non le è dunque «dato seguito». Secondo la Commissione, alla forma di decisione proposta da Luzi Stamm, cioè «prendere favorevolmente atto della petizione», manca
proprio la chiarezza, in quanto la sua formulazione non permette di sapere quali conseguenze avrà tale decisione.

L'obiettivo a cui mira Luzi Stamm può essere raggiunto con altri mezzi. Come da lui sottolineato, capita infatti che la Commissione non dia seguito a una petizione pur approvando quanto da lei chiesto. Di conseguenza, la legge dovrebbe prevedere che la decisione di «non dare seguito» a una petizione non fosse legata esclusivamente al fatto di rifiutarla. Infatti, è possibile che la Commissione non dia seguito a una petizione semplicemente perché constata che un'altra autorità competente già si adopera per adempiere quanto chiesto nella petizione. Dato che è assai frequente, questo caso dovrebbe figurare nella legge (art. 128 cpv. 1 lett. b). La disposizione è formulata in modo molto generale nel progetto proprio per permetterne l'applicazione in quante più situazioni possibili. La più frequente dovrebbe essere quella in cui la Commissione constata che il Consiglio federale presenterà, in un prossimo futuro, un progetto di legge la cui trattazione fornirà l'occasione di formulare una proposta che va nel senso dell'obiettivo perseguito dalla petizione. Un altro esempio: una petizione chiede che le autorità svizzere adottino un determinato atteggiamento nei confronti di una situazione internazionale (aiuto ai rifugiati nel 1607

Sudan meridionale ecc.). Se la Commissione non dà seguito a una petizione di questo genere, non è perché la rifiuta, ma perché, ad esempio, constata che la Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) si è già occupata del problema e che la presentazione di un intervento parlamentare non contribuirà a risolverlo e non servirà dunque a niente. Un'altra ragione, pure frequente, per «non dare seguito» a una petizione è che quanto chiesto nella petizione è già adempiuto al momento della sua trattazione in Parlamento; la legge dovrebbe prevedere anche questo caso (art. 128 cpv. 1 lett. c).

L'occasione è dunque favorevole per rivedere, sia da un punto di vista redazionale che da un punto di vista sistematico, le disposizioni concernenti la procedura applicabile alla trattazione delle petizioni, cioè gli articoli 126­128 LParl, in modo da renderli più chiari e comprensibili, senza tuttavia apportarvi importanti modifiche di fondo. Riassumendo, ecco i punti che occorre chiarire: ­

attualmente, se la Commissione condivide quanto chiesto in una petizione, la petizione resta un oggetto indipendente dall'intervento di commissione o dall'iniziativa di commissione. Coordinare la trattazione di due oggetti formalmente differenti solleva tuttavia alcuni problemi. La sola soluzione appropriata consisterebbe nel considerare la petizione liquidata dal punto di vista formale quando la Commissione recepisce in un'iniziativa parlamentare o un intervento quanto chiesto nella petizione. In tal caso, per quanto riguarda la petizione, la Commissione non fa una proposta alla propria Camera, ma decide definitivamente (art. 127 LParl);

­

il vigente articolo 127 LParl prevede già la possibilità per la Commissione e la Camera di non deliberare e decidere separatamente su una petizione, se quanto in essa chiesto può essere recepito in una proposta inerente all'oggetto in deliberazione pendente. In questo caso è sufficiente che la Commissione e la Camera siano informate che è stata depositata una petizione materialmente connessa con l'oggetto in deliberazione. Quando l'oggetto trattato è liquidato, la petizione è considerata tolta dal ruolo. Concretamente, questa disposizione è stata però applicata raramente ai casi per i quali è stata prevista, poiché il tenore dell'articolo 127 non è chiaro.

L'articolo 126 capoverso 2 LParl dovrebbe rimediare a questo inconveniente.

Inoltre, il testo è stato modificato lievemente precisando che i presidenti delle Commissioni delle due Camere possono rispondere non solo alle petizioni dal contenuto manifestamente fuorviante e querulomane, ma anche a quelle dal contenuto manifestamente offensivo (art. 126 cpv. 4).

Art. 133 cpv. 1 e art. 140a (nuovo)

Incapacità di un membro del Consiglio federale o del cancelliere della Confederazione di esercitare la carica (attuazione dell'Iv. Pa. Hochreutener)

Il presente progetto regola un problema che, per il momento, non è urgente, ma che, in linea di principio, può manifestarsi in qualsiasi momento. È sufficiente pensare al primo ministro israeliano Ariel Sharon, che, entrato in coma il 4 gennaio 2006, ha dovuto essere dichiarato durevolmente incapace di esercitare la carica l'11 aprile 2006. Che cosa accadrebbe in Svizzera in un caso del genere? Se un membro del

1608

Consiglio federale dovesse perdere per motivi di salute la capacità di esercitare la carica, il diritto dovrebbe rispondere chiaramente alle seguenti domande: 1.

in una situazione del genere, è giuridicamente possibile destituire un magistrato eletto per un mandato di durata determinata (nella fattispecie quattro anni) e nominare un successore?

2.

Quali condizioni devono essere soddisfatte per poter destituire un magistrato?

3.

Quale procedura si applica: chi è autorizzato a proporre le dimissioni di un magistrato, qual è l'organo abilitato a decidere ed entro quale termine?

Attualmente, il diritto non è esplicito su questi punti, anche se dalle disposizioni della Costituzione federale (cfr. n. 5) si può dedurre una risposta affermativa alla prima domanda. Regolare questi punti esplicitamente permetterebbe tuttavia di evitare lunghe discussioni e di dissipare i dubbi nel caso concreto. Quando, nel maggio 1962, il consigliere federale Jean Bourgknecht ebbe un colpo apoplettico e si pose il problema dell'incapacità di un membro del Consiglio federale di esercitare la carica, si ideò una soluzione ad hoc che oggi appare tuttavia problematica dal punto di vista giuridico: il 3 settembre 1962 tre membri della famiglia rassegnarono le dimissioni a suo nome per la fine del mese. Una simile procedura sarebbe pressoché impensabile al giorno d'oggi. Una lunga assenza di un consigliere federale modifica de facto la rappresentanza delle forze politiche nel Consiglio federale, che di conseguenza non corrisponde più a quella voluta dall'Assemblea federale. I consiglieri federali sono oggi maggiormente implicati nella vita politica del partito. Nel caso di incapacità di uno di loro di esercitare la carica e di rassegnare le dimissioni sono in gioco importanti interessi politici. La stampa e il mondo politico seguirebbero con grande attenzione, se non con diffidenza, la procedura adottata per risolvere il problema e non esiterebbero a metterla in discussione, a seconda dei loro interessi. Se non si definiscono le condizioni necessarie per destituire un consigliere federale e la procedura da seguire, le contestazioni potrebbero aumentare e mettere in crisi la credibilità delle istituzioni politiche.

Con il presente progetto di modifica della legge sul Parlamento, la CIP-N intende porre fine all'incertezza giuridica che potrebbe sorgere se un membro del Consiglio federale o il cancelliere della Confederazione divenisse incapace di esercitare la carica.

L'articolo 133 capoverso 1 stabilisce quando vengono fissate le elezioni per assegnare i seggi vacanti in Consiglio federale dopo le dimissioni o dopo una «vacanza imprevista», cioè il decesso di un membro del Consiglio federale. Il presente progetto aggiunge l'accertamento dell'incapacità di esercitare la carica ai motivi all'origine di una vacanza.

L'articolo 140a costituisce il nuovo capitolo 6 del titolo sesto della legge sul
Parlamento, che regola le elezioni e la conferma delle elezioni a cui procede l'Assemblea federale. Sotto il profilo sistematico, il nuovo articolo introdotto con il presente progetto si inserisce nella legge sul Parlamento perché concerne una competenza decisionale dell'Assemblea federale plenaria. L'accertamento dell'incapacità di esercitare una carica provoca infatti una vacanza nel Collegio governativo o nella direzione della Cancelleria federale, vacanza cui l'Assemblea federale plenaria ha il compito di porre rimedio con un'elezione.

1609

Il capoverso 1 delimita il campo d'applicazione della nuova disposizione, la quale concerne unicamente i membri del Consiglio federale e il cancelliere della Confederazione, cioè i magistrati del potere esecutivo che assicurano direttamente le funzioni direttive politiche o coordinano le attività del Governo sotto il profilo amministrativo dirigendone lo stato maggiore. Per diversi motivi sono esclusi i giudici dei Tribunali della Confederazione. Infatti gli articoli 10 della legge sul Tribunale amministrativo federale (RS 173.32) e della legge sul Tribunale penale federale (RS 173.71) (di ugual tenore) abbracciano una casistica più ampia, in quanto prevedono la possibilità di destituire un giudice federale di prima istanza da parte dell'Assemblea federale a Camere riunite non soltanto per perdita della capacità di esercitare la carica, ma anche per violazione grave dei doveri d'ufficio. La legge federale sul Tribunale federale (RS 173.110), anche se adottata contemporaneamente alle due leggi citate, non menziona invece nessuna possibilità di destituzione dei giudici federali dell'istanza suprema, neanche in caso di perdita della capacità di esercitare la carica. Dai lavori preparatori relativi alla revisione totale dell'organizzazione giudiziaria federale si può desumere che il silenzio del legislatore su questo punto volesse mettere in evidenza l'indipendenza della suprema autorità giudiziaria del Paese. Non vi è nessuna ragione pratica o politica per includere i giudici federali nel campo d'applicazione del presente progetto: diversamente dal Consiglio federale, che comprende sette persone, o dalla Cancelleria federale, che ne comprende tre, l'assenza di un giudice nel Tribunale federale ha conseguenze meno gravi, dato che il suo lavoro può essere ripartito più facilmente tra i colleghi (38 giudici ordinari e 19 giudici supplenti). L'incapacità di un giudice del Tribunale federale non pone inoltre il problema dei rapporti di forza tra i partiti come quella di un membro del Consiglio federale.

Conformemente al presente progetto, spetterà logicamente all'Assemblea federale plenaria, che è già l'organo incaricato di procedere all'elezione dei consiglieri federali e del cancelliere della Confederazione, constatare l'incapacità di esercitare la carica. La scelta di questo organo sottolinea anche il
carattere eccezionale di una simile decisione e le conferisce una maggiore legittimità democratica.

Secondo il capoverso 2, l'Ufficio dell'Assemblea federale plenaria e il Consiglio federale hanno il diritto di presentare una proposta di accertamento dell'incapacità di una delle persone di cui al capoverso 1 di esercitare la carica. Si deve limitare quanto più possibile questo diritto per evitare di politicizzare la nuova disposizione, prevista per casi eccezionali, o di suscitare l'impressione che possa essere sfruttata per fini partitici. Il Consiglio federale evidentemente è in grado di giudicare se i suoi membri o se il cancelliere della Confederazione hanno la capacità di esercitare la carica. L'Ufficio dell'Assemblea federale plenaria è composto dei presidenti e dei due vicepresidenti di ogni Camera, cioè di persone di grande esperienza che, oltre a offrire ampie garanzie di imparzialità, assicurano un equilibrio tra le due Camere.

Il capoverso 3 stabilisce a quali condizioni l'incapacità è presunta. L'obiettivo è di evitare decisioni arbitrarie: l'Assemblea federale plenaria deve poter constatare l'incapacità solo se sono adempiute determinate condizioni fissate per legge. Decide nei limiti del suo potere discrezionale sulla presenza o assenza di queste condizioni.

Se le condizioni sono soddisfatte e una proposta è stata depositata conformemente alle disposizioni previste al capoverso 2, l'Assemblea federale decide di conseguenza. Nel caso del Consiglio federale, l'accertamento dell'incapacità apre la strada a un'elezione suppletiva, che assicura il buon funzionamento del collegio governativo

1610

e impedisce che un eventuale cambiamento dei rapporti di forza tra i partiti rappresentati nell'esecutivo si protragga troppo a lungo.

La prima condizione prevede che la persona non sia «manifestamente più in grado di esercitare la carica per gravi problemi di salute». L'incapacità può pertanto risultare da gravi problemi fisici o psichici come malattia fisica, infermità mentale, forte depressione, demenza o alterazione dello stato di coscienza. L'elemento determinante non sono le condizioni di salute in sé, ma il fatto che impediscano l'esercizio della carica. L'incapacità deve essere manifesta: non è sufficiente nutrire dubbi sulla maniera in cui la persona esercita la carica, perché su questi possono influire considerazioni politiche soprattutto nel caso del Consiglio federale. La nuova disposizione non rinvia deliberatamente alla nozione di incapacità civile di cui all'articolo 17 del Codice civile svizzero del 10 dicembre 1907 (CC, RS 210). Questo rinvio potrebbe presentare alcuni vantaggi per l'Assemblea federale, che potrebbe basarsi su una lunga giurisprudenza delle autorità giudiziarie e amministrative. Tuttavia, la capacità di esercitare una carica di direzione nel Governo o nel suo stato maggiore non coincide forzatamente con la capacità di partecipare alle attività di diritto privato. Ci si può infatti immaginare che un consigliere federale che ha perso la capacità di esercitare la carica per ragioni di salute conservi la capacità giuridica di stipulare contratti. I criteri definiti dal diritto civile sono dunque troppo stretti. Inoltre, l'Assemblea federale plenaria deve poter decidere liberamente nell'ambito delle condizioni definite dalle presenti disposizioni, senza dover tenere conto dell'interpretazione della nozione di incapacità civile data dai giudici e senza dover chiedere una perizia medica.

Può anche capitare che un magistrato non sia manifestamente più in grado di esercitare la carica perché «impossibilitato a tornare al posto di lavoro». Si fa riferimento ad esempio al rischio che un magistrato sia dichiarato scomparso dopo una catastrofe naturale o un rapimento. Anche in questo caso non si fa volutamente alcun riferimento alla dichiarazione della scomparsa di cui agli articoli 35 segg. CC. Infatti, i termini molto lunghi fissati dal CC per una dichiarazione di scomparsa
non sono applicabili alla vacanza di una carica di magistrato. Per «posto di lavoro», si intende qualsiasi posto in cui il magistrato può esercitare la carica.

La seconda condizione prevede che l'incapacità sia «verosimilmente destinata a durare a lungo». Non è il caso, ad esempio, delle assenze passeggere per motivi di salute dei membri del Consiglio federale o del cancelliere della Confederazione, anche se il trattamento o la guarigione richiedono qualche tempo. In tali casi si applicano l'articolo 22 (Consiglio federale) e l'articolo 31 capoverso 2 (cancelliere della Confederazione) della legge del 21 marzo 1997 sull'organizzazione del governo e dell'amministrazione (LOGA, RS 172.010): secondo il primo, «il Consiglio federale designa al suo interno un supplente per ogni membro»; in base al secondo, «i vicecancellieri sono i supplenti del cancelliere della Confederazione». Per l'applicazione delle presenti disposizioni sull'incapacità, elementi probanti devono indicare che l'assenza della persona interessata sarà di lunga durata, senza tuttavia che l'incapacità debba essere definitiva o irreversibile. Non sarebbe opportuno precisare ulteriormente la durata dell'incapacità: l'Assemblea federale deve poter decidere caso par caso e prendere la decisione in funzione della durata restante del mandato, della direzione del collegio governativo e del Dipartimento, o della Cancelleria, e dell'opportunità di procedere a un'elezione suppletiva.

In forza della terza condizione, l'incapacità di esercitare la carica è presunta solo se il consigliere federale interessato o il cancelliere della Confederazione «non ha 1611

rassegnato validamente le dimissioni entro un congruo termine». Per rispetto per il magistrato, è opportuno dargli il tempo di comunicare le dimissioni, a condizione che sia in grado di farlo entro un termine ragionevole. L'esigenza della validità legale della dichiarazione, che deve essere interpretata in modo analogo alle condizioni che disciplinano la validità delle convenzioni di diritto privato, serve a evitare situazioni incerte o indegne come la comunicazione delle dimissioni da parte dell'entourage della persona, il potere di rappresentanza del quale non è disciplinato in modo impeccabile.

Secondo il capoverso 4, l'Assemblea federale plenaria deve decidere «al più tardi nella sessione successiva alla presentazione della proposta». Questa formulazione permette di fissare un termine senza restringere eccessivamente il margine di manovra dell'Assemblea. Infatti, il termine decorre solo dopo che la proposta è stata presentata: l'Assemblea può dunque attendere la sessione ordinaria successiva per trattarla o organizzare una sessione speciale; in quest'ultimo caso, l'elezione suppletiva potrebbe avere luogo dopo la sessione ordinaria successiva alla presentazione della proposta; nel primo caso, invece, l'elezione suppletiva avrebbe di norma luogo, in caso di vacanza in seno al Consiglio federale, solo due sessioni dopo la presentazione della proposta, cioè nella sessione ordinaria successiva all'adozione o al rifiuto della proposta (cfr. art. 133 cpv. 1 LParl).

Secondo il capoverso 5, l'accertamento da parte dell'Assemblea federale plenaria dell'incapacità di un consigliere federale o del cancelliere della Confederazione di esercitare la carica produce la vacanza del seggio. In questo modo viene stabilito il collegamento con l'articolo 133 LParl, che disciplina l'elezione per ricoprire un seggio vacante e che, secondo l'articolo 139 LParl, si applica per analogia alle altre elezioni a cui procede l'Assemblea federale.

Art. 141 cpv. 2 lett. g

Esame della sostenibilità per le future generazioni nei messaggi del Consiglio federale (attuazione della Mo. Markwalder Bär)

L'articolo 141 LParl elenca una serie di aspetti che il Consiglio federale è chiamato a esaminare nei suoi messaggi concernenti i disegni di atti normativi. Conformemente all'articolo 111 capoverso 3 LParl, la disposizione si applica anche ai rapporti che le commissioni parlamentari dedicano ai propri progetti.

Il Consiglio federale dovrà illustrare, nei suoi messaggi, anche le ripercussioni sulle future generazioni di un atto normativo. La riserva generale secondo la quale ciò deve essere fatto «per quanto siano possibili indicazioni sostanziate» (art. 140 cpv. 2 secondo per.) si applica anche a questa nuovo aspetto.

Questo «esame della sostenibilità per le future generazioni» è peraltro in armonia con il preambolo della Costituzione federale, dove si precisa che il Popolo svizzero e i Cantoni sono coscienti «delle loro responsabilità verso le generazioni future».

Questo complemento all'articolo 141 LParl contribuisce anche all'attuazione dell'articolo 73 Cost. (Sviluppo sostenibile): «La Confederazione e i Cantoni operano a favore di un rapporto durevolmente equilibrato tra la natura, la sua capacità di rinnovamento e la sua utilizzazione da parte dell'uomo» . Trova applicazione anche nei settori della politica finanziaria o della politica sociale: l'ampiezza del debito pubblico o il finanziamento della previdenza professionale per la vecchiaia rischiano di far sopportare alle generazioni future le conseguenze della cattiva gestione operata

1612

dalla generazione attuale. Queste implicazioni devono essere analizzate e chiarite durante l'elaborazione delle disposizioni legislative.

3.2 Art. 15

Modifica del regolamento del Consiglio nazionale (RCN) Ripartizione dei seggi di commissione

Secondo l'articolo 43 LParl, la composizione delle commissioni «si impronta alla forza dei gruppi parlamentari all'interno di ogni Camera». Questa disposizione riconosce un certo margine di manovra nel ripartire i seggi commissionali tra i gruppi. Il RCN prevede che «i seggi nelle singole commissioni» (art. 15 cpv. 1 lett. a) siano ripartiti tra i gruppi in modo proporzionale. Di conseguenza, se «la forza» di un gruppo cambia anche solo di un'unità, questo gruppo può ottenere un seggio supplementare o perdere un seggio in ciascuna delle undici commissioni permanenti di 25 membri.

In occasione dell'ultimo rinnovo integrale delle commissioni, all'inizio della legislatura in corso, l'adesione di Josef Zisyadis, membro del PdA/PdT/PCS, al Gruppo dei Verdi, ha consentito a quest'ultimo di ottenere undici seggi supplementari nelle commissioni. Viceversa, il Gruppo socialista ha perso undici seggi, che avrebbe potuto mantenere se Josef Zisyadis avesse aderito a questo gruppo o fosse rimasto senza gruppo. La costituzione di un gruppo comprendente tre Verdi-liberali, due membri del PEV e i membri del PPD ha permesso a questo gruppo di ottenere più seggi commissionali di quanti ne avrebbero avuti gruppi PPD e Verdi-Liberali/PEV distinti.

Il gruppo dei Verdi e il gruppo PPD/PEV/glp hanno così ottenuto 1,5 seggi per membro e i gruppi socialista e radicale-liberale invece solo 1,25 seggi per membro.

La minoranza I della CIP ritiene che questa situazione costituisca una disparità di trattamento dei gruppi e dei loro membri. Per tal motivo propone che, d'ora in poi, non siano più i 25 seggi di ogni commissione permanente ad essere ripartiti tra i gruppi in modo proporzionale, ma il totale dei 275 seggi. Il metodo permetterebbe di ripartire in modo più equo i seggi tra i gruppi. I gruppi che oggi sono sottorappresentati nelle commissioni, cioè il PLR e il PS, riceverebbero quattro seggi in più a testa.

La maggioranza della commissione respinge questa innovazione perché ritiene che renderebbe eterogenea la composizione politica delle commissioni e che, pertanto, queste ultime non rispecchierebbero le forze rappresentate nella Camera.

La minoranza II della CIP propone invece che in futuro ogni deputato, in particolare chi che non fa parte di un gruppo parlamentare, abbia diritto a un seggio in una commissione.
Secondo questa minoranza, tale diritto sarebbe giustificato dal principio della parità di trattamento dei deputati, stabilito dalla Costituzione federale. Per la minoranza II, infatti, il deputato che non può essere membro di una commissione non può esercitare pienamente i diritti individuali inerenti al mandato parlamentare, tenuto conto del ruolo centrale che hanno le commissioni nel processo di decisione parlamentare. Per i membri di questa minoranza, penalizzare un deputato rispetto ai deputati che hanno un seggio in una commissione significa non soltanto ledere i suoi diritti di parlamentare ma anche violare indirettamente i diritti politici dei suoi elettori (e di conse1613

guenza le disposizioni dell'art. 34 Cost.): il voto di tali cittadini avrebbe infatti un peso minore poiché il parlamentare da essi votato non disporrebbe di tutti i diritti individuali riconosciuti ai parlamentari.

Sempre secondo la minoranza II, un altro argomento parla a favore del diritto di ogni deputato di ottenere un seggio in una delle grandi commissioni permanenti: meno influenzata dai gruppi rispetto ai parlamenti di altre democrazie, l'Assemblea federale svizzera è caratterizzata maggiormente dall'azione individuale dei deputati. Chi viene eletto nel Consiglio nazionale ha obblighi nei confronti non solo del suo partito, ma anche degli elettori che hanno scritto il suo nome due volte sulla scheda elettorale o che lo hanno scritto su un'altra scheda in virtù del panachage.

La maggioranza della commissione ribadisce il punto di vista espresso nel rapporto del 3 novembre 2005 concernente l'iniziativa parlamentare 04.493 (Huguenin. Per uno statuto dei deputati senza gruppo): Tenuto conto dell'importanza considerevole che riveste il lavoro delle commissioni, è importante che la loro composizione politica rifletta quella della loro Camera, in altre parole che siano rappresentative. A questo riguardo, l'articolo 43 capoverso 3 LParl dispone che la composizione delle commissioni si impronti alla forza dei gruppi parlamentari all'interno di ogni Camera. Se ai deputati senza gruppo fosse riconosciuto il diritto a un seggio nelle commissioni, la composizione delle stesse rischierebbe di non essere più proporzionale. Se un gruppo politico non riesce a raggiungere un minimo di cinque seggi in Parlamento ciò è il risultato di elezioni democratiche le cui conseguenze devono essere accettate.

La Commissione ricorda che la costituzione di gruppi nelle Camere ­ prevista dalla Costituzione federale ­ mira a favorire uno svolgimento razionale dei lavori e di conseguenza a strutturare meglio il processo decisionale in Parlamento. Abolire la condizione secondo cui un deputato deve far parte di un gruppo per poter avere un seggio in una commissione significherebbe sopprimere una delle principali motivazioni a costituire un gruppo. Inoltre, niente impedisce ai deputati i cui partiti non hanno raggiunto un numero sufficiente di seggi per formare un gruppo di unirsi in gruppo se sono di analogo orientamento politico (cfr. art. 61 cpv. 2 LParl)».

Art. 17 cpv. 5 (nuovo)

Rinnovo integrale straordinario delle commissioni

I membri delle commissioni permanenti sono nominati dall'Ufficio per quattro anni (art. 17 RCN). Di conseguenza il deputato che lascia il suo gruppo continua a sedere nella commissione.

Nella prassi è già capitato, ma solo in casi isolati, che deputati abbiano lasciato volontariamente il gruppo. Alcuni hanno mantenuto i seggi nelle commissioni, altri li hanno messi a disposizione del gruppo. In ogni caso, questa situazione non ha mai provocato problemi gravi.

Sono tuttavia immaginabili situazioni in cui le disposizioni vigenti risultano insufficienti. Essendo sempre difficile cambiare le regole a gioco in corso, è meglio prevedere soluzioni prima che i problemi si manifestino.

Può darsi che in futuro vi saranno più casi di deputati che lasciano il gruppo, individualmente o collettivamente, volontariamente o meno. Una situazione del genere rischierebbe di minare la composizione rappresentativa delle commissioni prevista dall'articolo 43 capoverso 3 LParl.

1614

Esiste un sistema molto semplice per evitare che la rappresentatività delle commissioni sia rimessa in causa per il fatto che più parlamentari hanno lasciato i loro gruppi: il rinnovo integrale straordinario delle commissioni (art. 17 cpv. 5).

L'Ufficio e i gruppi beneficerebbero così della libertà d'azione necessaria per reagire a qualsiasi situazione. Il rinnovo integrale straordinario delle commissioni è previsto quando un gruppo è soprarappresentato o sottorappresentato di oltre un membro in almeno una commissione. Quando nella stessa commissione, due membri almeno dello stesso gruppo lasciano il gruppo o quando un gruppo perde complessivamente il 15 per cento circa dei membri durante il mandato. Il rinnovo integrale straordinario delle commissioni è necessario anche se un nuovo gruppo è costituito nel corso del mandato.

Secondo la Commissione non è invece opportuno che il deputato che lascia il gruppo perda automaticamente i seggi di commissione. La CIP condivide l'opinione diffusa della dottrina, secondo la quale il divieto di ricevere istruzioni (art. 161 Cost.) impedisce di subordinare all'appartenenza a un gruppo il diritto a un seggio in una commissione: secondo Moritz von Wyss (Maximen und Prinzipien des parlamentarischen Verfahrens, Zurigo 2001, pag. 80), se il deputato che lascia il gruppo è costretto a uscire dalle commissioni, i gruppi possono esercitare una pressione considerevole sui loro membri minacciandoli di esclusione.

Art. 28

Tempo riservato alla trattazione degli interventi

Negli ultimi tempi si è cercato senza successo di rafforzare mediante apposite disposizioni l'importanza degli interventi depositati dai deputati a titolo individuale. Tra il 1991 e il 2003, il regolamento del Consiglio nazionale prevedeva all'articolo 35 capoverso 3 che «il lunedì pomeriggio della seconda e della terza settimana di sessione, gli interventi sono trattati dopo l'ora delle domande». Questa disposizione veniva tuttavia raramente osservata. Pertanto la CIP-N ne ha proposto l'abrogazione argomentando che nell'interesse della credibilità del Regolamento era meglio stralciare una disposizione che manifestamente non veniva applicata (FF 2003 2972). La camera ha nondimeno accolto una proposta di minoranza che prevedeva di mantenere la disposizione formulandola in modo più flessibile. Dal 2003, il RCN prevede, all'articolo 28 capoverso 1, che «almeno due mezze giornate nella seconda e nella terza settimana della sessione sono dedicate all'esame preliminare delle iniziative parlamentari e alla trattazione degli interventi di singoli deputati e di gruppi parlamentari». Anche la nuova disposizione non viene però rispettata.

Oggi, la Commissione propone una regolamentazione più precisa e più efficace.

Infatti, la definizione attuale del tempo riservato alla trattazione degli interventi, cioè due mezze giornate, è fonte di incertezza per quanto riguarda la durata precisa delle deliberazioni. La sottocommissione propone di sostituirla con «otto ore», puntualizzando: «Se, eccezionalmente, possono essere dedicate alla trattazione meno di otto ore di una sessione, il tempo è recuperato nella sessione successiva.» Questa disposizione permette una certa flessibilità, comunque indispensabile, ma esige anche un controllo severo del tempo utilizzato, il che permetterà all'Ufficio e ai deputati di adottare le misure del caso per garantire che, anche su più sessioni, il tempo previsto per la trattazione degli interventi corrisponda in media alla durata prescritta. Il pomeriggio e la sera del lunedì della seconda e terza settimana della sessione saranno prioritariamente riservati a tal fine. Per questo motivo l'orario delle sedute del Consiglio sarà prolungato fino alle 22 h 00 in tali giorni (cfr. art. 34 cpv. 1 lett. a).

L'esperienza ha mostrato che l'interesse dei deputati per la trattazione degli inter1615

venti non è molto marcato, per cui si potranno iscrivere all'ordine del giorno di questi due lunedì anche altri oggetti, con il rischio, tuttavia, che non tutto il tempo riservato alla trattazione degli interventi, cioè otto ore, sarà sempre disponibile. In tal caso, il tempo che manca il lunedì può naturalmente essere compensato in altri giorni della sessione.

Art. 28a cpv. 1 (nuovo)

Trattazione prioritaria degli interventi di commissione e delle mozioni accolte dall'altra Camera (attuazione dell'Iv. Pa. Hämmerle)issioni

Le mozioni e postulati di commissione o le mozioni accolte dall'altra Camera sono per definizione sostenute dalla maggioranza di una Commissione o dalla maggioranza di una Camera. È pertanto normale che non «si dissolvano» nella massa degli interventi, ma che la loro importanza sia superiore a quella degli interventi individuali. Era questo infatti l'obiettivo perseguito dal legislatore con l'articolo 121 capoverso 2 LParl, in base al quale le mozioni di commissione o accolte dall'altra Camera devono essere trattate con priorità. Può però capitare che le mozioni di commissione non possano essere trattate durante una sessione, quando il programma del Consiglio è talmente carico da non permettere più la trattazione di interventi.

Inoltre, l'attuazione della disposizione in vigore è resa difficile dal fatto che gli interventi sono trattati per singolo dipartimento. Se in uno dei primi giorni della sessione tratta gli interventi dell'ambito di competenza del Dipartimento federale di giustizia e polizia, la Camera tratta anche gli interventi individuali, pur non avendo ancora trattato le mozioni di commissione della sfera di competenza, ad esempio, del Dipartimento federale dell'interno.

Il presente progetto rafforza ulteriormente il posto privilegiato riservato alle mozioni e ai postulati di commissione o alle mozioni accolte dall'altra Camera. A tal fine prevede di fissare un termine di trattazione vincolante per la Camera per questo genere particolare di intervento (il trasferimento di questa disposizione dalla LParl all'articolo 28a capoverso 1 RCN è motivato nel commento all'articolo 121 capoverso 2 LParl) ­ permettendo così di attuare l'iniziativa parlamentare 06.416, depositata dal consigliere nazionale Andrea Hämmerle. Dato che «trattare» potrebbe consistere semplicemente nel differire la deliberazione di dettaglio, con il rischio di vanificare gli obiettivi della nuova disposizione, il presente progetto precisa rispetto al testo dell'iniziativa che gli interventi devono essere trattati «definitivamente» entro il termine prescritto. Tali interventi dovranno non solo essere trattati prima degli altri interventi, ma eventualmente anche prima dei disegni del Consiglio federale o dei progetti di una commissione. A causa del breve termine fissato, la Camera non avrà praticamente la possibilità di
rinviare la trattazione di questi interventi; ciò non dovrebbe però costituire un problema. Nel 2004 e 2005, in media, solo 3,75 mozioni e 2 postulati di commissione e 5 mozioni accolte dal Consiglio degli Stati erano pronti in ogni sessione ordinaria a essere sottoposti al Consiglio nazionale. Va infine rilevato che in Consiglio nazionale la trattazione delle mozioni controverse nella forma di discussione IV (cfr. art. 46 RCN) richiede al massimo 20 - 30 minuti.

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Art. 28a cpv. 2 (nuovo)

Trattazione delle mozioni e dei postulati non trattati entro due anni dalla presentazione

Fino al 2003 i regolamenti del Consiglio nazionale e del Consiglio degli Stati prevedevano lo stralcio delle mozioni, dei postulati e delle interpellanze non trattati dalle Camere entro due anni dalla presentazione. Il Consiglio nazionale ha fatto ampio uso di questa possibilità. Nel corso dell'ultimo anno della legislatura 1999­2003, ad esempio, sono stati tolti dal ruolo 233 interventi, ossia 116 mozioni, 28 postulati e 89 interpellanze sia perché l'autore della mozione o del postulato o un altro parlamentare si era opposto alla proposta del Consiglio federale sia perché un parlamentare aveva chiesto di sottoporre a discussione la risposta del Consiglio federale a un'interpellanza. In questi casi, la discussione dell'intervento, prevista per l'ultimo giorno della sessione, veniva regolarmente rinviata al punto che la Camera non riusciva più a trattarlo entro due anni dalla presentazione. Da qui lo stralcio automatico.

Sempre più irritati da questo modo di procedere, i parlamentari avevano approfittato dell'esame della nuova legge sul Parlamento per approvare una proposta di minoranza della CIP-N in forza della quale la Camera che non aveva trattato definitivamente una mozione o un postulato entro due anni dalla presentazione decideva, su proposta motivata dell'Ufficio, se prorogare tale termine o se togliere l'intervento dal ruolo (art. 119 cpv. 4 LParl). In vigore dalla sessione invernale 2005 (cfr. la disposizione transitoria di cui all'art. 173 cpv. 3 LParl), la nuova procedura ha riguardato nelle quattro sessioni ordinarie successive, ossia fino alla fine della sessione autunnale 2006, 113 mozioni e 64 postulati. Alla fine delle sessioni l'Ufficio doveva presentare proposta motivata di stralcio degli interventi o di proroga dei termini, precisando in particolare se l'intervento era ancora attuale dal profilo materiale e politico. Un'analisi di questo tipo avrebbe presupposto un esame approfondito di ogni intervento. A causa del numero elevato di interventi, l'Ufficio non ha potuto procedere a tale esame. Il 16 dicembre 2005 un parlamentare ha criticato l'assenza di motivazioni alle proposte di stralcio ed ha conseguentemente proposto di bocciare tutte le proposte di proroga dei termini. La Camera ha respinto di misura la sua proposta. Nella prassi sono i gruppi parlamentari che decidono se
gli interventi provenienti dai loro ranghi devono essere tolti dal ruolo o mantenuti. Basandosi sulle indicazioni fornite dai gruppi, l'Ufficio ha proposto di toglierne dal ruolo 86 e di mantenerne 91. In soli cinque casi la proposta dell'Ufficio è stata contestata dagli autori degli interventi. In quattro casi, la Camera ha aderito alla proposta dell'Ufficio senza che gli autori degli interventi abbiano esposto le proprie motivazioni prima della votazione. In un caso, invece, l'autore dell'intervento si è opposto oralmente alla proposta di stralcio dell'Ufficio e la Camera gli ha dato ragione.

Come evidenziato, la nuova procedura non ha contribuito ad accelerare la trattazione delle mozioni e dei postulati. La decisione di mantenere o meno un intervento non si basa su criteri materiali o di opportunità politica chiaramente definiti, bensì appare piuttosto arbitraria. Il lavoro supplementare generato da questa nuova procedura non è assolutamente proporzionato ai benefici che ne derivano.

Considerato quello che precede, l'Ufficio del Consiglio nazionale ha proposto di tornare alla procedura precedente, cioè di introdurre nuovamente lo stralcio automatico di questa categoria di interventi (06.479 Iv. Pa. Ufficio CN. Stralcio di interventi parlamentari, FF 2007 2957). Ritiene che questa procedura presenti il vantaggio di 1617

sgravare la Camera e l'Ufficio, senza per questo pregiudicare i diritti dei deputati: se uno di loro continua a ritenere il suo intervento attuale e importante può ripresentarlo immediatamente dopo lo stralcio. Di questa possibilità, garantita sia dal vecchio che dal nuovo diritto, i parlamentari si avvalgono tuttavia solo raramente, il che dimostra che il più delle volte non si interessano più della sorte dell'intervento depositato due anni prima.

Da parte sua, la CIP disapprova lo stralcio automatico degli interventi. Ritiene che tale procedura contribuisca a svalutare un importante strumento di cui dispongono i deputati.

Tuttavia, sarebbe utopico credere che tutti gli interventi possano essere trattati entro due anni. La mozione Kunz 05.3077 («Accelerare la trattazione delle mozioni in Parlamento»), accolta dalla Camera il 17 giugno 2005 nonostante la proposta contraria dell'Ufficio, chiede che le mozioni siano trattate dalla Camera al più tardi un anno dopo la risposta scritta del Consiglio federale. Per osservare il termine stabilito, le mozioni dovrebbero tuttavia essere trattate non soltanto prima degli altri interventi, ma eventualmente anche prima dei disegni di atti legislativi del Consiglio federale o di una commissione. L'attuazione letterale di questo obiettivo sarebbe inopportuna, oltre che impossibile. Nella 47a legislatura (sessione invernale 2003 ­ sessione autunnale 2007), sono state presentate in media 75 mozioni durante le sessioni ordinarie: ciò significa che in ogni sessione la Camera dovrebbe trattare in media un numero equivalente di mozioni prima di tutti gli altri oggetti. Dato che la mozione Kunz si riferisce solo alle mozioni e non agli altri interventi, la Camera non avrebbe più il tempo necessario per dedicarsi alla trattazione dei postulati e delle interpellanze. Fissando un termine anche per trattare questi interventi, si aumenterebbe ulteriormente la mole di lavoro della Camera e renderebbe ancora più improbabile il rispetto dei termini. Un'altra soluzione, più teorica che pratica, consisterebbe nel prolungare le sedute del Consiglio nazionale. Partendo dal presupposto che occorrono in media 15 minuti per trattare una mozione nella Camera, la durata delle sessioni dovrebbe essere prolungata di 19 ore oppure dovrebbero essere organizzate ogni anno sessioni speciali
di una durata totale di tre settimane. Cosa questa che manca di qualsiasi senso di realismo.

La Commissione ha optato per una soluzione semplice: la Camera deve pronunciarsi senza discussione sulle mozioni e sui postulati ancora pendenti dopo due anni.

Adottando questa soluzione si impedisce che nella Camera abbia luogo un confronto di opinioni sulle mozioni o sui postulati controversi, cosa che certamente non è ideale. Si sa, però, per esperienza che un dibattito orale di questo genere non influisce generalmente sul risultato della votazione. Questa soluzione è in ogni caso preferibile allo stralcio automatico, perché permette di prendere una decisione democraticamente. Vantaggio questo che giustifica anche il maggior onere di lavoro rispetto allo stralcio automatico. La Camera dovrebbe così esprimersi, alla fine di una sessione, su circa 50­70 mozioni o postulati pendenti da oltre due anni, cosa che richiede da 1 ora a 1 ora e mezza. La durata potrebbe essere ulteriormente ridotta se gli autori ritirassero gli interventi, dopo che sarà stato loro proposto di farlo. Molti interventi non sono più attuali dopo due anni e un certo numero di ritiri, difficilmente quantificabile, sarebbe così assicurato.

Una minoranza della sottocommissione aveva auspicato che la trattazione degli interventi avesse luogo in una forma più qualificata e precisamente che una parte di questi interventi venisse sottoposta all'esame preliminare della Commissione legislativa competente ­ analogamente alla procedura applicabile alle iniziative parla1618

mentari. Una piccola parte degli interventi potrebbe tuttavia sempre essere trattata direttamente dalla Camera: è il caso delle mozioni e dei postulati non controversi, di norma accolti dalla Camera senza discussione alla fine della sessione della presentazione, e delle mozioni e dei postulati di commissione o delle mozioni trasmesse dall'altra Camera, che devono ora essere trattate prioritariamente. Secondo la proposta di questa minoranza, il trattamento prioritario stabilito dall'articolo 28a capoverso 1 RCN, e conforme all'Iv. Pa. Hämmerle, permetterà di norma la trattazione dell'intervento da parte della Camera nella prima o nella seconda sessione successiva alla presentazione. Soltanto le mozioni e i postulati la cui trattazione non sarà stata portata a termine nella seconda sessione dalla presentazione saranno assegnati alla Commissione competente per esame preliminare. Saranno interessati le mozioni e i postulati che non hanno avuto un ampio sostegno al momento della loro presentazione o che sono contestati da un parlamentare o dal Consiglio federale. Dovrebbe essere il caso della maggioranza delle mozioni e dei postulati. Invece di essere la Camera a rinviare questa «massa» da una sessione all'altra, senza dedicarvisi, si offrirebbe alle Commissioni la possibilità di filtrare gli interventi in grado di raccogliere il consenso di una maggioranza. Alle Commissioni viene concesso un termine di un anno per procedere alla trattazione dell'intervento. Se la Commissione propone di accogliere l'intervento, questo è trattato con priorità conformemente all'articolo 28a capoverso 1 RCN: di norma queste mozioni dovranno poter essere trattate dalla Camera nella terza o quarta sessione dopo la presentazione. Ad essere realisti, sarà difficile trovare il tempo di esaminare le mozioni che non hanno il sostegno di una commissione. Per lo meno questi interventi saranno tuttavia trattati in tempo utile da un organo del Parlamento. Se non saranno stati sottoposti alla Camera due anni dopo la presentazione, saranno oggetto di una votazione senza discussione.

La Commissione respinge nondimeno questa soluzione a causa del lavoro supplementare che ne risulterebbe per le commissioni.

Da un indagine svolta sulle mozioni e sui postulati depositati nel corso della 47a legislatura è emerso che in media vengono
presentati in ogni sessione 100 mozioni e postulati. Se fosse stata applicata la proposta della minoranza della sottocommissione, 63 di questi interventi avrebbero dovuti essere ogni volta attribuiti alle Commissioni per esame preliminare dopo due sessioni. Ciò rappresenta una media di circa 6 interventi per sessione per ciascuna delle 10 commissioni interessate (la Commissione della gestione e la Commissione delle costruzioni pubbliche non essendo coinvolte). In realtà, la ripartizione tra le commissioni sarebbe assai diversa.

Nella peggiore delle ipotesi (una Commissione particolarmente impegnata dopo una sessione molto ricca di interventi), il numero di mozioni e postulati attribuiti a una sola Commissione dopo una sessione potrebbe raggiungere quota 22. Se si considera che una Commissione ha bisogno di 20 minuti in media per procedere all'esame preliminare di un intervento, le commissioni più sollecitate avrebbero bisogno di 4 o 5 ore di seduta supplementari per trimestre.

Art. 28b (nuovo)

Esame preliminare delle iniziative parlamentari nella Camera

I nuovi termini proposti per la trattazione delle mozioni e dei postulati (art. 28a) richiedono l'introduzione di termini analoghi per la trattazione delle iniziative parlamentari. Si deve infatti evitare che queste siano sfavorite rispetto alle mozioni e ai postulati per quanto riguarda la priorità del trattamento.

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Il termine impartito alla Commissione nel capoverso 1 corrisponde a quello previsto dall'articolo 21bis della legge sui rapporti fra i Consigli fino all'entrata in vigore, il 1o dicembre 2003, della legge sul Parlamento. Questo termine era stato introdotto nel 1984 per palesare la natura dell'esame preliminare di un'iniziativa parlamentare.

Nella fattispecie, si tratta di un breve esame sommario della necessità di legiferare; analisi più approfondite vengono svolte, se del caso, soltanto nella seconda fase dell'elaborazione di un atto. Dal punto di vista della procedura, non vi è nessun motivo, in particolare, per sospendere l'esame preliminare in attesa del risultato di altre procedure legislative dedicate allo stesso oggetto: se sia giustificato intervenire dal punto di vista legislativo deve essere valutato indipendentemente da altre procedure. È sempre possibile togliere dal ruolo un'iniziativa il cui esame preliminare è stato positivo se l'obiettivo dell'iniziativa è stato nel frattempo raggiunto nell'ambito di un'altra procedura. Dopo l'entrata in vigore della legge sul Parlamento, la prassi ha mostrato che la natura dell'esame preliminare non è stata sempre capita.

Infatti, l'esame preliminare delle iniziative parlamentari talvolta è esageratamente ritardato perché sono privilegiati i disegni del Consiglio federale, oppure ufficialmente sospesa perché sono pendenti altre procedure. La reintroduzione di un termine per l'esame permetterà di correggere questa tendenza.

I termini fissati ai capoversi 2 e 3 corrispondono a quelli per la trattazione delle mozioni e dei postulati di commissione e delle mozioni accolte dall'altra Camera.

Questi termini si applicano unicamente nei casi, relativamente rari, in cui le commissioni delle due Camere non siano d'accordo in merito all'esame preliminare di un'iniziativa parlamentare (se le due commissioni approvano l'iniziativa parlamentare, la Camera non svolge un esame preliminare). Nella prassi, le iniziative di questo genere sono classificate dall'Ufficio del Consiglio tra le numerose iniziative pendenti alle quali la Commissione propone di non dare seguito. Tuttavia, ciò che vale per gli interventi di commissione e le mozioni dell'altra Camera dovrebbe valere anche in questo caso: la volontà politica della maggioranza di una Commissione o della
Camera deve avere più peso della proposta di un parlamentare respinta dalla maggioranza di una commissione.

Il capoverso 4, infine, corrisponde alla disposizione proposta per le mozioni e i postulati all'articolo 28a capoverso 2 (cpv. 5 secondo la minoranza della sottocommissione). Non vi è infatti motivo alcuno per trattare un'iniziativa parlamentare diversamente da una mozione o da un postulato.

Art. 30 cpv. 2

Dichiarazione d'urgenza delle interpellanze

L'attuale tenore della disposizione suscita l'impressione che l'Ufficio decida in ultima istanza in merito alla dichiarazione d'urgenza per un'interpellanza. Nella prassi, sono sempre state ammesse mozioni d'ordine emananti dalla Camera e concernenti una dichiarazione d'urgenza respinta dall'Ufficio. Si deve dunque approfittare dell'occasione per adattare il tenore di questa disposizione alla prassi.

Art. 33d (nuovo)

Svolgimento di una sessione speciale obbligatoria

Secondo l'articolo 2 capoverso 2 LParl, «ciascuna Camera può decidere di riunirsi in sessioni speciali qualora le sessioni ordinarie non bastino per far fronte ai lavori parlamentari.» L'Ufficio, nella cui sfera di competenza rientra fissare lo svolgimento di una sessione speciale della Camera, non ne ha organizzate nel 2005, 2007 e 2008, anche se in ognuna di queste sessioni vi sarebbero stati molti oggetti pronti a 1620

essere trattati. In considerazione dell'enorme mole di lavoro del Consiglio nazionale, e soprattutto dei numerosi interventi parlamentari non trattati, è opportuno modificare il regolamento per obbligare l'Ufficio a organizzare una sessione speciale di una durata massima di una settimana nel secondo trimestre di ogni anno. L'intenzione non è di dedicare queste sessioni speciali integralmente alla trattazione degli interventi parlamentari, ma di occuparsi anche di altri oggetti importanti, per lasciare così più spazio alla trattazione degli interventi nelle sessioni ordinarie.

Art. 34

Prolungamento dell'orario delle sedute

Diversamente da quanto si temeva, la durata delle sedute del Consiglio nazionale non è aumentata costantemente nel corso degli ultimi venti anni, ma è restata stabile.

Nella legislatura 2003­2007, il Consiglio nazionale si è riunito lo stesso numero di ore della legislatura 1983-1987, cioè circa 1185 ore. Nel frattempo, la durata delle sedute era aumentata fino alla legislatura 1991­1995, dove aveva raggiunto la punta massima di 1352 ore, per poi scendere nuovamente.

La grande mole di lavoro del Consiglio nazionale impone un prolungamento dell'orario delle sedute ordinarie. Se si vuole mantenere il principio della compatibilità del mandato parlamentare con l'esercizio di un'attività professionale, le possibilità sono limitate. In questo contesto, la sottocommissione della CIP ha esaminato quattro possibili scenari. Ha respinto l'idea di fissare sedute la mattina del lunedì nonché i venerdì delle due prime settimane di sessione per lasciare ai parlamentari la possibilità di regolare i loro affari professionali almeno all'inizio e alla fine della settimana. Una possibilità meno gravosa per i deputati potrebbe consistere nel prolungare le sedute fino alle 22 il lunedì delle due ultime settimane di sessione e fino alle 19 il giovedì delle due prime settimane di sessione. La Commissione ha tuttavia respinto il prolungamento previsto per il giovedì, approvando invece quello relativo al lunedì. Il previsto prolungamento è in relazione diretta con la modifica dell'articolo 28: se alla trattazione degli interventi sono riservate otto ore di seduta in primo luogo il lunedì delle due ultime settimane di sessione dopo l'ora delle domande, cioè dalle 16 in poi, la fine della seduta non può essere fissata alle 19, come è il caso oggi.

Inoltre, l'inizio delle sedute è ora fissato alle 8.15 in sintonia con l'arrivo dei treni ad orario cadenzato.

Art. 46 e 48 cpv. 2

Riduzione del tempo di parola grazie alla nuova forma di discussione degli oggetti intitolata «dibattito di gruppo ridotto»

Nel confronto internazionale, il tempo di parola al Consiglio nazionale è già molto breve (5 minuti per la motivazione della maggior parte delle proposte). La necessità di limitare il tempo di parola si spiega con il fatto che, rispetto ai loro omologhi di altri Stati, i deputati svizzeri fanno ampio uso delle possibilità di intervento individuale offerto dal nostro sistema politico. Infatti, diversamente da quanto avviene nella maggior parte dei Paesi europei, il nostro sistema non è costituito di due schieramenti omogenei, cioè il governo e l'opposizione, i cui deputati devono seguire le parole d'ordine dei rispettivi leader. In Svizzera, le maggioranze cambiano in funzione degli oggetti in discussione e non sono legate a un gruppo parlamentare; addirittura travalicano gli orientamenti politici, dato che spesso l'autore di un'iniziativa, o il leader di una maggioranza o di una minoranza, non è un gruppo, ma un parlamentare.

1621

Nel configurare il diritto di proposta e il diritto di parola, si deve tenere conto di queste caratteristiche. Da una parte, le molteplici possibilità di intervento esigono tempi di parola brevi; dall'altra, si deve mantenere il diritto a un tempo di parola sufficiente per motivare le proposte relative agli oggetti importanti.

Una riduzione generale del tempo di parola non sembra pertanto appropriata. Tuttavia, la Commissione ritiene che in uno dei casi che si presentano spesso al Consiglio nazionale, si potrebbe conseguire un effetto di razionalizzazione non indifferente.

Infatti, attualmente, quando esaminano un disegno, i deputati lo fanno il più delle volte nella forma del «dibattito ridotto» (categoria III). In questa categoria, il tempo di parola per il dibattito di entrata in materia è di 20 minuti sia per i relatori delle commissioni che per il rappresentante del Consiglio federale, e di 10 minuti per i portavoce di ogni gruppo (cfr. art. 44). Questi tempi di parola sono adatti per trattare temi vasti, complessi o importanti sul piano politico, ma non sono giustificati per quelli meno complessi o sui quali è facile raggiungere il consenso. La Commissione propone pertanto di introdurre una categoria III a e una categoria III b: la categoria III a corrisponde all'attuale categoria III, mentre i tempi di parola sarebbero dimezzati nella categoria III b. Il «dibattito ridotto» sarebbe ribattezzato «dibattito dei gruppi» o «dibattito dei gruppi ridotto», dato che la formulazione «breve dibattito ridotto» sarebbe strana e dato che la caratteristica principale di questa forma di dibattito è di permettere di esprimersi, oltre che al proponente, ai portavoce dei gruppi. Nella categoria III b, «dibattito di gruppo ridotto», il tempo di parola proposto all'articolo 44 capoverso 1 lettera d per gli «altri oratori» non verrebbe ridotto perché può trattarsi solo di proponenti che nel dibattito di entrata in materia hanno, ad esempio, proposto di rifiutare l'entrata in materia o di respingere il progetto.

Questo tempo, che permette al deputato di motivare la sua proposta, è già limitato a 5 minuti; ridurlo ulteriormente sarebbe sproporzionato.

Art. 47

Introduzione del dibattito organizzato per la deliberazione di dettaglio

Il dibattito organizzato permette di pianificare una seduta con relativa precisione.

Finora, si procedeva a un dibattito organizzato solo per i dibattiti di entrata in materia e per deliberare su un'interpellanza urgente o su un rapporto. Nella sessione di primavera 2007 ha avuto luogo, per la prima volta, un dibattito organizzato anche per più interventi parlamentari concernenti lo stesso argomento (il riscaldamento climatico). Il tempo di parola accordato agli autori degli interventi è stato computato in quello del loro gruppo.

La maggior parte delle sedute è dedicata alla deliberazione di dettaglio su progetti di atti legislativi. Alcune di queste discussioni esigono la trattazione di un numero estremamente elevato di proposte di minoranza e di proposte individuali (p. es. 82 proposte di minoranza per l'oggetto 02.024, «Legge sugli stranieri»). In questi casi, è molto difficile pianificare i lavori. Inoltre, a causa del superamento dell'orario previsto, capita spesso che oggetti vengano cancellati dal programma della sessione; in genere si tratta di interventi parlamentari, ma anche di disegni di legge.

Una delle principali funzioni del Parlamento è di permettere alle diverse sensibilità sociali e politiche di esprimersi pubblicamente. È la ragion d'essere delle proposte di minoranza. Tuttavia, il pubblico non è in grado di prenderne atto quando ne vengono presentate 50 o più. Anche le proposte particolarmente importanti o interessanti si perdono nella massa. Limitarsi all'essenziale non sarebbe dunque solo nell'interesse 1622

di un funzionamento efficiente del Parlamento, ma anche in quello degli autori delle proposte di minoranza e delle proposte individuali; in ultima analisi, a risultarne migliorata sarebbe la qualità del processo stesso di decisione democratica.

Un mezzo efficace per pianificare meglio i lavori del Consiglio e concentrarsi sull'essenziale consisterebbe nel tenere un dibattito organizzato per la deliberazione di dettaglio, fermo restando che il tempo di parola degli autori di proposte sarebbe computato in quello del loro gruppo. Spetterebbe all'Ufficio fissare il tempo di parola complessivo necessario dal punto di vista politico e materiale, eventualmente sulla base di una proposta della Commissione incaricata dell'esame preliminare. I gruppi deciderebbero in seguito come utilizzare il tempo di parola loro accordato, suddividendolo tra la motivazione delle proposte di minoranza e delle proposte individuali provenienti dai propri ranghi e i pareri su altre proposte. Se il tempo accordato non dovesse bastare, si dovrebbe rinunciare alla motivazione orale di certe proposte.

Occorre rilevare che un dibattito organizzato per una deliberazione di dettaglio differisce notevolmente dai dibattiti organizzati praticati sinora. Il dibattito organizzato dedicato all'entrata in materia su un disegno di atto o un rapporto riguarda in genere una sola questione: entrare in materia o no oppure prendere atto del rapporto o respingerlo. Per contro, la deliberazione di dettaglio riguarda molti aspetti, talvolta oltre 100 disposizioni di un progetto di legge su cui le opinioni divergono (ad esempio, nella deliberazione di dettaglio sull'oggetto 02.060, Revisione parziale della legge sull'asilo, si è dovuto procedere a 107 votazioni).

Per l'Ufficio e i gruppi, i preparativi di un dibattito organizzato di questo tipo rappresentano un lavoro considerevole. Le segreterie delle commissioni, dell'Ufficio e dei gruppi dovrebbero valutare con precisione il tempo necessario e definire bene le priorità, dato che le loro proposte servono da base di decisione all'Ufficio e agli organi competenti dei gruppi.

Inoltre si deve tenere conto del fatto che, in un dibattito organizzato, anche un gruppo piccolo dovrebbe disporre di sufficiente tempo di parola per poter esprimersi su più di una questione. È possibile che lo specialista
di un dato argomento di un progetto di legge faccia proprio parte di un piccolo gruppo. Si deve pertanto fissare un tempo di parola minimo di 15 minuti per gruppo. Ciò significa che il tempo di parola complessivo, per tutti i gruppi, non sarà con ogni probabilità inferiore a 300 minuti, altrimenti i grandi gruppi risulterebbero in proporzione penalizzati.

La maggioranza della Commissione auspica anche limitare il tempo di parola dei relatori delle commissioni e dei rappresentanti del Consiglio federale nell'ambito del tempo di parola complessivo previsto per una deliberazione di dettaglio, come previsto dall'attuale regolamentazione in materia di dibattiti organizzati. Secondo la maggioranza, la Commissione incaricata dell'esame preliminare e il Consiglio federale non devono essere privilegiati. Una minoranza della Commissione auspica invece che un tempo di parola complessivo sia previsto unicamente per i gruppi.

Attualmente, il tempo di parola della Commissione incaricata dell'esame preliminare e del Consiglio federale non è di norma limitato nella deliberazione di dettaglio (cfr. art. 44 cpv. 2 e art. 46 cpv. 3). Secondo questa minoranza, si deve considerare che, diversamente dagli altri partecipanti alla discussione, la Commissione e il Consiglio federale non si limitano a esprimere la loro opinione politica. Hanno anche l'importante compito di spiegare il contenuto di un testo di legge, dando indicazioni sul modo in cui la legge dovrà essere interpretata in futuro dalle autorità 1623

esecutive e dai tribunali. Se il loro tempo di parola venisse limitato, non potrebbero più assolvere questo compito e la posizione del Parlamento nei confronti delle autorità esecutive e dei tribunali ne risulterebbe indebolita.

La Commissione ha esaminato l'incidenza concreta che potrebbe avere lo svolgimento di un dibattito organizzato sulla base di due vaste discussioni per articolo svolte durante la 47a legislatura: 02.060 Legge sull'asilo. Revisione parziale La deliberazione di dettaglio, svoltasi dal 3 al 5 maggio 2004, è durata 740 minuti.

La Camera ha dovuto esprimersi su 21 proposte di maggioranza della commissione, 48 proposte di minoranza e 71 proposte individuali. I portavoce dei gruppi e gli autori delle proposte si sono espressi per circa 350 minuti. Il tempo restante è stato suddiviso come segue: relatori, 150 minuti; Consiglio federale, 90 minuti; domande e osservazioni personali, 45 minuti; votazioni, 105 minuti. La deliberazione di dettaglio avrebbe potuto durare circa 80 minuti di meno se avesse avuto luogo un dibattito organizzato. Il tempo di parola dei gruppi in particolare sarebbe diminuito di 50 minuti. Il gruppo socialista e quello dei Verdi, molto impegnati in questa discussione, avrebbero perso ciascuno 50 minuti di tempo di parola, mentre gli altri gruppi avrebbero guadagnato circa 50 minuti in totale.

06.038 Politica agraria 2011. Ulteriore sviluppo ­ Oggetto 1 (legge federale sull'agricoltura) La deliberazione di dettaglio del 13 e del 14 marzo 2007 è durata 740 minuti. La Camera ha trattato 14 proposte di maggioranza della commissione, 33 proposte di minoranza e 26 proposte individuali. I portavoce dei gruppi e gli autori delle proposte si sono espressi per circa 420 minuti. Il tempo restante è stato suddiviso come segue: relatori, 95 minuti; Consiglio federale, 115 minuti; domande e osservazioni personali, 45 minuti; votazioni, 65 minuti. Un dibattito organizzato avrebbe permesso di guadagnare circa 140 minuti. Il tempo di parola dei gruppi si sarebbe ridotto di 90 minuti. Il gruppo dell'Unione democratica di Centro e quello dei Verdi, molto impegnati in questa discussione, avrebbero perso rispettivamente 40 e 50 minuti di tempo di parola; il gruppo popolare-democratico avrebbe dovuto rinunciare a 15 minuti, mentre gli altri gruppi avrebbero disposto più o meno dello stesso tempo di parola.

Art. 48

Creazione di una categoria per la trattazione di mozioni e di postulati

Il RCN del 22 giugno 1990, che ha introdotto le categorie di trattazione ancora in vigore oggi, prevedeva all'articolo 35 capoverso 4 un diritto di parola libero per la trattazione di mozioni e di postulati: «ogni parlamentare può chiedere la parola su una mozione o un postulato.» Questa frase è stata cancellata nella revisione del RCN del 19 dicembre 1997, senza che nel rapporto esplicativo della CIP o nei dibattiti in Consiglio nazionale se ne spiegassero i motivi. Era manifestamente considerata obsoleta.

Nella prassi, per gli interventi parlamentari depositati dai deputati o dai gruppi non è prevista una forma di discussione ­ contrariamente a quanto prevede l'articolo 46 capoverso 1 del RCN («gli oggetti in deliberazione sono discussi in una delle seguenti forme [...]»). Se all'ordine del giorno vi sono interventi contestati, di norma prendono la parola l'autore dell'intervento e il rappresentante del Consiglio federale, 1624

nonché, talvolta, il parlamentare che si oppone all'intervento. È raro che prendano la parola altri deputati.

Nessuna delle cinque categorie di trattazione esistenti corrisponde alla procedura applicata nella prassi. La prassi non ha sinora generato nessun problema particolare.

Tuttavia, se la procedura di trattazione degli interventi dovesse essere rivalutata, non si può escludere che questa lacuna non crei problemi.

Per questo motivo si deve completare la definizione di «dibattito breve» (cat. IV) che figura all'articolo 48 capoverso 2 del RCN in modo da prevedere che, nella trattazione di un intervento, abbia diritto di parola il primo deputato che ha proposto di respingere l'intervento. Nella categoria IV hanno il diritto di esprimersi: l'autore dell'intervento (cfr. art. 46 cpv. 4) e il rappresentante del Consiglio federale (cfr.

art. 46 cpv. 3).

Art. 57

Pubblicazione dei dati relativi alle votazioni

Attualmente, il RCN distingue il risultato della votazione «pubblicato sotto forma di elenco nominativo» e i risultati della votazione «resi pubblici sotto forma di elenco nominativo». Nella prassi, ne risultano due differenze: 1.

oltre ai casi obbligatori della prima categoria, cioè quella secondo cui il risultato della votazione è pubblicato in caso di votazioni sul complesso, votazioni finali e votazioni sul freno alle spese o sul freno all'indebitamento, il risultato può essere pubblicato a richiesta scritta di almeno 30 deputati;

2.

i risultati della prima categoria sono pubblicati nel Bollettino ufficiale dell'Assemblea federale (versione stampata e versione elettronica). Quelli della seconda categoria, non sono stati pubblicati nel Bollettino Ufficiale fino alla sessione di autunno 2007. Chi voleva consultare questi risultati doveva rivolgere la richiesta personalmente ai Servizi del Parlamento. Tuttavia, dal dossier relativo all'ultima revisione del RCN emerge che si volevano pubblicare su Internet anche i risultati delle votazioni «resi pubblici». Nel rapporto del 10 aprile 2003, la CIP aveva detto a questo proposito: «sarebbe logico renderli accessibili [i dati relativi alle votazioni] anche su Internet, ma non devono obbligatoriamente essere pubblicati in forma stampata su carta» (FF 2003 2977). In questo senso si sono espressi anche i relatori in Consiglio nazionale. Dato che nessuno si è opposto, questa interpretazione deve essere considerata quella determinante per la disposizione interessata del Regolamento. L'Ufficio del Consiglio nazionale ha pertanto deciso, il 16 novembre 2007, di attuarla in questo senso.

La possibilità che hanno almeno 30 deputati di chiedere la pubblicazione di un elenco nominativo non ha più senso dato che un elenco nominativo è pubblicato in ogni caso. La Commissione propone pertanto di sopprimere la distinzione sinora fatta tra le due categorie di votazione.

Nei precedenti dibattiti dedicati a questo tema, è stato ribadito che la pubblicazione di tutti gli elenchi nominativi avrebbe reso eccessivamente voluminosa la versione stampata del Bollettino ufficiale; per questa ragione si dovevano pubblicare su Internet i risultati di tutte le votazioni e continuare a fare una distinzione, per la versione stampata, tra risultati degni di essere pubblicati e risultati la cui pubblicazione è superflua. Da un'indagine più approfondita è emerso che il 60 per cento circa delle votazioni effettuate durante le sessioni di primavera, estate e autunno 1625

2007 sono sfociate in un elenco nominativo. Solo il 40 per cento non è stato pubblicato nel Bollettino ufficiale. Tutto sommato, il Bollettino ufficiale aumenterebbe solo del 6 per cento circa se venissero stampati tutti gli elenchi nominativi. Questo lavoro supplementare è minimo e, in ogni caso inferiore al lavoro amministrativo provocato dalla distinzione tra le due categorie di votazione.

Disposizione transitoria concernente l'articolo 15 Il 19 dicembre 2007 l'Ufficio ha nominato i membri delle commissioni del Consiglio nazionale per la 48a legislatura. Senza le pertinenti disposizioni transitorie, il nuovo metodo di ripartizione dei seggi di commissione proposto dalle minoranze I e II della CIP potrebbe essere applicato solo al momento del prossimo rinnovo integrale delle commissioni cioè nel dicembre 2011.

Secondo le disposizioni transitorie proposte dalle due minoranze della CIP, i seggi supplementari ai quali avrebbero diritto certi gruppi (minoranze I e II) e i seggi spettanti ai deputati senza gruppo (minoranza II) verrebbero attribuiti al momento dell'entrata in vigore della modifica. Tuttavia, chi a causa del nuovo diritto perde il diritto a un seggio mantiene per il resto del mandato questo seggio ottenuto in virtù del vecchio diritto. Dato che i membri delle commissioni sono stati nominati nel mese di dicembre 2007 per quattro anni, la perdita dei seggi nelle commissioni avrebbe un effetto retroattivo pregiudizievole, generalmente inopportuno dal punto di vista giuridico. Concretamente, dalla disposizione transitoria risulterebbe che otto (minoranza I) o nove (minoranza II) commissioni potrebbero ottenere un 26° membro per il resto del mandato.

Disposizione transitoria concernente gli articoli 28a e 28b Se, al momento della loro entrata in vigore, le nuove scadenze fissate dagli articoli 28a e 28b per l'esame degli interventi e delle iniziative parlamentari si applicassero anche agli interventi e alle iniziative parlamentari presentate secondo il diritto anteriore, la Camera e le commissioni non sarebbero in grado di trattare la grande quantità di interventi e di iniziative il cui termine di trattazione sta per scadere o è già scaduto.

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Ripercussioni finanziarie e sull'effettivo del personale

Alcune delle modifiche proposte hanno lievi ripercussioni finanziarie o sull'effettivo del personale, che nella maggior parte dei casi sono però difficili da quantificare.

L'organizzazione di una sessione speciale in particolare genera costi supplementari (circa 125 000 franchi per giorno di sessione, tra diarie e altre indennità versate ai parlamentari). Si deve tuttavia rilevare che sulla base del diritto in vigore hanno già avuto luogo sessioni speciali simili a quelle di cui all'articolo 33d RCN (nel preventivo sono previsti ogni anno tre - cinque giorni di sessione speciale). Il prolungamento dell'orario delle sedute di circa tre ore per sessione ordinaria (art. 34 RCN) non provoca costi supplementari a livello di indennità, ma genera spese supplementari ai Servizi del Parlamento. La realizzazione di diverse proposte permetterà d'altra parte di realizzare economie: diminuzione del lavoro delle Commissioni delle finanze in materia di corapporti (art. 49 e 50 LParl), semplificazione della procedura di appia1626

namento delle divergenze e nuova possibilità di togliere dal ruolo le iniziative parlamentari (art. 109 LParl), semplificazione della procedura quando due mozioni di commissione sono di ugual tenore (art. 121 cpv. 5 lett. b LParl), introduzione del «dibattito dei gruppi ridotto» (art. 46 cpv. 1 e 48 cpv. 1 RCN) e del dibattito organizzato per le deliberazioni di dettaglio (art. 47 RCN).

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Basi legali

La legge sul Parlamento e le modifiche proposte nell'ambito del presente rapporto si fondano sull'articolo 164 capoverso 1 lettera g Cost., secondo cui le disposizioni fondamentali in materia di organizzazione e procedura delle autorità federali vanno emanate sotto forma di legge federale. Il regolamento del Consiglio nazionale e le sue modifiche qui proposte si basano sull'articolo 36 LParl, che recita «ciascuna Camera emana un proprio regolamento contenente le disposizioni esecutive per la propria organizzazione e procedura».

Le disposizioni relative all'incapacità di un membro del Consiglio federale o del cancelliere della Confederazione di esercitare la carica si fondano, inoltre, sull'articolo 173 capoverso 2 Cost. e tengono conto dell'articolo 175 capoverso 3, Cost., secondo cui i membri del Consiglio federale sono eletti per quattro anni fra tutti i cittadini svizzeri eleggibili nel Consiglio nazionale. Questa disposizione fissa la durata ordinaria di un mandato in Consiglio federale fino al rinnovo integrale del collegio. In caso di vacanza durante il mandato, l'Assemblea federale plenaria procede a un'elezione suppletiva per il resto del mandato. Anche se l'articolo 175 Cost. non si esprime su questo punto, dalla competenza dell'Assemblea federale di eleggere i consiglieri federali si deduce anche la competenza a destituirli qualora vengano meno le condizioni d'eleggibilità o di capacità, p. es. per motivi di salute (cfr. messaggio del Consiglio federale concernente la revisione della Costituzione federale, FF 1997 I 1 segg., 381 e Thomas Sägesser, Die Bundesbehörden, Berna, 2000, zu Art. 175, n. marg. 760). Lo stesso ragionamento si applica al cancelliere della Confederazione (cfr. art. 168 cpv. 1 Cost.).

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