02.076 Messaggio concernente un credito quadro per misure di gestione civile dei conflitti e di promovimento dei diritti dell'uomo del 23 ottobre 2002

Onorevoli presidenti e consiglieri, Con il presente messaggio vi sottoponiamo, per approvazione, il disegno di un decreto federale su un credito quadro per misure di gestione civile dei conflitti e di promovimento dei diritti dell'uomo.

Nel contempo vi proponiamo di togliere di ruolo il postulato seguente: 1998 P 98.3257

Buoni uffici della Svizzera. Mediazione tra il Governo messicano e il Chiapas (N 9.10.98, Spielmann)

Gradite, onorevoli presidenti e consiglieri, l'espressione della nostra alta considerazione.

23 ottobre 2002

In nome del Consiglio federale svizzero: Il presidente della Confederazione, Kaspar Villiger La cancelliera della Confederazione, Annemarie Huber-Hotz

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Compendio Il disegno di una legge federale su misure di promozione civile della pace e di rafforzamento dei diritti dell'uomo prevede che i mezzi finanziari per le misure in questi due ambiti siano adottati sotto forma di crediti quadro pluriennali. Con il presente messaggio il Consiglio federale chiede per la prima volta l'adozione di un tale credito quadro di 240 milioni di franchi di una durata minima di almeno quattro anni. Il periodo del credito inizia il 1° gennaio 2004.

La gestione civile dei conflitti e il promovimento dei diritti dell'uomo sono elementi centrali della politica estera della Svizzera. Nel rapporto sulla politica estera 2000 il Consiglio federale ha sottolineato la sua intenzione di «contribuire in modo essenziale e tangibile alla prevenzione di conflitti violenti», annunciando nel contempo che intendeva «condurre una politica umanitaria indipendente e profilata» e rafforzare «gli sforzi a favore del rispetto e del promovimento dei diritti dell'uomo, della democrazia e dello Stato di diritto».

Sebbene la gestione civile dei conflitti e il promovimento dei diritti dell'uomo richiedano approcci, metodi e strumenti diversi, tra i due ambiti vi è una stretta interdipendenza. Il rispetto dei diritti dell'uomo e del diritto internazionale umanitario è una delle basi di ogni pace duratura; viceversa, la pace è una condizione indispensabile per una riduzione delle violazioni dei diritti dell'uomo e per un'ampia protezione di tali diritti.

Negli ultimi decenni il Consiglio federale ha constatato che le probabilità di successo dei contributi della Svizzera ai processi di pace aumentano nella misura in cui si riesce a stabilire con le parti in conflitto un rapporto di fiducia già prima dell'avvio di trattative di pace formali. Tale fiducia è ottenibile unicamente mediante un impegno pluriennale e sistematico nella regione teatro del conflitto.

Anche nell'ambito del promovimento dei diritti dell'uomo la fine dell'antagonismo est-ovest ha cambiato il margine d'azione e le sfide. È aumentato il numero di convenzioni internazionali in materia di diritti dell'uomo e il numero di Stati che hanno ratificato tali convenzioni, tuttavia sussistono ancora lacune notevoli nell'attuazione delle relative norme di diritto. Un'altra sfida centrale in questo settore è la protezione delle persone
dalla violenza e dall'arbitrio e il miglioramento della sicurezza delle persone nelle situazioni in cui le parti in conflitto operano al di fuori dei monopoli di potere statali, violando i diritti dell'uomo e il diritto internazionale umanitario.

Il Consiglio federale ha definito gli obiettivi e gli approcci applicabili ai due ambiti summenzionati e stabilito i campi d'azione concreti in cui la Direzione politica del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) si impegnerà nei quattro anni a venire. Per migliorare la qualità e l'efficacia dei contributi svizzeri la Direzione politica approfondirà inoltre le sue competenze specifiche in ambiti scelti.

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I mezzi finanziari stanziati sinora sono insufficienti per garantire una reazione adeguata alla crescente domanda di contributi svizzeri nel settore della gestione civile dei conflitti e del promovimento dei diritti dell'uomo. Inoltre la soluzione attuale, secondo cui i mezzi finanziari sono messi a disposizione unicamente nell'ambito di crediti annuali, si è rivelata inadeguata. L'esperienza mostra infatti che per avere successo questo genere di misure necessita di una realizzazione perlomeno a medio termine. Il credito quadro renderà possibile un impegno pluriennale.

Responsabile della realizzazione delle misure nei due ambiti è la Direzione politica del DFAE. A tale scopo la Direzione politica collabora con altri servizi federali, segnatamente con la Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), con organizzazioni internazionali, con organizzazioni non governative e con partner dell'economia e della scienza.

Il presente messaggio è strutturato nella maniera seguente: la prima parte illustra i contenuti della gestione civile dei conflitti e del promovimento dei diritti dell'uomo.

Partendo da un'analisi del contesto e da una retrospettiva delle misure adottate sinora nei due ambiti, il messaggio illustra le strategie e le priorità della Direzione politica per il periodo 2004­2007. La seconda parte concerne le conseguenze finanziarie e le ripercussioni sull'effettivo del personale. Nella terza e quarta parte sono infine illustrati i rapporti con il programma di legislatura e le basi legali.

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Messaggio 1

Gestione civile dei conflitti e promovimento dei diritti dell'uomo

1.1

Introduzione

Nel rapporto sulla politica estera 20001 il nostro Consiglio ha sottolineato la grande importanza che intende attribuire negli anni a venire alla prevenzione di conflitti violenti e al promovimento dei diritti dell'uomo. Questo impegno risponde da un lato al mandato costituzionale di promuovere la coesistenza pacifica dei popoli e il rispetto dei diritti dell'uomo; emana inoltre dalla nostra convinzione che l'intervento in favore della pace e dei diritti dell'uomo rappresenta una sfida da affrontare con decisione ed efficacia nell'interesse del Paese e per motivi di solidarietà internazionale.

Pace e diritti dell'uomo sono intrinsecamente legati. Già il preambolo della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 sottolinea che la base della libertà, della giustizia e della pace risiede nel riconoscimento dei diritti dell'uomo. Il rispetto di tali diritti e del diritto internazionale costituiscono il fondamento irrinunciabile per una pace duratura. Oggi le più gravi violazioni dei diritti dell'uomo avvengono spesso alla vigilia o nel corso di conflitti violenti. La comunità internazionale è pertanto tenuta a contribuire alla soluzione pacifica dei conflitti e alla creazione di ordinamenti rispettosi dei diritti dell'uomo.

Negli ultimi anni la protezione internazionale dei diritti dell'uomo si è fortemente dinamizzata. La normativa vigente mette a disposizione degli individui gli strumenti necessari per opporsi a trattamenti disumani da parte del potere statale, rispettivamente per chiedere protezione contro tali trattamenti. Ciononostante quanto sinora ottenuto appare insufficiente alla luce delle tuttora massicce violazioni dei diritti dell'uomo in ogni parte del mondo. Soltanto pochi Stati garantiscono una protezione integrale dei diritti dell'uomo. Nei Paesi in cui le strutture dello Stato di diritto sono meno sviluppate, la necessità di intervento permane grande.

Con il presente messaggio il nostro Consiglio chiede un credito quadro per attività in due ambiti centrali per il promovimento della pace e dei diritti dell'uomo: la gestione civile dei conflitti e il promovimento dei diritti dell'uomo. Queste attività sono inserite nel contesto più ampio della politica svizzera in favore della pace e dei diritti dell'uomo. Qui di seguito richiamiamo brevemente, nell'ambito di un capitolo
di approfondimento, i tratti fondamentali di tale politica, la quale non è di per se oggetto del presente messaggio.

La politica di pace della Confederazione: coerenza e coordinamento La politica di pace della Confederazione è la somma di tutte le misure di ordine civile e militare prese in maniera coordinata dagli attori della Confederazione con l'obiettivo di creare una situazione di pace. Le misure nell'ambito della gestione civile dei conflitti e del promovimento dei diritti dell'uomo sono elementi della politica di pace della Confederazione. A esse si aggiungono le attività importanti dal 1

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punto di vista della politica di pace che emanano da altri ambiti politici, tra cui ricordiamo la cooperazione allo sviluppo e con l'Europa dell'Est, la politica economica esterna, la politica in materia di migrazione, l'aiuto umanitario e la politica umanitaria, nonché la politica in materia di sicurezza, inclusa la politica di controllo degli armamenti e del disarmo. Nella prassi degli ultimi anni si è constatato che questi ambiti presentano affinità significative con la gestione civile dei conflitti e il promovimento dei diritti dell'uomo, motivo per cui sono illustrati brevemente qui di seguito.

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A partire dalla metà degli anni Novanta si sono andati affermando nuovi approcci in materia di politica dello sviluppo che pongono in primo piano lo stretto legame tra la prevenzione della violenza e i tradizionali obiettivi della politica dello sviluppo. La Svizzera ufficiale, segnatamente la Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) e il Segretariato di Stato dell'economia (Seco), ha partecipato attivamente alle discussioni a livello internazionale sul legame tra sviluppo e pace. In questo contesto vanno menzionate in particolare le linee guida del Comitato per l'aiuto allo sviluppo (DAC) dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), alla cui elaborazione hanno contribuito varie delegazioni svizzere e cui la Confederazione si attiene nell'ambito della sua cooperazione internazionale.

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L'obiettivo strategico della lotta contro la povertà ­ obiettivo definito nell'ambito della cooperazione internazionale della Confederazione ­ è una ripartizione più equilibrata del potere, la riduzione delle differenze di reddito e un accesso più equo alle risorse nonché la promozione del Buon governo e di conseguenza un miglioramento delle condizioni quadro sociali, politiche e istituzionali. Gli sforzi profusi dalla cooperazione allo sviluppo in vista della creazione di strutture sono volte allo sviluppo della pace a lungo termine nell'ambito dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti dell'uomo. A lungo termine le relative misure prese dalla DSC contribuiscono a prevenire le crisi, riducono le tensioni e promuovono in tal modo la pace e il rispetto dei diritti dell'uomo. Tali misure sono volte a sostenere gli sforzi profusi a livello locale in materia di pace e a favorire la ricostruzione e la reintegrazione nell'ambito di misure per il rafforzamento della società civile. Lo stesso vale per la collaborazione con gli Stati dell'Europa dell'Est.

Nell'ambito della sua cooperazione con l'Europa dell'Est, la DSC sostiene lo Stato di diritto e i diritti dell'uomo nonché la creazione e il rafforzamento dei sistemi democratici, segnatamente di istituzioni politiche stabili. La DSC promuove inoltre uno sviluppo sostenibile in ambito economico e sociale basato su principi dell'economia di mercato volti a favorire la stabilità economica, lo sviluppo culturale, la crescita del reddito e il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione.

Anche il Seco del DFE contribuisce all'attuazione della cooperazione allo sviluppo e della cooperazione con l'Europa dell'Est. Il Seco è attivo in settori supplementari che spesso presentano pure legami diretti con le guerre civili o con i conflitti violenti internazionali. Il Seco partecipa ad esempio alle discussioni su programmi di ricostruzione concreti svolte in seno alle banche dello sviluppo multilaterali. Queste banche svolgono un ruolo importante nella ricerca di mezzi finanziari e tecnici per la ricostruzione di istituzioni e di infrastrutture, nell'elaborazione di programmi di aiuto eco7095

nomico d'emergenza e nella coordinazione del dialogo tra Governi e creditori. Il Seco partecipa inoltre al finanziamento di misure urgenti delle istituzioni multilaterali volte alla ripresa delle economie di Paesi colpiti da crisi e, a determinate condizioni, partecipa anche finanziariamente alla ricostruzione di infrastrutture vitali. In taluni casi il Seco versa anche aiuti finanziari mirati, limitati nel tempo, intesi a favorire la ricostruzione e a ricostruire la stabilità macroeconomia in regioni colpite dalle guerre. Parallelamente il Seco si impegna affinché gli Stati colpiti da crisi possano essere integrati il più presto possibile in organizzazioni multilaterali e sostiene gli sforzi profusi in tal senso ad esempio nell'ambito di programmi di estinzione dei debiti o di azioni multilaterali per lo sdebitamento.

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Un altro contributo importante alla politica di pace della Confederazione sono i programmi di aiuto mirato al rimpatrio finanziati dall'Ufficio federale dei rifugiati (UFR) e attuati dalla DSC. Essi sono volti a rafforzare la capacità dei Paesi di origine ad accogliere i rimpatrianti, ad esempio mediante un aiuto infrastrutturale, e a garantire in tal modo le reintegrazione sociale durevole delle persone che rientrano nel proprio Paese di origine. Inoltre l'UFR sostiene progetti intesi a creare strutture di asilo e di migrazione nell'Europa medio-orientale e nell'Asia centrale e a promuovere la migrazione legale. Tra questi progetti si annoverano anche misure di formazione nell'ambito della procedura d'asilo volte ad ancorare meglio i principi dello Stato di diritto nei Paesi partner.

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L'aiuto umanitario della Confederazione è destinato alle popolazioni vittima di una catastrofe naturale o di un conflitto armato laddove i mezzi del Paese o della regione colpita non sono sufficienti per fronteggiare senza aiuto esterno i problemi causati dalla crisi. La priorità è data ai gruppi socialmente più vulnerabili e deboli, in particolare alle donne e ai bambini nonché ai malati, agli anziani, ai rifugiati e ai profughi. L'aiuto umanitario non è un'attività governativa isolata ma è parte integrante dell'impegno su ampia scala profuso dal nostro Paese per la prevenzione delle crisi, per la limitazione delle conseguenze e dei danni che ne derivano, per l'avvio di uno sviluppo sostenibile e quindi per la creazione di condizioni idonee per un futuro vivibile. Uno degli insegnamenti centrali tratti dall'esperienza degli ultimi anni è che l'intervento degli attori dell'aiuto umanitario influisce sempre, direttamente o indirettamente, sulla dinamica del conflitto. Sebbene per principio l'aiuto umanitario non sia dato in base a considerazioni di ordine politico, l'intervento umanitario non è mai «neutrale» rispetto alle parti in conflitto. Per questo motivo è di importanza fondamentale che tali interventi siano coordinati con gli altri processi di prevenzione della violenza e di promozione della pace. L'aiuto umanitario della Confederazione si sforza di trarre i necessari insegnamenti dalle esperienze fatte in conflitti passati e di applicare coerentemente il cosiddetto principio del «do no harm», principio che impone agli attori umanitari e internazionali di effettuare una precisa analisi delle ripercussioni positive e negative del proprio operato prima di intervenire sul posto.

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Le misure di politica umanitaria acquistano particolare importanza nei conflitti violenti in cui le vittime principali sono civili innocenti. Essenziale in tale contesto è il rispetto delle regole e dei principi del diritto internazionale

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umanitario e il dialogo umanitario con gli attori statali e non statali coinvolti nel conflitto. Le stesse misure che permettono di proteggere i civili e i gruppi indifesi esposti alla violenza possono anche contribuire a prevenire nuove spirali di violenza.

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Anche l'esercito con i suoi strumenti del promovimento militare della pace svolge oggi un ruolo importante nell'ambito delle strategie integrate di politica di pace. Gli esperti militari possono garantire la sicurezza delle operazioni di sostegno alla pace e stabilizzare situazioni di tensione assumendo una funzione di osservatore in zone di tregua o demilitarizzate. L'esercito può inoltre svolgere una funzione protettiva e dissuasiva accompagnando e proteggendo la fornitura e la distribuzione di beni umanitari. Conformemente agli articoli 66 seguenti della legge federale del 3 febbraio 19952 sull'esercito e sull'amministrazione militare (legge militare, LM) la Svizzera partecipa a queste operazioni di sostegno alla pace con un servizio di promovimento della pace composto da persone o truppe svizzere appositamente istruite e annunciatesi volontariamente. Una partecipazione del nostro Paese è tuttavia permessa unicamente se l'operazione di sostegno alla pace si basa su un mandato dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) o dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE). È esplicitamente esclusa la partecipazione a operazioni belliche di imposizione della pace.

Nel corso degli anni accanto alle operazioni sul posto si è sviluppata un'altra forma di promovimento militare della pace: il sostegno alla formazione, alla riorganizzazione (controllo democratico) e all'equipaggiamento delle forze armate, soprattutto nell'ambito del Partenariato per la Pace (PfP). Questo sostegno, inteso come contributo alla prevenzione di conflitti e al rafforzamento o alla ricostruzione di strutture statali, tende a consolidare le strutture di sicurezza statali e riduce il rischio che si creino strutture parastatali illegittime. Anche il nostro Paese partecipa a queste misure in virtù dell'articolo 149a LM e contribuisce con programmi di cooperazione alla creazione di un controllo democratico delle forze armate.

La Svizzera fornisce inoltre un contributo importante al consolidamento della pace e alla creazione di un rapporto di fiducia mediante misure nell'ambito del controllo degli armamenti e della politica del disarmo, misure intese ad aumentare la stabilità e sicurezza internazionali. Nell'ambito di questa politica il nostro Consiglio sostiene ad esempio la riduzione di effettivi di
armamenti all'estero; rafforza inoltre i sistemi di accordi internazionali in questo settore. Non da ultimo per questo motivo abbiamo ratificato tutti gli accordi multilaterali sul controllo degli armamenti la cui ratifica da parte svizzera era possibile, ad eccezione del caso speciale del Trattato sulle forze armate convenzionali in Europa (Trattato CFE). In adempimento della mozione Paupe (00.3519), il nostro Consiglio ha inoltre trasmesso recentemente alle Camere federali un messaggio in cui annunciava l'intenzione di fornire un aiuto al disarmo ai Paesi che non dispongono di mezzi sufficienti per l'eliminazione delle loro armi di distruzione di massa.

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RS 510.10

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Nella pratica si è dovuta constatare l'inefficacia delle strategie che prevedono l'applicazione separata degli strumenti di prevenzione e soluzione dei conflitti violenti relativi agli ambiti politici menzionati sopra nonché ad altri ambiti. A causa della dinamica assunta oggi da molti conflitti violenti, spesso si impone un approccio integrato, in cui tutti gli strumenti disponibili sono applicati in maniera coordinata e parallela. Questo approccio, sebbene richieda un maggiore coordinamento, permette di rafforzare considerevolmente l'effetto dei singoli strumenti.

Le esperienze degli ultimi anni hanno mostrato che le possibilità di successo delle soluzioni di pace duratura aumentano se gli strumenti degli attori dei vari ambiti politici sono applicati congiuntamente nell'ambito di un intervento integrato.

Tale nuovo orientamento ha ripercussioni anche per le attività e gli attori del promovimento della pace della Confederazione. Spesso capita infatti che diversi attori della Confederazione operino nel medesimo settore geografico e relativamente ai medesimi ambiti tematici; dato che nell'ambito dei loro mandati essi perseguono obiettivi diversi, le loro attività di regola agiscono in maniera complementare.

Nel promovimento della pace possono tuttavia anche sorgere conflitti tra gli obiettivi e gli interessi degli interlocutori dei differenti ambiti politici coinvolti. Nell'elaborazione di strategie di politica di pace occorre pertanto considerare il rapporto tra le misure civili e militari di promovimento della pace e decidere l'importanza da attribuire alle misure di gestione civile dei conflitti nei casi in cui queste non sono compatibili con interessi economici o di altra natura. Nel prossimo periodo di legislatura il nostro Consiglio intende avviare l'elaborazione di linee direttrici di politica di pace che tratteranno anche di questo genere di conflitti di obiettivi e interessi.

Rapporto sulla politica svizzera dei diritti dell'uomo (2000)3 L'attuale politica dei diritti dell'uomo della Confederazione trova la sua origine in un rapporto del Consiglio federale del 1982 in cui per la prima volta venivano definite le basi della politica svizzera dei diritti dell'uomo e identificati gli strumenti a disposizione del Governo per l'attuazione di una tale politica. Nel 2000 abbiamo presentato un
nuovo rapporto sulla politica dei diritti dell'uomo della Svizzera in cui abbiamo confermato il rispetto e la promozione dei diritti dell'uomo quale obiettivo principale della politica estera della Svizzera. Proteggere le persone dalle violazioni dei loro diritti e delle loro libertà fondamentali ed evitare la repressione, l'arbitrarietà e lo sfruttamento: è questo l'obiettivo concreto che persegue la politica svizzera dei diritti dell'uomo nelle relazioni internazionali. Nel nostro rapporto del 2000 abbiamo sottolineato che l'attuazione di una politica dei diritti dell'uomo coerente richiede strumenti diversi legati ad ambiti politici diversi. Abbiamo inoltre espresso la nostra convinzione che la nostra politica in favore dei diritti dell'uomo guadagnerà in coerenza e credibilità a livello nazionale e internazionale se tutti gli attori della Confederazione condividono i medesimi principi e collaborano in modo da prendere maggiormente in considerazione i criteri dei diritti dell'uomo, della democrazia e dello Stato di diritto nelle decisioni importanti in tutti gli ambiti della politica. Per questo motivo abbiamo sviluppato procedure intese a garantire la massima 3

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coerenza possibile a livello interdipartimentale. Le procedure e le competenze specifiche sono illustrate dettagliatamente nel rapporto in questione. A livello internazionale la competenza generale per le questioni di politica dei diritti dell'uomo spetta al DFAE, il quale provvede pure alla messa in atto di alcune attività e strumenti posti sotto la sua responsabilità.

All'interno del DFAE vi è un legame particolarmente stretto tra le attività della Direzione politica e quelle della DSC, attività che si completano a vicenda.

Ambedue le direzioni perseguono un approccio basato sul diritto internazionale pubblico («rights based approach»). Tuttavia la Direzione politica si concentra sullo sviluppo, il promovimento e l'attuazione delle norme determinanti della protezione internazionale dei diritti dell'uomo in stretta collaborazione con la Direzione del diritto internazionale pubblico, mentre nell'ambito del promovimento dei diritti dell'uomo la DSC persegue un approccio più programmatico, basato sulle strategie della politica dello sviluppo. Secondo tale approccio il promovimento dei diritti dell'uomo e dei principi dello Stato di diritto è finalizzato all'obiettivo fondamentale del Buon governo e, di conseguenza, a un miglioramento delle condizioni quadro sociali, politiche e istituzionali. Nella pratica la diversa impostazione dell'operato della Direzione politica e della DSC ha portato a una divisione dei compiti basata su principi pattuiti.

1.2

Condizioni quadro e sfide

Il periodo tra la fine della Seconda guerra mondiale e l'inizio degli anni Novanta è stato caratterizzato da un forte aumento del numero di conflitti armati violenti. Negli anni 1990-1992 questo numero raggiunse la soglia massima registrata sino ad oggi, per diminuire leggermente negli anni 1992-1998. Tra il 1998 e il 2000 il numero di conflitti violenti aumentò nuovamente. Nel frattempo vi è stato un nuovo leggero calo. La maggior parte dei conflitti violenti in corso attualmente ha luogo in Africa e in Asia; al terzo posto figura il Medio Oriente. In Africa praticamente non vi è regione che non sia stata confrontata negli ultimi anni con conflitti armati. La frequenza di conflitti nel continente americano e in Europa è per contro nettamente inferiore, sebbene in molte regioni dell'America centrale e meridionale, dell'ex Jugoslavia e dell'ex Unione Sovietica vi è un forte rischio di deterioramento di singoli conflitti.

I conflitti interni sono i più diffusi Oggi l'immagine tradizionale di una guerra combattuta dagli eserciti di due Stati rivaleggianti corrisponde ormai soltanto in pochi casi alla realtà. Dei 220 conflitti armati che hanno avuto luogo in tutto il mondo tra il 1946 e il 2000, soltanto 42 erano di tipo interstatale nel senso classico4. Oggi le guerre su grande scala, come ad esempio quella tra l'Iran e l'Iraq negli anni 1980-1988, sono un'eccezione. È inoltre fortemente diminuito il numero di guerre tra Stati minori allineati su fronti ideologici opposti, frequenti all'epoca della guerra fredda. Per contro sono tuttora frequenti i tentativi di Stati terzi di influire su conflitti in cui sono in gioco loro inte-

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Armed Conflict 1946-2000: A New Dataset, Nils Petter Gleditsch, Peter Wallensteen, Margareta Sollenberg, Havard Strand, pag. 7.

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ressi politici o economici; questo fenomeno è visibile soprattutto nei conflitti che concernono l'accesso a risorse importanti.

Fonte: Armed Conflict 1946-2000: A New Dataset, N.P. Gleditsch et al., pag. 7

Accanto all'aumento del numero di conflitti interni, il contesto della politica di sicurezza negli ultimi anni è stato caratterizzato da un aumento dell'importanza dei conflitti regionali nonché dal continuo rischio legato a taluni conflitti internazionali «congelati». Desta preoccupazione inoltre il fatto che mezzi bellici di tipo biologico, chimico e nucleare come pure vettori balistici siano viepiù accessibili anche agli attori non statali.

Cause dei conflitti violenti I conflitti violenti odierni hanno cause di vario genere. In molti casi tuttavia un ruolo importante è svolto da due fattori principali facilmente identificabili: innanzitutto le tensioni legate all'identità di determinati gruppi di persone, ad esempio l'appartenenza a determinate etnie, gruppi religiosi, culturali o linguistici; in secondo luogo le tensioni legate all'accesso alle risorse economiche, politiche o sociali, tensioni che possono causare o comunque fomentare un conflitto. Sovente questi due fattori sono collegati, vi è cioè un gruppo di persone che fa valere un diritto a determinate risorse e collega questa rivendicazione con l'appartenenza a una determinata identità.

Attori statali e non statali coinvolti in conflitti Oggi nella maggior parte dei casi le guerre non sono più combattute da eserciti convenzionali di Stati nemici allineati su fronti chiaramente delimitati, ma tra i detentori del potere ­ rispettivamente gli strumenti di potere al loro servizio ­ e gruppi ribelli, gruppi irregolari armati, milizie private e pubbliche, rivoluzionari, membri dell'esercito regolare passati al soldo di gruppi dissidenti, guerriglie, secessionisti o terroristi.

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Spesso gruppi di spicco antagonisti si contendono il potere e il controllo, contribuendo a fomentare ulteriormente i conflitti interni. In molti conflitti interni è difficile o impossibile distinguere i gruppi statali da quelli non statali, poiché nessuno di essi dispone di una legittimazione riconosciuta ma rappresenta soltanto gruppi d'interesse particolari. Nel 2000 a livello mondiale si contavano oltre 190 attori non statali, distribuiti su 60 Paesi diversi, che disponevano di una struttura militare e di potenziali sufficienti per la pianificazione di operazioni militari di un certo impatto.

A causa di costellazioni di questo genere in molti conflitti non vi sono confini netti tra le parti in conflitto né si possono identificare con esattezza le regioni controllate prevalentemente da una o dall'altra parte. Spesso inoltre è impossibile distinguere tra i civili e gli appartenenti a una parte in conflitto; in molti casi d'altronde tale distinzione non è applicabile.

Altra caratteristica degli attori non statali sono i repentini cambiamenti di alleanze e l'instabilità delle gerarchie interne. Dato che di regola questi gruppi agiscono al di fuori delle strutture dello Stato di diritto e non hanno una legittimazione democratica, nelle loro azioni spesso non vi è una chiara delimitazione tra intervento militare e reati perpetrati con uso della violenza. Poiché i singoli gruppi di regola non conoscono procedure giuridiche istituzionalizzate, sono inoltre frequenti le violazioni del diritto interno, dei diritti dell'uomo e del diritto internazionale pubblico. Le garanzie date durante trattative di pace non sono sempre rispettate. Nelle situazioni di conflitto che coinvolgono attori statali e non statali, di regola è difficile identificare gli interlocutori che sono affidabili e dotati di una legittimazione sufficiente per rappresentare il proprio gruppo.

La maggior parte dei combattenti dei gruppi non statali che partecipano a conflitti interni sono giovani uomini. Spesso la loro partecipazione alle operazioni belliche è da ricondurre a un reclutamento forzato o alla mancanza di prospettive di vita alternative. Laddove mancano combattenti spesso sono reclutati anche fanciulli, in parte con meno di dieci anni d'età.

Declino dello Stato ed erosione del diritto L'erosione del diritto è allo stesso
tempo punto di partenza e conseguenza di conflitti armati. Poiché in molti conflitti gli attori statali non sono più in grado di garantire la certezza del diritto, la lacuna di potere che ne deriva è sovente colmata da attori non statali o dai cosiddetti «warlords» che assumono compiti di base spettanti allo Stato. Non di rado questi processi portano a situazioni di arbitrio politico e giuridico in cui le violazioni sistematiche dei diritti dell'uomo non sono più perseguite e aumentano di conseguenza In molte regioni teatro di conflitti lo Stato non è più in grado di mantenere le forze di polizia e militari e garantire efficacemente il monopolio statale del potere.

Laddove lo Stato perde il suo monopolio del potere, gli individui e i gruppi più vulnerabili all'interno della società non possono più essere protetti efficacemente contro la violenza e le azioni belliche a sfondo politico. Tracciando una mappa mondiale delle violazioni dei diritti dell'uomo si constata per l'appunto che in molti casi le aree interessate da tali violazioni coincidono con le aree teatro di conflitti violenti.

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Privatizzazione della violenza ed economie di guerra Nei conflitti di una certa durata si formano strutture che permettono a determinati attori di trarre profitti diretti dall'insicurezza persistente, dalla mancanza di beni indispensabili alla sopravvivenza e dalla paralisi del commercio. Analisi della Banca mondiale hanno mostrato che le forze di sicurezza irregolari, gli offerenti privati di servizi di sicurezza e le organizzazioni di ribelli spesso si trovano in concorrenza con i governi nazionali nella lotta per il controllo e lo sfruttamento delle risorse naturali. La dipendenza dell'economia da determinate materie prime favorisce questa lotta per il potere economico.

Per le persone in grado di trarre profitto dal passaggio di proprietà dei terreni, dal commercio di capitale e dalla nuova distribuzione del potere causati dalle guerre, nonché per i produttori e commercianti di armi, spesso il ricorso alla violenza scaturisce da un calcolo razionale.

I civili sono le principali vittime dei conflitti violenti Le vittime principali dei conflitti odierni di regola non sono i soldati ma i civili, esposti senza possibilità di difesa a violenze sessuali, saccheggiamenti, umiliazioni, carenza alimentare, mine antiuomo e altre forme di violenza. Particolarmente colpiti sono le donne e i bambini.

Mentre nella Prima guerra mondiale i civili rappresentavano soltanto il 5 per cento delle vittime, le stime indicano che negli anni Novanta la quota delle vittime civili di conflitti è salita all'80 per cento.

Dal 1987 al 1997 oltre 2 milioni di bambini hanno perso la loro vita e almeno 6 milioni hanno subito mutilazioni o sono colpiti da handicap durevoli a causa di conflitti violenti. Circa 10 milioni di bambini soffrono infine di gravi traumi psichici dovuti alle loro esperienze in conflitti armati. I membri di società che sono state per lungo tempo vittime di violenze spesso restano traumatizzati per decenni o addirittura non riescono più a riprendersi dalle conseguenze della guerra. Instabilità politica, insicurezza individuale nonché una forte predisposizione alla violenza sono caratteristiche tipiche di società stravolte dalla guerra.

Negli ultimi tempi si è constatato a più riprese che la popolazione civile non è soltanto vittima casuale dei conflitti ma ne diventa addirittura il bersaglio principale.
Nel passato recente gli attori di taluni conflitti hanno attuato vere e proprie politiche di «pulizia etnica» in determinate regioni, esponendo i civili non coinvolti nelle azioni belliche a torture e sevizie nell'intento di causarne la partenza dalla regione.

Le vittime di queste azioni diventano profughi nel proprio Paese o all'estero.

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Fonte: Small Arms Survey (2001), pag. 210

1.3

Approcci, strategie e tendenze a livello internazionale

Nel corso degli anni Novanta si è dovuto constatare che i «nuovi conflitti» non possono essere sedati né mediante misure puntuali volte a porre fine alla violenza né mediante soluzioni statiche e definitive. Più efficaci si sono invece rivelate le strategie di promovimento della pace basate su un processo di trasformazione a medio e lungo termine e volte a convincere le parti in conflitto ad attuare strategie di soluzione non violenta dei conflitti. L'esperienza ha mostrato che le possibilità di successo di questo genere di sforzi possono essere aumentate applicando in maniera coordinata diverse strategie di politica di pace pertinenti ad ambiti politici diversi.

L'utilità delle strategie di intervento integrate è stata messa particolarmente in evidenza dal Segretario generale dell'ONU nella sua «Agenda per la pace» del giugno 1992. In questo documento chiave il Segretario generale ha sottolineato la necessità di applicare strumenti politici di vario genere nell'ambito di strategie e mandati globali di diplomazia preventiva nonché nel quadro della gestione, della garanzia e del consolidamento della pace. Nel contempo ha sottolineato la crescente importanza degli strumenti civili nelle missioni dell'ONU.

Dall'inizio degli anni Novanta la stretta interdipendenza tra la prevenzione della violenza e gli obiettivi della politica tradizionale dello sviluppo è stata sempre più evidenziata anche dalla ricerca teorica nell'ambito della cooperazione allo sviluppo.

Le concezioni derivate da tali studi ­ ad esempio le linee direttive del Comitato per 7103

l'aiuto allo sviluppo (CAS) dell'Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica (OCSE) ­ partono dalla convinzione che per eliminare in maniera duratura le cause profonde della violenza e delle guerre non è sufficiente ridurre il divario sociale ed economico ma occorre pure fornire alle società potenzialmente soggette a crisi un maggiore sostegno nella soluzione pacifica dei conflitti causati dai processi di transizione sociale. In tale ottica la sfida principale per le agenzie dello sviluppo consiste pertanto nel concepire o adeguare i propri programmi di ampia portata in maniera tale da ottenere un effetto preventivo in materia di violenza, contribuire alla riduzione delle tensioni sociali e rafforzare le soluzioni costruttive dei conflitti.

Gli attentati terroristici dell'11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti hanno cambiato ulteriormente le condizioni quadro in cui si muovono gli attori attivi nell'ambito del promovimento della pace e dei diritti dell'uomo. Gli attentati hanno innescato cambiamenti strutturali nella politica mondiale che vanno ben al di là della lotta contro il terrorismo. Dopo l'«11 settembre» nell'ambito delle strategie della lotta contro il terrorismo si delinea la tendenza degli Stati di influire maggiormente sul decorso di conflitti anche all'esterno dei propri confini. Molti Stati hanno introdotto specifiche «leggi antiterrorismo» che permettono di limitare i diritti di singoli cittadini o di gruppi di cittadini. Per taluni Stati la lotta contro il terrorismo si rivela essere un pretesto per inibire l'opposizione politica, spesso ricorrendo a metodi violenti. La comunità internazionale si vede confrontata con la sfida di affrontare la minaccia del terrorismo senza violare o relativizzare le norme del diritto internazionale pubblico.

Gli attentati contro gli Stati Uniti hanno mostrato che talune cerchie considerano la globalizzazione economica e culturale di matrice occidentale una minaccia per il proprio quadro referenziale e mobilitano le relative difese. Anche se attualmente la lotta contro il terrorismo a livello mondiale ha assoluta priorità, è evidente che le sole misure militari e di polizia non basteranno per risolvere i problemi strutturali odierni e le tensioni che essi causano. Per superare in maniera duratura la violenza ed eliminare le cause
del terrorismo occorrono strategie complementari volte a una prevenzione a lungo termine delle crisi e alla trasformazione costruttiva dei conflitti.

Obiettivo principale: una sicurezza umana di ampio respiro Nelle relazioni internazionali si parla di sicurezza quando sono garantite la stabilità del potere politico e militare in uno Stato. Per le singole persone o singoli gruppi di persone la sicurezza è per contro una sensazione soggettiva che si instaura quando è garantita l'esistenza umana, l'integrità fisica e psichica e una certa prevedibilità degli eventi. In situazioni di conflitto interno spesso mancano strutture statali affidabili in grado di garantire la sicurezza della popolazione e di proteggerla dalle conseguenze degli scontri violenti tra gli attori.

Dopo la fine della Guerra fredda alla nozione di sicurezza tradizionale, che si concentrava sulla sicurezza tra gli Stati, si è aggiunta la nozione di sicurezza umana. Le attività nell'ambito della sicurezza umana sono volte a migliorare la sicurezza dei singoli individui a complemento della sicurezza degli Stati. Una prima definizione del concetto di sicurezza umana si trova nel rapporto sullo sviluppo umano del 1994 redatto dal United Nations Development Programme (UNDP). Questo rapporto illustra alcune dimensioni della sicurezza umana: la sicurezza economica, ecologica, personale, culturale e politica per ogni essere umano e l'accesso all'alimentazione e alla salute. Fino ad oggi non si è tuttavia trovata una definizione univoca di questa 7104

nozione. Di massima si distingue un'interpretazione della sicurezza umana in senso stretto, che si concentra sugli aspetti concernenti la violenza, e un'interpretazione in senso lato, che comprende anche gli aspetti dello sviluppo umano. Ambedue gli approcci pongono l'individuo al centro dell'attenzione e si orientano al suo bisogno di sicurezza.

Con il concetto di sicurezza umana si sottolinea la convinzione che oggi non è più sufficiente definire la sicurezza in quanto sicurezza degli Stati e dei territori, ma che occorre porre al centro degli sforzi le esigenze delle singole persone in materia di sicurezza.

Nel contesto del concetto di sicurezza umana si situano oggi ad esempio le strategie contro le mine antiuomo, contro la proliferazione delle armi leggere e contro il reclutamento di bambini soldato. Tra gli altri strumenti applicati nell'ottica della sicurezza umana ricordiamo gli sforzi volti a indurre gli attori non statali coinvolti in conflitti al rispetto del diritto internazionale umanitario o le sanzioni mirate che colpiscono la classe dirigente di uno Stato che infrange il diritto, risparmiando la popolazione civile.

La pace tramite il diritto: sviluppo e significato del diritto internazionale Il diritto internazionale, che nella forma tradizionale dei secoli passati si limitava a disciplinare le divergenze tra gli Stati, ha conosciuto un forte sviluppo a partire dalla Seconda guerra mondiale. Oggi esso fonda direttamente determinati diritti delle persone e permette inoltre di chiamare in causa singole persone responsabili di crimini particolarmente atroci che concernono l'intera comunità internazionale. Questa evoluzione pone termine alla sovranità statale assoluta e garantita in ogni caso: tale sovranità può e deve essere limitata laddove uno Stato nei rapporti con i suoi sudditi viola gli obblighi fondamentali in materia di diritti dell'uomo.

Una pace duratura richiede la giustizia, e la giustizia si basa essenzialmente sul diritto nonché sulla trasparenza, l'accessibilità e l'applicabilità delle procedure.

Con l'istituzione dei Tribunali internazionali per l'ex Jugoslavia, per il Ruanda e per la Sierra Leone per la prima volta dopo i Tribunali militari internazionali di Norimberga e Tokyo è stata creata la possibilità di sottoporre a giudizio singole persone accusate di aver
commesso violazioni particolarmente gravi dei diritti dell'uomo e del diritto internazionale umanitario. Con l'istituzione di una Corte penale internazionale si è inoltre creata un organo che rafforzerà l'attuale interpretazione del diritto. Questi tribunali sono l'espressione della volontà della comunità internazionale di non accettare con indifferenza le violazioni dei fondamenti della convivenza pacifica e dell'umanità e della sua intenzione di chiamare a giudizio i responsabili di tali violazioni. Il fatto che in molte regioni teatro di conflitti gli attori statali abbiano perso, in parte o interamente, il monopolio del potere suscita tuttavia parecchi interrogativi di principio in merito all'applicabilità del diritto internazionale e alle responsabilità delle parti in conflitto, interrogativi che sono a tutt'oggi in massima parte senza risposta. Una delle grandi sfide odierne è garantire il rispetto degli obblighi del diritto internazionale da parte degli attori di conflitti non statali.

7105

Gli attuali strumenti giuridici sono in grado di garantire soltanto parzialmente la sicurezza dei gruppi di persone particolarmente vulnerabili come i profughi, le donne e i bambini.

La prevenzione come principio fondamentale L'intervento volto a prevenire la violenza si impone non soltanto a causa dell'imperativo morale di prevenire la sofferenza umana. Conformemente all'adagio «prevenire è meglio che curare», la prevenzione della violenza è una soluzione più umana, più efficace a livello politico e meno costosa rispetto alla gestione reattiva dei conflitti e al consolidamento della pace, di gran lunga più onerosi. Sebbene l'ONU e gli altri attori abbiano riconosciuto il valore della prevenzione della violenza già all'inizio degli anni Novanta, non è stato possibile evitare i conflitti in Bosnia, in Somalia o in Kosovo, né il genocidio in Ruanda. Gli esperti della pace sono tuttavia unanimi nell'asserire la necessità di una vera «cultura della prevenzione», approccio che appare ancora più necessario alla luce dei conflitti citati.

La prevenzione della violenza è una soluzione più umana, più efficace a livello politico e meno costosa rispetto al consolidamento reattivo della pace.

I conflitti violenti rappresentano la sfida principale I conflitti violenti sono processi dinamici che si svolgono lungo fasi diverse. Una gestione efficace dei conflitti richiede una conoscenza precisa della fase in cui il conflitto si trova in un determinato momento: occorre segnatamente identificare se il conflitto è in una fase di escalation oppure di descalation o di stagnazione. Spesso per illustrare le fasi di un conflitto si ricorre a un modello a tre fasi. Questo modello distingue una prima fase caratterizzata da una crisi latente con la creazione di fronti opposti e un crescente antagonismo tra questi ultimi, senza tuttavia che sia applicata violenza fisica. Il passaggio alla seconda fase si ha con il passaggio al conflitto violento. La terza fase infine corrisponde alla fine dell'uso della violenza e coincide essenzialmente con il processo di consolidamento della pace. Non è difficile descrivere le singole fasi di un conflitto mediante un modello statico. Più complessa è per contro la spiegazione delle dinamiche conflittuali nel passaggio da una fase all'altra.

Nella prassi si constata regolarmente che
l'escalation dei conflitti e il passaggio alle forme violente avviene molto rapidamente.

Interdipendenza degli attori e livelli d'intervento Le strategie della gestione civile dei conflitti devono in primo luogo essere volte a sostenere gli attori interni che operano in favore di un approccio pacifico nelle società colpite da una crisi e contribuire così all'elaborazione di soluzioni locali ai problemi locali. Attori esterni non sono infatti in grado di «importare» una condizione di pace in una regione teatro di un conflitto; possono soltanto contribuire a dotare gli attori, i gruppi o le organizzazioni sul posto dei mezzi necessari per risolvere i conflitti sociali in modo pacifico.

Conflitti di lunga durata caratterizzati da forti tensioni possono tuttavia portare a una situazione in cui gli attori locali non dispongono più del necessario margine di manovra per avviare un processo di pace e di dialogo e contribuire così a un miglio7106

ramento della situazione in materia di diritti dell'uomo. In tali situazioni è necessario appoggiare dall'esterno le forze operanti in favore della pace. In questo ambito di regola si distinguono 3 livelli d'intervento: Livelli d'intervento degli attori esterni nell'ambito della gestione civile dei conflitti (modello a 3 livelli) Livello 1

Livello governativo/ autorità

Livello 3

ONG, economia e scienza

Livello 3

ONG locali / singoli cittadini

­

Le attività del livello 1 sono intese a stabilire e curare, sulla base di fiducia reciproca, contatti con i principali attori coinvolti nel conflitto. Si tenta inoltre di appoggiare questi attori mediante adeguate misure di consulenza e sostegno e di rafforzare la loro disponibilità a partecipare a trattative e a ottenere una soluzione costruttiva del conflitto. Parallelamente le attività a questo livello sono volte a favorire il dialogo tra i capi e le elite delle parti in conflitto e a contribuire alla creazione di strutture che consentano lo sviluppo di una rete stabile di contatti personali e istituzionali tra le parti.

­

L'esperienza mostra che i processi di pace concernenti il più alto livello si svolgono in continua e diretta interazione con i processi situati a un livello intermedio della società civile, il livello 2. Questo livello comprende gli attori che, pur non detenendo una posizione di potere ufficiale, hanno un ruolo importante in quanto personalità di spicco a livello regionale o settoriale e possono così svolgere una funzione di mediatore tra i ranghi gerarchici più alti e le comunità locali.

­

Al livello inferiore della gerarchia, il livello 3, si situano le attività di promovimento della pace svolte in ambito locale. Questo livello gerarchico costituisce il principale campo d'azione degli attori il cui operato si situa in una prospettiva a lungo termine ed è volto a creare le strutture necessarie per uno sviluppo duraturo nell'ambito della pace che goda di ampio sostegno.

La suddivisione in tre livelli gerarchici ­ alto, medio e basso ­ con cui sono comunemente descritti i livelli di potere in seno a una società, ha carattere schematico.

Nella realtà le interazioni tra i singoli attori coinvolgono spesso nello stesso tempo rappresentanti dei tre livelli. Le conclusioni della ricerca scientifica e le esperienze pratiche degli ultimi anni inducono pertanto a concepire e coordinare le strategie d'intervento in modo tale da permettere agli strumenti e ai metodi applicati di agire su vari livelli, completandosi vicendevolmente. In merito agli attori della Confederazione in linea di massima si può distinguere tra le attività della Direzione politica, che concernono principalmente il livello politico-diplomatico, e quelle della DSC, che agiscono maggiormente nell'ambito sociale e della politica dello sviluppo.

7107

Ripercussioni diverse dei conflitti violenti su uomini e donne I conflitti sono vissuti in modo diverso dagli uomini e dalle donne. Queste differenze nella percezione determinano anche esigenze, esperienze e analisi diverse. In merito alla situazione delle donne occorre rilevare che in situazioni di conflitti violenti esse sono particolarmente esposte alle violazioni dei diritti dell'uomo quali la violenza o lo sfruttamento sessuale: l'attuazione di misure volte a migliorare la protezione delle vittime femminili dei conflitti deve quindi essere assolutamente prioritaria in ogni fase degli interventi nell'ambito della politica di pace.

A livello internazionale il piano d'azione di Pechino (1995) rappresenta il primo documento che pone l'accento, accanto alle ripercussioni dei conflitti violenti sulle donne, anche sul potenziale della popolazione femminile nei conflitti armati. Nel novembre 2000 il Parlamento europeo ha adottato la Risoluzione sulla partecipazione delle donne al regolamento pacifico dei conflitti che formula proposte per migliorare la protezione giuridica delle donne in situazioni di conflitto e per coinvolgere le donne a tutti i livelli in modo più attivo nei processi di pace importanti5.

Nell'ottobre 2000 il Consiglio di sicurezza dell'ONU ha infine adottato una risoluzione su questo tema, esortando la comunità degli Stati a dare la massima importanza alla prospettiva femminile in tutti i processi e le attività importanti dal punto di vista della politica di pace6.

Le misure per l'attuazione di questi obiettivi politici devono tendere a una rappresentazione adeguata di ambo i sessi in tutti i livelli delle organizzazioni e delle istituzioni statali e non statali importanti. Nell'elaborazione di strategie d'intervento va sempre considerata la prospettiva dei generi. Le donne sovente dispongono di reti di contatti personali con cui sono in grado di esercitare un influsso di fatto sui processi sociali e politici. Queste reti assumono particolare importanza segnatamente quando un inasprimento del conflitto blocca i processi politici e di negoziazione tradizionali.

Capacità di promovimento della pace e dei diritti dell'uomo a livello internazionale Nell'agosto 2000 un gruppo di esperti convocato dal Segretario generale dell'ONU ha pubblicato il cosiddetto rapporto Brahimi. Il rapporto
analizza sistematicamente le esperienze fatte dall'ONU nel corso degli anni Novanta nell'ambito di operazioni di mantenimento della pace. L'analisi di missioni come quella nel Kosovo o nel Timor dell'Est hanno mostrato che l'ONU non era sufficientemente preparata ed equipaggiata per affrontare le sfide in ambito civile legate alle missioni di promovimento della pace. Per ovviare a queste lacune il gruppo di esperti ha proposto tra l'altro di svolgere le future missioni di pace dell'ONU sulla base di mandati di ampia portata e di sviluppare e applicare ulteriori strumenti civili per rafforzare l'effetto delle missioni.

5 6

Risoluzione del Parlamento europeo sulla partecipazione delle donne al regolamento pacifico dei conflitti; Bollettino UE 11-2000 S/RES/1325 (2000)

7108

Polizia civile e truppe di pace impegnate in missioni dell'ONU a livello mondiale (Effettivi il 30 novembre del rispettivo anno) 80000 60000 40000 20000 0 1994

1995

1996

1997

Polizia civile

1998

1999

2000

2001

Truppe della pace

Durante gli anni Novanta anche l'OSCE ha continuamente sviluppato i suoi strumenti di prevenzione della violenza. La Carta per la sicurezza europea, adottata nel novembre 1999, ha previsto la creazione di una serie di nuovi strumenti volti a permettere all'OSCE un rapido intervento in situazioni di crisi. Negli ultimi anni anche le attività dell'Unione Europea (UE) nell'ambito della politica dello sviluppo e della Politica estera e di sicurezza comune (PESC) si sono orientate maggiormente all'obiettivo della prevenzione delle crisi. Nell'ambito della Politica europea in materia di sicurezza e di difesa (PESD), l'UE ha identificato in ambito civile quattro settori prioritari in cui intende ampliare in modo mirato le risorse per la prevenzione dei conflitti violenti: polizia, rafforzamento dello Stato di diritto, rafforzamento dell'amministrazione civile e protezione dalle catastrofi. Negli ultimi anni numerosi governi occidentali hanno continuamente aumentato le risorse investite nella gestione civile dei conflitti, sia per quel che concerne l'analisi e il riconoscimento precoce di conflitti violenti, sia per quel che concerne gli interventi di esperti civili e lo sviluppo di programmi e di progetti.

Nel corso degli anni Novanta sono inoltre state ampliate le strutture e le risorse per il rafforzamento della protezione dei diritti dell'uomo a livello internazionale. In questo contesto va menzionato innanzitutto l'Alto commissariato dell'ONU per i diritti dell'uomo con sede a Ginevra, creato nel 1994 e responsabile principale delle attività dell'ONU nell'ambito dei diritti dell'uomo. L'Alto commissariato completa e sostiene il lavoro della Commissione dell'ONU per i diritti dell'uomo e dei Comitati di vigilanza istituiti per le singole convenzioni relative ai diritti dell'uomo.

Sostiene inoltre le organizzazioni regionali nei Paesi meridionali e integra il lavoro di organi quali la Corte europea dei diritti dell'uomo o il Commissario del Consiglio d'Europa per i diritti dell'uomo a Strasburgo. L'Alto commissariato dell'ONU redige rapporti sui diritti dell'uomo e promuove tali diritti nell'ambito ad esempio di progetti concreti di rafforzamento delle strutture democratiche o di formazione specifica dei corpi di polizia. Prende inoltre posizione in merito alle violazioni dei diritti dell'uomo.

7109

Evoluzione della normativa in materia di diritti dell'uomo La crescente internazionalizzazione dei diritti dell'uomo a partire dalla seconda metà del XX secolo ha determinato una maggiore responsabilità reciproca degli Stati per le rispettive politiche interne. Mentre all'epoca della guerra fredda i diritti dell'uomo venivano sovente strumentalizzati nella lotta tra i due blocchi di potere, questo atteggiamento è diventato meno predominante a partire dalla fine degli anni Ottanta.

Parallelamente a partire dagli anni Novanta è stato possibile rafforzare la protezione dei diritti dell'uomo a livello internazionale grazie ai nuovi sviluppi in ambito normativo. Ancora nel 1990 soltanto circa la metà degli Stati del mondo era vincolata dai due patti dell'ONU sui diritti dell'uomo7: nel frattempo questi due trattati fondamentali in materia di diritti dell'uomo hanno assunto un valore praticamente universale. Con la fine della guerra fredda i dibattiti ideologici sulle differenti concezioni e generazioni dei diritti dell'uomo sono finiti in secondo piano. Al loro posto è subentrata una concezione comune, espressa nella Dichiarazione di Vienna. Questa dichiarazione, confermata all'unanimità e per scritto da 171 Stati in occasione della seconda conferenza mondiale dell'ONU sui diritti dell'uomo a Vienna nel 1993, stabilisce espressamente che i diritti dell'uomo hanno validità universale, sono indivisibili, interdipendenti e formano un'unità.

Nell'ambito del promovimento dei diritti dell'uomo si tratta di tenere conto delle particolarità nazionali, regionali, storiche, culturali e religiose, senza relativizzare il principio dell'universalità e dell'indivisibilità dei diritti dell'uomo.

Il dialogo interculturale acquisterà maggiore peso quale piattaforma per la discussione tra partner equiparati provenienti da culture diverse.

Negli ultimi anni un'altra sfida ha assunto un'importanza crescente accanto allo sviluppo e alla codificazione della normativa in materia di diritti dell'uomo: l'attuazione delle norme vigenti. Da un lato vi sono tuttora Stati che non hanno ratificato le convenzioni fondamentali in materia di diritti dell'uomo e permangono quindi importanti gli sforzi intesi a ottenere la ratifica di queste convenzioni da parte di tutti i membri della comunità internazionale. Nel contempo vi sono
inoltre Stati che, pur avendo già ratificato le convenzioni, non adempiono gli obblighi di omissione, protezione e intervento da esse definiti, rispettivamente non sono in grado di adempierli ad esempio a causa dello smantellamento delle strutture statali in seguito a conflitti.

Infine i processi di globalizzazione cui assistiamo attualmente in differenti ambiti della vita richiedono l'adozione di nuove norme anche in settori che in passato non sono stati considerati in relazione con i diritti civili e politici. Così ad esempio le evoluzioni nel settore biotecnologico a prima vista sembrano avere implicazioni soprattutto per il patto sui diritti economici, sociali e culturali, in realtà però sollevano questioni fondamentali relative al diritto alla vita e devono quindi essere viepiù discusse anche alla luce dei diritti civili e politici. Un altro esempio concerne il settore a cavallo tra i diritti dell'uomo e la globalizzazione economica, in cui vi è necessità di nuove norme e meccanismi di regolazione. In un mondo globalizzato i diritti dell'uomo possono essere realizzati più efficacemente se i governi e gli attori 7

Patto internazionale del 16 dicembre 1966 relativo ai diritti economici, sociali e culturali (RS 0.103.1); patto internazionale del 16 dicembre 1966 relativo ai diritti civili e politici (RS 0.103.2).

7110

economici attivi a livello internazionale cercano soluzioni comuni per affrontare in maniera responsabile i problemi e le sfide con cui è confrontata l'odierna «comunità mondiale» (approccio noto come «corporate social responsibility»). A livello internazionale negli ultimi anni attori diversi hanno concluso vari partenariati volti a sviluppare regole di condotta ispirate a tale approccio.

1.4

Retrospettiva: risposte della Svizzera (1989­2002)

1.4.1

Dalle azioni di mantenimento della pace alla gestione civile dei conflitti

La Confederazione si impegna nell'ambito di azioni di mantenimento della pace sin dall'inizio degli anni Cinquanta. Negli anni 1986 e 1987 il Consiglio federale iniziò ad aumentare notevolmente i contributi svizzeri di sostegno a tali azioni, riflettendo in tal modo il suo nuovo approccio in materia di politica di pace e di sicurezza.

Nelle direttive del Governo 1987­1991 annunciò misure volte a rafforzare la partecipazione della Svizzera alle operazioni di mantenimento della pace dell'ONU e ad appoggiare maggiormente gli sforzi internazionali per la soluzione pacifica dei conflitti. Nel marzo 1988 adottò una strategia sul rafforzamento della partecipazione svizzera alle azioni internazionali di mantenimento della pace, elaborata dal DFAE e dall'allora Dipartimento federale militare. Tale documento confermava la volontà del Consiglio federale di impegnarsi maggiormente a livello internazionale nell'ambito della politica di pace e di sicurezza e illustrava le modalità per la realizzazione concreta di tale impegno.

Azioni di mantenimento della pace Nel giugno 1988 il Consiglio federale adottò un primo ampio pacchetto di misure di sostegno delle azioni di mantenimento della pace per un importo pari a 10,7 milioni di franchi. Il pacchetto prevedeva un aumento dei contributi annui alle operazioni di mantenimento della pace dell'ONU in Cipro (UNFICYP) e nel Libano (UNIFIL) nonché contributi di sostegno alle missioni dell'ONU nel Vicino Oriente (UNTSO) e al confine tra l'India e il Pakistan (UNMOGIP). Sempre nel 1988 il Consiglio federale si dichiarò disposto ad appoggiare finanziariamente la missione dell'ONU per la sorveglianza dell'armistizio tra l'Iran e l'Iraq (UNIIMOG). Nel medesimo anno fu creato il credito per le azioni di mantenimento della pace, che è diventato la fonte principale di finanziamento delle attività nell'ambito delle azioni di mantenimento della pace e, in seguito, della gestione civile dei conflitti. A partire dal 2001 questo credito è iscritto nella rubrica promovimento civile della pace.

Alla fine degli anni Ottanta e all'inizio degli anni Novanta il Consiglio federale ha concentrato i suoi contributi di sostegno principalmente sulle azioni di mantenimento della pace dell'ONU.

Negli anni 1990 e 1991 il Consiglio federale adottò due ulteriori pacchetti di misure pari ciascuno
a 15 milioni di franchi. Decise inoltre l'invio di un'unità medica svizzera non armata («Swiss Medical Unit») a sostegno della missione dell'ONU in Namibia (UNTAG) creata nel febbraio del 1989. Parallelamente prese la decisione di principio di permettere a osservatori militari svizzeri non armati la partecipazione 7111

a operazioni dell'ONU a partire dal 1990, creando la relativa base legale con l'ordinanza del 22 febbraio 19898 sull'impiego di personale in azioni di preservazione della pace e di buoni uffici. All'invio di personale sanitario e osservatori militari si aggiunse ancora nel 1989 un terzo tipo di operazioni all'estero, la cui importanza è andata crescendo nel corso degli anni Novanta: l'invio di cittadini svizzeri in qualità di osservatori elettorali a livello internazionale. Negli anni 1992 e 1993 il Consiglio federale decise l'invio di un secondo contingente sanitario, questa volta a rafforzamento della missione dell'ONU per i preparativi del referendum nel Sahara occidentale. Nel 1993 il Consiglio federale inviò per la prima volta osservatori civili di polizia (CIVPOL) in missioni multilaterali.

Nel novembre 1989 in Namibia è stata svolta la prima osservazione elettorale internazionale con partecipazione svizzera. Dal 1989 sino a metà 2002, 856 osservatori elettorali svizzeri hanno partecipato a 80 interventi nell'ambito dei contingenti del DFAE.

Nel 1994 il Consiglio federale versò inoltre sostanziali importi di sostegno all'allora Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE). Nel 1996 aumentò considerevolmente i contributi versati a questa organizzazione mettendo a disposizione della missione dell'OSCE in Bosnia e Erzegovina un'unità logistica.

Fino al 1995 il DFAE sottoponeva annualmente al Consiglio federale una proposta di preventivo in cui erano definite le priorità budgetarie dell'anno a venire e chiesti i mezzi necessari a tale scopo. Il Consiglio federale concedeva questi mezzi in base alla sua competenza di condurre la politica estera del Paese, competenza che fondava all'epoca sull'articolo 102 numero 8 della Costituzione federale del 1874. Dal 1995 il DFAE definisce le priorità della sua politica di gestione civile dei conflitti nell'ambito di programmi quadriennali.

Gestione civile dei conflitti A partire dalla metà degli anni Novanta le finalità delle attività della Svizzera nell'ambito della promozione civile della pace e della gestione civile dei conflitti sono cambiate: è diminuita l'importanza attribuita ai contributi finanziari e al sostegno logistico destinati ad azioni multilaterali di mantenimento della pace, sono aumentate per contro le spese per progetti e per l'invio di personale.

8

RU 1989 350, entrata in vigore il 1o marzo 1989, poi sostituita dall'ordinanza del 24 aprile 1996 sull'impiego di personale in azioni di preservazione della pace e di buoni uffici, entrata in vigore il 1o maggio 1996 (RS 172.221.104.4).

7112

Contributi finanziari e spese per progetti e impiego di personale (1991­2001) 100 80 60 40 20 0 1991

1993

1995

1997

Contributi finanz.

1998

1999

2000

2001

Progetti/personale

Le nuove priorità nell'impiego dei mezzi sono in parte conseguenza delle critiche formulate durante la prima metà degli anni Novanta nei confronti delle missioni militari di pace tradizionali dell'ONU. Gli interventi problematici dell'ONU in Bosnia, in Ruanda e in Somalia avviarono infatti processi di riflessione e di riforma di ampia portata sia all'interno che al di fuori delle Nazioni Unite. Nell'ambito di tali processi si giunse alla conclusione che gli strumenti militari del promovimento e della garanzia della pace da soli non sono sufficienti per imporre una pace duratura a un conflitto in corso e che le possibilità di successo di un intervento multilaterale aumentano con un'applicazione coordinata di strumenti sia militari sia civili. Parallelamente gli strumenti civili del promovimento della pace hanno acquistato maggiore importanza; è aumentato inoltre il peso attribuito agli esperti civili della pace rispetto alle strutture d'intervento militari.

Mentre nel 1991 circa il 98 per cento delle spese del DFAE concerneva i contributi finanziari alle azioni di mantenimento della pace, nel 2000 questa quota era diminuita al 5 per cento.

La Direzione politica ha tenuto conto di questa evoluzione concentrando il suo operato maggiormente su progetti a carattere diplomatico-preventivo e integrando le tradizionali operazioni di mantenimento della pace con progetti relativi a settori chiave in ambito civile, quali lo Stato di diritto, la democratizzazione, la protezione delle minoranze, il promovimento dei media, le riforme del settore giuridico e di polizia, l'applicazione del diritto internazionale umanitario e la soluzione di divergenze. La gestione e l'assistenza dei progetti si è rivelata onerosa, sia sul piano del personale sia sul piano delle scadenze, motivo per cui, considerate le limitate risorse personali del DFAE, soltanto in casi eccezionali la Direzione politica ha potuto sviluppare e realizzare progetti per proprio conto. La concezione e l'assistenza dei progetti è stata pertanto delegata a organizzazioni partner. Il principale interlocutore in questo ambito è diventata l'OSCE, che a partire dalla metà degli anni Novanta ha consolidato la sua posizione forte nei settori della diplomazia preventiva, della prevenzione dei conflitti, della soluzione di crisi e della ricostruzione di
strutture democratiche e dello Stato di diritto in seguito a conflitti. Verso la fine degli anni Novanta la Direzione politica ha inoltre istituito partenariati di progetto con l'ONU e con le sue organizzazioni regionali e settoriali. A partire dalla metà degli anni Novanta in talune regioni, segnatamente nell'Africa meridionale, è infine aumentato il numero di progetti bilaterali di ampia portata.

7113

Rapporto tra progetti, impiego di personale, contributi finanziari e spese varie nel 2001 3 4

(1) (2) (3) (4)

2

Progetti = 59,5% Impiego di personale = 34% Contributi finanziari = 4,5% Spese varie = 2%

1

Nell'ambito della sua concezione delle misure di promozione della pace 2000-2003 la Direzione politica ha tracciato un bilancio delle sue esperienze durante gli anni Novanta e ha definito gli obiettivi delle attività future. Il bilancio dei partenariati con le organizzazioni internazionali, caratterizzati da intensa collaborazione, è fondamentalmente positivo; il documento ne propone pertanto la continuazione. Nella seconda metà degli anni Novanta la quota del budget impiegata per le attività nell'ambito di organizzazioni internazionali si è stabilizzata attorno a due terzi del volume finanziario totale: la strategia d'azione propone di mantenere tale ordine di grandezza.

La concezione sottolinea che a causa delle risorse limitate a disposizione in passato il DFAE ha potuto mettere a frutto soltanto in misura insufficiente il suo margine d'azione nel settore della gestione civile bilaterale dei conflitti. Il documento identifica pertanto nel rafforzamento e nella professionalizzazione della gestione civile bilaterale dei conflitti uno degli obiettivi prioritari per gli anni a venire.

La concezione definisce nuovi obiettivi operazionali nell'ambito della gestione civile dei conflitti. Obiettivi principali dell'intervento multi- e bilaterale di promozione della pace saranno il sostegno di attori chiave dei conflitti e l'impegno in favore della soluzione dei conflitti sotto il profilo politico, diplomatico e giuridico.

Da questi obiettivi strategici derivano quattro ambiti d'azione prioritari: innanzitutto le azioni di diplomazia preventiva volte a rafforzare la fiducia e a conciliare le parti; in secondo luogo il promovimento della democrazia, dello Stato di diritto, della protezione delle minoranze, dei media, della polizia civile, della giustizia e il rafforzamento della stabilità della società civile nei confronti di conflitti; in terzo luogo le misure volte ad aumentare la sicurezza umana; infine l'ampliamento dei relativi strumenti e delle capacità nell'amministrazione e in Svizzera.

Creazione e rafforzamento delle capacità e degli strumenti Ancora alla fine degli anni Ottanta e all'inizio degli anni Novanta lo svolgimento delle azioni di mantenimento della pace del DFAE richiedeva soltanto strumenti basilari e una pianificazione relativamente limitata. Verso la fine degli anni Novanta tale
approccio si rivelò tuttavia viepiù insufficiente. Da un lato diversi partner multie bilaterali avevano nel frattempo rafforzato le proprie risorse e gli standard di qualità in questo ambito, inoltre la maggiore autonomia dell'attività di promovimento 7114

della pace della Direzione politica aveva determinato un maggiore fabbisogno di analisi politiche delle situazioni di conflitto e del margine di manovra svizzero nonché un ampliamento delle risorse in ambito pianificatorio e gestionale.

Da un approccio incentrato sui progetti a un approccio programmatico Nel corso di pochi anni, il passaggio da un approccio basato sui contributi logistici e finanziari a un approccio basato sui contributi ai progetti e sull'invio di personale ha determinato un forte aumento del numero di dossier di gestione dei progetti. Inizialmente tali dossier concernevano soprattutto attività puntuali, concepite e realizzate in reazione a esigenze immediate della politica di pace nelle singole regioni teatro di conflitti. Verso la fine degli anni Novanta la Direzione politica ha iniziato tuttavia a integrare i suoi progetti sempre più in programmi globali relativi a singole regioni colpite da conflitti e a realizzare tali progetti in una prospettiva pluriennale.

Considerata l'esigenza della politica di pace di reagire alle opportunità che si presentano a breve termine e senza preavviso, una parte del budget globale veniva tuttavia ancora riservata per iniziative impreviste di promovimento della pace. A partire dalla metà degli anni Novanta i programmi di gestione civile dei conflitti più impegnativi dal punto di vista finanziario sono stati svolti nell'Europa sudorientale. I conflitti sul territorio dell'ex Jugoslavia hanno richiesto un crescente impiego di mezzi: alla fine del decennio scorso i contributi per le attività in questa regione corrispondevano al 40­50 per cento del budget totale. Il programma elaborato dalla Direzione politica per questa regione, volto alla stabilizzazione nella fase successiva ai conflitti e alla prevenzione di nuovi conflitti violenti, è stato svolto principalmente in collaborazione con l'ONU e con l'OSCE. Anche nell'Africa meridionale e nel Vicino Oriente sono stati avviati programmi di promovimento della pace su ampia scala.

L'ampiezza del raggio d'azione dei dossier relativi ai progetti non soltanto causava un alto onere amministrativo e gestionale, ma contrastava con due importanti principi che si andavano viepiù affermando verso la fine degli anni Novanta: la concentrazione dei mezzi e l'impiego pianificato a scadenza pluriennale.
Negli anni Novanta la Direzione politica ha intrapreso inoltre numerosi sforzi bilaterali in varie regioni teatro di conflitti allo scopo di rafforzare il profilo della Svizzera in quanto mediatrice di pace a livello politico e diplomatico. Attività integrate in quest'ottica sono state svolte nel 1996 e 1997 in Sudan, in Burundi e in Afghanistan. Sempre nel corso degli anni Novanta la Direzione politica ha intensificato inoltre il suo impegno di promovimento della pace in Sri Lanka, in Messico, nell'Asia centrale e nella Repubblica democratica del Congo. Nel giugno 2000 infine si è creata la possibilità di una partecipazione svizzera al processo di pace politico-diplomatico in Colombia. Per tutte queste regioni sono state sviluppate attività adeguate alle specifiche situazioni conflittuali secondo un approccio comune improntato ai seguenti obiettivi: stringere una rete di contatti con gli attori chiave, sostenere le attività importanti sotto il profilo strategico e creare in tal modo una base per possibili contributi a soluzioni di pace duratura.

7115

Creazione di competenze tecniche specifiche Nell'elaborazione delle strategie per le attività operazionali nell'ambito della gestione civile dei conflitti la Direzione politica si è concentrata sin dall'inizio sui settori in cui, grazie alle esperienze o caratteristiche specifiche della Svizzera, era in grado di creare un maggior valore o di far capo a conoscenze tecniche specifiche.

Fino alla seconda metà degli anni Novanta i progetti coprivano un'ampia gamma di temi. Negli anni immediatamente precedenti e seguenti il passaggio al nuovo millennio si è avuta per contro una concentrazione e specializzazione attorno a singoli temi scelti di particolare rilievo: questioni costituzionali e relative alla decentralizzazione e alla divisone dei poteri, sostegno di processi elettorali in quanto strategia di consolidamento della pace e tematiche legate alla sicurezza umana, quali la problematica delle armi leggere, le mine antiuomo e gli attori non statali nei conflitti.

Strutture per l'impiego di esperti civili della pace Nel 1998 con l'escalation del conflitto nel Kosovo la comunità internazionale decise l'invio di una missione di osservazione internazionale dell'OSCE, la «Kosovo Verification Mission». In relazione con tale missione divennero palesi per la prima volta le grandi difficoltà degli Stati membri dell'OSCE nel reclutamento di personale specializzato adatto a questo genere di missioni sul posto. Il nostro Consiglio identificò anche in Svizzera la necessità di agire in questo campo e già nel dicembre 1999 annunciò la creazione di un corpo di esperti civili della pace. L'anno seguente adottò la strategia per la creazione di un Pool svizzero di esperti per la promozione civile della pace (PSEP). Si tratta di un pool di personale altamente qualificato che, secondo un principio di milizia, può essere chiamato a breve termine a svolgere interventi di promozione della pace a livello internazionale in chiave sia bilaterale sia multilaterale. Dalla fine degli anni Novanta gli esperti del PSEP sono impiegati sempre più nell'ambito di programmi integrati multi- e bilaterali di gestione civile dei conflitti.

Negli ultimi anni è aumentato notevolmente il fabbisogno di esperti civili della pace dotati delle qualifiche necessarie per un impiego in azioni di promovimento della pace nell'ambito di organizzazioni internazionali.

Esperti civili della pace attivi contemporaneamente (1993­2001)

80 70 60 50 40 30 20 10 0 1993

7116

1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

Il PSEP comprende oggi circa 600 persone dotate di un alto livello di formazione e preparazione per i rispettivi settori di specializzazione. Per garantire che gli esperti svizzeri soddisfino le esigenze delle organizzazioni di partenariato, all'interno del DFAE sono state create strutture professionali di assistenza e di formazione. Le organizzazioni più importanti con cui collabora il PSEP sono l'OSCE e l'ONU, cui negli ultimi anni sono stati messi a disposizione circa tre quarti degli esperti.

Principali organizzazioni di partenariato nell'ambito dell'impiego di esperti (2001) 6

5

7

4 3

1

(1) (2) (3) (4) (5) (6) (7)

OSCE = 46% ONU = 27% Temporary International Presence in Hebron (TIPH) = 4.5% UE = 4% Consiglio d'Europa = 4% OHR = 4% Altri = 6%

2

Gli esperti svizzeri sono impiegati in numerosi ambiti diversi. In primo luogo essi partecipano in qualità di osservatori dei diritti dell'uomo o osservatori elettorali, di poliziotti civili e di specialisti in materia di dogana; svolgono inoltre funzioni negli ambiti della protezione delle minoranze, della democratizzazione, dello Stato di diritto, del sostegno di amministrazioni civili, del promovimento dei media, della consulenza sulle pari opportunità tra uomo e donna e del sostegno informatico9.

Esperienze fatte sinora e insegnamenti per il futuro Nel corso degli ultimi 15 anni le attività del DFAE nell'ambito della gestione civile dei conflitti hanno subito una notevole evoluzione. Mentre alla fine degli anni Ottanta esse si limitavano essenzialmente al sostegno delle missioni di mantenimento della pace dell'ONU tramite contributi finanziari e l'invio di personale, oggi richiedono uno sforzo gestionale notevole a livello politico e operazionale. La teoria e la pratica della gestione civile dei conflitti si è notevolmente sviluppata nel corso dell'ultimo decennio. Il nostro Consiglio si è sforzato di adeguare i suoi strumenti alle nuove condizioni quadro, introducendo nuovi metodi e strumenti. A tale scopo la Direzione politica, competente per l'attuazione, ha tentato di integrare gli insegnamenti della scienza e della prassi nel suo lavoro per aumentare le possibilità di successo delle sue attività. Questo approccio ha permesso in parecchi casi di contribuire efficacemente a una soluzione pacifica di conflitti e a una maggiore stabilità.

La collaborazione con le ONG svizzere e internazionali, intensificata continuamente a partire dalla fine degli anni Novanta, ha contribuito in maniera essenziale a migliorare la qualità del lavoro.

9

Cfr. Rapporto del Consiglio federale sulle opportunità e sui limiti di un servizio volontario all'estero nel contesto di missioni pace in ambito civile del 23 ottobre 2002.

7117

Gli strumenti a disposizione del nostro Consiglio nell'ambito della gestione civile dei conflitti non sono stati adeguati in maniera isolata ma sempre in stretto e costante contatto con altri Stati e diverse organizzazioni di partenariato. Il nostro Consiglio ha così avuto conferma del fatto che questi partner seguono una tendenza analoga. In quest'ottica riteniamo gli sforzi da noi profusi per migliorare l'efficacia e le qualificazioni della gestione civile dei conflitti parte di un processo di apprendimento che si svolge a livello internazionale, processo che richiederà anche in futuro continui adeguamenti e nuovi orientamenti.

Constatiamo che vi sono ambiti ai quali non abbiamo potuto in passato sempre dedicare la necessaria attenzione e ai quali sarà pertanto necessario attribuire maggiore peso in futuro. Occorre ad esempio introdurre meccanismi di valutazione progressiva e sistematica dell'efficacia delle nostre attività nell'ambito del promovimento della pace, valutazioni i cui risultati potranno influire sui processi lavorativi in corso. Una continua valutazione improntata a uno spirito di autocritica non soltanto è un'importante condizione per il miglioramento delle strategie e dei programmi di gestione civile dei conflitti, ma è anche indispensabile per trarre i dovuti insegnamenti a livello istituzionale e per ottimizzare i metodi e le procedure interne.

Riserve vanno formulate anche in merito alle attività puntuali e a corto termine svolte dalla Direzione politica in numerosi frangenti. In relazione con queste attività in alcuni casi la Direzione si è ispirata troppo fortemente all'attualità politica sottovalutando l'importanza di un'analisi approfondita dei conflitti in questione. In maniera generale si constata che questo genere di interventi di regola ha avuto soltanto effetti minimi per quel che concerne il promovimento della pace.

La maggior parte delle lacune registrate in passato sono riconducibili al fatto che il DFAE non disponeva delle risorse necessarie per la pianificazione e la realizzazione adeguate dei processi di gestione civile dei conflitti. Con le capacità che il nostro Consiglio ha sviluppato a partire dall'inizio di questo decennio e che intende ampliare negli anni a venire, si crea un'importante condizione per evitare in futuro gli errori del passato.

1.4.2

Istituzione e rafforzamento del promovimento dei diritti dell'uomo

Dal 1989 il DFAE dispone di un credito, il cui importo è fissato annualmente dal nostro Consiglio e concesso dal Parlamento, il cui scopo principale è il sostegno di azioni in favore dei diritti dell'uomo e del diritto internazionale che corrispondono agli interessi di politica estera del nostro Paese. Con decisione del 10 novembre 1999 il nostro Consiglio ha autorizzato il DFAE a versare, nell'ambito del preventivo e del piano finanziario 2000­2003, contributi annui pari a 1 780 200 franchi a singole azioni o programmi che svolgono attività intese a raggiungere gli obiettivi citati. Competenti per la gestione di questo credito sono la Direzione politica e la Direzione del diritto internazionale pubblico del DFAE: la prima decide dell'attribuzione di circa due terzi dei mezzi, destinati ad attività nell'ambito della politica dei diritti dell'uomo; il terzo rimanente è impiegato dalla Direzione del diritto internazionale pubblico per il promovimento di azioni a carattere giuridico. Qui di seguito illustriamo gli ambiti di attività su cui negli ultimi anni si è concentrata la concessione di contributi da parte delle due Direzioni.

7118

Protezione e riabilitazione delle vittime di violazioni dei diritti dell'uomo Principali destinatari dei contributi di sostegno in questo ambito sono stati gruppi particolarmente vulnerabili come donne, bambini e membri di minoranze i cui diritti fondamentali sono altamente minacciati e che necessitano pertanto di una protezione particolare. La Direzione politica ha attribuito particolare importanza alla protezione della vita, alla lotta contro la deportazione di persone e all'attuazione del divieto della tortura e dei trattamenti e delle pene crudeli, inumane o degradanti.

Nel sostegno alle vittime di violazioni dei diritti dell'uomo la Direzione politica si è concentrata sulle violazioni delle norme enunciate dal Patto internazionale sui diritti civili e politici.

Misure di sostegno nell'ambito di dialoghi sui diritti dell'uomo Per risultare credibili, i dialoghi sui diritti dell'uomo richiedono misure di sostegno che li rendano in grado di reagire alle esigenze degli interlocutori coinvolti. In questo ambito si possono rivelare particolarmente efficaci le azioni come lo scambio o la formazione di giuristi, i viaggi di studio per le persone incaricate di applicare il diritto o lo svolgimento di conferenze sul tema dello Stato del diritto.

Creazione di capacità a livello di società civile Il rafforzamento e il promovimento dei diritti dell'uomo non è possibile senza il coinvolgimento degli attori della società civile. L'impegno delle ONG e di singole persone è stato uno dei fattori principali che ha permesso di rafforzare notevolmente la protezione dei diritti dell'uomo a livello internazionale. Per essere efficace e credibile, la politica svizzera in materia di diritti dell'uomo deve pertanto essere volta a un appoggio attivo delle attività delle ONG, delle istituzioni di ricerca, delle università e di altri operatori della società civile che si occupano direttamente o indirettamente del rispetto dei diritti dell'uomo. A tale scopo la Direzione politica ha sostenuto in modo mirato attori della società civile da cui derivano impulsi particolarmente preziosi in favore del rafforzamento della protezione dei diritti dell'uomo.

In questo contesto si possono citare ad esempio i contributi annui alla Association pour la prévention de la torture, contributi che hanno permesso a quest'organizzazione
non governativa di segnalare numerose violazioni del divieto della tortura nell'ambito di studi, azioni o missioni sul posto.

Uniti contro la tortura Il DFAE sostiene su vari livelli e con strumenti diversi la lotta contro la tortura.

Ad esempio sostiene le ONG che assistono le vittime della tortura. Queste organizzazioni non si occupano soltanto dell'assistenza medica e psicologica delle vittime traumatizzate ma anche della consulenza giuridica alle vittime e ai loro familiari quando questi sono chiamati a testimoniare di fronte a una corte nazionale o internazionale o se intendono intraprendere un'azione legale. Le ONG con cui collabora il DFAE hanno già assistito centinaia di vittime della tortura nell'ambito di procedure giudiziarie, in parte fino alla procedura dinanzi alla Corte europea per i diritti dell'uomo a Strasburgo.

7119

Sostegno di istituzioni dell'ONU attive nell'ambito dei diritti dell'uomo Dal settembre 1997 l'Alto commissariato dell'ONU per i diritti dell'uomo con sede a Ginevra è una delle istituzioni chiave per il promovimento e il rafforzamento della protezione dei diritti dell'uomo a livello internazionale. Negli ultimi anni il DFAE ha contributo a finanziare varie attività di questo organo.

1.5

Prospettive: strategie e priorità (2004­2007)

1.5.1

Gestione civile dei conflitti

La gestione civile dei conflitti è un processo il cui scopo è sostenere le parti in conflitto nello sforzo di conciliare gli interessi, le esigenze e gli obiettivi divergenti in gioco, per giungere a una soluzione sostenuta e considerata vantaggiosa da tutte le parti.

Le attività nell'ambito della gestione civile dei conflitti sono intese a favorire i processi di conciliazione non violenta e costruttiva degli interessi. L'esperienza mostra che tali processi portano a risultati più soddisfacenti, rapporti migliori tra le parti e soluzioni più durature rispetto alle soluzioni dei conflitti segnate dall'antagonismo tra gli attori.

La gestione civile dei conflitti si basa quindi sulla convinzione che i processi e le strutture possano essere modificati in maniera tale da creare una situazione in cui gli attori coinvolti sono disposti a dare maggiore peso alla ricerca consapevole di un equilibrio tra gli interessi rispetto alla questione del potere attribuito ai singoli interlocutori. Obiettivo principale delle strategie della gestione civile dei conflitti è pertanto il rafforzamento delle reti di persone, di gruppi e di alleanze pacifiche che operano in favore della soluzione durevole dei conflitti e che dispongono dell'influsso e delle capacità necessari per realizzare le loro convinzioni (cfr. n. 1.3).

1.5.1.1

Obiettivi e principi

La gestione civile dei conflitti praticata dalla Direzione politica è finalizzata a contribuire alla prevenzione della violenza, alla soluzione dei conflitti e al consolidamento della pace. In questo ambito vi sono 5 obiettivi prioritari. La Direzione politica intende: ­

svolgere un ruolo attivo in quanto mediatore nell'ambito di processi di pace a livello politico-diplomatico e offrire i suoi Buoni uffici in una forma consona alla realtà odierna;

­

istituire programmi efficaci nell'ambito della gestione civile dei conflitti, che tengano conto delle esigenze delle persone nelle regioni teatro di conflitti;

­

sostenere efficacemente le missioni di pace multilaterali e le azioni bilaterali tramite l'impiego di esperti del Pool svizzero di esperti per la promozione civile della pace (PSEP);

7120

­

istituire sistematicamente partenariati con Stati, organizzazioni internazionali, ONG e attori della scienza e dell'economia che perseguono obiettivi simili, nell'ottica di uno scambio di esperienze e di conoscenze e di un miglioramento continuo della qualità del proprio lavoro;

­

all'interno dell'ONU e di altre organizzazioni, avviare o sostenere iniziative diplomatiche concernenti temi della politica di pace e rafforzare tali iniziative con misure complementari.

Nell'attuazione di questi obiettivi la Direzione politica si basa sui dieci principi illustrati qui di seguito.

Conflitti violenti ad alto potenziale di deterioramento La Direzione politica concentra la sua attività nell'ambito della gestione civile dei conflitti sui conflitti ad alto potenziale di deterioramento. In tale contesto gli interventi si svolgono soprattutto durante la fase di crisi latente e di crescente antagonismo e durante la fase immediatamente successiva alla fine del conflitto (cfr. n. 1.3).

Per contro durante la fase violenta del conflitto spesso le possibilità di interventi di promovimento della pace sono limitate.

Livello gerarchico alto e medio Con le sue azioni la Direzione politica intende convincere i membri dei livelli gerarchici alti e medi delle parti in conflitto dell'utilità di un approccio non violento alle tensioni e dei vantaggi di una soluzione pacifica del conflitto. Queste azioni sono quindi basate sulla collaborazione con gli organi governativi e con personalità chiave statali e non statali. Partner indispensabili per la realizzazione di programmi della gestione civile dei conflitti sono le organizzazioni operanti conformemente ai principi della pace e dotate di influsso nella regione in questione e i gruppi d'interesse in seno alla società civile.

Concentrarsi su temi e regioni scelte Per aumentare l'efficacia delle misure adottate nell'ambito della politica di pace la Direzione politica intende concentrare le risorse limitate a sua disposizione su temi e regioni scelte. Uno degli obiettivi di cui si tiene conto nell'elaborazione dei programmi di gestione civile dei conflitti è la creazione di sinergie con altri attori e strumenti della politica estera e di sicurezza svizzera. I seguenti criteri devono essere applicati nella scelta dei conflitti in cui la Confederazione intende impegnarsi: ­

interessi di politica estera: quali sono le ripercussioni del conflitto sulla Svizzera dal punto di vista della sicurezza, dell'economia, della politica migratoria e dello sviluppo, della politica umanitaria e dell'ecologia?

­

Richiesta di aiuto: è auspicato un impegno della Svizzera in favore di una politica di pace? Le parti sono alla ricerca di un attore neutrale che non abbia trascorsi negativi o palesi interessi politici o economici nella regione teatro del conflitto?

­

Affinità: vi sono particolari rapporti storici, politici o economici tra la Svizzera e la regione teatro del conflitto che possono essere messi a frutto per un impegno nell'ambito della politica di pace? La Svizzera dispone di competenze specifiche che potrebbe far confluire con particolare profitto nel processo di pace?

7121

­

Collaborazione internazionale: il contributo della Svizzera si inserisce positivamente negli sforzi profusi dalla comunità internazionale? Sono disponibili partner che permettono di aumentare le possibilità di successo dell'intervento svizzero?

­

Sinergie: quali sono le sinergie tra le azioni bilaterali e multilaterali della Svizzera in materia di promovimento della pace? Sono possibili sinergie con altre attività della Confederazione, ad esempio nell'ambito della cooperazione allo sviluppo?

­

Valutazione del rischio: il rischio politico corso dalla Svizzera è proporzionale alla probabile utilità dell'intervento dal punto di vista della politica di pace? Il pericolo cui si espongono le persone presenti sul posto nell'ambito di un'azione di promovimento della pace è calcolabile e ragionevole?

Pianificazione a medio termine I conflitti violenti odierni non possono essere pacificati in maniera duratura mediante interventi puntuali e isolati volti a ottenere risultati concreti a corto termine. In linea generale per sviluppare una dinamica costruttiva di promovimento della pace che goda dell'appoggio degli attori locali coinvolti nel conflitto è sempre richiesto un impegno pluriennale. Anche la mediazione al massimo livello gerarchico di regola presuppone contatti sull'arco di vari anni volti a creare i necessari rapporti di fiducia. Nel contempo a causa dell'imprevedibilità dei processi di pace è indispensabile che qualsiasi impegno a medio termine possa essere adeguato o addirittura, nel peggiore dei casi, interrotto sempre e in ogni momento.

D'altra parte a breve termine e senza preavviso possono anche sorgere nuovi margini d'azione o crearsi contatti promettenti con gli attori di un conflitto violento. La strategia di pianificazione delle risorse deve pertanto essere concepita in maniera da permettere alla Direzione politica di reagire a sviluppi inaspettati e rispondere alle eventuali nuove opportunità in materia di politica di pace.

Esigenze delle persone coinvolte nel conflitto violento Le esigenze delle parti in conflitto e delle persone coinvolte nel conflitto violento sono prioritarie. L'idea che si possa «importare» una pace dall'esterno in una regione teatro di conflitti è illusoria. I contributi ai processi di pace hanno successo durevole soltanto se prendono in considerazione le esigenze delle persone presenti nella regione e attribuiscono la responsabilità del processo di pace alle parti coinvolte.

Imparzialità e trasparenza Nell'ambito della gestione civile dei conflitti la Direzione politica è sempre imparziale e tratta in egual modo i rappresentanti di tutte le parti in conflitto. Nessuna delle parti è esclusa a priori dai processi di pace a causa delle sue opinioni culturali, religiose o politiche.

La trasparenza nei confronti delle parti in conflitto e delle parti terze è spesso decisiva per la creazione di un rapporto di fiducia in situazioni di conflitto. Ciò non esclude che in talune fasi possa essere necessario e utile garantire la massima confidenzialità.

7122

Partecipazione e rispetto per le differenze culturali e religiose Come già sottolineato, la gestione civile dei conflitti è finalizzata a sostenere gli alti livelli gerarchici, le autorità, le persone o i gruppi di persone della società civile nella soluzione non violenta di conflitti: questo obiettivo è raggiungibile unicamente con un coinvolgimento sistematico di tutte le parti nell'analisi e nei processi decisionali. Il successo delle attività in questo ambito dipende essenzialmente da una conoscenza approfondita del contesto del conflitto. A tale scopo è indispensabile tenere conto dei fattori culturali, religiosi e di altri fattori importanti in ogni fase dell'intervento.

La prospettiva dei generi: il ruolo di donne e uomini nei conflitti violenti Nell'elaborazione delle strategie delle attività svolte nell'ambito della gestione civile dei conflitti si tiene sistematicamente conto delle diverse esigenze e dei diversi ruoli svolti da donne e uomini nei conflitti violenti. La prospettiva dei generi confluisce sempre nell'analisi dei conflitti e delle loro ripercussioni, nell'elaborazione e attuazione delle strategie e nella formazione degli esperti svizzeri. Nell'invio di personale si prevede inoltre sempre una presenza equilibrata di uomini e donne.

È essenziale poter mettere a frutto al meglio il potenziale delle donne, che sono in grado di influenzare positivamente l'esito dei processi di pace a tutti i livelli sociali e durante tutte le fasi di un conflitto.

Scelta dei partner: la gestione civile dei conflitti a livello multilaterale e bilaterale Negli ultimi anni la politica di pace ha assunto un carattere viepiù multilaterale. Le cause dei conflitti odierni sono talmente numerose e interdipendenti che le azioni di prevenzione delle crisi e di promovimento della pace elaborate e svolte nell'ambito dell'ONU, dell'OSCE o di altre organizzazioni regionali o subregionali hanno le più grandi possibilità di successo. Accanto a queste azioni continuano a svolgere un ruolo importante le iniziative di singoli Stati e gli interventi coordinati di più Stati nell'ambito di strategie bilaterali.

La Direzione politica non opera una distinzione tra la gestione civile dei conflitti multilaterale e quella bilaterale; ritiene al contrario che le due azioni si determinino e completino a vicenda. Gli attori
e i partner delle attività della Direzione politica sono sempre scelti in funzione dell'effetto desiderato.

Necessità di processi di apprendimento istituzionalizzati La disponibilità a partecipare a processi di apprendimento istituzionalizzati è particolarmente importante nell'ambito della gestione civile dei conflitti. A tale scopo è indispensabile che i partner all'interno e all'esterno dell'Amministrazione possano procedere a scambi periodici delle loro conoscenze. Altro elemento centrale in questo contesto è la disponibilità a valutare periodicamente le strategie e i programmi in corso, a trarre i necessari insegnamenti dagli eventuali errori commessi e a ottimizzare le attività alla luce delle esperienze fatte. Un'importante condizione a tale scopo è la formazione continua di tutti i collaboratori.

7123

1.5.1.2

Campi d'azione

Gli obiettivi e i principi applicati dalla Direzione politica nell'ambito della gestione civile dei conflitti si concretizzano in cinque campi d'azione. Tutte le misure finanziate tramite il credito quadro chiesto con il presente messaggio rientrano in uno o più dei cinque campi d'azione illustrati qui di seguito. Nella pratica tra i singoli campi d'azione vi sono numerose interazioni.

1.5.1.2.1

Buoni uffici e mediazione

Dal punto di vista del diritto internazionale il concetto di Buoni uffici comprende le misure seguenti, definite nell'articolo 33 dello Statuto dell'ONU: negoziati, inchiesta, mediazione, conciliazione, arbitrato, regolamento giudiziale, ricorso ad organizzazioni o accordi regionali o altri mezzi pacifici scelti dalle parti. La terza parte che adotta tali misure può essere uno Stato o una persona singola. Il suo intervento è inteso a organizzare trattative, rispettivamente, trattandosi di uno Stato, a mettere a disposizione il proprio territorio per lo svolgimento delle trattative. Infine la terza parte può anche assumere il ruolo di mediatore, intervenendo nelle trattative e proponendo autonomamente modalità di trattative o possibili soluzioni.

Particolarmente importanti nella discussione sui Buoni uffici sono le attività e gli sforzi di mediazione in conflitti armati. Spesso il ruolo di mediatore svolto dalla Svizzera dopo la Seconda guerra mondiale è sopravvalutato. Sebbene il Consiglio federale abbia offerto i suoi Buoni uffici in parecchie occasioni, soltanto in pochi casi ha avuto occasione di contribuire attivamente a soluzioni di pace. Tra i pochi esempi di mediazione svizzera coronata da successo ricordiamo gli sforzi per la firma dell'armistizio tra la Francia e l'Algeria ad Evian nel 1962 e gli sforzi per un armistizio per la regione dei Monti Nuba in Sudan nel 2002.

Nuova concezione dei Buoni uffici Il fatto che i conflitti odierni abbiano luogo di regola tra gruppi rivaleggianti all'interno degli Stati e soltanto raramente tra attori statali ha ripercussioni fondamentali sui metodi a disposizione delle terze parti che intendono offrire i loro Buoni uffici o mediare tra le parti. Le possibilità di un intervento legittimo nelle questioni «interne» di un altro Paese sono limitate. Uno Stato sul cui territorio si svolgono divergenze che coinvolgono attori interni di regola tende a considerare tali divergenze una questione nazionale e si mostra scettico nei confronti di proposte di mediazione avanzate da altri Stati o da parti terze. Gli Stati che intendono svolgere funzioni di mediazione devono adeguarsi a queste condizioni mutate. Questo vale soprattutto per gli Stati di piccole dimensioni, che non dispongono del potere politico necessario per esercitare un influsso determinante sulle
decisioni delle parti in conflitto.

È vero che il numero di azioni di mediazione è fortemente aumentato nel corso degli anni Novanta parallelamente all'aumento del numero di conflitti. L'esperienza ha però mostrato che per uno Stato piccolo come la Svizzera questa evoluzione non comporta automaticamente maggiori possibilità di influire attivamente sui processi di mediazione o di negoziazione. Con la fine della guerra fredda è infatti aumentata l'importanza dell'ONU quale mediatore, inoltre anche le organizzazioni regionali

7124

quali l'OSCE, l'UE, l'Organizzazione dell'unità africana (OUA) o l'Organizzazione degli Stati americani (OSA) ottengono sempre più spesso mandati di mediazione.

Nei casi invece in cui il ruolo di mediatore è svolto da uno Stato singolo, di regola si tratta di Stati con un forte potere politico. Questa tendenza si è manifestata ad esempio negli anni Novanta in relazione con le attività di mediazione sul territorio dell'ex Jugoslavia: l'ONU ha svolto il 35 per cento di tutte le attività di mediazione, l'UE il 25 per cento e gli Stati Uniti l'11 per cento10.

Numero delle azioni di mediazione a livello mondiale (1950­2000)

In base alle esperienze fatte negli ultimi anni il nostro Consiglio ritiene che lo statuto di neutralità, sebbene in determinate situazioni sia tuttora un argomento importante nell'attribuzione di mandati di negoziazione, in numerosi casi non costituisca tuttavia più un vantaggio comparativo determinante. Cionondimeno siamo convinti che per la Svizzera ufficiale vi siano ancora possibilità di sostenere attivamente e costruttivamente a livello diplomatico i processi di pace e di mediazione. A tale scopo occorre tuttavia adottare una nuova concezione dello strumento dei Buoni uffici e adeguare gli interventi alla realtà odierna. Le prospettive di successo dei Buoni uffici offerti da singoli Stati diminuiscono sempre più, soprattutto nel caso di Stati di piccole dimensioni. Gli sforzi di mediazione bilaterale intrapresi da Stati europei di piccole dimensioni quali la Svizzera, il Lussemburgo, l'Austria, la Finlandia, la Svezia, la Norvegia e la Danimarca tra la fine della Seconda guerra mondiale e il 2000 rappresentano complessivamente soltanto il 4 per cento di tutti i tentativi di mediazione a livello mondiale11.

10

11

I dati statistici e le rappresentazioni si basano essenzialmente sul International Conflict Management Dataset elaborato da Jacob Bercovitch dell'università di Canterbury (NZ): questo documento registra in maniera sistematica tutti i tentativi di gestione dei conflitti intrapresi nel periodo 1945-2000.

Per Stato di piccole dimensioni intendiamo qui uno Stato con meno di 10 milioni di abitanti.

7125

L'ONU quale mediatore (1950­2000)

Oggi gli sforzi di mediazione intrapresi dagli Stati di piccole dimensioni hanno maggiori possibilità di successo se sono inseriti nel quadro di gruppi di Stati o di organizzazioni internazionali. Il nostro Consiglio intende tenere conto di questo fattore integrando viepiù i suoi Buoni uffici in partenariati con altri Stati o con strutture multilaterali. Quale membro delle Nazioni Unite in futuro la Svizzera sarà in grado di partecipare maggiormente a tali partenariati e di mettere a frutto nel quadro dell'ONU le potenzialità in materia di politica di pace.

L'ONU è oggi il mediatore più importante nei conflitti violenti. Le possibilità di successo degli interventi isolati di Stati di piccole dimensioni diminuiscono continuamente.

L'esperienza insegna che i contributi di mediazione della Svizzera a livello diplomatico sul piano internazionale sono richiesti soprattutto quando i nostri mediatori sono in grado di far confluire nei processi di negoziazione conoscenze specifiche acquisite nell'ambito di un impegno a lungo termine e sistematico nel conflitto in questione. Conoscenze fondate conferiscono ai mediatori la credibilità necessaria per stringere contatti con le parti in conflitto e creare una fiducia reciproca.

7126

Buoni uffici nel processo di pace in Colombia In Colombia è in corso da circa quarant'anni un cruento conflitto armato che soltanto nell'anno scorso ha fatto 40 000 vittime e causato all'interno del Paese l'esodo di quasi 2 milioni di persone.

Su richiesta del Governo colombiano e del movimento ribelle «Ejército de Liberaciòn Nacional» (ELN) nel giugno 2000 la Svizzera è diventata membro dei «Paìses amigos», un gruppo di Paesi che comprende la Francia, la Norvegia, la Spagna e Cuba e che sostiene il dialogo di pace tra queste due parti.

Dal marzo 2001 la Svizzera è inoltre membro della cosiddetta «Comisiòn Facilitadora Internacional», una commissione internazionale che accompagna il secondo processo di pace, quello tra il Governo e il movimento «Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia-Ejército del Pueblo» (FARC). Ai lavori di questa commissione partecipano, oltre alla Svizzera, la Francia, la Norvegia, il Canada, l'Italia, la Svezia, la Spagna, il Messico, Cuba e Venezuela.

I «Paìses amigos» e la commissione internazionale hanno svolto nel passato recente un ruolo decisivo nel processo di pace in Colombia. Applicando numerose misure intese a creare la fiducia, offrendo consulenza alle parti in conflitto e accompagnando i processi di dialogo, gli Stati mediatori hanno contribuito a mantenere la disponibilità delle parti alle trattative, a sviluppare la capacità di dialogo e a creare una fiducia reciproca tra le parti in conflitto. Nonostante gli sforzi intensi non è tuttavia stato possibile impedire nella primavera 2002 l'interruzione dei due processi di pace fino a nuovo avviso. Se si giungerà a una ripresa del dialogo tra le parti in conflitto, la Svizzera offrirà nuovamente i suoi Buoni uffici.

Sin dall'inizio la Svizzera ha svolto un ruolo importante in questi due gruppi internazionali di appoggio. Il nostro Paese intrattiene contatti con tutte le parti in conflitto e sostiene questi contatti con progetti svolti di comune intesa, ad esempio nell'ambito dello sminamento umanitario. Con Ginevra la Svizzera dispone inoltre di un luogo d'incontro ideale in cui può stabilire contatti tra le parti in conflitto e gli esperti in ambiti importanti quali il diritto internazionale umanitario, le questioni costituzionali la decentralizzazione e la divisione del potere, conferendo così impulsi
importanti ai processi di pace. Non da ultimo il nostro Paese si impegna attivamente in seno alle organizzazioni internazionali presenti in Colombia, quali ad esempio l'ufficio dell'Alto commissariato per i diritti dell'uomo.

Per sostenere le attività svizzere a livello diplomatico nel 2001 la Direzione politica e l'ONG Coordinazione Svizzera-Colombia hanno elaborato congiuntamente un programma di gestione civile dei conflitti. I progetti svolti nell'ambito di questo programma sono stati intesi a sviluppare un clima improntato al dialogo, alla tolleranza e alla riconciliazione, ad aumentare la disponibilità al dialogo del Governo e dei movimenti ribelli, a rafforzare il rispetto del diritto internazionale umanitario mediante accordi tra le parti, a creare una cultura del dialogo, della tolleranza e della conciliazione e a sostenere il lavoro di determinati movimenti e forze della società civile, ad esempio il movimento di pace delle donne colombiane.

7127

Ambasciatore in missione speciale per la gestione dei conflitti Nel dicembre 2000 abbiamo nominato un ambasciatore in missione speciale per la gestione dei conflitti. Compito di questo ambasciatore è rafforzare a livello politico gli sforzi di mediazione intrapresi dalla Svizzera e aumentare così il contributo svizzero alla creazione di un mondo pacifico.

La maggior parte dei conflitti violenti attuali è caratterizzata da reti di attori estremamente complesse e caotiche. Il lavoro dell'ambasciatore in missione speciale per la gestione dei conflitti è volto innanzitutto a garantire una migliore presenza della Svizzera sul piano politico-diplomatico, in secondo luogo a creare, mediante un paziente e costante avvicinamento, una rete di contatti importanti e ad acquisire conoscenze approfondite sui retroscena e sulle dinamiche dei conflitti. Questo approccio permette all'ambasciatore di creare contatti tra gli attori su vari livelli e di far confluire i mezzi e le idee svizzere laddove questi possono contribuire a stabilizzare la situazione conflittuale. Infine grazie al suo rango l'ambasciatore in missione speciale è in grado di ancorare i contributi svizzeri ai livelli politici determinanti.

Dato che la gestione civile dei conflitti attuata dalla Svizzera non si basa sul potere politico del nostro Paese, essa deve distinguersi per altre qualità quali le competenze specifiche, la ricchezza delle idee, l'affidabilità e la costanza: condizioni indispensabili per mettere a frutto in maniera ottimale il contributo della Svizzera in materia di politica di pace.

I contributi svizzeri a ordinamenti pacifici non nascono dal nulla ma hanno sempre un legame con la nostra identità politica. Una caratteristica principale del sistema politico svizzero è la presenza di meccanismi di controllo volti a impedire l'abuso del potere statale e la concentrazione di potere in un unico organo. I numerosi ostacoli e i sistemi di sicurezza caratteristici per il nostro sistema sono introdotti volutamente, nonostante l'apparente riduzione dell'efficacia che comportano. L'ambasciatore in missione speciale è consapevole del fatto che le particolarità del sistema politico svizzero non possono essere senz'altro «esportate» in un conflitto. Tuttavia, talune particolarità del sistema svizzero possono rivelarsi importanti anche
per gli Stati teatro di conflitti caratterizzati da sistematici abusi di potere.

Lo strumento dell'ambasciatore in missione speciale permette al DFAE di mettere a frutto margini d'azione precedentemente inutilizzati e di applicare metodi innovativi della gestione civile dei conflitti. La decisione di concentrare e approfondire l'attività di gestione dei conflitti implica tuttavia forzatamente anche una limitazione geografica dell'azione dell'ambasciatore. Dalla sua nomina egli ha pertanto concentrato i suoi sforzi soprattutto in Sudan e in Somalia.

L'ambasciatore in missione speciale e le azioni di mediazione nel processo di pace in Sudan Sulla base di contatti pluriennali con le parti coinvolte nel conflitto nel Sudan meridionale, l'ambasciatore in missione speciale ha elaborato proposte per un'«architettura della pace» globale per il Sudan intese a facilitare il passaggio da una situazione di guerra a una situazione di pace. L'ambasciatore ha tentato di analizzare sistematicamente i problemi centrali del conflitto nel Sudan e propone approcci nuovi per la soluzione di tali problemi. In questo processo di riflessione sono stati coinvolti sin dall'inizio le parti in conflitto e i Paesi influenti nella regione e nell'Occidente.

7128

In seguito a numerose consultazioni bilaterali e multilaterali l'ambasciatore in missione speciale ha quindi concretizzato alcuni elementi proponendo soluzioni per la loro attuazione concreta. Qui di seguito sono illustrate brevemente tre di queste proposte che rivestono un'importanza particolare: la divisione delle entrate provenienti dal petrolio, la riforma dell'esercito e gli sforzi volti a sviluppare un quadro istituzionale per la società sudanese attualmente caratterizzata da una forte frammentazione.

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Da quando circa tre anni fa il Governo sudanese ha iniziato a sfruttare le riserve di petrolio nel Sudan meridionale, il petrolio è diventato uno dei nodi del conflitto in questa regione. La fine del conflitto armato presuppone necessariamente un'equa divisione delle entrate provenienti da questa materia prima di grande importanza strategica. L'ambasciatore in missione speciale ha pertanto elaborato una proposta di procedura che permetta di registrare con la necessaria trasparenza le entrate provenienti dal petrolio e di distribuirle alle parti secondo una chiave di ripartizione semplice e fissa.

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Come altri Paesi africani anche nel caso del Sudan la coesione nazionale è garantita soprattutto da un esercito sotto controllo statale. L'abolizione repentina di questa istituzione creerebbe grandi problemi. Occorre tenere conto del fatto che il Sudan è un Paese molto eterogeneo e che il conflitto, che da generazioni ormai contrappone la parte meridionale del Paese e quella settentrionale, è sempre stato un conflitto di natura militare. Alla luce di questa situazione la richiesta di autogestione formulata dalla parte meridionale può essere realizzata in maniera credibile unicamente con l'introduzione di sistemi di controllo federalistici anche a livello dell'esercito.

All'inizio del 2002 l'ambasciatore in missione speciale ha invitato per la prima volta delegazioni militari del Sudan settentrionale e meridionale in Svizzera per illustrare loro, mediante l'esempio dell'esercito svizzero, l'applicazione di un approccio federalistico in ambito militare.

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Nel Sudan meridionale vivono oltre 60 tribù diverse. In passato esse non sono riuscite a creare istituzioni comuni dotate del necessario appoggio; nel contempo hanno cessato di funzionare anche i meccanismi tradizionali della soluzione delle controversie e dell'equilibrio tra gli interessi, sia a causa dell'esodo di molte persone dalla regione a seguito della guerra sia poiché i meccanismi tradizionali sono stati stravolti dalla presenza di milizie armate.

Senza istituzioni stabili nel Sudan meridionale non è però possibile una pace duratura. L'ambasciatore per la gestione dei conflitti ha pertanto costantemente cercato il dialogo con i rappresentanti del potere nella regione. In tal modo è stato possibile avviare un processo volto alla creazione di istituzioni inserite nel contesto locale. Un gruppo di rappresentanti del Sudan meridionale ha in seguito avviato un dibattito pubblico sulle possibilità di istituire un consiglio delle tribù, paragonabile alla Loya Jirga in Afghanistan o alle conferenze tribali nella Somalia settentrionale, che sono riuscite a controllare le milizie armate di quelle regioni.

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Mediazione sul Bürgenstock Nel gennaio 2002 sul Bürgenstock (NW) hanno avuto luogo negoziati su un cessate il fuoco nei Monti di Nuba, la regione nel centro del Sudan maggiormente colpita dalla guerra civile nel Sudan meridionale. Su pressione statunitense il Governo sudanese e la «Sudan People's Liberation Army» (SPLA) acconsentirono all'avvio di trattative per una tregua. In virtù della fiducia accordatagli dalle parti in conflitto, l'ambasciatore in missione speciale fu incaricato della conduzione delle trattative. La proficua collaborazione tra la Svizzera e gli Stati Uniti ha permesso di concludere le trattative su un cessate il fuoco con un accordo di più ampia portata, rendendo in tal modo possibile alla popolazione civile l'accesso alle terre fertili della regione. Positiva si è rivelata la decisione dell'ambasciatore in missione speciale di includere alti ufficiali dell'esercito svizzero nella delegazione di mediazione.

L'accordo firmato il 19 gennaio 2002 è stato accolto con grande favore anche nella regione dei Monti di Nuba. Si tratta del primo accordo in assoluto elaborato e firmato tra il Governo e i ribelli dopo quasi venti anni di guerra civile.

Nell'accordo il Governo sudanese ha consentito per la prima volta l'istituzione di una commissione di vigilanza internazionale. Nel frattempo questa commissione ha avviato con successo i suoi lavori nei Monti di Nuba e a tutt'oggi (metà 2002) la tregua non è stata rotta. Si tratta di un risultato che suscita la speranza di una soluzione di pace globale nel Sudan.

Alla luce delle esperienze positive fatte con l'ambasciatore in missione speciale per la gestione dei conflitti il nostro Consiglio si riserva la possibilità di impiegare ulteriori persone nell'ambito di missioni diplomatiche speciali negli anni a venire.

1.5.1.2.2

Programmi di gestione civile dei conflitti

I programmi di gestione civile dei conflitti sono un insieme di misure concepite e attuate per una determinata regione teatro di un conflitto. I programmi si compongono di singoli progetti nonché di interventi di esperti coordinati tra di loro.

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Europa sudorientale: prevenire la violenza e consolidare la pace Nell'Europa sudorientale negli ultimi anni sono stati attivi numerosi attori della Confederazione che mediante programmi e azioni integrati hanno tentato di prevenire l'uso della violenza e di consolidare la pace, sia nell'ambito dell'aiuto umanitario, sia nell'ambito della cooperazione con l'Europa dell'Est, dell'aiuto al rimpatrio o della promozione civile e militare della pace. Anche nell'ambito di strutture multilaterali, ad esempio nell'ambito del Patto di stabilità per l'Europa sudorientale, la Svizzera ufficiale si è impegnata in favore della creazione di strutture democratiche e relative allo stato di diritto, della protezione delle minoranze e dello sviluppo e della cooperazione economici.

In passato la regione dell'Europa sudorientale ha avuto un'importanza particolare anche dal punto di vista della gestione civile dei conflitti. Le analisi dei conflitti mostrano che in questa regione traumatizzata dalle crisi una pace duratura richiede un miglioramento della comunicazione tra i singoli gruppi etnici e religiosi e un rafforzamento della capacità dei singoli gruppi della società di applicare forme costruttive di soluzione dei conflitti nei rapporti tra la maggioranza e le minoranze della popolazione A causa delle tensioni tuttora molto forti nell'Europa sudorientale, la Direzione politica continua a mantenere in atto in questa regione il suo programma di gestione civile dei conflitti più importante sotto il profilo quantitativo.

Il programma è incentrato su progetti e azioni con cui si intende migliorare la protezione dei diritti dell'uomo e delle minoranze e sostenere nuove soluzioni a livello costituzionale. La Direzione politica si impegna negli ambiti in cui si registrano le maggiori difficoltà di comunicazione e pertanto anche il maggiore potenziale di conflitti: Serbia e Montenegro, Kosovo, Bosnia e Erzegovina e Macedonia. Nell'Europa sudorientale vi è una fitta rete di attori multilaterali e il programma si basa sulla cooperazione tra questi attori. Lo strumento più importante in questo contesto è l'impiego di esperti che intervengono soprattutto nell'ambito di missioni dell'OSCE. I progetti concernono singoli settori chiave importanti nell'ottica della politica di pace.

Spesso i programmi di gestione civile dei
conflitti sono concepiti in una prospettiva di prevenzione. Nelle regioni in cui un conflitto è già in atto, i programmi contribuiscono alla soluzione dello stesso o al consolidamento della pace. Essi sono svolti in stretto coordinamento con gli sforzi di mediazione intrapresi dalla Svizzera e preparano o accompagnano questi ultimi. In alcuni casi è inoltre opportuno sostenere gli sforzi di mediazione o consolidamento profusi da altri Stati o da organizzazioni internazionali nell'ambito di programmi di tipo multilaterale della gestione civile dei conflitti.

I programmi della gestione civile dei conflitti non sono utili soltanto prima e durante i conflitti violenti. Un'equa ponderazione degli interessi è spesso altrettanto necessaria nelle fasi seguenti un conflitto, in cui è importante contribuire a stabilizzare la situazione di pace labile e a sviluppare per il periodo seguente il conflitto un ordinamento che ottenga il consenso delle parti.

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Consulenza alle parti in conflitto e creazione di una rete di contatti tra gli attori in Sri Lanka La guerra civile in corso dall'inizio degli anni Ottanta tra il Governo a predominanza cingalese e il gruppo tamil «Liberation Tigers of Tamil Eelam» (LTTE) ha arrecato gravi danni al Paese, seminando la morte e la distruzione e causando esodi e traumi nella popolazione civile, un aumento della criminalità e una crescente disintegrazione sociale.

Ambedue le parti si sono macchiate di gravi violazioni dei diritti dell'uomo. Per decenni non sembravano esservi attori interni allo Sri Lanka in grado di attenuare il conflitto, da tempo bloccato, o di elaborare iniziative e soluzioni in tal senso. In passato nessuno degli interventi di tipo militare, diplomatico, politico o basati su un approccio costituzionale è stato coronato da successo.

In Sri Lanka il DFAE attua da tempo un programma della gestione civile dei conflitti. Nell'ambito di tale programma il Dipartimento sostiene il centro Berghof di Berlino per la gestione costruttiva dei conflitti nella creazione di una rete per lo studio della situazione conflittuale e dei processi di trasformazione in corso in Sri Lanka. Questo intervento completa gli sforzi per una soluzione pacifica profusi dal Governo norvegese in qualità di mediatore incaricato dalle parti in conflitto.

La rete è volta a rafforzare le competenze e il potenziale dei principali attori in vista di un processo di trasformazione del conflitto e a creare incentivi per la cooperazione e l'istituzione di reti tra gli attori. Obiettivo del programma è un aumento della capacità globale di gestione e soluzione costruttiva dei conflitti in Sri Lanka. Le persone e i gruppi assistiti nell'ambito del programma dovranno poter svolgere in seguito un ruolo attivo nel processo di pace all'interno del Paese. Le misure prevedono in particolare il rafforzamento e il promovimento delle forze presenti sul posto. Le misure di promovimento sostenute dal DFAE sono incentrate tra l'altro sullo svolgimento di formazioni in materia di tecniche di mediazione e di negoziazione, sull'analisi di conflitti simili in altri Paesi, sull'analisi di possibilità di una configurazione creativa delle fasi tra le tregue e sull'elaborazione di accordi di pace o di soluzioni costituzionali del conflitto.

1.5.1.2.3

Pool di esperti per la promozione civile della pace (PSEP) 12

Negli ultimi anni il Pool svizzero di esperti per la promozione civile della pace (PSEP) ha dato buona prova quale strumento efficace per l'invio di personale qualificato nell'ambito del promovimento della pace. La strategia adottata dal nostro Consiglio nel dicembre 2000 prevede la creazione di strutture per l'invio di al massimo 100 persone contemporaneamente; ordine di grandezza cui intendiamo atte-

12

Per informazioni più dettagliate sul Pool svizzero di esperti per la promozione civile della pace cfr. anche il rapporto del Consiglio federale sulle opportunità e sui limiti di un servizio volontario all'estero nel contesto di missioni pace in ambito civile, del 23 ottobre 2002.

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nerci anche in futuro, sempreché a breve termine non sorgano nuovi conflitti violenti che richiedono la creazione di missioni di pace multilaterali di ampio respiro.

Negli anni a venire l'accento principale nell'ambito dell'invio di esperti sarà posto meno sugli aspetti quantitativi e maggiormente su un'evoluzione a livello qualitativo. La Direzione politica continuerà ad ampliare e ottimizzare le sue misure di formazione e perfezionamento nonché l'assistenza agli esperti per garantire l'alto grado di qualificazione degli esperti svizzeri inviati. Inoltre intende ottenere che gli esperti del PSEP siano impiegati più frequentemente in posizioni gerarchiche alte e possano così raccogliere esperienze anche in ambito dirigenziale.

Laddove possibile la Direzione politica coordina le decisioni di invio degli esperti con i programmi della gestione civile dei conflitti. In occasione di interventi nell'ambito di programmi multilaterali, il lavoro degli esperti svizzeri è concepito nell'ottica della creazione di sinergie con gli obiettivi strategici dei programmi. In occasione di interventi nell'ambito di programmi bilaterali gli esperti hanno il compito di partecipare alla gestione e alla realizzazione delle attività sul posto.

Nonostante la preoccupazione costante della Direzione politica di creare le migliori sinergie possibili tra i singoli strumenti della gestione civile dei conflitti, nell'invio di persone nel quadro di missioni multilaterali la Direzione si vede costretta a riservarsi una certa flessibilità per quel che concerne la scelta del luogo e del tipo di impegno. Tale flessibilità è necessaria poiché le modalità dell'intervento e il tipo di compiti attribuiti dipendono essenzialmente dalle decisioni delle organizzazioni preposte all'invio.

Occorre infine tenere presente che l'invio di personale in regioni teatro di conflitti è sempre legato a taluni rischi. Una preparazione e un'assistenza accurata degli interventi permettono certamente di ridurre tali rischi, non è tuttavia possibile eliminarli del tutto.

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Know-how svizzero per la creazione di un difensore civico in Kosovo Dopo l'intervento militare della NATO nel Kosovo nella primavera del 1999 e l'istituzione delle missioni di pace dell'ONU e dell'OSCE nel giugno 1999, circa 800 000 profughi di origine albanese scacciati dalle forze serbe durante il conflitto bellico sono ritornati nel Kosovo. Parallelamente dal giugno 1999 oltre 200 000 persone di origine non albanese hanno lasciato il Kosovo; nella maggior parte dei casi, queste partenze erano causate dalle tensioni etnico-religiose.

Dalla fine del conflitto violento la Direzione politica sostiene le missioni di pace nel Kosovo nell'ambito di un programma di ampia portata di gestione civile dei conflitti. Strumento centrale di questo programma è l'invio di esperti. Fino alla fine del 2001 120 Svizzeri erano presenti sul posto nell'ambito di un intervento civile di promovimento della pace, contribuendo alla stabilizzazione della sicurezza, al rafforzamento delle strutture dello Stato di diritto e a una migliore comunicazione tra la maggioranza albanese della popolazione e le minoranze.

Sin dall'inizio la Direzione politica ha portato un importante sostegno alla creazione di un'istituzione incaricata di svolgere la funzione di difensore civico («ombudsman») nel Kosovo. Tale istituzione si prefigge di proteggere e promuovere i diritti e le libertà fondamentali delle persone fisiche e giuridiche nel territorio del Kosovo, garantendo l'attuazione delle norme enunciate dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), dai due Patti dell'ONU e da altri importanti strumenti in materia di diritti dell'uomo. L'esperienza ha mostrato che i collaboratori svizzeri dell'istituzione sono considerati dalla popolazione e dalle autorità locali in primo luogo come esperti in materia di comunicazione tra minoranze; in parte hanno ricevuto richieste di intervento mirate in questo ambito. In tale funzione gli esperti svizzeri possono mettere a frutto le esperienze fatte nel nostro Paese nella ricerca di forme costruttive di ponderazione degli interessi.

1.5.1.2.4

Iniziative diplomatiche incentrate su singoli temi

Nel nostro rapporto sulla politica estera 2000 abbiamo definito la promozione della sicurezza e della pace «un elemento centrale della politica strutturale a livello globale»13. Intendevamo con ciò sottolineare che i conflitti violenti e le guerre attuali concernono tutti i membri della comunità internazionale e che le sfide attuali e future in materia di politica di pace richiedono soluzioni interstatali. In quest'ottica è giusto che le questioni e i temi fondamentali legati alla politica di pace siano discussi ed elaborati sempre più spesso nell'ambito di organi multilaterali o di gruppi informali di Stati. È probabile che questo genere di organi e gruppi acquisterà un peso crescente negli anni a venire. La Svizzera dispone di competenze specifiche in merito a numerose tematiche importanti, competenze che in futuro il nostro Paese intende integrare maggiormente nel campo diplomatico. Nell'ambito di discussioni internazionali relative a questioni strategiche o tematiche spesso sono prese decisioni che hanno ripercussioni dirette sul lavoro pratico degli attori della gestione civile dei conflitti o del promovimento dei diritti dell'uomo. Una partecipa13

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zione più attiva a tali discussioni permetterà al nostro Consiglio di influire sulla configurazione delle condizioni quadro entro cui si iscrivono i nostri programmi; si ripercuoterà inoltre positivamente sulla qualità dei programmi di promovimento della pace e aumenterà le possibilità di avviare partenariati proficui a livello internazionale. In questo contesto, l'adesione della Svizzera all'ONU offre nuove possibilità.

Negli ultimi anni il nostro Consiglio si è impegnato a livello internazionale soprattutto nelle discussioni sulle misure volte a rafforzare la sicurezza umana. Nell'ambito di vari network internazionali ci siamo espressi in merito a temi chiave quali la proliferazione delle armi leggere, lo sminamento umanitario, gli attori non statali coinvolti in conflitti, i bambini-soldato, le riforme nel settore della sicurezza nelle regioni teatro di conflitti, la riduzione degli effetti collaterali umanitari ed economici delle sanzioni (nell'ambito delle cosiddette «smart sanctions») e le iniziative per il miglioramento e una maggiore professionalità delle missioni multilaterali di pace e delle strutture di appoggio degli esperti civili della pace.

Per migliorare le possibilità di successo di iniziative diplomatiche incentrate su singoli temi avviate dalla Svizzera, la Direzione politica dipende da risorse esterne quali le conoscenze specifiche e le reti di esperti. In taluni casi è necessario sostenere le iniziative svizzere mediante puntuali misure d'appoggio operazioni per conferire alle iniziative la necessaria cedibilità. Così ad esempio il nostro Consiglio si è potuto presentare quale autore credibile di iniziative diplomatiche nell'ambito delle armi leggere non da ultimo grazie a un'importante misura d'appoggio, il sostegno del «Small Arms Survey».

La conferenza dell'ONU sulle armi leggere e la diplomazia svizzera Nel luglio 2001 si è svolta a New York la prima conferenza di carattere globale sulle armi leggere: la Conferenza dell'ONU su tutti gli aspetti del commercio illegale di armi leggere e di piccolo calibro. I partecipanti alla conferenza hanno adottato un programma d'azione che prevede numerose misure a livello regionale, nazionale e globale e che avrà ripercussioni importanti sull'impegno futuro della comunità internazionale nell'ambito delle armi leggere.

Il DFAE ha
partecipato fattivamente all'elaborazione di questo programma d'azione. Nell'ambito dei preparativi della conferenza dell'ONU il DFAE ha svolto numerosi seminari internazionali in cui sono stati approfonditi temi centrali relativi alla problematica delle armi leggere. Questi lavori tematici preliminari hanno contribuito a una discussione sobria e razionale prima e durante la conferenza, influendo in maniera decisiva sulle formulazioni adottate nel programma d'azione.

In questo ambito va segnalata in particolare l'iniziativa diplomatica relativa alla «rintracciabilità delle armi leggere», lanciata dalla Svizzera in collaborazione con la Francia. Nell'ambito di questa iniziativa è prevista la creazione di un sistema internazionale di scambio delle informazioni che dovrebbe permettere di determinare la provenienza delle armi leggere e di contrassegnare le armi. L'iniziativa franco-svizzera ha suscitato grande interesse a margine della conferenza dell'ONU. Si tratta di un primo passo concreto verso la realizzazione delle misure previste dal programma d'azione.

7135

1.5.1.2.5

Partenariati

Partenariati multilaterali e bilaterali I conflitti odierni hanno cause complesse e interdipendenti, motivo per cui le iniziative di prevenzione della violenza e di promovimento della pace elaborate e realizzate nel quadro dell'ONU, dell'OSCE, dell'UE, dell'OCSE, dell'OUA, dell'OSA o di altre organizzazioni globali, regionali o subregionali hanno le maggiori possibilità di successo.

Nel nostro messaggio sull'iniziativa popolare «per l'adesione della Svizzera all'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU)» abbiamo motivato la nostra posizione favorevole all'adesione all'ONU tra l'altro ricordando che l'adesione avrebbe permesso alla Svizzera di «far confluire maggiormente i propri valori e le priorità politiche nel lavoro di quest'organizzazione mondiale»14. Questa collaborazione si impone soprattutto nell'ambito della politica di pace, considerata l'alta priorità politica attribuita a questo campo sia dalla Svizzera sia dall'ONU. Dal punto di vista svizzero inoltre un partenariato intenso con l'ONU si impone anche in virtù del ruolo fondamentale svolto dalle Nazioni Unite nella discussione e nell'elaborazione di nuove basi strategiche concettuali, negli sforzi di mediazione a livello politicodiplomatico e nell'attuazione di operazioni di pace di ampia portata.

Oggi l'ONU è l'attore più importante della politica di pace a livello mondiale. Il rapporto di partenariato attivo instaurato tra il Consiglio federale e l'ONU contribuisce ad aumentare le possibilità di successo delle attività svizzere nell'ambito della gestione civile della pace.

Oltre all'ONU anche l'OSCE rappresenta per la Svizzera un forum importante per lo sviluppo ulteriore e l'attuazione delle misure nell'ambito della prevenzione delle crisi, della gestione dei conflitti e della ricostruzione dopo i conflitti. Accanto alle organizzazioni internazionali sono importanti inoltre le iniziative di singoli Stati o le azioni di più Stati coordinate a livello bilaterale. Negli ultimi anni nell'ambito degli sforzi di promovimento della pace si è costatata una crescente specializzazione tematica di singoli Stati e la creazione di partenariati tra Stati con priorità tematiche e strategiche analoghe. Siamo convinti che i contributi della Confederazione al promovimento della pace potranno esplicare effetti maggiori se integrati in strutture di
questo genere.

Come tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite, in futuro anche la Svizzera parteciperà, proporzionalmente alle proprie capacità, al finanziamento delle missioni di pace mediante i contributi al budget regolare dell'ONU.

Partenariati nell'ambito delle scienze e della ricerca La gestione civile dei conflitti è un campo relativamente nuovo in cui si dispone soltanto di poche conoscenze scientifiche comprovate. Per garantire l'alta qualità dello sviluppo delle attività della Confederazione è pertanto indispensabile un'attività di ricerca incentrata sull'applicazione pratica, svolta da istituzioni in Svizzera e all'estero.

14

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7136

La pianificazione e la realizzazione di strategie di intervento responsabili ed efficaci richiedono analisi scientifiche approfondite delle regioni teatro di conflitti e delle cause degli stessi. Basi decisionali analitiche insufficienti possono addirittura portare all'adozione di misure che si ripercuotono in modo controproducente sulla dinamica conflittuale. Le esigenze in materia di analisi superano di gran lunga le capacità disponibili all'interno dell'Amministrazione. Per la pianificazione e l'appoggio di attività concrete è pertanto indispensabile la collaborazione con istituti di ricerca esterni. La Direzione politica attribuisce pertanto mandati di ricerca intesi a chiarire le possibilità d'azione, secondo le seguenti priorità tematiche: posizione della politica di pace nella politica estera, margine d'azione della politica svizzera di pace e analisi tematiche e geografiche di conflitti.

Sviluppo di strategie della politica di pace nell'ambito dei partenariati Un partner importante della Direzione politica è il Harvard Program on Humanitarian Policy and Conflict Research (HPCR). Il programma concerne la ricerca applicata negli ambiti della sicurezza umana, della prevenzione dei conflitti e della protezione della popolazione civile. L'HPCR elabora le strategie per i responsabili delle decisioni, prepara le informazioni concernenti determinate regioni teatro di conflitti e diffonde le relative informazioni mediante tecnologie d'informazione moderne. La Direzione politica ha sostenuto la creazione del HPCR in stretta collaborazione con il Segretariato esecutivo del Segretario generale dell'ONU a New York. Oggi può mettere a frutto a vari livelli le considerazioni, le analisi e gli impulsi elaborati nell'ambito di questo programma. Così ad esempio i collaboratori del programma hanno assistito la Direzione politica nell'elaborazione di un meccanismo di controllo sul rispetto delle disposizioni del diritto internazionale umanitario nel Vicino Oriente.

Accanto alla Svizzera ufficiale anche l'ONU e altri Governi e attori approfittano delle prestazioni di consulenza fornite dal HPCR.

Partenariati con organizzazioni non governative e con attori dell'economia Per gli attori statali una cooperazione intensa con ONG nazionali e internazionali si rivela proficua sotto più aspetti: innanzitutto le ONG
dispongono di conoscenze sui processi conflittuali e di conoscenze pratiche che possono completare i processi interni all'Amministrazione; in secondo luogo queste organizzazioni sono spesso inserite in reti di attori che possono estendersi anche oltre i confini della regione teatro del conflitto e che permettono di esercitare un influsso positivo sul decorso del conflitto. Le ONG non sono sottoposte alle costrizioni della politica di Stato e spesso possono accedere più facilmente alle parti in conflitto. In alcuni casi può pertanto rivelarsi opportuno sostenere le ONG che avviano iniziative di mediazione con prospettive di successo, anche se la Svizzera ufficiale non ha intenzione di parteciparvi o non vi partecipa ancora.

L'esperienza ha mostrato che gran parte dei conflitti violenti nel mondo ha un legame diretto o indiretto con cause economiche. Le lotte per l'accesso a risorse limitate, ai mercati, ai crediti, alle infrastrutture, alle valute o alle posizioni di potere strategiche all'interno dell'economia nazionale e le controversie concernenti le dimensioni e la struttura dell'economia definiscono condizioni quadro decisive per

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l'insorgere di conflitti e per le modalità di soluzione adottate. Pertanto nell'ambito delle strategie di gestione dei conflitti gli attori economici sono in grado di svolgere un ruolo importante.

Le imprese che operano in regioni a potenziale di conflitto spesso si vedono confrontate con la necessità di stabilire l'influsso dei loro investimenti sulle costellazioni di potere a livello locale e di determinare se gli investimenti potrebbero addirittura contribuire a un rafforzamento delle cosiddette economie di guerra (cfr.

n. 1.2). Di regola le imprese che operano a lungo termine sono interessate a evitare i conflitti violenti e a contribuire a una soluzione rapida e pacifica degli stessi. Dal punto di vista aziendale, le guerre e l'instabilità causano infatti maggiori costi e ostacolano uno sviluppo economico sostenibile.

La pace è una condizione importante per la prosperità dei rapporti economici.

Le imprese hanno pertanto anche un interesse economico alla prevenzione dei conflitti violenti. Gli attori economici attivi in regioni a potenziale di conflitto spesso dispongono di contatti importanti sul posto con le cerchie al potere.

Mettere a frutto tali contatti nell'ambito di strategie integrate di gestione civile dei conflitti corrisponde non soltanto agli interessi della Confederazione ma pure a quelli dell'economia privata.

1.5.1.3

Priorità tematiche

A livello internazionale si constata una crescente specializzazione tematica degli attori attivi nel promovimento della pace. La Direzione politica tiene conto di questa tendenza rafforzando in determinati settori chiave le sue competenze specifiche interne e i contatti con le relative reti esterne di esperti. Gli sforzi sono concentrati su quei settori che negli ultimi anni si sono rivelati essere particolarmente importanti per il controllo dei processi e la realizzazione delle attività della gestione civile dei conflitti.

1.5.1.3.1

Questioni costituzionali, decentralizzazione e divisione del potere

Le controversie concernenti l'organizzazione delle strutture di potere e delle competenze statali non soltanto sono all'origine di numerosi conflitti violenti ma sono sovente anche un punto centrale dei negoziati di pace. È pertanto indispensabile approfondire le conoscenze specifiche interne negli ambiti della costituzionalità, della decentralizzazione, della divisione del potere e della protezione delle minoranze e di intensificare la cooperazione con le reti esterne di esperti in questi ambiti.

A partire dagli anni Novanta in numerosi casi la Direzione politica è riuscita a fornire contributi credibili alla soluzione di problemi negli ambiti citati, influendo in maniera costruttiva sul decorso dei relativi conflitti.

I dibattiti attuali in merito alla protezione delle minoranze nell'ambito del diritto internazionale e al diritto di autodeterminazione dei popoli mostrano che aumenterà l'importanza dei modelli di sussidiarietà mentre si continuerà probabilmente a limitare fortemente le richieste volte all'ottenimento di autonomie statali. Questo significa che acquisteranno maggiore peso le forme di organizzazione statale decentrale 7138

che consentono ai gruppi interessati di identificarsi con la propria regione e la propria amministrazione e di sentire realizzata una condizione di autodeterminazione senza la creazione di uno Stato nuovo. La maggior parte dei rapporti tra maggioranze e minoranze richiede lunghi e onerosi processi di discussione sulle esigenze delle minoranze prima che si possa giungere a soluzioni basate sull'autonomia e sull'autodeterminazione. Per gestire con successo questi processi non è sufficiente contrapporre in maniera astratta le esigenze democratiche della maggioranza con quelle della protezione delle minoranze. Per un attore attivo nell'ambito del promovimento della pace la sfida consiste pertanto nell'avviare e accompagnare un processo di apprendimento e di soluzione dei problemi che possa coinvolgere le parti e influire sulle relazioni tra di esse, permettendo loro di conoscere e comprendere le rispettive esigenze. Compito della parte terza è mettere a disposizione il proprio know how in questioni costituzionali e motivare le parti in conflitto a partecipare all'elaborazione comune di una forma di divisione del potere accettabile per l'altra parte e viceversa.

Per ridurre il pericolo di abusi delle disposizioni di autonomia sono necessari accordi possibilmente precisi e appositi meccanismi di soluzione delle divergenze.

Per godere di un ampio appoggio, ogni accordo sulla divisione del potere presuppone l'esistenza di un consenso tra le parti in merito alle norme in materia di diritti dell'uomo e della protezione delle minoranze applicabili e richiede la conclusione di accordi sulla garanzia della sicurezza interna, la creazione di organi di autogestione rappresentativi o l'istituzione di organi di rappresentanti del popolo liberamente eletti.

7139

Somalia: la ricerca del «giusto» ordinamento statale Dalla caduta di Siad Barre nel 1991 la Somalia non dispone più di un governo nazionale. Lo Stato somalo si è completamente sgretolato, nonostante la società somala fosse caratterizzata da una composizione etnica, religiosa e linguistica particolarmente omogenea. Oggi la Somalia offre una possibilità unica di ripensare lo scopo e il ruolo di uno Stato in generale e segnatamente in Africa.

Il decadimento delle strutture e delle istituzioni statali in Somalia mostra quanto debolmente sono ancorati sul continente africano i modelli di Stato nazionale di stampo occidentale e quali conseguenze devastanti ne risultano per la stabilità degli Stati colpiti. Gli avvenimenti dell'11 settembre 2001 hanno inoltre evidenziato che l'assenza dell'autorità statale in una regione può rappresentare una minaccia per la sicurezza a livello internazionale.

In tale contesto gli sforzi profusi dagli abitanti delle regioni settentrionali della Somalia per ricostruire di propria iniziativa le istituzioni statali sono un segnale positivo. Questi sforzi costituiscono una sfida importante anche per gli esperti occidentali in ambito costituzionale, che devono adeguare le proprie concezioni alle esigenze e alle realtà della società somala.

Il DFAE ha deciso di accompagnare a vari livelli il processo di ricostruzione di un nuovo ordinamento statale in Somalia. Da alcuni anni a questa parte sostiene con il suo know-how le istituzioni nuove che si vanno creando nel nordovest e nel nord-est del Paese. Sotto la direzione dell'ambasciatore in missione speciale per la gestione dei conflitti e in collaborazione con un istituto universitario svizzero è stato inoltre creato un gruppo di lavoro composto da rappresentanti di diverse regioni della Somalia.

Il gruppo di lavoro elabora vari modelli di ordinamenti costituzionali intesi a fungere da base per la discussione sul futuro ordinamento politico in Somalia. I modelli sono approfonditi in stretto dialogo con ambienti diversi all'interno della società somala e confluiscono nei lavori di una futura commissione costituzionale. L'ambasciatore in missione speciale sostiene questo processo mediante contatti con varie cerchie all'interno del Paese e con i principali attori regionali e internazionali.

Il promovimento del dibattito sul
futuro delle istituzioni in Somalia evidenzia l'importanza delle questioni costituzionali nelle regioni teatro di conflitti e mostra le soluzioni possibili nell'ambito di strategie della gestione dei conflitti.

In molti Paesi devastati da una guerra questi processi non sono soltanto semplici riforme delle istituzioni esistenti ma tendono alla fondazione di un vero e proprio Stato nuovo. Una nuova definizione del ruolo svolto dallo Stato e la creazione di contrappesi reali al monopolio del potere dello Stato centrale sono condizioni indispensabili per risolvere i numerosi conflitti sorti in Africa e altrove in seguito all'abuso del potere statale.

Il sostegno dei processi elettorali Anche laddove le trattative sul futuro ordinamento dello Stato sono portate a termine con successo, spesso nuove difficoltà sorgono a causa del mancato appoggio o consenso da parte di taluni attori o da parte di ampie cerchie della popolazione. In que7140

sto contesto lo svolgimento di un'elezione può avere un effetto sia stabilizzante che destabilizzante. Elezioni in cui sorgono irregolarità sono spesso un indizio di un malfunzionamento del sistema politico interessato. Nell'ambito delle strategie preventive le elezioni possono pertanto fungere da indicatore del grado di rispetto dei processi democratici e dello Stato di diritto. I processi elettorali assumono così particolare importanza nelle regioni reduci da conflitti e caratterizzate da instabilità.

Soltanto lo svolgimento di elezioni regolari permette di raccogliere un consenso su ampia scala e di conferire la necessaria legittimità alle soluzioni costituzionali e agli accordi politici sulla suddivisione del potere statale elaborate a tavolino. Condizione indispensabile a tale scopo è l'emanazione e l'affinamento della necessaria legislazione in materia elettorale.

Di norma lo svolgimento regolare e democratico di un'elezione può essere verificato con lo strumento delle osservazioni elettorali internazionali. Gli osservatori elettorali svolgono una duplice funzione. Innanzitutto rafforzano la legittimità del processo elettorale contribuendo a constatare e prevenire errori, manipolazioni e frodi. Contribuiscono a creare un'atmosfera trasparente e rafforzano la fiducia degli elettori nel processo elettorale. Infatti gli osservatori di regola non seguono il processo elettorale unicamente nel momento dello scrutinio ma verificano anche, nell'ambito di operazioni a lungo termine, il rispetto della libertà di associazione e di opinione nel periodo che precede l'elezione vera e propria. In secondo luogo gli osservatori manifestano l'interesse della comunità internazionale a uno sviluppo pacifico e democratico del Paese in questione e sono così espressione tangibile della solidarietà internazionale.

1.5.1.3.2

Ruolo dei media nei conflitti violenti

I media non si limitano a riferire dei conflitti violenti ma sovente influiscono direttamente sulla dinamica degli stessi. I media manipolati ad esempio possono contribuire all'escalation di un conflitto polarizzando l'opinione pubblica, strumentalizzando avvenimenti violenti, escludendo determinati attori del conflitto o incitando all'uso della violenza.

Per contro un atteggiamento responsabile da parte dei media può contribuire alla prevenzione, alla pacificazione e alla soluzione dei conflitti violenti. In questi casi i media possono contribuire ad analizzare e rendere visibili gli interessi, le esigenze e gli obiettivi delle parti coinvolte, contribuendo a una migliore comprensione degli aspetti chiave del conflitto presso le parti coinvolte e creando in tal modo un'importante base per il dialogo all'interno delle parti e tra le stesse. Un rendiconto equilibrato da parte dei media può contribuire efficacemente alla prevenzione della violenza, ad esempio rendendo noti a quali interessi giova un'escalation del conflitto e quali ne sono le conseguenze negative. Questa funzione informativa è particolarmente importante laddove i canali formali e informali tra le parti sono interrotti e i media rappresentano l'unico mezzo di comunicazione.

La Direzione politica sostiene i media dove questi influiscono direttamente sulla dinamica conflittuale e dove ci si può attendere che siano in grado di indurre le parti in conflitto a ricorrere a forme costruttive di soluzione del conflitto.

7141

I media possono anche contribuire direttamente alla soluzione di un conflitto tramite la divulgazione di soluzioni costruttive e svolgendo la funzione di piattaforma in cui tutte le parti in conflitto possono esprimersi in merito alle soluzioni proposte. In questa fase i media possono esercitare pressioni sui leader partecipanti alle trattative per costringerli a rendere conto dei progressi e risultati ottenuti. Possono inoltre rendere note le parti che tentano di ostacolare i negoziati. Infine offrono ai leader una piattaforma tramite cui possono rivolgersi al rispettivo pubblico, illustrare la propria posizione nei negoziati e ottenere il consenso della popolazione per tale posizione.

Radio OKAPI: un'emittente per la pace Dal 1996 la Repubblica Democratica del Congo è dilaniata dalle guerre. A seguito di una prima guerra che portò alla destituzione dell'allora capo di Stato Mobuto Sese Seko, nell'agosto 1998 è divampato un secondo conflitto armato che continua a tutt'oggi e che ha coinvolto anche altri Stati africani.

Nel luglio 1999 a Lusaka sono stati firmati accordi di pace che prevedevano tra l'altro la creazione del cosiddetto dialogo intracongolese. Si tratta di una piattaforma politica creata per permettere ai partiti e ai gruppi congolesi di giungere, nell'ambito di un processo inclusivo e partecipativo, a un'intesa in merito al futuro ordinamento costituzionale del Congo. Nel febbraio 2002 il dialogo intracongolese ha fatto un salto di qualità riuscendo a riunire per la prima volte tutti i partiti importanti del Paese.

La Direzione politica accompagna il dialogo intracongolese con un programma di gestione civile dei conflitti. Dal novembre 2000 la Direzione politica sostiene l'odierna Radio OKAPI con un contributo finanziario e mettendo a disposizione per l'esercizio dell'emittente un collaboratore del Pool svizzero di esperti per la promozione civile della pace. Radio OKAPI è gestita dalla missione dell'ONU nel Congo (MONUK) e dalla fondazione svizzera Radio Hirondelle. La radio persegue tra l'altro gli obiettivi seguenti: rafforzare il processo di pace con la diffusione di informazioni affidabili destinate alla popolazione congolese in merito al processo di pace e al dialogo intracongolese; illustrare il mandato e le attività della MONUK; diffondere informazioni sul diritto
internazionale umanitario e sul lavoro del CICR; rendere attenti sullo svolgimento di programmi contro le mine antiuomo; sostenere la reintegrazione dei fanciulli soldato nella vita civile e diffondere informazioni sulle misure e sulle offerte degli attori umanitari. Radio OKAPI non soltanto contribuisce ad aumentare le possibilità di una pace duratura nel Congo ma contribuisce pure in modo molto concreto a migliorare la sicurezza umana della popolazione locale.

7142

1.5.1.3.3

Sicurezza umana

Nel maggio 1998 è stata creata una struttura istituzionalizzata, il cosiddetto Human Security Network, che permette agli Stati membri ­ Canada, Norvegia, Irlanda, Paesi Bassi, Austria, Slovenia, Grecia, Mali, Giordania, Cile, Africa del Sud e Svizzera ­ di discutere misure di protezione e di miglioramento della sicurezza delle persone Come la maggior parte degli altri Stati occidentali membri del Network, anche la Svizzera si concentra sugli aspetti della sicurezza umana relativi all'uso della violenza. Sinora le discussioni sono state incentrate soprattutto sui settori illustrati qui di seguito, settori in cui il DFAE è attivo da tempo e cui anche in futuro intende attribuire grande importanza nell'ambito della sua politica di gestione civile dei conflitti: proliferazione delle armi leggere, mine antiuomo e attori non statali coinvolti nei conflitti.

Porre un freno alla proliferazione delle armi leggere Una sfida particolare nell'ambito della sicurezza umana è l'obiettivo della riduzione della diffusione incontrollata e dell'abuso di armi leggere. Queste armi non soltanto causano sofferenze atroci per le persone nelle regioni teatro di conflitto, ma a causa dei loro bassi costi e dell'alta disponibilità sono uno dei fattori di escalation dei conflitti. Le armi leggere sono facili da trasportare e da contrabbandare, possono essere utilizzate senza lunghe esercitazioni e la loro manutenzione è a basso costo.

Nella maggior parte dei conflitti interni le armi leggere sono l'arma a maggiore diffusione. Secondo le stime attuali ogni anno circa 500 000 persone muoiono a livello mondiale a causa dell'impiego di armi leggere.

La decisione della Svizzera di impegnarsi nell'ambito delle armi leggere risale al 1998 e scaturisce per l'essenziale dai seguenti tre fattori: innanzitutto l'uso incontrollato di arme leggere rappresenta un problema cui va data la massima priorità in un'ottica di politica di pace; in secondo luogo vi è una comprovata e forte necessità di agire a livello internazionale in questo ambito; infine la Svizzera dispone di un know-how specifico in questo ambito. Dal 1998 il DFAE ha pertanto elaborato una politica autonoma in materia di armi leggere che ha contribuito allo sviluppo e all'effettivo rispetto di normative e meccanismi internazionali per la lotta contro la proliferazione e
l'abuso di armi leggere. Inoltre il DFAE ha adottato misure volte a migliorare le conoscenze specifiche sulla problematica delle armi leggere e ad analizzare a fondo alcune questioni chiave quali la limitazione del traffico incontrollato di armi leggere, la marcatura di tali armi e la gestione dei relativi depositi.

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Centro internazionale di competenza per le questioni concernenti le armi leggere («Small Arms Survey») Il termine «Small Arms Survey», che si riferisce a un progetto realizzato presso l'Institut Universitaire de Hautes Etudes Internationales (IUHEI) di Ginevra, è oggi sinonimo di ricerca ad alto livello e trasparenza dell'informazione nell'ambito delle armi leggere.

Compito principale del progetto è la pubblicazione di un annuario delle armi leggere contenente dati e analisi sulla produzione, sulle dotazioni e sui flussi di armi leggere, sulle conseguenze della diffusione incontrollata e dell'abuso di tali armi e sulle misure multilaterali nonché sulle iniziative prese in questo ambito. Grazie all'alta qualità dei dati presentati, la pubblicazione si presenta già oggi come importante fonte di informazione per i responsabili politici e gli attori della società civile.

L'organizzazione di progetto incaricata della pubblicazione del «Small Arms Survey» si è imposta in breve tempo quale centro di competenza internazionale per le questioni concernenti le armi leggere. Accanto alla pubblicazione dell'annuario, gli editori svolgono in misura crescente funzioni di consulenza per organi statali, organizzazioni internazionali e regionali e organizzazioni non governative. Il fatto che il «Small Arms Survey» sia pubblicato a Ginevra si è rivelato un fattore positivo importante per la Svizzera: il nostro Paese può infatti ricorrere direttamente a questo know-how nell'elaborazione di attività politiche o operazionali.

Fino a pochi anni fa non erano disponibili dati e analisi affidabili in merito e tale lacuna rendeva più difficile per gli attori internazionali la corretta valutazione delle ripercussioni della problematica delle armi leggere e l'adozione di contromisure efficaci. Il «Small Arms Survey» ha contribuito in maniera determinante a fornire una base oggettiva alle discussioni e ha aumentato l'efficacia degli sforzi profusi dalla comunità internazionale nella lotta contro la proliferazione e l'abuso di armi leggere. Il DFAE sostiene il progetto sin dall'inizio.

Lotta contro le mine antiuomo Accanto all'uso di armi leggere, l'impiego di mine antiuomo rappresenta oggi uno dei mezzi più cruenti di conduzione bellica. Come le armi leggere anche le mine antiuomo sono di poco costo, facilmente accessibili
e facili da maneggiare, caratteristiche che ne determinano l'alta diffusione soprattutto nei conflitti violenti nei Paesi in sviluppo. Nelle regioni colpite la popolazione è esposta per anni, anche dopo la cessazione del conflitto, al pericolo di morte o di ferimenti a causa della presenza di mine. Dal punto di vista strettamente strategico è invece provato che l'impiego di mine antiuomo influisce soltanto in misura minima sull'esito di un conflitto.

Dal 1993 il nostro Consiglio è attivo nell'ambito dello sminamento umanitario. Nel 1994 abbiamo deciso di sostenere le azioni di sminamento dell'ONU nell'ex Jugoslavia e in Angola. A partire dalla fine degli anni Novanta i contributi di sostegno alle operazioni in questo ambito sono confluiti in misura maggiore verso i Paesi e le regioni in cui la Direzione politica sostiene anche programmi di gestione civile della pace.

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La probabilità che una mina antiuomo sotterrata colpisca un civile è dieci volte maggiore della probabilità che essa ferisca un membro di una delle parti in conflitto.

A livello di diritto internazionale nel dicembre 1997 è stata firmata la cosiddetta Convenzione di Ottawa sul divieto dell'impiego, del deposito, della fabbricazione e del trasferimento di mine antiuomo e sulla loro distruzione. Questo importante documento di base è entrato in vigore il 1o marzo 1999 e attualmente vincola 128 Stati. La Svizzera è stato uno dei primi Stati a firmare e ratificare la Convenzione (firma il 3 dicembre 1997, ratificazione il 24 marzo 1998). Dalla sua entrata in vigore l'accordo ha già avuto effetti importanti: il numero di Stati produttori di mine si è ridotto da oltre 50 a poco più di una dozzina e si è registrata una diminuzione notevole del commercio con le mine. Numerosi Stati hanno inoltre concluso accordi bilaterali o regionali in cui si impegnano a disinnescare le mine già depositate sul terreno e a rinunciare al loro impiego ulteriore. Infine negli ultimi anni è anche stato possibile coinvolgere taluni gruppi di ribelli e attori non statali presenti in conflitti, convincendoli a rinunciare all'impiego di questo genere di armi. Nonostante questa evoluzione, a livello mondiale si stima tra 60 e 110 milioni il numero di mine antiuomo tuttora seminate sul terreno, mentre è di vari milioni il numero di mine conservate in depositi di armi. Sebbene la Svizzera non figuri tra i principali Stati donatori per le costose operazioni di sminamento, considerate le ingenti quantità di mine antiuomo tuttora in circolazione il nostro Consiglio ritiene che sia un dovere morale continuare anche in futuro il suo impegno a livello diplomatico in favore di un'applicazione letterale e universale della Convenzione di Ottava. Con il Centro internazionale per lo sminamento umanitario a Ginevra la Svizzera dispone inoltre di un centro di competenze di alta fama che conferisce all'impegno svizzero in questo ambito la necessaria credibilità a livello internazionale15.

15

Come il Centro per il controllo democratico delle forze armate (CCDA) e il Centro per la politica di sicurezza (CGS), anche il Centro internazionale per lo sminamento umanitario a Ginevra (GICHD) è sostenuto dal DFAE ma finanziato in massima parte dal DDPS.

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Sminamento in Mozambico: contributo alle soluzioni sul posto Il Mozambico è uno dei Paesi con il tasso più elevato di mine del mondo. Gli esperti stimano che a causa della guerra di secessione e civile, terminata nel 1992 con la conclusione di un accordo di pace, vi siano circa 3 milioni di mine antiuomo disseminate sul territorio del Paese.

Le mine impediscono alla popolazione di muoversi liberamente, di accudire ai campi e di sfruttare le risorse del Paese. Sebbene vi siano numerose organizzazioni attive nell'ambito dello sminamento umanitario sin dalla fine del conflitto, le loro attività di regola non sono state coordinate e non poggiavano su analisi affidabili delle reali esigenze. Così in parte furono sminate regioni di poco interesse dal punto di vista della ricostruzione economica e sociale, mentre numerose regioni fertili permanevano minate.

Nel 2000 la Direzione politica ha deciso di sostenere l'Instituto Nacional de Desminagem (IND), l'autorità nazionale competente per lo sminamento, contribuendo all'analisi del fabbisogno di sminamento umanitario a livello nazionale e al coordinamento e al controllo delle successive azioni di sminamento. L'aiuto finanziario, l'infrastruttura messa a disposizione e il trasferimento di know-how hanno permesso all'IND di svolgere la sua funzione, di importanza centrale per la ricostruzione del Mozambico. Oltre a questo progetto, la Direzione politica finanzia pure operazioni di sminamento nelle parti settentrionali e meridionali del Paese.

Sfide e prospettive legate a temi specifici L'elenco dei temi affrontati nell'ambito della sicurezza umana è andato allungandosi nel corso degli ultimi anni. Come sinora, per la Direzione politica anche in futuro il criterio determinante per l'esame delle nuove iniziative tematiche sarà la loro importanza per le attività operazionali del Dipartimento. Qui di seguito illustriamo brevemente due temi che rivestono un'importanza particolare nell'ambito della gestione civile dei conflitti.

­

Attori non statali coinvolti nei conflitti Con l'avvio della sua attività nel Sudan e in Colombia, la Direzione politica ha fatto esperienza diretta del crescente peso degli attori non statali nei conflitti violenti: in questi Paesi infatti questo genere di attori è fortemente presente nelle azioni belliche. Una delle difficoltà principali in questi conflitti è instaurare un contatto con gli attori non statali coinvolti nei conflitti e con le loro élite. Anche quando si riesce ad allacciare i necessari contatti, gli stessi si rivelano di regola pericolosi e non privi di rischi. I pericoli e i rischi possono essere ridotti se già prima del contatto diretto si dispone di informazioni accurate sui leader, le gerarchie e le strutture di comando nonché sugli obiettivi e i retroscena che caratterizzano gli ambienti in questione. In questi casi la Direzione politica può far capo alle esperienze della DSC, che nell'ambito del suo aiuto umanitario dipende dai contatti con gli attori non statali coinvolti nei conflitti.

Altre sfide sono il coinvolgimento degli attori non statali in processi volti a creare un clima di fiducia o il loro coinvolgimento in dialoghi con altri attori del conflitto. Le possibilità di successo di questi processi aumentano se gli

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attori interessati hanno potuto convenire in anticipo le norme cui intendono attenersi, a condizione che siano poi effettivamente disposti a rispettare tali norme. Particolare importanza in questo contesto rivestono le norme e i principi della protezione internazionale dei diritti dell'uomo e del diritto internazionale umanitario.

Mentre nella maggior parte dei casi sono note le norme cui devono attenersi gli attori statali coinvolti in un conflitto, la situazione giuridica applicabile agli attori non statali è meno chiara. Nel corso degli ultimi anni alcuni attori non statali coinvolti in conflitti si sono impegnati a rispettare gli standard internazionali in ambito umanitario e in materia di diritti dell'uomo. L'esperienza ha tuttavia mostrato che sebbene in molti casi questi attori non statali fossero effettivamente intenzionati a rispettare tali norme, spesso nell'attuazione degli impegni presi sorgono problemi dovuti al fatto che questi gruppi non dispongono dei meccanismi necessari per garantire la necessaria protezione giuridica.

In alcuni casi i leader dei gruppi di ribelli riconoscono che un avvicinamento dei propri soldati alle norme e ai principi del diritto internazionale umanitario può ripercuotersi positivamente sul gruppo stesso, migliorandone l'immagine a livello internazionale e la disciplina interna.

­

Riforma del settore della sicurezza La riforma del settore della sicurezza nei Paesi in sviluppo e in via di trasformazione è un importante campo d'azione per la riduzione delle cause di conflitti, la soluzione non violenta di conflitti e la stabilizzazione dei sistemi di governo democratici e basati sui principi dello Stato di diritto. Si tratta di processi complessi che presentano legami con la politica dello sviluppo nonché con la politica militare, economica sociale e istituzionale.

Elementi importanti di queste riforme sono una riduzione e maggiore trasparenza delle spese militari e degli armamenti, la legittimazione democratica delle forze dell'ordine e la creazione di rapporti costruttivi tra il settore militare e quello civile.

Quando le parti in conflitto accettano di avviare un processo di negoziati, l'organizzazione delle forze armate e di polizia è quasi sempre uno dei punti centrali di discussione.

Visto lo stretto legame tra il settore della sicurezza e le sue riforme da un lato e i processi di pace dall'altro, questo ambito tematico è importante anche per gli attori della gestione civile dei conflitti. È vero che sovente durante le fasi di inasprimento delle tensioni diminuisce la disponibilità degli Stati a riformare il proprio settore della sicurezza, considerato garante della sovranità statale e del monopolio statale del potere. Tuttavia nel corso delle trattative di pace o durante le fasi immediatamente successive a una guerra, spesso le questioni concernenti lo statuto costituzionale delle forze di sicurezza militari e di polizia e il loro inserimento in strutture democratiche nonché il loro controllo da parte civile assumono particolare rilievo. Lad7147

dove la Direzione politica riesce a contribuire a questi processi con le sue conoscenze specifiche in questi ambiti, essa può in alcuni casi esercitare un influsso positivo sul decorso delle trattative. Il Centro per il controllo democratico delle forze armate a Ginevra è un'istituzione di partenariato competente e dotata di notevole esperienza in questo ambito, cui la Direzione politica può ricorrere in caso di bisogno16. A causa della complessità dei processi di riforma nel settore della sicurezza, questo ambito riveste importanza non soltanto per la Direzione politica ma anche ad esempio per la DSC e il DDPS. Tutti gli attori della Confederazione, pur perseguendo obiettivi diversi, lavorano in maniera complementare: in tal modo si creano sinergie che concorrono ad aumentare l'efficacia dell'impegno svizzero.

1.5.1.3.4

Diritti dell'uomo nei conflitti violenti e diritto internazionale umanitario

Nelle regioni teatro di conflitti la protezione internazionale dei diritti dell'uomo e il diritto internazionale umanitario si completano a vicenda. I due ambiti giuridici hanno campi d'applicazione diversi e sono applicati in situazioni diverse; in ultima analisi il loro scopo è tuttavia identico: proteggere il singolo dall'arbitrio e dalla violenza. Di massima i diritti dell'uomo sono egualmente applicabili in tempi di pace e in caso di conflitti interni o internazionali; il diritto internazionale umanitario invece si applica unicamente in caso di conflitti armati.

Protezione internazionale dei diritti dell'uomo in conflitti violenti In una situazione di conflitto uno Stato può dichiarare inapplicabili taluni diritti dell'uomo a determinate condizioni, secondo regole prestabilite e richiamandosi a una situazione di emergenza. Vi è tuttavia un «nucleo» di diritti inderogabili, che non possono pertanto essere messi in forse in alcun caso. Tra queste norme fondamentali si annoverano ad esempio il divieto del genocidio, il divieto della schiavitù e della tratta di persone, il diritto alla vita, il divieto della tortura e di altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti, il divieto di discriminazioni sistematiche basate sulla razza e il divieto dell'applicazione retroattiva di norme del diritto penale. Tutti gli Stati sono tenuti al rispetto di questi principi e devono attenersi appieno agli obblighi di non intervento, di protezione e di azione che ne derivano, anche in periodi di escalation di un conflitto o nell'ambito di strategie della lotta contro il terrorismo.

Per un attore attivo nell'ambito del promovimento della pace e dei diritti dell'uomo è importante sapere a quali norme in materia di diritti dell'uomo sono vincolati i rappresentanti e i negoziatori del Governo e delle forze di sicurezza statali.

Sebbene lo Stato sia per principio tenuto a rispettare i diritti dell'uomo anche in situazioni di conflitto e a proteggere la popolazione da violenze illegittime, in molti conflitti le autorità statali non sono in grado di far rispettare il proprio monopolio 16

Cfr. nota precedente.

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del potere. È vero che anche in questi casi lo Stato resta responsabile delle violazioni dei diritti dell'uomo commesse, tuttavia questa responsabilità di regola non è di grande aiuto alle vittime di tali violazioni. L'unica possibilità per le vittime di ottenere un indennizzo e il rispetto dei propri diritti è il ricorso presso un tribunale nazionale o internazionale: possibilità che però di regola resta puramente teorica.

Una pace duratura non è pensabile senza il rispetto dei diritti dell'uomo. Pertanto nell'ambito delle sue attività di promovimento della pace la Direzione politica si impegna in favore di misure che contribuiscono alla sorveglianza dei diritti dell'uomo e al rafforzamento dei meccanismi di controllo statali nonché in maniera generale alla protezione dei diritti dell'uomo.

Regole e principi del diritto internazionale umanitario Le violazioni gravi e sistematiche del diritto internazionale umanitario ­ ad esempio le pulizie etniche, i genocidi, le esecuzioni di massa e i trattamenti inumani che hanno avuto luogo durante i conflitti nei Balcani, nell'Africa meridionale e occidentale, nella regione dei Grandi laghi e nella regione del Corno d'Africa ­ causano sempre sofferenze immense nella popolazione civile e fomentano l'odio tra le comunità coinvolte. Per questo motivo è indispensabile insistere sulla piena e incondizionata applicazione del diritto internazionale umanitario e sul pieno rispetto dei diritti dell'uomo in conflitti e situazioni caratterizzate dal ricorso generalizzato alla violenza. La limitazione giuridica dell'uso della violenza ha lo scopo di proteggere la popolazione civile e di garantire un trattamento umano al singolo cittadino, a prescindere dal fatto che egli sia o meno coinvolto direttamente nel conflitto.

Certamente l'applicazione del diritto internazionale umanitario è in primo luogo compito degli Stati coinvolti in un conflitto. Tuttavia conformemente all'obbligo sancito dall'articolo 1 delle Convenzioni di Ginevra, tutti gli Stati parte a tali Convenzioni si impegnano a rispettare e far rispettare in ogni circostanza il diritto internazionale umanitario. Inoltre secondo l'articolo 3 delle Convenzioni di Ginevra, applicabile in base al diritto consuetudinario, in caso di conflitto interno anche tutte le altre parti coinvolte nelle azioni belliche sono
tenute al rispetto del diritto internazionale umanitario. Grazie alla sua tradizione umanitaria e in virtù della sua funzione di depositario delle Convenzioni di Ginevra, la Svizzera ha una responsabilità particolare nell'ambito del promovimento e del rafforzamento del diritto internazionale umanitario.

Nell'ambito della prevenzione dei conflitti il DFAE e il DDPS si concentrano sulla diffusione delle regole e dei valori umanitari preso gli attori coinvolti, segnatamente presso l'esercito, le autorità e i rappresentanti della politica e della società civile.

Contribuiscono inoltre al promovimento del dialogo umanitario con gli attori statali (i governi e le rispettive forze armate) e con i gruppi armati non statali.

In quanto Stato depositario delle Convenzioni di Ginevra la Svizzera ha una responsabilità particolare in vista della protezione della popolazione civile in conflitti e in situazioni di violenza, sia nell'ambito di misure preventive sia nell'ambito di misure volte a lottare contro le violazioni del diritto internazionale umanitario.

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Nell'ambito della lotta contro le violazioni del diritto internazionale umanitario il DFAE si muove su più livelli. Attività diplomatiche bilaterali e multilaterali hanno lo scopo di promuovere il rispetto del diritto internazionale umanitario e di contribuire a ridurre il numero di violazioni di tale diritto. Aumenta inoltre l'importanza delle azioni volte a sensibilizzare i gruppi armati non statali in merito alla responsabilità che incombe loro in vista del rispetto delle regole e dei principi umanitari.

Lotta contro l'impunità e sostegno dei processi di conciliazione Decisiva per il promovimento e l'attuazione dei diritti dell'uomo e del diritto internazionale umanitario è la persecuzione penale delle persone colpevoli di infrazioni del diritto. L'esistenza di strutture che permettono l'impunità può essere interpretata come esortazione indiretta a infrangere il diritto. La persecuzione penale dei colpevoli di infrazioni del diritto è una condizione importante per ristabilire la fiducia nei principi e nelle istituzioni dello Stato di diritto. Per tale motivo il DFAE sostiene le misure volte a consegnare ai tribunali competenti e a condannare gli autori di violazioni gravi dei diritti dell'uomo e di infrazioni del diritto internazionale umanitario. Parallelamente il DFAE riconosce pure l'importanza delle commissioni di verità e di meccanismi extragiudiziari simili, che completano le procedure di fronte ai tribunali e possono dare impulsi importanti per la conciliazione di società traumatizzate dalla guerra.

1.5.2

Promovimento dei diritti dell'uomo

1.5.2.1

Scopi e principi

Nell'ambito della sua politica di promovimento dei diritti dell'uomo negli ultimi decenni la Direzione politica si è concentrata sulle infrazioni gravi del diritto commesse da autorità statali. Spesso la reazione svizzera è consistita in interventi discreti di natura politico-diplomatica, in casi estremi abbiamo preso posizione pubblicamente. Interventi e iniziative contro i governi che violano i diritti dell'uomo resteranno strumenti importanti della politica svizzera. Anche in futuro gli interventi di questo genere si baseranno sulle convenzioni in materia di diritti dell'uomo più diffuse e di validità globale; in questo contesto il nostro Paese chiede soltanto il rispetto delle norme che applica egli medesimo. Tuttavia l'esperienza ha mostrato che di regola le misure puramente reattive non sono sufficienti e devono essere completate da misure collaterali costruttive. Tali misure si impongono soprattutto nei confronti degli Stati che sono consapevoli dei propri problemi in materia di diritti dell'uomo e si mostrano disposti ad attuare le necessarie riforme. Nella concezione e nell'attuazione del promovimento dei diritti dell'uomo il DFAE ha definito per la Direzione politica cinque obiettivi: ­

rafforzare le procedure e gli attori che promuovono l'attuazione dei diritti dell'uomo, sia in regioni teatro di conflitti che in Paesi che si trovano in una situazione di pace;

­

mediante misure costruttive, indurre gli Stati le cui strutture dello Stato di diritto sono poco sviluppate a rispettare gli obblighi in materia di diritti dell'uomo e sostenere mediante un approccio di partenariato gli sforzi profusi in tal senso da questi Stati;

7150

­

affinare ulteriormente lo strumento del dialogo sui diritti dell'uomo e applicarlo in altri Stati partner;

­

all'interno dell'ONU e di altre organizzazioni, presentare iniziative diplomatiche concernenti i diritti dell'uomo, partecipare a iniziative di questo genere e sostenerle con misure collaterali;

­

concludere partenariati strategici con importanti organizzazioni statali e non statali impegnate nel rafforzamento della protezione internazionale dei diritti dell'uomo.

Nell'attuazione di questi obiettivi la Direzione politica si orienta di massima ai principi enunciati dal nostro Consiglio nel suo rapporto sulla politica svizzera dei diritti dell'uomo 200017. Si basa inoltre sui seguenti due principi.

Collegare il promovimento dei diritti dell'uomo con la gestione civile dei conflitti Alla luce del fatto che la maggior parte delle violazioni gravi e sistematiche dei diritti dell'uomo avviene oggi in relazione con conflitti violenti, è necessario nel limite del possibile coordinare le misure del promovimento dei diritti dell'uomo con quelle della gestione civile dei conflitti e attuarle nell'ambito di programmi integrati.

Concentrarsi su determinati ambiti geografici e tematici Anche nell'ambito del promovimento dei diritti dell'uomo la Direzione politica concentra i propri mezzi sia dal punto di vista geografico che tematico. Le priorità tematiche sono trattate di seguito. Per quel che concerne le priorità geografiche la Direzione politica si concentra sugli Stati con i quali intrattiene dialoghi sui diritti dell'uomo rispettivamente in cui è già attiva nell'ambito della gestione civile dei conflitti o in cui sono possibili sinergie con altri attori svizzeri. Negli Stati in cui non sono possibili sinergie di questo genere, l'attività della Direzione politica si limita a un impegno indiretto tramite il sostegno di partner strategici nell'ambito di attività volte a favorire il rispetto dei diritti dell'uomo. Il principio della concentrazione geografica è applicato esclusivamente per motivi pragmatici, per aumentare l'efficacia delle azioni concrete; non mette in nessun modo in forse l'universalità e l'indivisibilità dei diritti dell'uomo quali principi centrali della politica svizzera in materia di diritti dell'uomo.

1.5.2.2

Campi d'azione

1.5.2.2.1

Dialoghi sui diritti dell'uomo

I dialoghi sui diritti dell'uomo sono uno degli strumenti diplomatici di cui dispone il Consiglio federale per l'attuazione della sua politica in materia di diritti dell'uomo.

Si tratta di uno strumento applicato «per lottare contro le violazioni dei diritti dell'uomo, per promuovere il loro rispetto e per contribuire a creare le condizioni quadro necessarie a questo scopo (Stato di diritto, democrazia)»18. I dialoghi sui diritti dell'uomo sono processi che permettono un'interazione tra la Svizzera e determinati Paesi partner: a scadenze regolari tra i rispettivi rappresentanti dei governi e delle 17 18

FF 2000 2312 FF 2000 2317

7151

amministrazioni hanno infatti luogo colloqui incentrati sulla tematica dei diritti dell'uomo. Negli Stati con i quali il DFAE intrattiene dialoghi sui diritti dell'uomo, il Dipartimento sostiene inoltre lo scambio di esperti e fornisce un aiuto tecnico finalizzato a determinati progetti. Se a causa di condizioni quadro difficili lo Stato partner del dialogo non è in grado di rispettare taluni obblighi in materia dei diritti dell'uomo, la Direzione politica tenta di contribuire a un miglioramento di tali condizioni quadro mediante misure mirate. Concretamente le misure collaterali nell'ambito dei dialoghi sui diritti dell'uomo mirano ad esempio a: ­

sostenere riforme del sistema giuridico del partner del dialogo affinché tale sistema soddisfi le norme e gli standard internazionali in materia di diritti dell'uomo;

­

ottenere miglioramenti concreti della situazione relativa ai diritti dell'uomo nello Stato partner del dialogo;

­

rafforzare la fiducia reciproca e migliorare in maniera generale le relazioni bilaterali con lo Stato partner del dialogo;

­

facilitare la collaborazione tra lo Stato partner e i relatori speciali dell'ONU;

­

sostenere gli attori esterni ai governi centrali degli Stati partner del dialogo, attivi nell'ambito del rafforzamento della protezione dei diritti dell'uomo;

­

rendere possibile lo scambio di opinioni tra lo Stato partner del dialogo e le ONG internazionali.

Negli anni Novanta il DFAE ha condotto dialoghi ufficiali sui diritti dell'uomo con cinque Stati: Cina (dal 1991), Marocco (dal 1997), Vietnam (dal 1997), Pakistan (dal 1997) e Cuba (dal 1999). Nell'autunno 2000 è stato deciso fino a nuovo avviso di concentrare gli sforzi sul dialogo con la Cina e di terminare i dialoghi con gli altri Stati. Questa decisione è stata presa sulla base di una valutazione esterna svolta dall'Istituto di diritto pubblico dell'Università di Berna. Tale perizia conclude infatti che per garantire l'efficacia dei dialoghi sui diritti dell'uomo è necessaria maggiore chiarezza in merito alle basi materiali e concezionali, alle priorità geografiche e agli obiettivi perseguiti. Secondo i periti inoltre lo sviluppo di un processo di dialogo credibile richiede continuità e un atteggiamento coerente e competente nei confronti del partner del dialogo. A causa delle limitate risorse personali a disposizione del DFAE, in passato non è sempre stato possibile soddisfare tale esigenza.

D'altronde, anche disponendo di maggiori risorse personali, le risorse globali all'interno dell'amministrazione resterebbero comunque insufficienti. Spesso si rivela pertanto inevitabile il ricorso a esperti esterni.

Nel corso del dialogo con la Cina il DFAE negli ultimi anni ha potuto chiarire molte questioni concezionali. Tra queste vi è la conclusione che lo strumento del dialogo sui diritti dell'uomo non rappresenta uno strumento efficace in ogni situazione.

Pertanto il Dipartimento intende scegliere accuratamente eventuali nuovi partner di dialoghi e controllare periodicamente l'adeguatezza dei processi di dialogo in corso.

Il Consiglio federale è convinto dell'utilità e opportunità dei dialoghi sui diritti dell'uomo. L'esempio del dialogo svizzero con la Cina mostra che la fiducia reciproca aumenta nel corso degli anni e con essa anche la disponibilità a imparare dalle esperienze dell'altro partner.

7152

Con i mezzi ulteriori che il nostro Consiglio chiede con il presente credito, il DFAE intende mettere a frutto gli insegnamenti tratti dal dialogo sui diritti dell'uomo con la Cina per affrontare ulteriori dialoghi. Per la scelta di futuri Stati partner di tali dialoghi ci si baserà segnatamente sui seguenti fattori: ­

esistenza nel Paese di una situazione precaria in materia di diritti dell'uomo;

­

interesse del Governo del Paese a un dialogo aperto e critico e volontà di attuare un vero cambiamento;

­

esistenza di un rapporto bilaterale sostanziale tra lo Stato in questione e la Svizzera o potenziale inutilizzato per l'instaurazione di rapporti di questo genere.

Il dialogo sui diritti dell'uomo con la Cina Nel 1991 è stato convenuto un dialogo sui diritti dell'uomo con la Cina. Ancora nello stesso anno e in seguito nel 1994, nel 1997 e nel 2002 varie delegazioni svizzere in materia di diritti dell'uomo si sono recate in Cina. Dal canto loro nel 1992 e nel 1996 delegazioni cinesi hanno visitato la Svizzera. Nell'ambito del processo di dialogo svolto sinora sono stati affrontati vari ambiti tematici relativi ai diritti dell'uomo, importanti sia dal punto di vista cinese che svizzero. I colloqui si basano sulla convinzione che un dialogo può essere efficace soltanto se ambedue i partner, oltre a formulare critiche della situazione dell'altro Paese, sono disposti a dar prova di un atteggiamento autocritico e hanno la volontà di imparare dall'altro partner. I dialoghi si sono concentrati sui seguenti temi prioritari: procedura penale ed esecuzione delle pene, libertà di religione e diritti delle minoranze. Per garantire che i dialoghi si svolgano all'alto livello scientifico auspicato, per ognuno di questi tre temi si è fatto ricorso a esperti. Dell'ultima delegazione svizzera hanno ad esempio fatto parte anche un consulente in questioni dell'esecuzione penale, un ex direttore di carcere, una giudice istruttrice e un tibetologo. In vista della visita di questa delegazione in Cina all'inizio del 2002, i documenti preparatori sono stati tradotti in cinese e distribuiti ai partner del dialogo quale segno di trasparenza, di apertura e di fiducia.

Nell'ambito delle misure collaterali per il dialogo sui diritti dell'uomo con la Cina la Direzione politica organizza ad esempio programmi di formazione per giuristi cinesi in Svizzera e svolge conferenze sul sistema giuridico svizzero e cinese. È inoltre previsto che esperti svizzeri in materia di esecuzione penale visitino la Cina per illustrare ai collaboratori degli istituti di detenzione cinesi i principi del sistema svizzero d'esecuzione delle pene. In una seconda fase i funzionari cinesi visiteranno la Svizzera e avranno così occasione di fare esperienze pratiche in questo ambito.

1.5.2.2.2

Attuazione delle norme internazionali in materia di diritti dell'uomo

L'attuazione delle norme internazionali in materia di diritti dell'uomo rappresenta oggi una delle sfide prioritarie. La maggior parte degli accordi internazionali in materia di diritti dell'uomo prevede l'istituzione di comitati peritali cui, nell'ambito di apposite procedure di rapporto, gli Stati parte all'accordo devono presentare 7153

periodicamente un resoconto sulla situazione dei diritti dell'uomo nel proprio Paese.

In tali rapporti gli Stati devono innanzitutto illustrare le misure giuridiche, amministrative e di altro genere da essi adottati per adempiere ai propri obblighi in materia di diritti dell'uomo. Inoltre devono illustrare gli eventuali ostacoli che impediscono l'adempimento di tali obblighi. Le procedure di rapporto degli Stati non hanno lo scopo di portare a una denuncia o condanna giuridica formale di uno Stato, bensì sono volte a identificare i punti deboli e a ottenere una migliore attuazione degli accordi. Alcuni governi, segnatamente quelli di Stati con un sistema giuridico poco sviluppato, sovente non sono in grado di adempiere all'obbligo di rapporto poiché non dispongono delle capacità e del know-how necessari per redigere i documenti richiesti e adeguare il loro sistema giuridico agli standard internazionali. Negli anni a venire la Direzione politica elaborerà strategie per sostenere i governi confrontati con questo tipo di difficoltà nell'elaborazione dei rapporti statali e nello sviluppo di un sistema giuridico adeguato al diritto internazionale. Questo sostegno comprenderà anche il promovimento di istituzioni come ad esempio le cattedre delle università locali: in questi istituti è possibile infatti formare specialisti cui gli organi statali possono far ricorso per la stesura dei rapporti statali e per le questioni generali relative all'applicazione del diritto.

Mentre negli ultimi anni è aumentato il numero di convenzioni internazionali in materia di diritti dell'uomo come pure il numero di Stati che ha ratificato tali Convenzioni, molto resta da fare nell'attuazione delle norme definite da questi accordi.

Spesso i rapporti statali non danno risposta a tutte le domande importanti. Per essere ciononostante in grado di farsi un'idea della situazione, i membri dei comitati sono allora costretti a basarsi anche su informazioni tratte dai media e da organizzazioni attive nell'ambito dei diritti dell'uomo, come ad esempio Amnesty Internationale o Human Rights Watch. Spesso per motivi finanziari o politici i comitati non hanno modo di controllare sul posto (fact finding) le informazioni di cui dispongono. Per poter svolgere inchieste per proprio conto le organizzazioni competenti dipendono dai contributi
volontari versati da Stati membri quali ad esempio la Svizzera.

Relatore speciale e altri strumenti di sorveglianza Accanto ai comitati dell'ONU previsti per la sorveglianza di singoli accordi in materia di diritti dell'uomo vi sono anche altre organizzazioni e organi internazionali che si occupano di questioni concernenti l'attuazione degli obblighi in materia di diritti dell'uomo. Tra questi citiamo ad esempio il Consiglio d'Europa e l'OSCE. All'interno dell'ONU vanno ricordati l'Alto commissariato per i diritti dell'uomo e la Commissione dei diritti dell'uomo. La Commissione accoglie denunce e può ordinare lo svolgimento di inchieste volte ad analizzare più da vicino la situazione dei diritti dell'uomo in un determinato Paese. Per la realizzazione di queste inchieste è previsto lo strumento dei relatori speciali. I relatori sono esperti indipendenti incaricati di allestire rapporti sulla situazione dei diritti dell'uomo in un determinato Paese o su taluni temi legati all'ambito dei diritti dell'uomo, come la scomparsa di persone, la tortura, le esecuzioni e gli arresti arbitrari, il mercenarismo, la tratta dei bambini, la violenza contro le donne o il razzismo. In alcuni casi i rapporti presentati possono portare a una condanna da parte dell'opinione pubblica dello Stato col-

7154

pevole di infrazioni dei diritti dell'uomo e sottoporlo così a una pressione politica che può indurlo ad adeguare le sue pratiche agli obblighi della protezione internazionale dei diritti dell'uomo.

1.5.2.2.3

Iniziative diplomatiche

Le iniziative in materia dei diritti dell'uomo presso i governi e le dichiarazioni politiche innanzi alla Commissione dell'ONU per i diritti dell'uomo o altri organi multilaterali sono attività centrali della diplomazia. Di regola questi interventi avvengono in reazione a gravi violazioni dei diritti dell'uomo e sono volti a indurre lo Stato responsabile a correggere il più presto possibile l'errore. Occorre tuttavia tenere conto del fatto che in questo settore spesso le infrazioni commesse da uno Stato sono riconducibili al fatto che mancano i necessari meccanismi di attuazione o che gli organi statali non sono o non sono più in grado di applicare tali meccanismi. Nei casi in cui la violazione ha cause strutturali, la Direzione politica negli anni a venire tenterà in misura maggiore di contribuire alla soluzione delle carenze all'origine del problema.

Iniziative diplomatiche concernenti temi chiave relativi ai diritti dell'uomo All'interno degli organi internazionali anche in futuro il DFAE intende impegnarsi a livello politico e diplomatico in favore di un rafforzamento e ampliamento degli strumenti dei diritti dell'uomo e affinché siano colmate le lacune esistenti in campo normativo. La Direzione politica sostiene in modo mirato le iniziative diplomatiche che contribuiscono alla realizzazione di questi obiettivi.

Impegno svizzero in favore del Protocollo aggiuntivo alla Convenzione dell'ONU contro la tortura Il 22 aprile 2002 la Commissione dei diritti dell'uomo dell'ONU ha votato a grande maggioranza in favore di un Protocollo aggiuntivo alla Convenzione dell'ONU contro la tortura. Il Protocollo prevede l'istituzione di un comitato internazionale di esperti autorizzato a ispezionare in ogni momento le istituzioni penali degli Stati parte. Scopo di queste ispezioni è migliorare le condizioni di detenzione tramite colloqui con le autorità competenti e in tal modo proteggere meglio i detenuti contro la tortura e i trattamenti degradanti.

Dagli anni Ottanta il DFAE partecipa agli sforzi volti all'elaborazione e all'adozione di questo Protocollo aggiuntivo e li sostiene attivamente. A causa della mancata adesione della Svizzera all'Organizzazione delle Nazioni Unite, la delegazione svizzera non ha tuttavia potuto presentare questa iniziativa direttamente e a proprio nome in seno alla Commissione
dei diritti dell'uomo dell'ONU. Su richiesta, il Governo del Costa Rica si è quindi detto disposto a sottoporre il progetto svizzero alla Commissione.

Dal punto di vista materiale il DFAE ha fornito un contributo determinante alla stesura e al testo attuale del Protocollo, che in ultima analisi è riconducibile a un'iniziativa dell'ONG svizzera Association pour la prévention de la torture (APT). Già una quindicina di anni fa, negli anni 1985-1987, la Svizzera in collaborazione con l'APT aveva contribuito in misura determinante all'adozione della Convenzione europea per la prevenzione della tortura.

7155

Con la crescente globalizzazione aumenta anche da un lato la necessità di adeguare le norme e le procedure esistenti nell'ambito della protezione internazionale dei diritti dell'uomo, dall'altro la necessità di elaborare norme e procedure nuove. Le discussioni degli ultimi anni hanno mostrato che la globalizzazione non deve essere intesa unicamente come processo di matrice economica ma che la responsabilità per il rispetto della protezione universale dei diritti dell'uomo deve essere considerata elemento centrale di tale processo. La discussione relativa ai diritti dell'uomo deve essere integrata appieno e in ogni momento nelle discussioni di politica economica, sociale o ambientale. Nelle discussioni svolte a livello internazionale su questi temi il DFAE si impegnerà affinché la globalizzazione non porti a un indebolimento dei diritti dell'uomo ma al contrario contribuisca a un rafforzamento di tali diritti.

Mediante misure collaterali la Direzione politica sosterrà inoltre puntualmente le iniziative che si orientano al medesimo approccio.

1.5.2.2.4

Partenariati

Sostegno di attori multilaterali Nell'ambito delle sue attività di promovimento dei diritti dell'uomo il DFAE si impegna in favore dell'universalità e dell'indivisibilità della protezione dei diritti dell'uomo.

Per tale motivo l'ONU quale organizzazione partner attiva a livello mondiale riveste un'importanza particolare. Grazie all'adesione della Svizzera all'ONU, il partenariato con tale organizzazione e con i suoi organi competenti per le questioni in materia di diritti dell'uomo si intensificherà ulteriormente. Tra le innumerevoli istituzioni dell'ONU, va menzionato in particolare l'Alto commissariato dei diritti dell'uomo con sede a Ginevra, che è l'organo di coordinazione e di contatto più importante a livello mondiale e il principale centro di competenza per le questioni concernenti i diritti dell'uomo. Esso svolge inoltre un ruolo chiave nell'attuazione delle norme in materia di diritti dell'uomo, ad esempio assistendo i relatori speciali nominati dalla Commissione dell'ONU per i diritti dell'uomo. Inoltre l'Alto commissariato gestisce numerosi fondi specifici in ambiti cui la Direzione politica attribuisce grande priorità, ad esempio il sostegno delle vittime della tortura, la lotta contro le forme moderne della schiavitù e il miglioramento della situazione dei popoli indigeni.

L'Alto commissariato per i diritti dell'uomo è tuttora dotato di mezzi insufficienti, condizione che limita il suo lavoro. Questa dotazione insufficiente è dovuta al fatto che soltanto una parte minima del budget di questa istituzione importante è finanziato tramite il budget ordinario dell'ONU, mentre la maggior parte dei costi è coperta mediante contributi volontari. A parere del nostro Consiglio, per garantire la credibilità della politica svizzera in materia di diritti dell'uomo è necessario fornire un sostegno fattivo all'Alto commissariato. Per gli anni a venire è pertanto previsto un aumento del contributo annuo della Svizzera. Nel versamento dei contributi si tiene conto dell'esigenza di completare in maniera possibilmente proficua gli sforzi bilaterali profusi dal nostro Paese.

7156

Anche in futuro permane importante la collaborazione con il Consiglio d'Europa e con l'OSCE. Negli anni a venire la Direzione politica continuerà pertanto a sostenere queste organizzazioni mediante contributi finanziari e partecipando all'elaborazione di nuove priorità e norme. Intende inoltre mettere maggiormente a disposizione gli esperti del Pool svizzero di esperti per la promozione civile della pace per le azioni svolte da queste organizzazioni e contribuire in tal modo direttamente alla loro evoluzione e rafforzamento.

Sostegno di ONG e di istituzioni scientifiche A causa delle risorse limitate a sua disposizione, anche nell'ambito del promovimento dei diritti dell'uomo la Direzione politica dipende dalla collaborazione con partner non statali dotati della necessaria esperienza a livello scientifico e pratico.

Considerate l'evoluzione e le tendenze globali nel campo dei diritti dell'uomo risulta sempre più difficile elaborare in maniera isolata le conoscenze specifiche necessarie per agire con competenza a livello internazionale. La Direzione politica ha un bisogno sempre maggiore di informazioni e di perizie supplementari per la formulazione di posizioni in materia di politica dei diritti dell'uomo in seno agli organi internazionali e per la pianificazione e attuazione di attività operazionali. Per tale motivo in futuro i partenariati con istituzioni accademiche e con ONG come l'Association pour la prévention de la torture o il International Council on Human Rights Policy avranno maggiore importanza.

Una delle evoluzioni più positive dall'adozione della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo nel 1948 è senz'altro il fatto che nel corso degli anni si è creata una rete sempre più fitta di ONG che contribuiscono in maniera determinante all'evoluzione dei diritti dell'uomo, alla diffusione delle conoscenze concernenti tali diritti e all'assistenza giuridica, psicologica e medica delle vittime di violazioni dei diritti dell'uomo. In molti casi l'attenzione continua e l'impegno costante di tali organizzazioni costituiscono l'unica protezione contro le violazioni dei diritti dell'uomo. Le persone e i gruppi attivi in questo ambito si impegnano in favore dei membri più deboli della società mondiale e a tale scopo non esitano ad ammonire i rappresentanti dei governi per indurli al rispetto
dei loro obblighi in materia di diritti dell'uomo. Per questo motivo spesso questi gruppi a loro volta diventano vittime di misure repressive. Negli ultimi anni sono aumentati i casi di persone attive nell'ambito dei diritti dell'uomo arrestate, torturate o addirittura uccise da rappresentanti delle autorità statali. In queste condizioni difficilissime i difensori dei diritti dell'uomo si impegnano in favore della dignità umana e contribuiscono così in modo decisivo al rafforzamento della protezione internazionale dei diritti dell'uomo.

In futuro la Direzione politica intende sostenere in maniera più efficace questi attori nel loro operato.

I partenariati strategici con le istituzioni scientifiche e con i rappresentanti della pratica costituiscono il fondamento del promovimento svizzero dei diritti dell'uomo. Spesso la Direzione politica basa le sue strategie e posizioni su perizie elaborate da questi partner.

7157

1.5.2.3

Priorità tematiche

1.5.2.3.1

Difesa e promovimento dei diritti fondamentali dell'uomo

Di per sé il principio dell'indivisibilità dei diritti dell'uomo si oppone a una distinzione tra diritti dell'uomo «fondamentali» e «non fondamentali». Tale distinzione è d'altronde delicata e sino ad oggi non è stato possibile allestire un elenco univoco e definitivo dei diritti dell'uomo fondamentali e vincolanti (ius cogens). Così mentre ad esempio il divieto della tortura è generalmente considerato un diritto fondamentale, le opinioni in merito allo statuto di un diritto come quello all'alimentazione variano a seconda dello sviluppo economico e del contesto culturale. Di fronte all'alto numero di violazioni dei diritti dell'uomo e considerati i mezzi limitati a disposizione, un attore come la Direzione politica deve concentrarsi sul promovimento di determinati diritti dell'uomo considerati particolarmente importanti.

È importante sapere come evolvono i singoli diritti dell'uomo. In base a tali conoscenze è infatti possibile concentrare il proprio operato su singoli diritti e concepire e realizzare misure adeguate volta a favorirne il rispetto e la protezione.

Hanno carattere fondamentale in ogni caso quei diritti che oggi dalla dottrina e dalla giurisprudenza sono ritenuti norme vincolanti del diritto internazionale (ius cogens), ad esempio il divieto del genocidio, il divieto della schiavitù e della tratta di esseri umani, il diritto alla vita rispettivamente il divieto di omicidio e di deportazione di persone, il divieto della tortura e di altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti e il divieto di discriminazioni sistematiche basate sulla razza.

Questo elenco non è né esaustivo né definitivo. Altre norme possono esservi aggiunte se sono riconosciute come vincolanti a livello internazionale e se l'intera comunità degli Stati ha interesse a considerarle tali.

1.5.2.3.2

Protezione dei gruppi particolarmente vulnerabili

La protezione dei gruppi particolarmente vulnerabili presenti in regioni teatro di conflitti è uno degli obiettivi primari degli sforzi profusi dalla comunità internazionale per migliorare la sicurezza umana e il rispetto delle norme e dei principi del diritto internazionale umanitario. Tale obiettivo è pure prioritario nell'ambito del promovimento dei diritti dell'uomo in tempi di pace. I membri delle minoranze, i bambini, le donne, gli anziani, i rifugiati e i detenuti spesso sono particolarmente colpiti dalle violazioni dei diritti dell'uomo poiché non sono in grado di opporsi efficacemente ai loro oppressori. Discriminazioni in ogni forma, razzismo, maltrattamenti, violenze sessuali e mutilazioni sono soltanto alcune delle forme che possono assumere le violazioni del diritto cui sono esposti i membri di questi gruppi.

Non è d'altronde possibile stabilire in maniera definitiva le categorie di persone che formano gruppi particolarmente vulnerabili poiché la loro vulnerabilità varia a seconda dei contesti.

7158

È indispensabile identificare nei singoli Paesi i gruppi di persone che sono vittime di violazioni dei diritti dell'uomo e il tipo di violazioni cui sono esposti. Senza queste conoscenze spesso non è possibile rafforzare questi gruppi con azioni mirate o impegnarsi in favore del rispetto dei loro diritti.

1.5.2.3.3

Nuove dimensioni della protezione dei diritti dell'uomo

La globalizzazione non deve essere valutata soltanto in base al maggior benessere che essa apporta ma anche dal punto di vista della realizzazione dei diritti dell'uomo intesi nella loro totalità, cioè sia i diritti politici e civili, sia quelli economici e sociali. Oggi, all'inizio del XXI secolo praticamente tutti gli ambiti politici hanno una dimensione transfrontaliera o addirittura globale. Nel contempo il margine d'azione degli attori statali diminuisce mentre aumenta l'influsso delle multinazionali e delle ONG. In ultima analisi la scelta degli obiettivi cui si vorrà far tendere il processo di globalizzazione e la definizione di valori, principi e norme accettate a livello mondiale saranno decisive per le risposte che gli odierni attori globali daranno ai problemi interdisciplinari e transfrontalieri cui siamo confrontati.

Tutte le parti coinvolte ­ gli Stati, le organizzazioni internazionali, gli attori dell'economia, i sindacati e la società civile ­ sono confrontati con una sfida importante: migliorare la sensibilità in merito ai problemi legati alla globalizzazione e discutere ed elaborare appositi strumenti normativi quali ad esempio codici di comportamento. Inoltre occorre istituire e ampliare procedure e meccanismi internazionali che stabiliscano i valori cui dovrà orientarsi l'operato degli Stati e dell'economia. È auspicabile che gli attori dell'economia partecipino all'elaborazione di tali procedure e meccanismi e che siano tenuti, perlomeno negli ambiti di loro immediata competenza, a intraprendere i passi necessari per favorire un aumento del benessere a livello globale, sostenibile ed equilibrato dal punto di vista sociale.

Dal punto di vista dei diritti dell'uomo l'obiettivo principale è evitare che i valori e le norme fondamentali della protezione internazionale dei diritti dell'uomo siano relativizzati o messi in forse dal processo di globalizzazione. Parallelamente occorre rafforzare la consapevolezza per il fatto che la funzione degli strumenti attuali in materia di diritti dell'uomo non si riduce alla trasposizione in norme giuridiche dei valori etici già accettati ma risiede pure nell'elaborazione di nuovi principi morali basati sui diritti dell'uomo esistenti e sul concetto della dignità umana.

Diritti dell'uomo ed economia Dall'inizio degli anni Novanta i flussi
economici globali si sono continuamente accelerati e hanno ottenuto una nuova qualità. Con l'aumentare degli investimenti e della produzione delle imprese attive a livello globale nei Paesi meridionali è aumentato pure l'interesse per tali attività da parte di un'opinione pubblica viepiù critica. Negli ultimi anni si è constatato che i governi di numerosi Paesi in sviluppo tentano di indurre le imprese attive a livello internazionale a insediarsi nei relativi Paesi offrendo loro condizioni di investimento e di produzione vantaggiose. Questi Paesi spesso rinunciano a richiedere l'applicazione o un maggiore rispetto degli standard in materia di diritti dell'uomo poiché temono che tali richieste abbiano un effetto inibitore sulle condizioni di investimento nel Paese. Particolarmente sensibili 7159

in questo contesto sono temi quali il lavoro minorile o le ripercussioni dell'economia globale sulle popolazioni indigene e sugli spazi vitali di queste ultime. Occorre tuttavia sottolineare che sempre più imprese sono consapevoli della responsabilità sociale legata alla loro attività economica a livello mondiale e che aumenta il numero di aziende che hanno aderito ad appositi codici di comportamento impegnandosi a rispettare determinate norme e principi in questo campo.

Nel luglio 2000 il Segretario generale dell'ONU Kofi Annan ha dato avvio al «Patto globale» (Global Compact), un'iniziativa delle Nazioni Unite volta a promuovere la «Buona prassi aziendale» e lo scambio di esperienze pratiche nell'attuazione dei principi e valori fondamentali in materia di diritti dell'uomo, di diritto del lavoro e di protezione dell'ambiente. Il Patto intende facilitare l'avvio di nuovi partenariati tra l'economia privata e le Nazioni Unite con lo scopo di sostenere i principi e gli obiettivi di ampia portata definiti dall'ONU e creare così i presupposti per un dialogo strutturato tra le Nazioni Unite, l'economia, il mondo del lavoro e la società civile. Il Patto globale intende infine anche motivare un numero maggiore di aziende ad aderire agli sforzi profusi in questo campo.

Con il Patto globale il Segretario generale dell'ONU intende indurre gli attori economici a rispettare e promuovere i diritti dell'uomo nella loro sfera di influenza. La Svizzera sostiene l'attuazione di questo obiettivo nell'ambito delle sue possibilità e mediante una collaborazione all'insegna del partenariato con le aziende svizzere.

La Direzione politica rafforzerà ulteriormente il suo impegno nel settore a cavallo tra i diritti dell'uomo e l'economia, completando così il lavoro di altri attori della Confederazione, segnatamente quello della DSC e del Seco, due organi tradizionalmente impegnati sul fronte del miglioramento delle condizioni quadro economiche favorevoli alla crescita e agli investimenti. Nel loro lavoro questi attori attribuiscono grande importanza all'applicazione di norme fondamentali del diritto del lavoro e ai principi del Buon governo nell'economia.

Diritti dell'uomo e terrorismo In reazione agli attentati terroristici dell'11 settembre 2001 contro gli USA, la lotta mondiale contro il terrorismo ha assunto grande
importanza. Nel corso di pochi mesi diversi Stati hanno adottato cosiddette leggi antiterrorismo che permettono alle autorità di limitare i diritti dei cittadini nei loro Paesi.

Atti terroristici che causano la morte di individui rappresentano una violazione grave di uno dei diritti fondamentali dell'uomo: il diritto alla vita. Gli Stati hanno il dovere di proteggere le persone contro tali violazioni e di garantire l'incolumità dei propri cittadini. La lotta contro il terrorismo e la persecuzione penale degli organizzatori e dei capi di movimenti terroristici sono pertanto azioni necessarie e legittime.

Nel contempo il nostro Consiglio si impegna a fondo per evitare che la lotta contro il terrorismo divenga un pretesto per relativizzare o mettere in forse la validità universale dei diritti dell'uomo e del diritto internazionale umanitario.

7160

1.5.3

Sinergie e conflitti di obiettivi

Pace e diritti dell'uomo sono due concetti indivisibili. Non a caso già il preambolo della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 stabilisce che «il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana, e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo».

Nella prassi le attività della gestione civile dei conflitti e le misure di promovimento della protezione internazionale dei diritti dell'uomo e del diritto internazionale umanitario sono intrinsecamente collegati. Nella maggior parte dei casi queste attività si completano a vicenda. Tale complementarietà è particolarmente ben visibile nel caso di alcune misure adottate dalla Direzione politica nell'ambito a cavallo tra la gestione civile dei conflitti e il promovimento dei diritti dell'uomo: ­

in molti casi lo strumento dell'osservazione dei diritti dell'uomo permette di contribuire alla prevenzione di un conflitto violento o di un'escalation di un conflitto in corso. I rapporti allestiti nell'ambito delle osservazioni dei diritti dell'uomo svolgono un importante ruolo di identificazione tempestiva e di prevenzione: l'accumularsi di violazioni dei diritti dell'uomo è infatti spesso un segnale dell'imminente escalation di un conflitto. Mediante controlli di presunte violazioni dei diritti dell'uomo gli osservatori possono inoltre evitare che accuse infondate siano usate come pretesto per l'escalation di un conflitto.

­

Di regola i processi di negoziazione concernenti possibili soluzioni di pace iniziano durante o al più tardi dopo la fine di un conflitto violento. Nell'ambito dei suoi programmi di gestione civile dei conflitti, la Direzione politica si impegna affinché già nella fase iniziale di tali processi si tenga conto delle questioni concernenti i diritti dell'uomo e i principi del diritto internazionale umanitario. Spesso i processi di negoziazione portano all'adozione di nuove strutture costituzionali in cui il tema della protezione dei diritti dell'uomo e delle minoranze svolge un ruolo chiave. I conflitti caratterizzati da tendenze indipendentiste o autonomiste richiedono la conclusione di accordi su forme adeguate di divisione del potere. Inoltre è necessario definire norme e meccanismi intesi a impedire che dopo la fine del conflitto i membri delle parti coinvolte siano vittime di discriminazioni.

­

Particolare importanza in questo contesto assumono le norme concernenti i diritti fondamentali dell'uomo e le norme sull'istituzione di organi quali tribunali, commissioni della verità, dei diritti dell'uomo o della parità, istituzioni di vigilanza o di conciliazione. È essenziale inoltre definire norme sul trattamento dei prigionieri e sulla persecuzione delle violazioni dei diritti dell'uomo commesse durante la fase del conflitto.

In alcuni casi può tuttavia succedere che questi due ambiti politici si trovino in opposizione tra di loro. Ad esempio, per un attore esterno può essere problematico nel corso di un processo di pace denunciare pubblicamente le violazioni dei diritti dell'uomo commessi da una parte al conflitto poiché una siffatta denuncia indebolisce la posizione della parte in questione. Anche la scelta di tacere in merito a tali violazioni è però problematica poiché può essere interpretata come giustificazione o difesa della parte coinvolta. Un problema analogo si pone per il nostro Consiglio nei casi in cui è necessario decidere se sostenere o meno soluzioni di amnistia, soluzioni 7161

che appaiono opportune dal punto di vista della gestione civile dei conflitti ma problematiche da quello della protezione dei diritti dell'uomo.

Il nostro Consiglio tenta di risolvere questi dilemmi segnalando in modo inequivocabile alle parti che il rispetto di standard minimi in materia di diritti dell'uomo e dei principi del diritto internazionale umanitario sono condizione inderogabile per un impegno in materia di politica di pace da parte della Confederazione. Se dispongono del necessario margine d'azione politico e tattico e a condizione che non siano toccati obblighi giuridici del nostro Paese, il DFAE o il nostro Consiglio decidono di caso in caso sulla base di una valutazione degli interessi politici in gioco se dare la priorità alle misure della gestione civile dei conflitti o a quelle del promovimento dei diritti dell'uomo.

I rapporti tra la gestione civile dei conflitti e il promovimento dei diritti dell'uomo non sono ancora stati affrontati in maniera approfondita dalla ricerca scientifica. Il nostro Consiglio si occuperà più da vicino di questa problematica in occasione dell'elaborazione della direttiva menzionata nell'introduzione (cfr. n. 1.1).

2

Ripercussioni finanziarie e sull'effettivo del personale

2.1

Stanziamento di un credito quadro

Proponiamo per la prima volta un credito quadro per la gestione civile dei conflitti e per il promovimento dei diritti dell'uomo. La competenza per la sua utilizzazione spetta alla Divisione politica IV della Direzione politica.

Il credito quadro come strumento della pianificazione e della gestione finanziaria deve garantire la necessaria continuità nell'adempimento dei compiti. Risulta dall'esperienza che per i due ambiti di cui nel presente messaggio occorre un impegno crescente sull'arco di parecchi anni. Per poter assumere siffatti impegni è indispensabile un credito quadro secondo l'articolo 25 capoverso 1 della legge del 6 ottobre 198919 sulle finanze federali. Il credito quadro proposto permette una pianificazione a medio termine e la creazione di partenariati a lungo termine con organizzazioni e istituzioni specifiche. Entrambi gli obiettivi avranno ripercussioni positive sulla qualità del lavoro di promozione della pace e di promozione dei diritti dell'uomo svolto dalla Direzione politica.

In futuro il Consiglio federale dovrà presentare alle Camere federali di regola almeno una volta ogni quattro anni un messaggio per lo stanziamento di un credito quadro. In tal modo il Parlamento otterrà la possibilità di esaminare regolarmente l'importo dei mezzi da mettere a disposizione e l'orientamento strategico del loro impiego.

In base all'articolo 159 capoverso 3 della Costituzione federale, il decreto federale chiesto con il presente messaggio sottostà al freno all'indebitamento e necessita pertanto della maggioranza qualificata dei membri delle due Camere.

19

RS 611.0

7162

2.2

Importo del credito quadro

Fabbisogno La domanda di attività nell'ambito della gestione civile dei conflitti e del promovimento dei diritti dell'uomo è aumentata fortemente negli scorsi anni. Il numero dei conflitti mondiali che assumono una forma violenta e delle violazioni dei diritti dell'uomo continua ad essere elevato. La Svizzera si trova in una situazione favorevole per poter fornire contributi efficaci nei due ambiti. Un impegno svizzero accresciuto corrisponde agli obiettivi che abbiamo formulato nel rapporto sulla politica estera 2000, obiettivi approvati dalle Camere federali.

Contributi forniti finora Le risorse a disposizione della Direzione politica per la gestione civile dei conflitti e il promovimento dei diritti dell'uomo sono state gradualmente aumentate durante gli scorsi anni. I crediti previsti nel preventivo 2003 per i due ambiti ammontano nel frattempo a circa 44,5 milioni di franchi20. Questi contributi sono nettamente inferiori al fabbisogno e alle spese di Paesi paragonabili.

Le spese della Svizzera nel paragone internazionale La prassi mostra che i Paesi paragonabili con la Svizzera investono mezzi finanziari molto più cospicui nella gestione civile dei conflitti e nel promovimento dei diritti dell'uomo. Questa differenza è particolarmente significativa nel caso di Stati come la Norvegia, la Finlandia e il Canada, che nel passato recente hanno potuto registrare vari successi in materia di politica di pace. A tutt'oggi non disponiamo di statistiche affidabili a livello internazionale per documentare la differenza tra le spese della Svizzera e quelle di altri Stati in questo settore, mancanza dovuta principalmente al fatto che i singoli Paesi registrano le relative spese sotto rubriche diverse nei rispettivi budget e le notificano secondo modalità non omogenee in occasione dei rilevamenti statistici internazionali, ad esempio in seno all'OCSE.

Condizioni quadro di politica finanziaria L'introduzione del freno all'indebitamento costringe a una considerevole moderazione per quanto concerne progetti che aggravano ulteriormente le finanze federali.

Con il presente messaggio teniamo sufficientemente conto del freno all'indebitamento. Proponiamo un credito superiore di circa un quinto alle spese nell'ambito del preventivo a disposizione nel 2001 per la gestione civile dei conflitti e il promovimento dei diritti dell'uomo.

20

Con il nuovo credito quadro, a partire dal 1° gennaio 2004 i crediti della rubrica del preventivo 201.3600.149 Promozione civile della pace (43,0 mio) saranno registrati sotto il titolo nuovo Gestione civile dei conflitti e promovimento dei diritti dell'uomo. Per quel che concerne l'attuale rubrica del preventivo 201.3600.104 Azioni facoltative per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e del diritto internazionale (1,78 mio), 1,50 milioni saranno trasferiti nella rubrica summenzionata; i rimamenti 0.28 mio continueranno a essere registrati nella rubrica 201.2600.104, sotto il nuovo titolo Azioni facoltative per la salvaguardia del diritto internazionale, e gestiti indipendentemente dal credito quadro oggetto del presente messaggio.

7163

In base alle considerazioni summenzionate, proponiamo l'apertura di un credito quadro di 240 milioni di franchi per la durata minima di almeno quattro anni.

Per la liquidazione degli impegni assunti durante il periodo di validità del credito quadro devono essere stanziati corrispondenti crediti di pagamento. Nel periodo 2004­2007 saranno necessari crediti di pagamento per circa 220 milioni di franchi che si ripartiranno tra i diversi anni secondo le indicazioni qui di seguito. L'aumento dei mezzi necessario a tale scopo a partire dal 2004 è previsto nel piano finanziario 2004­2006.

2004: 47,5 milioni di franchi; 2005: 52,5 milioni di franchi; 2006: 57,5 milioni di franchi; 2007: 62,5 milioni di franchi.

L'importo effettivo impiegato per le misure della gestione civile dei conflitti e del promovimento dei diritti dell'uomo in ultima analisi dipende non soltanto dal credito quadro ma anche dai crediti di pagamento concessi annualmente dal Parlamento. Eventuali tagli del preventivo e della pianificazione finanziaria comporterebbero una corrispondente proroga del credito quadro. Se non si verificheranno tagli di questo genere, si può prevedere che il nuovo credito quadro sarà interamente consumato nel corso della durata minima prevista di quattro anni.

Evoluzione degli impegni e delle spese annue (in mio di fr.; 2004­2007) Anno

2004

2005

2006

Impegni a medio termine (2004-06) Impegni a medio termine (2005-07) Impegni a medio termine (2006-08) Impegni a medio termine (2007-09) Impegni con ripercussioni unicamente sul preventivo annuo

7,90

7,90 8,75

7,90 8,75 9,60

2007

8,75 9,60 10,40

Totale crediti di pagamento 2004­2007

2009

6,60 6,70

23,70 26,25 25,80 6,70 23,80 99,55

Totale credito d'impegno 2004­2007 Contributi sulla base di impegni annuali Contributi sulla base di impegni a medio termine



2008

240,0 39,60 35,85 31,25 33,75 7,90 16,65 26,25 28,75 47,5

52,5

57,5

62,5

220,0

Secondo le categorie dell'OCSE, determinate attività della Direzione politica negli ambiti della gestione civile dei conflitti e del promovimento dei diritti dell'uomo sono considerate contributi relativi all'aiuto pubblico allo sviluppo. Negli ultimi anni la quota di queste attività è stata pari circa al 50 per cento dei mezzi del budget disponibili; nel 2001 si è trattato di circa 20 milioni di franchi. La quota degli importi notificati resterà simile in futuro. L'espansione di queste attività durante gli anni 2004-2007 comporterà un aumento ­ per quanto minimo ­ dei relativi valori della Svizzera nelle statistiche dell'OCSE.

7164

2.3

Durata del credito quadro

La durata del credito quadro è di almeno quattro anni (2004-2007). Tale durata minima corrisponde al periodo della legislatura. Garantisce che l'impegno della Confederazione sia sottoposto a un esame parlamentare approfondito almeno una volta durante la legislatura.

Gli impegni che saranno assunti durante detto periodo avranno presumibilmente per conseguenza spese durante gli anni 2004 a 2009 (vedi tabella suesposta). I necessari crediti di pagamento saranno domandati ogni volta nell'ambito del preventivo annuo della Confederazione.

2.4

Ripartizione degli impegni a carico del credito quadro

I dati qui di seguito si basano sullo stato della pianificazione 2002. Per quanto concerne la ripartizione effettiva dei mezzi il nostro Consiglio e la Direzione politica necessitano di una determinata flessibilità che permetta un adeguamento a situazioni ed esigenze politiche modificate.

2.4.1

Ripartizione degli impegni tra la gestione civile dei conflitti e il promovimento dei diritti dell'uomo

Alcune delle attività previste possono essere attribuite in maniera relativamente semplice a una delle due categorie, ovvero alla gestione civile dei conflitti (1) o al promovimento dei diritti dell'uomo (2). Come mostrano tuttavia le considerazioni esposte nel presente messaggio, in molti casi risulta difficile delimitare in maniera univoca e precisa i due ambiti: le attività realizzate all'interno di uno dei ambiti in molti casi rafforzano gli effetti di attività nell'altro ambito. In futuro la Direzione politica intende svolgere in misura maggiore programmi integrati per meglio sfruttare queste sinergie. A causa della delimitazione poco precisa tra i due settori, le cifre riportate sotto sono da considerarsi valori di massima. Prevediamo in ogni caso di aumentare proporzionalmente le spese per le misure di promovimento dei diritti dell'uomo rispetto alla situazione attuale, tenendo conto in tal modo del crescente peso di queste misure nella politica estera della Svizzera.

2 (12.5%)

(1) (2)

Gestione civile dei conflitti Promovimento dei diritti dell'uomo

1 (87.5%)

7165

2.4.2

Ripartizione degli impegni nell'ambito della gestione civile dei conflitti

La suddivisione proposta degli impegni nel settore della gestione civile dei conflitti si basa sulle esperienze degli ultimi anni. La categoria (1) comprende tutte le misure operazionali attuate dalla Direzione politica nell'ambito dei processi di pace. Ne sono esclusi unicamente gli invii di personali operati tramite il Pool svizzero di esperti per la pace PSEP (2); le spese previste a tale scopo possono essere quantificate con una certa precisione in base alla struttura finanziaria attuale. Le spese previste nella categoria (3) sono destinate allo sviluppo ulteriore della politica svizzera della gestione civile dei conflitti e del promovimento della pace, per concludere i partenariati necessari a tale scopo e per sostenere, mediante appropriate misure collaterali, l'effetto e la credibilità delle posizioni svizzere e delle iniziative tematiche diplomatiche del nostro Paese. Nella categoria (4) sono indicati i costi del personale e quelli amministrativi.

Impegni secondo le categorie delle spese 4 (5.0%) 3 (20.0%) 1 (50.0%)

2 (25.0%)

(1) Buoni uffici e mediazione, gestione civile dei conflitti (escl. PSEP) (2) Pool svizzero di esperti per la promozione civile della pace (PSEP) (3) Elaborazione delle strategie politiche, partenariati strategici, iniziative diplomatiche relative a determinati temi (misure collaterali) (4) Personale e amministrazione

La distribuzione delle spese a destinazione geografica vincolata corrisponde in larga misura alla distribuzione geografica attuale che ha dato buona prova e che nell'interesse della continuità non subisce modifiche sostanziali. Alla luce delle analisi e delle prognosi attualmente disponibili abbiamo tuttavia adeguato leggermente questa distribuzione: la maggior parte dei mezzi chiesti continuerà a essere impiegata nell'Europa sudorientale (1) e sarà destinata in massima parte al sostegno delle missioni di pace multilaterali attive nella regione. Se la probabilità di un'escalation del conflitto in questa regione dovesse diminuire, diminuiremo pure l'ammontare dei mezzi investiti. La seconda priorità geografica è l'Africa (2): in futuro il potenziale di conflitti in questo continente resterà infatti elevato o addirittura potrebbe aumentare. Anche il Vicino Oriente (3) resterà a medio termine una regione importante per le attività in questi ambiti, che saranno volte principalmente a rafforzare il rispetto delle regole e dei principi del diritto internazionale umanitario. Nell'Asia (4) e nell'America latina (5) la Direzione politica già oggi svolge attività puntuali di promovimento della pace. In ambedue queste regioni intendiamo dedicare la nostra attenzione a ulteriori conflitti scelti. Infine è previsto un margine d'azione flessibile (6) che permette alla Direzione politica di reagire a sviluppi imprevisti.

7166

Ripartizione geografica degli impegni a destinazione vincolata nell'ambito della gestione civile dei conflitti 6 (10.0%) 5 (10.0%)

1 (30.0%)

(1) (2) (3) (4) (5) (6)

4 (10.0%)

3 (15.0%)

2.4.3

2 (25.0%)

Europa Africa Vicino Oriente Asia America latina Importo a destinazione variabile

Ripartizione degli impegni nell'ambito del promovimento dei diritti dell'uomo

Nell'ambito del promovimento dei diritti dell'uomo l'intensificazione della collaborazione con partner multilaterali e dell'appoggio di tali partner (1) sarà il punto che avrà maggiori ripercussioni sulle spese. In questo ambito si tratta soprattutto di curare i partenariati con gli organi e le istituzioni nell'ambito dell'ONU. L'attuazione di norme del diritto internazionale umanitario (2) è un obiettivo primario volto a rafforzare la protezione internazionale dei diritti dell'uomo. I programmi necessari a tale scopo richiedono circa un quarto dei mezzi disponibili. I mezzi previsti alle categorie (3) e (4) per le misure collaterali sono necessari per sostenere le iniziative diplomatiche della Svizzera e per dotare della necessaria credibilità il dialogo sui diritti dell'uomo attualmente in corso e quelli previsti. Nella categoria (5) sono iscritte le spese per il personale e l'amministrazione.

Impegni secondo le categorie delle spese 4 (10.0%)

5 (5.0%)

(1)

Partenariati

(2)

Attuazione delle norme internazionali in materia di diritti dell'uomo

3 (10.0%) 1 (50.0%)

2 (25.0%)

2.5

(3)

Iniziative diplomatiche (misure collaterali)

(4)

Dialoghi sui diritti dell'uomo

(5)

Personale e amministrazione

Pianificazione, controlling e valutazione

Processi di lavoro interni e ottimizzazione dell'organizzazione Il controlling serve alla consapevole gestione dell'organizzazione a tutti i livelli.

L'organizzazione, nel presente caso la Direzione politica, si adopera per fissare in modo adeguato gli obiettivi, per pianificare in modo realistico, per sorvegliare il concretamento delle decisioni, per procedere in caso di necessità ad adeguamenti e rendere accessibili i risultati in modo trasparente. Con gli strumenti e i metodi del 7167

controlling, la Direzione sottopone i processi di lavoro a un esame quantitativo e qualitativo. Accerta eventuali carenze nel processo di lavoro ed aumenta l'efficienza, il coordinamento, la trasparenza e la coerenza dei provvedimenti. Oltre a effettuare una sistematica autovalutazione, la Direzione politica fa esaminare regolarmente, nell'ambito di valutazioni esterne, la qualità delle sue attività. Anche le organizzazioni partner che ricevono contributi sostanziali vengono sottoposte regolarmente a un esame.

Garanzia della qualità a livello dei contenuti In base agli obiettivi e agli orientamenti sui quali impernia le proprie attività nell'ambito della gestione civile dei conflitti e del promovimento dei diritti dell'uomo, la Direzione politica segue una procedura a parecchi livelli: le analisi, lo sviluppo di strategie di intervento e l'esecuzione di attività sono fasi di un processo di pianificazione politico e operativo di ampio respiro.

Conflitti violenti e violazioni dei diritti dell'uomo

Obiettivi e strategie

Analisi

Decisione a livello politico

Elaborazione di strategie d'intervento

Pianificazione delle attività (programmi)

Processo di valutazione

Attuazione e monitoraggio

Per avere successo le strategie della gestione civile dei conflitti e il promovimento dei diritti dell'uomo devono essere concepiti in base a conoscenze affidabili. Esaminando un conflitto è irrinunciabile analizzarne esattamente la dinamica, le parti coinvolte, i fattori determinanti e i problemi che conducono o hanno già condotto a un'escalation. Per poter mettere a disposizione analisi quanto possibile complete e qualificate, la Direzione politica ricorre al suo sapere specialistico interno e ad altre risorse disponibili dell'Amministrazione. In caso di necessità, completa le sue capacità con perizie esterne.

In base alle analisi e a una valutazione realistica delle proprie capacità e dei propri strumenti, la Direzione politica sviluppa possibili modelli e strategie di intervento. A seconda dei risultati delle analisi, entrano in linea di conto strategie locali, strategie specifiche per un Paese o strategie regionali. Gli strumenti disponibili interni al7168

l'Amministrazione vengono imperniati sui problemi accertabili del conflitto o del territorio di cui trattasi e sono eventualmente coordinati con gli strumenti di altri operatori svizzeri o internazionali.

In seguito la decisione pro o contro un impegno è presa dalla Direzione politica o eventualmente dal Consiglio federale dopo attenta ponderazione a livello politico di tutti i valori in gioco. In caso di decisione positiva, è scelta la strategia di intervento più adeguata e sono elaborati le azioni e i programmi concreti. Ne risulta un piano dettagliato di concretamento sotto forma di piano a medio termine.

Con il monitoraggio, la Direzione politica garantisce che le azioni e i programmi pianificati siano realizzati conformemente alle indicazioni del piano di concretamento a medio termine. Contemporaneamente, esamina l'effetto delle azioni e dei programmi e si assicura che i risultati ottenuti concordino con gli obiettivi e gli orientamenti strategici. I conflitti possono modificarsi a breve termine e svolgersi secondo una nuova dinamica. La Direzione politica tien conto di queste modifiche esaminando ed eventualmente adeguando le sue analisi, le sue strategie di intervento e i suoi piani di concretamento alla luce di circostanze conflittuali modificate.

La Direzione politica si adopera per ottimizzare correntemente la procedura alla base della pianificazione politica e operativa e al concretamento delle sue azioni e programmi. Pertanto, occorre individuare le esperienze e gli errori fatti e rendere utilizzabili per altre attività in corso o future gli insegnamenti che ne sono stati tratti.

2.6

Organizzazione e personale

Dall'anno 2000 si è proceduto a diversi adeguamenti organizzativi all'interno della Direzione politica e sono stati creati alcuni posti di lavoro urgentemente necessari.

L'effettivo di posti all'interno della Divisione politica IV, competente per la politica di pace e dei diritti dell'uomo, è finanziato tramite i crediti del personale ma è tuttora troppo limitato. La Divisione comprende attualmente 33 persone con una percentuale di occupazione totale pari a 3095 (luglio 2002), incluso il personale amministrativo e di segretariato. A causa delle attuali condizioni in materia finanziaria non è possibile aumentare il personale nell'ambito strutturale. Per poter padroneggiare il volume di lavoro, la Divisione politica IV è già stata costretta a finanziare 6,0 posti ulteriori al 100 per cento per mezzo del credito promozione civile della pace.

Le attività di promozione della pace e dei diritti dell'uomo sono per lo più eseguite in un contesto altamente sensibile dal punto di vista politico. Ne risulta la necessità di un accompagnamento particolarmente regolare e costante di queste attività. Nel caso di un accompagnamento troppo intermittente ne può risultare un danno non soltanto finanziario, bensì anche un danno considerevole per la politica estera. Nel caso di invii di personale è inoltre in gioco la sicurezza degli esperti. Una pianificazione coscienziosa dell'operazione e un'assistenza efficace permette di ridurre considerevolmente i pericoli cui sono esposti gli esperti.

7169

La delega di compiti nell'ambito di mandati esterni spesso non è possibile a causa del carattere confidenziale del lavoro. Inoltre, i mandati esterni sono di regola costosi. A causa delle caratteristiche del suo ambito di lavoro, la Divisione politica IV si trova in una speciale situazione di politica del personale che si differenzia essenzialmente da quella di altri uffici federali.

In base al credito quadro domandato risulta un fabbisogno supplementare di personale di 11 posti al 100 per cento. Questi posti sono finanziati per mezzo del credito quadro. I costi corrispondenti ammontano al massimo a 2,5 milioni di franchi, cui vanno aggiunti i contributi sociali del datore di lavoro. Questo importo comprende i posti finanziati già prima del 2004 per mezzo del credito per progetti. I posti ulteriori sono previsti per l'esecuzione di lavori concettuali e operativi che risultano direttamente dall'aumento del preventivo globale. Tutte le assunzioni avvengono conformemente alla legge del 24 marzo 200021 sul personale federale.

Degli 11 nuovi posti di lavoro al 100 per cento, 7 posti al 100 per cento sono destinati all'ambito della gestione civile dei conflitti, suddivisi nel modo seguente: ­

2,5 posti al 100 per cento sono destinati ai responsabili dei programmi che elaborano o assistono le analisi dei conflitti, sviluppano le strategie di intervento e le concezioni a medio termine, avviano i progetti concreti e li accompagnano e valutano e dialogano in modo strutturato con i partner operativi in Svizzera e nelle regioni teatro di conflitti.

­

3,5 posti al 100 per cento sono domandati per persone impiegate nell'ambito di missioni diplomatiche speciali o che preparano e seguono siffatte missioni con provvedimenti di accompagnamento. In proposito, almeno un posto al 50 per cento è destinato a interventi per il rafforzamento del diritto internazionale umanitario.

­

1 posto al 100 per cento è necessario per un'assistenza competente del Pool di esperti per la promozione civile della pace (PSEP). Le capacità attualmente disponibili sono sufficienti per l'assistenza a livello logistico e dei contenuti a 80 esperti impiegati contemporaneamente. Secondo le nostre indicazioni si prevede di aumentare a 100 questo numero e contemporaneamente di garantire un'elevata qualità del reclutamento, della formazione e dell'assistenza.

Nell'ambito del promovimento dei diritti dell'uomo sono richiesti 2 posti al 100 per cento: questi posti sono necessari per la concretizzazione dei provvedimenti in quattro ambiti di azione. Soprattutto l'assistenza ai dialoghi supplementari sui diritti dell'uomo richiede un numero considerevole di collaboratori. Si tratta di un dispendioso lavoro di assistenza che comprende l'analisi della situazione dei diritti dell'uomo nello Stato in cui avviene il dialogo, la preparazione delle visite di delegazioni per i diritti dell'uomo e l'elaborazione dei loro risultati e approfondimenti specifici con gli esperti esterni e gli operatori della società civile.

Infine, 2 posti al 100 per cento sono necessari per far fronte all'onere amministrativo supplementare che risulta dallo sviluppo della gestione civile dei conflitti e dal promovimento dei diritti dell'uomo. In primo piano sono l'accompagnamento amministrativo e la gestione finanziaria dei progetti.

21

RS 172.220.1

7170

2.7

Conseguenze per i Cantoni e i Comuni

L'esecuzione del decreto federale proposto incombe esclusivamente alla Confederazione e non grava i Cantoni e i Comuni.

3

Programma di legislatura

Il progetto non è annunciato nel programma di legislatura 1999-2003.

Dopo un'estesa consultazione interna all'Amministrazione abbiamo deciso nel 2000 di elaborare una base legale per provvedimenti per la promozione civile della pace e il rafforzamento dei diritti dell'uomo. Il corrispondente progetto di legge è stato rimesso alle Camere federali parallelamente al presente messaggio. Poiché il Consiglio federale può domandare crediti quadro soltanto se vi è una corrispondente base giuridica, a suo tempo non ci è stato possibile includere formalmente la domanda di un credito quadro nel programma di legislatura 1999-2003.

Per contro lo sviluppo della gestione civile dei conflitti e del promovimento dei diritti dell'uomo è stato annunciato nel programma di legislatura.

4

Basi legali

Il decreto federale sottoposto alla vostra approvazione si basa sull'articolo 4 della legge federale su misure di promozione civile della pace e di rafforzamento dei diritti dell'uomo. Tale legge prevede che i mezzi per siffatti provvedimenti sono autorizzati come crediti quadro pluriennali.

Siccome il decreto è finanziario, è prevista, secondo l'articolo 4 della legge del 23 marzo 196222 sui rapporti fra i Consigli, la forma del decreto federale semplice.

La competenza dell'Assemblea federale in materia di preventivo risulta dall'articolo 167 della Costituzione federale23 e dai corrispondenti disciplinamenti della legge sulle finanze federali24, rispettivamente della relativa ordinanza25.

22 23 24 25

RS 171.11 RS 101 RS 611.01 RS 611.01

7171

Indice Compendio

7092

1 Gestione civile dei conflitti e promovimento dei diritti dell'uomo 7094 1.1 Introduzione 7094 1.2 Condizioni quadro e sfide 7099 1.3 Approcci, strategie e tendenze a livello internazionale 7103 1.4 Retrospettiva: risposte della Svizzera (1989­2002) 7111 1.4.1 Dalle azioni di mantenimento della pace alla gestione civile dei conflitti 7111 1.4.2 Istituzione e rafforzamento del promovimento dei diritti dell'uomo 7118 1.5 Prospettive: strategie e priorità (2004­2007) 7120 1.5.1 Gestione civile dei conflitti 7120 1.5.1.1 Obiettivi e principi 7120 1.5.1.2 Campi d'azione 7124 1.5.1.2.1 Buoni uffici e mediazione 7124 1.5.1.2.2 Programmi di gestione civile dei conflitti 7130 1.5.1.2.3 Pool di esperti per la promozione civile della pace (PSEP) 7132 1.5.1.2.4 Iniziative diplomatiche incentrate su singoli temi 7134 1.5.1.2.5 Partenariati 7136 1.5.1.3 Priorità tematiche 7138 1.5.1.3.1 Questioni costituzionali, decentralizzazione e divisione del potere 7138 1.5.1.3.2 Ruolo dei media nei conflitti violenti 7141 1.5.1.3.3 Sicurezza umana 7143 1.5.1.3.4 Diritti dell'uomo nei conflitti violenti e diritto internazionale umanitario 7148 1.5.2 Promovimento dei diritti dell'uomo 7150 1.5.2.1 Scopi e principi 7150 1.5.2.2 Campi d'azione 7151 1.5.2.2.1 Dialoghi sui diritti dell'uomo 7151 1.5.2.2.2 Attuazione delle norme internazionali in materia di diritti dell'uomo 7153 1.5.2.2.3 Iniziative diplomatiche 7155 1.5.2.2.4 Partenariati 7156 1.5.2.3 Priorità tematiche 7158 1.5.2.3.1 Difesa e promovimento dei diritti fondamentali dell'uomo 7158 1.5.2.3.2 Protezione dei gruppi particolarmente vulnerabili 7158 1.5.2.3.3 Nuove dimensioni della protezione dei diritti dell'uomo 7159 1.5.3 Sinergie e conflitti di obiettivi 7161

7172

2 Ripercussioni finanziarie e sull'effettivo del personale 7162 2.1 Stanziamento di un credito quadro 7162 2.2 Importo del credito quadro 7163 2.3 Durata del credito quadro 7165 2.4 Ripartizione degli impegni a carico del credito quadro 7165 2.4.1 Ripartizione degli impegni tra la gestione civile dei conflitti e il promovimento dei diritti dell'uomo 7165 2.4.2 Ripartizione degli impegni nell'ambito della gestione civile dei conflitti 7166 2.4.3 Ripartizione degli impegni nell'ambito del promovimento dei diritti dell'uomo 7167 2.5 Pianificazione, controlling e valutazione 7167 2.6 Organizzazione e personale 7169 2.7 Conseguenze per i Cantoni e i Comuni 7171 3 Programma di legislatura

7171

4 Basi legali

7171

Decreto federale su un credito quadro per misure di gestione civile dei conflitti e di promovimento dei diritti dell'uomo (Disegno)

7174

7173